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 L'ARDIELUT

Si lu mangje cu le salade e, cun di plui, e je une vore buine!
O zontarès ancje, che meti un fuee tal pagnut e je un alc e ce... Ma cemût si disial, par talian, l'ardielut? Facil, o disarês, e je la valeriana, e invezit no, bisugne stâ atents, par che il nestri ardielut, pur jessint de stesse famee, e je la VALERIANELLA, ancje cognossude cuntune sdrume di nons comuns: formentino, songino, soncino, sarset, dolcetta, valerianella, insalata valeriana, molesini matawilz, grassagallina.
(contecurtegnove.blogspot.it) da fb
ASPARAGI SELVATICI 🌿🌱
Le proprietà degli asparagi selvatici: prelibati, antidepressivi, energetici, riducono la cellulite e depurano
Nei canaloni, nei campi baciati dal sole, lì dove ci sono rovi, acqua e terreni bruciati. È il regno degli asparagi selvatici (Asparagus officinalis) piante suffruticose sempre verdi dalle foglie aghiformi diffusi nell’Europa centro-meridionale fin dall’antichità. Gli asparagi, specie quelli selvatici sono ricchi di sostanze energetiche e vengono da sempre ritenuti dei potenti afrodisiaci.
Questi ortaggi sono davvero poco calorici – circa 25 calorie per 100 grammi – mentre hanno molta fibra, vitamina C (in un etto ce ne sono 25 mg, il che equivale a circa un terzo del fabbisogno di una persona adulta), carotenoidi (i precursori della vitamina A, che ha un’azione antiossidante e protettiva della pelle e delle mucose e stimola l’azione del fegato), vitamina B e sali minerali, tra i quali calcio, fosforo e potassio: mangiando 100 grammi di asparagi si assume circa il 75% della quantità quotidiana necessaria di acido folico, sostanza molto importante per la moltiplicazione delle cellule dell’organismo e per la sintesi di nuove proteine. Gli asparagi sono molto depurativi e diuretici, se non ci sono controindicazioni vale la pena di approfittarne per aiutare e eliminare il ristagno di liquidi nei tessuti e quindi ridurre la cellulite. In generale migliorano le funzioni renali accelerando la diuresi e rimuovendo i sedimenti. Sei soggetto ad attacchi di malumore? Allora gli asparagi fanno al caso tuo: infatti, secondo alcuni studi questi ortaggi avrebbero una funzione antidepressiva, probabilmente legata alla loro azione disintossicante e diuretica. Mangiarne con parsimonia solo se tendi a soffrire di disturbi renali, di cistiti e di calcoli renali, perché contengono acido urico che può incrementare l’infezione già in atto.
Vistanet
da fb
Tutte le reazi


LA STELLA DI NATALE


 STELLA DI NATALE, CONSERVAZIONE DOPO L’ACQUISTO

di Alessandro Squizzato
“La stella di Natale non la prendo perché perde subito le foglie”. “La stella di Natale dura da Natale fino a Santo Stefano”. “Non compro più le stelle di Natale perché dopo due giorni mi muoiono”.
L’abbiamo sentito dire spesso. Apro le pagine social e leggo pubblicazioni in cui le persone sono mal contente di questa specie che, a mio avviso, è una delle piante più belle in assoluto.
Che sia una pianta delicata, complicata e capricciosa nessuno lo mette in dubbio.
“Ha bisogno di un luogo luminoso, lontano da fonti di calore come termosifone”, “soffre il freddo perciò va tenuta in casa al caldo lontano da correnti d’aria”, “bagnatura una volta a settimana”, “irrigazioni da sotto riempiendo il piattino e svuotandolo dopo 30 minuti”: le solite frasi che ci vengono sempre ripetute e che ormai sappiamo a memoria. Vorrei però precisare alcune cose e darvi altri suggerimenti e accortezze che potrebbero aiutarvi a dare alla vostra stella di Natale una durata ben oltre le feste. Iniziamo:
Temperatura. La temperatura ideale di mantenimento per le stelle di Natale si aggira tra i 16 e i 18 gradi. Più alta sarà e prima la pianta raggiungerà la maturazione e, quindi, la sfioritura. Ricordate infatti che il colore si manifesta man mano che la pianta raggiunge la maturità. Questa, poi, perderà le foglie e in primavera ne rimetterà di nuove. Un indizio utile per scoprire se la pianta è troppo matura è la presenza dei ciazi: quei piccoli bottoncini al centro dello stelo floreale che sono i veri fiori di questa pianta. Una stella senza i ciazi o con i ciazi che cadono (ciò non significa che nel negozio dovrete scuoterle ma vi basterà limitarvi all’osservazione), è sinonimo di pianta troppo matura e con una durata che quindi potrebbe essere limitata. Se le temperature esterne lo permettono (7/8 gradi sopra lo 0), posizionatela per 1-2 ore fuori. Ciò rallenterà il processo di maturazione facendola durare più a lungo.
Acquisto. Portare a casa questa pianta agli inizi di dicembre o addirittura a fine novembre vi assicurerà di avere piante più fresche, appena uscite dalle serre di coltivazione.
Irrigazione. Bagnate la stella di Natale solo a pianta asciutta (per capirlo bisogna sollevarla e constatarne il peso). Non fatevi ingannare dal trucco del dito nel terriccio perché molte volte la pianta potrebbe essere ancora ben bagnata alla base del vaso.
E’ meglio non esagerare mai con l’acqua. è preferibile correggere bagnando una volta in più piuttosto che ritrovarsi un terreno troppo inzuppato, che sarà davvero complicato da far asciugare in caso di insorgenze di problemi. Se siete incerti su quando irrigare osservate le foglie: la pianta vi dirà quando bagnarla. Se queste piegano leggermente verso il basso e il vaso inizia a pesare poco (devono esserci entrambi questi due elementi), irrigate.
Invaso. Non travasatela in vasi più grandi appena comprata perché non è il periodo adatto. Effettuate il travaso verso aprile-maggio, durante la ripresa vegetativa.

da vita nei campi

CACTUS DI NATALE

 


SCHLUMBERGERA: CACTUS DI NATALE

di Alessandro Squizzato
Schlumbergera.. questo nome sicuramente a molti di voi non dice nulla. Se invece vi dicessi cactus di Natale? La Schlumbergera è il nome del cactus di Natale che di certo molti di voi hanno acquistato e acquistano in questo periodo.
E’ un genere a dire il vero che comprende diverse specie. Ci sono quelle più arbustive e quelle che crescono più “a cascata”. Ci sono Schlumbergera con rami piatti e sottili con spine sulle estremità, altre con rami più carnosi e tondi, divisi in segmenti. Rami.. avete sentito proprio bene, non sono foglie.
L’aspetto che le accomuna tutte è la bellezza dei fiori.
I fiori del cactus di Natale sono lunghi e doppi. Il fiore principale spicca in lunghezza da una coroncina molto più corta e termina con un pistillo pronunciato. I colori vanno dal bianco candido, al fucsia acceso ad un rosso aranciato. La fioritura dura alcune settimane e avviene nella nostre Regioni tra novembre e dicembre. Questo per effetto della riduzione delle ore di luce naturale e della temperatura più bassa.
E’ una cactacea originaria di ambienti piuttosto umidi (foreste pluviali), a differenza dei classici cactus che prediligono ambienti secchi e asciutti. Posizionatela in un luogo molto luminoso ma, a mio parere, evitate il sole diretto, soprattutto quello caldo dell’estate, perché gli steli potrebbero andare incontro a scottature.
Annaffiatela quando il terreno è quasi del tutto asciutto. Se lo fate asciugare troppo ve ne accorgete facilmente perché gli steli della Schlumbergera si disidratano abbastanza velocemente. Nessuna paura, dopo l’apporto idrico i rami torneranno alla loro consistenza naturale.
Come substrato di allevamento è ottimo quello per piante cactacee. Utilizzate un buon concime per piante grasse soprattutto ad ottobre e fate attenzione a mantenere buono il livello d’umidità nel terreno. Limitate al massimo la luce artificiale durante le ore serali. Seguendo questi consigli, avrete abbondantissime fioriture.
Se volete propagare la Schlumbergera vi basterà prelevare sezioni di gambo con un 2-3 segmenti e metterli in un vasetto con del terriccio per piante grasse, interrandole un paio di centimetri.
Posizionatele in un luogo riparato e fornite poca acqua ogni tanto per mantenere buona l’umidità del terreno. Dopo poche settimane avrete delle nuove piantine di cactus di Natale. Ovviamente questa operazione va fatta a primavera inoltrata, il caldo della nuova stagione vi aiuterà ad accelerare il procedimento.
da vita nei campi

Le verdure invernali

 Le verdure del freddo...


La famiglia delle crucifere, indicate anche come brassicacee,
le conosciamo bene con i loro nomi : cappucci bianchi e viola, cavoli navone e rapa, cavolfiori, verze, broccoli verdi e molte altre ancora: sono ortaggi estremamente salutari, che erano un caposaldo del cibo contadino di una volta. Si sviluppano durante tutto il corso dell’anno, ma danno il loro meglio soprattutto nella fredda stagione.
da fb

Anno del miglio

 


Buon anno del miglio!

di Cristina Micheloni
Buon 2023 e buon anno del miglio! E’ proprio così, questo in cui stiamo muovendo i primi assonnati passi è l’anno internazionale del miglio o, meglio, dei migli. Dentro la stessa parola italiana infatti sono racchiuse 13 specie diverse, di cui 3 presenti anche in Regione, certo non comuni ma almeno presenti!
Essi sono il miglio comune, Panicum miliaceum, che tra tutti i migli è quello che cresce più a nord ed ad altitudini più elevate (si trova infatti anche in Germania e oltre). E’ arrivato qui dalla Manciuria 3000 anni fa. Ci interessa perchè è molto adattabile in termini di terreno e clima, resiste molto bene alla siccità, ha un ciclo breve, che va dai 60 ai 90 giorni, quindi si può seminare anche dopo una coltura autunno-vernina ed è un vero jolly che ci permette di vedere come va la stagione e decidere di conseguenza. Come tutti i migli resiste bene al caldo ed anche ai picchi di calore e richiede davvero poco in termini di elementi nutrizionali.
L’altro è il panico, Setaria italica, dalle caratteristiche analoghe al miglio comune, un po’ meno elastico in termini di terreni, poichè soffre di più i ristagni idrici. Ed infine il miglio perla, utilizzato soprattutto a scopo zootecnico, che è il cereale più resistente al caldo in assoluto (il polline sopravvive ed è vitale a 42°C).
Pensate alla scorsa estate, alle temperature raggiunte ed a quanta poca acqua c’era, poi ricordatevi quanto costano i fertilizzanti ed ecco che risulta evidente quanto la coltura sia “intelligente”. Volete un motivo in più? Aumentare la biodiversità nei campi e tenere coperto il terreno durante l’estate, con una buona produzione anche di massa vegetale.
Ok, la coltura è intelligente ma perchè dovremmo mangiarlo? Al di là che ridurre l’impatto ambientale della nostra dieta è già un buon motivo di scelta, il miglio regala soddisfazione anche al più egoistico “mi fa bene”. Infatti i grassi polinsaturi in esso contenuti fannno bene al sistema cardio-vascolare, le sue fibre aiutano a controllare i livelli di colesterolo nel sangue e sono precursori di molecole autitumorali, i minerali contenuti (ferro 4 volte in più del frumento! Ma anche calcio ecc.) lo rendono un vero toccasana, anche per ossa ed epiteli, grazie alla presenza di acido salicilico. Riduce rischio di diabete di tipo 2, abbassando il glucosio nel sangue ed aiuta a gestire sovrappeso e obesità. Dimenticavo: è naturalmente privo di glutine.
Insomma che volete di più da un cereale che nutre in modo salutare e chiede così poco? Allora nella lista dei buoni propositi per l’anno nuovo metteteci pure l’assaggiare il miglio, poi fatelo diventare un’abitudine almeno settimanale e controllate che sia prodotto in Regione e sia pure bio, così darete una mano agli agricoltori locali più previdenti e responsabili, che da qualche anno si sono cimentati nel mettere a punto un sistema colturale per i migli adattato alle nostre condizioni di suolo e climatiche. Se siete agricoltori ed allevatori, nella vostra lista per l’anno nuovo, aggiungete anche una prova di coltivazione.
Buon 2023!
Qualche info in più sui migli e sul perchè coltivarli e mangiarli: https://www.youtube.com/watch?v=bbRk049D2J8
da vita nei campi

LA VALERIANA


 La valeriana

di Sara Bosco
Oggi mi vorrei occupare della valeriana o più correttamente valerianella, un ortaggio tipico di questo periodo che resiste bene al freddo e può essere coltivato facilmente sia negli orti che sul balcone.
Questa coltura non ama i periodi caldi e siccitosi e non risulta essere troppo esigente per le tipologie di terreno, è importante solo che sia ben drenato. Può essere seminata dalla primavera all’autunno sia in pieno campo che in tunnel freddi, in particolare per le semine più tardive.
La semina viene eseguita a spaglio o a file distanti circa 15- 20 cm che si riducono a 8-10 cm nel caso vengano coltivata in vaso. Può essere necessario un diradamento quando le plantule sono emerse per assicurare un adeguato spazio di crescita. La semina a file permette una maggior facilità di gestione delle malerbe rispetto a quella a spaglio.
Durante la coltivazione non ha particolari esigenze se non un’adeguata irrigazione, in particolare nei mesi estivi più caldi.
La raccolta avviene quando le piantine hanno raggiunto una buona grandezza e potrà richiedere una tempistica diversa in funzione del periodo di coltivazione. Questa può avvenire sia tagliando le foglie alla base del coletto affinché si possano eseguire ulteriori tagli oppure togliendo tutta la pianta.
La valeriana è un ortaggio molto semplice che non ha criticità elevate durante la coltivazione se non l’insorgenza di possibili marciumi nel caso di terreni che trattengono l’acqua o periodi molto umidi. Risulta essere però una buona alternativa alle colture di questa stagione.
da vita nei campi

La stella di Natale

 


di Alessandro Squizzato

L’Euphorbia pulcherrima nota come Poinsettia o Stella di Natale è una pianta ornamentale che appartiene alla famiglia delle Euphorbiaceae. La pianta è originaria del Messico. Il nome “Poinsettia” deriva da Poinsett, il primo Ambasciatore degli Stati Uniti appunto in Messico, il quale introdusse la pianta negli Stati Uniti nel 1825. “Pulcherrima” deriva dal latino e significa “bellissima”.

In natura riesce a raggiungere e superare l’altezza di 3 – 4 metri. Si tratta di un arbusto che, nelle regioni d’origine, a clima caldo, prospera nelle foreste tropicali dal sud di Sinaloa lungo l’intera costa del Pacifico, fino al Guatemala.

La sua bellezza è senza dubbio la fioritura ma, al contrario di quello che si può pensare, il suo fiore non sono le foglie colorate ma bensì quelle piccole gemme, i “ciazi”, di colore verde-giallo prive di petali che compaiono per tutta la durata dell’inverno all’apice dello stelo. Le fogliecolorate si chiamano bratee e si colorano man mano che la pianta raggiunge la maturità.

È una pianta brevidiurna, la sua fioritura avviene in pieno inverno quando le giornate sono più corte.

Mi permetto di consigliarvi di non comprala solo gli ultimi giorni prima del Natale ma di godervela anche a inizio del mese di dicembre. Facciamo però molta attenzione al momento dell’acquisto.

La pianta deve essere visivamente sana, vivace, le bratee devono essere brillanti, esposte in un luogo luminoso ed asciutto, con temperatura controllata.

Quando portiamo a casa una Poinsettia, lasciamola imbustata per il minor tempo possibile perché le buste di plastica favoriscono la muffa o botrite, posizioniamola in una zona luminosa e protetta dalle correnti d’aria dell’inverno e lontana da fonti di calore. Non sopporta gli sbalzi di temperatura che possono causare la caduta delle bratee. La pianta si mantiene più a lungo quando è tenuta tra i 16 e i 18 °C. Può resistere anche a temperature più basse, è possibile posizionarla anche all’esterno nelle ore centrali della giornata ( 1-2 ore) per mantenerla robusta ma non sopporta il gelo.

La Poinsettia va irrigata quando il terriccio si asciuga. Per essere sicuri di ciò, è sufficiente alzare la pianta e constatarne il peso. Meglio irrigarla da sotto, tenendo d’occhio il sottovaso e svuotandolo dopo una decina di minuti dall’apporto idrico. https://www.facebook.com/vitaneicampi

Piante natalizie

 


La pianta natalizia per eccellenza, da questo punto di vista, è la Poinsettia, anche nota come Euphorbia Pulcherrima o, più comunemente e semplicemente, stella di Natale.

L'Euphorbia pulcherrima nota come Poinsettia o Stella di Natale è una pianta ornamentale originaria del Messico, nazione nella quale cresce spontaneamente e dove, allo stato selvatico, può raggiungere anche un'altezza fra i due e i quattro metri. Il nome "Poinsettia" deriva da Joel Roberts Poinsett, il primo Ambasciatore degli Stati Uniti in Messico, il quale introdusse la pianta negli Stati Uniti nel 1825.

Appartiene alla famiglia delle Euphorbiaceae, ordine Euforbiali (Euphorbiales), classe delle Dicotiledoni (Magnoliopsidae), divisione delle Angiosperme (Magnoliophytae); all'interno del suo tronco e dei suoi rami vi è una sostanza lattiginosa (il lattice), leggermente irritante per la pelle.[1]

Altri nomi comuni della poinsettia sono: Mexican flame leafChristmas starWinter roseNoche BuenaLalupataeAtatürk çiçeği ("Fiore di Atatürk", in Turchia), Αλεξανδρινό (traslitterato "Alexandrinò", cioè Alessandrino, in Grecia).da wikipedia


"Testa di rapa"

 


Nel gergo popolare, la rapa è associata a persona con la testa dura, ottusa, un po’ stupidella, che non è capace di capire o di fare (“è una testa di rapa”, “ cavar sangue da una rapa”, “valere quanto una rapa”, etc); al contrario, in cucina e in gastronomia, la rapa – sia come radice, che come ortaggio – è tutt’altro che insulsa o coriacea. È particolarmente tenera e rappresenta un concentrato di virtù salutari.

 

La rapa è un ortaggio di origine siberiana che, tuttavia, si è ben adattato ai nostri climi e di cui si utilizzano sia la radice tuberosa, all’esterno bianca, rosata o rossa, sia le sommità fiorite, fresche, preziose in nutrizione per il loro elevato contenuto in clorofillavitaminesali minerali e glucosinolati (composti solforati, facilmente inattivati dal calore) come del resto avviene per tutte le Cruciferae, la famiglia di cavoli e broccoli, a cui la rapa appartiene.

È un ortaggio tipicamente invernale ma oggi lo si trova anche in varietà più precoci o più tardive. Molto diffusa nella cucina meridionale, dove si usa prevalentemente cotta, nelle minestre, al burro o al forno, rappresenta oggi un alimento di prima scelta anche nelle ricette raffinate delle regioni del Nord Italia.https://www.unavitasumisura.it/sei-proprio-una-testa-di-rapa-o-no/

Le rape

immagine dal web


da Vita nei Campi

 Novembre: testa di rapa.

di Angelo Floramo
Prodotto povero per antonomasia, la rapa ha da sempre rappresentato un alimento fondamentale del contadino friulano. Coltivata a margine dei campi o negli orti, venne considerata talmente preziosa per la sopravvivenza “nei mesi freddi” che i legislatori medievali punirono con grande severità chi le rubava, mettendo a repentaglio la sussistenza dei ceti più svantaggiati. Così ad esempio gli statuti di Ragogna, risalenti alla fine del secolo XV, colpiscono con particolare asprezza coloro che, intromettendosi nei fondi altrui ardiscono “portare via rape o foglie di rape”, conosciute in Friuli come viscjes, importante fonte di sostentamento, assieme al vino, per la gente comune. La celebre “brovada” non era l’unica ricetta: le donne sapevano bene che dopo la prima gelata veniva il tempo della raccolta. Le rape diventavano così gustosissimi “ufiei” se tagliate a tocchettini, fatte lessare e poi passate in padella nello strutto; le foglie si conservavano invece sotto sale ottime per condire le zuppe. Correva il 1547 quando con il nome d’arte di Andrea Bergamo Pietro Nelli stampò un libretto godibilissimo, che contiene ventisei capitoli scritti in rima conosciuto come le “Satire alla charlona”. Il contenuto è ispirato alla grande tradizione burlesca del ‘500. Ne esce un quadro estremamente colorato di straordinaria vivacità, che ha il sapore di quel vino che si versa sulle tavole di legno di un’osteria piuttosto che l’abboccato dolce e stucchevole di un liquore offerto in calici di cristallo nel salotto di una corte raffinata. I contenuti sono rabbiosi ma l’acidulo si mescola sempre alla leggerezza che scaturisce dalla risata, mantenendo intatto il piacere ruvido e il gusto di mordere quando capita. Nel capitolo dedicato alla “lingua” l’autore si occupa anche dei friulani: “Ma dà vanto al Friul d’un tal contento, lingue furlane, anchor che fosser nate cento miglia di qua dal Tagliamento, o fosser pur delle vacche impastate ne pestrini in Venezia, assai più degne che le furlane, con rape ingrassate”. Mi sembra il complimento più bello fatto all’idioma che schiocca in queste nostre contrade, definito schietto e vero, forse perché corretto con l’asprigno delle rape, così lontane dai confetti veneziani. Per questo destinato a farsi riconoscere anche lontano dal Tagliamento. Come a dire che Popolo e Lingua si assomigliano. E che c’è più dignità in una scodella di “brovada”, ma gustata da uomini liberi, che in un piatto d’argento leccato con la lingua di un servo.

Sono arrivati i chiodini

 





In Benecia è pieno di chiodini.Li ho raccolti a Villanova delle grotte/Zavarh.

Praticamente nel bosco vi si cammina sopra!


Il chiodino (Armillaria mellea (VahlP. Kumm.1871) è un fungo basidiomicete della famiglia Physalacriaceae.

Questo micete meriterebbe, secondo autori del passato, il nome di "asparago dei funghi" per il fatto che la parte commestibile di esso è costituita dall'estremità superiore del gambo unitamente al cappello, mentre il resto dei gambi (specialmente negli individui adulti) è coriaceo ed assai indigesto.

La specie venne originariamente denominata Agaricus melleus dal botanico danese-norvegese Martin Vahl nel 1790; venne spostata nel genere Armillaria nel 1871 da Paul Kummer.

Descrizione della specie

Schema a colori risalente al 1871 di Armillaria mellea.

Cappello

4–7 (15) cm, carnoso, dapprima emisferico o conico, dopo sempre più spianato per poi diventare prima convesso, in seguito piano, e talvolta depresso; membranoso, leggermente umbonato al centro, con una cuticola liscia, dal colore che varia a seconda della pianta parassitata e dall'umidità dell'ambiente circostante, dal giallo-miele o bruno rossiccio al verdastro, con orlo sottile, arrotolato, lievemente striato. Sulla superficie del cappello sono presenti delle squame, addensate al centro e assenti negli esemplari maturi.[2][3][4]

Lamelle

Non fitte, ineguali, bianche da giovani, brune o giallastre o con chiazze rossastre in età avanzata, un po' decorrenti sul gambo.

Gambo

Esemplari maturi.

5–20 × 1–2,7 cm, cilindrico, affusolato, giallastro o brunastro, ingrossato, curvo, bruno-olivaceo e a volte nerastro verso la base, bruno al centro, di solito saldato con altri individui (fungo cespitoso), pieno, poi cavo, midolloso, pruinoso, giallo-roseo e segnato da leggeri solchi verticali al di sopra dell'anello. Alla base sono presenti delle rizomorfe nerastre che si inseriscono nel substrato di crescita. L'anello, oltre ad essere consistente e piuttosto evidente, è bianco e striato nella parte superiore, giallastro e d'aspetto fioccoso nella parte inferiore.[2][3][4]

Carne

Tenera sul cappello e nella parte superiore del gambo, coriaceo-fibrosa nel resto, di colore bianco o carnicino.

  • Odore: subnullo, fungino. Fungino intenso negli esemplari piuttosto sviluppati. Agliaceo e pungente negli esemplari molto vecchi.
  • Sapore: acidulo e dolce, con leggero retrogusto amarognolo meno marcato negli esemplari più giovani.[2][3][4]

Spore

Bianche in massa, lisce, ellissoidali, 8–9 × 5–6,5 µm.[2][3][4][5]

https://it.wikipedia.org/wiki/Armillaria_mellea




La castagna


 La castagna è il frutto del castagno a differenza dell'ippocastano che invece è un seme. Le castagne derivano infatti dai fiori femminili (solitamente 2 o 3) racchiusi da una cupola che poi si trasforma in riccio. La castagna è un achenio, ha pericarpo liscio e coriaceo bruno scuro, all'apice è presente la cosiddetta torcia, cioè i resti degli stili, mentre alla base è presente una cicatrice più chiara denominata ilo. La forma dei frutti dipende, oltre che dalla varietà delle castagne, anche dal numero e dalla posizione che essi occupano all'interno del riccio: emisferica per i frutti laterali e schiacciata per quello centrale; i frutti vuoti, abortiti, di forma appiattita sono detti guscioni.La raccolta delle castagne avviene in tempi diversi a seconda delle aree geografiche. In Italia generalmente la castagnatura inizia verso la fine di settembre e in passato questa attività (che copriva un periodo di tempo di circa 10-15 giorni dal mattino alla sera) era considerata uno fra gli avvenimenti più importanti della vita agricola.[senza fonte]

In Garfagnana (LU) i proprietari delle selve che avevano necessità di manodopera si recavano a Castelnuovo Garfagnana, in occasione del mercato settimanale, l'ultimo giovedì di settembre e il primo d'ottobre. Nella piazza principale avveniva il “mercato delle Lombarde” (Lombardi erano chiamati gli abitanti delle province di Modena e Reggio Emilia). Qui si sceglievano le donne e si prendevano con loro accordi circa il trattamento giornaliero, il salario, i giorni di inizio e fine lavoro...continua

https://it.wikipedia.org/wiki/Castagna


C’è un frutto rotondetto,
di farina ne ha un sacchetto:
se lo mangi non si lagna,
questo frutto è la castagna.
La castagna in acqua cotta
prende il nome di ballotta.
Arrostita e profumata
prende il nome di bruciata.
Se la macino è farina:
dolce, fina, leggerina:
se la impasto che ne faccio?
Un fragrante castagnaccio.

Gianni Rodari




I CARCIOFI

 

I CARCIOFI
di Sara Bosco
Oggi parleremo dei carciofi, un ortaggio di origine mediterranea, tipico del centro sud Italia ma che negli ultimi anni sta trovando spazio anche nelle nostre zone. È una pianta adatta a orti di buone dimensioni in quanto tende ad allargarsi nel corso della crescita. Predilige un clima mite e durante l’inverno è importante coprire le piante col tessuto no tessuto affinché lo possa superare senza essere danneggiato. È una pianta che perdura per diversi anni, circa 4-5 in quanto dopo potrebbero insorgere diverse patologie fungine. Il terreno dev’essere preparato in maniera adeguata a evitare che si verifichino ristagni idrici nel corso della coltivazione e va eseguita una concimazione di fondo consistente.
Il metodo più semplice per la messa a dimora è la semina o il trapianto ma esistono anche altri metodi più laboriosi. La semina va eseguita intorno al mese di marzo mentre il trapianto va effettuato a maggio. Il sesto di impianto prevede una distanza sulla fila di circa un metro e tra le file di uno o due metri.
Il carciofo entra in dormienza con elevato caldo e scarsità d’acqua mentre in primavera nelle nostre zone ci regala i sui frutti. affinché questo esca dalla dormienza si possono effettuare delle irrigazioni primaverili che permettono l’entrata in produzione. durante la coltivazione è importante effettuare una potatura dei germogli laterali in eccesso in modo da garantire un buon accrescimento dei frutti principali. La raccolta avviene quando il fiore ha ancora tutte le squame chiuse. Più si aspetta più il fiore è matura e tende ad indurirsi.
Teme diverse malattie fungine e parassiti che aumentano con l’avanzare dell’età della carciofaia. È una pianta un po’ laboriosa ma al mercato sono presenti diverse tipologie che vale la pena provare.

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