questo blog

questo blog

blog

blog

IVAN TRINKO padre della Benecia

IVAN TRINKO padre della Benecia
IVAN TRINKO padre della Benecia

calendario

GIF

GIF

giulio

#veritàegiustiziaperGiulioRegeni

slide benecia

slide benecia
benecia

profilo di OLga

profilo di OLga
profilo OLga

Translate

Cerca nel blog

Powered By Blogger

gif

gif

follower

Visualizzazione post con etichetta ucraina. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta ucraina. Mostra tutti i post

6 giu 2022

Viminale: finora 95.952 profughi ucraini in Italia, +1.152 in 24 ore

 


Il ministero dell'Interno comunica che sono 95.952 le persone arrivate dall'Ucraina finora in Italia, tra questi: 49.588 donne, 11.343 uomini e ben 35.021 minori. 
Rispetto alla giornata di ieri, l'incremento è stato di 1.152 ingressi in un giorno nel territorio nazionale, come destinazioni principali Milano, Roma, Napoli e Bologna. Nelle scuole italiane accolti quasi 18mila minori 

In Italia sono stati accolti nelle scuole 17.657 minori ucraini, come emerge da una circolare del ministero dell'Istruzione, che aggiunge: "I nuovi studenti non perderanno l'anno scolastico". Il 45% di bambini e ragazzi frequenta le scuole di Lombardia, Emilia e Campania. 

Quanti sono fuggiti dal paese, al 53° giorno del conflitto
Il rappresentante dell'Unhcr in Ucraina, Karolina Lindholm Billing, ha dichiarato che circa 5 milioni di persone sono fuggite dal Paese, molti non avranno una casa dove tornare perché è stata distrutta o danneggiata, oppure si trova ancora in un'area poco sicura. Secondo l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, donne e bambini sono il 90% dei rifugiati.In Polonia quasi 3 milioni

Secondo l'Operational Data Portal (ODP), creato nel 2011 per consentire all'Unhcr di fornire informazioni e dati su profughi e rifugiati, alla data di ieri i paesi che hanno accolto un numero maggiore di persone in fuga dall'Ucraina sono la confinante Polonia (2.763.786 rifugiati accolti alla data del 16 Aprile), Romania (738.862), ed a seguire l'UngheriaMoldova, Slovacchia.

https://www.rainews.it/articoli/2022/04/ucraina-viminale-finora-95952-profughi-in-italia-+1152-in-24-ore--cee8ac83-c19b-4486-be2f-c9bd299cffd2.html
 


27 mag 2022

UCRAINA: Quando gli aggressori eravamo noi



C’è stato un tempo in cui gli aggressori in Ucraina eravamo noi: era il 1941 in piena seconda mondiale. L’Italia fascista seguì Hitler nella sua folle impresa di Russia.

I toni sono quelli pomposi tipici dell’epoca, la musica è incalzante, percussioni e ottoni a farla da padroni, sopralzano persino gli archi, relegati una volta tanto a gregari. Le immagini sono quelle in bianco e nero, firma inconfondibile dei filmati dell’Istituto Luce d’epoca fascista.

E in quel filmato, poco più di tre minuti in tutto, al minuto 1:21 la voce narrante ci informa che quelle che stiamo vedendo sono le riprese girate da “i nostri ricognitori nei cieli di Dniepropetrovsk, la grande città industriale, dopo i bombardamenti effettuati dai bombardieri italiani”.

Ancora oggi, nel pieno dell’invasione russa dell’Ucraina, il corso del Dnepr – il principale fiume ucraino che bagna anche la capitale Kiev – è uno spartiacque, divide il fronte orientale da quello occidentale del conflitto. Ma c’è stato un tempo in cui su quella linea di fronte c’eravamo noi, noi italiani, con le nostre truppe arraffazzonate e i nostri carrarmati di cartone.

A leggere i nomi di dove passammo, di dove combattemmo in quei mesi, sembra di leggere le cronache dei giornali di oggi: non solo Dnepr, dove le truppe italiane arrivarono dopo una marcia di centinaia di chilometri lungo i terreni argillosi resi impraticabili dalle avverse condizioni del tempo, ma anche Voznesensk, Pokrovika, Kharkiv, Kiev. Kiev, soprattutto: fu qui che gli italiani parteciparono insieme alle truppe naziste alla manovra di accerchiamento della capitale per prendere successivamente parte all’offensiva nel Dombass – dove si insediarono tra l’ottobre e il novembre del 1941 – e, più a sud, lungo la costa del Mar d’Azov prima di entrare in territorio russo.

A partire, nell’estate del 1941, fu il cosiddetto Corpo di Spedizione Italiano in Russia, CSIR, costituito da tre divisioni, la 3° Divisione Celere Principe Amedeo Duca D’Aosta, la Divisone Pasubio e la Divisione Torino. Ad esse, su richiesta tedesca, si aggiunsero poi altre sei divisioni che trasformarono la CSIR in ARMIR, l’8° Armata, di cui facevano parte quasi 230 mila uomini. Uno sforzo immane per l’Italia, frutto del tentativo – atrocemente goffo – di Benito Mussolini di prendere parte a una spedizione che si pensava trionfante e che invece si trasformò in una delle più grandi tragedie italiane – e non solo – della Seconda guerra mondiale. Non solo presunzione, comunque, ma il desiderio folle di assicurarsi un posto a tavola quando ci sarebbe stato da spartirsi il bottino con l’alleato tedesco.

Il resto è storia: le truppe italiane ripassarono in Ucraina (e in Bielorussia) nel 1943, nel pieno della drammatica ritirata dalla Russia, quella raccontata in modo straordinariamente efficace da Mario Rigoni Stern ne “Il sergente nella neve” o, ancora, quella narrata in prima persona nel diario di Eugenio Corti “I più non ritornano”.

I numeri della disfatta sono incerti ma lasciano poco margine all’inquadramento dell’impresa sul fronte orientale come disfatta umana, prim’ancora che militare: almeno 90 mila le vittime – ammazzati in combattimento o morti per congelamento e sfinimento durante la ritirata – oltre trentamila i feriti. Un’ecatombe.

Ci vollero duecento tradotte ferroviarie per trasportare le nostre truppe al fronte, ne bastarono diciassette per riportare indietro i superstiti. Un viaggio, tanto malinconicamente quanto magnificamente, evocato da una canzone di Marco Paolini e i Mercanti di Liquore:

Cosa canta il soldato, soldatino / Dondolando, dondolando gli scarponi / Seduto con le gambe ciondoloni / Sulla tradotta che parte da Torino. / Macchinista del vapore / Metti olio nei stantuffi / Della guerra siamo stufi / A casa nostra vogliamo andare.

Molti di quelli che fecero ritorno furono poi internati in Germania dopo l’8 settembre e finirono per lavorare in modo coatto nelle fabbriche tedesche. A fine guerra il rientro dai campi di prigionia tedeschi e russi fu completato solo nel 1954 quando Mosca restituì gli ultimi dodici connazionali. Fatta la conta dei morti accertati e dei prigionieri ritornati dopo anni, mancano all’appello ancora 75 mila uomini, spariti nel nulla.

“(…) vede signora, ogni girasole, ogni albero, ogni campo di grano nascondono i corpi dei soldati italiani (…)”, è una frase dal film “I girasoli” di Vittorio De Sica che rende perfettamente il senso di questo pezzo di storia.

Oggi una nuova invasione arriva da oriente, tutto è cambiato ma tutto resta immutato. Solo un paradosso apparente della storia, la storia si ripresenta sempre uguale a se stessa, cambiano gli attori, non il risultato. È per questo che è utile ricordare che c’è stato un tempo in cui gli invasori eravamo noi, noi gli aggressori, noi dalla parte del torto.(Foto: Pietro Aleotti / East Journal)


24 mag 2022

Zaporizhzhya: la città simbolo dei profughi ucraini




 Sofiya Stetsenko

Mentre l’Europa sta attendendo l’arrivo dell’estate, il popolo ucraino è fermo ancora a quel 24 febbraio del 2022. La guerra continua e la strada per l’accordo di un cessate il fuoco sembra ancora lontana. Tra tutte le città dell’est ucraino, Zaporizhzhya sembra ricoprire un ruolo di grande importanza, quello dell’accoglienza dei profughi all’interno del paese.

Oltre ai superstiti di Mariupol’, che fino al 1 maggio 2022 si trovavano intrappolati nei bunker e sotterranei dell’acciaieria Azovstal – diventata simbolo della resistenza e la fortezza del Battaglione Azov – Zaporizhzhya ospita i civili della propria oblast’ e delle regioni del sud-est ucraino. Ad oggi il numero delle persone costrette a fuggire dalle proprie case a Zaporizhzhya è imponente. Zaporizhzhya ha accolto circa 122 mila civili, di cui 33 mila sono i bambini.

Sicuramente, la tragedia di Mariupol’ ha tenuto tutta la popolazione ucraina e mondiale con il fiato sospeso. Per cui, quando – il 3 maggio 2022 – i primi 126 civili nascosti all’interno dell’Azovstal sono riusciti a raggiungere il suolo zaporizhzhiyano, la speranza si è fatta strada nei cuori degli ucraini. Fino al 22 marzo 2022, il rifugio principale di Zaporizhzhya era il Circo statale, uno spazio grande che poteva ricevere molte persone, ma – allo stesso tempo – freddo. Per cui, dal giorno 23 marzo, il centro dei rifugiati principale è stato spostato presso il centro espositivo del «Kozak Palats». Oltre agli rifugi principali, che offrono i beni di prima necessità, cantine e posti letto, è stato aperto un centro di sostegno esclusivamente per i rifugiati di Mariupol. Infatti, i volontari qualificati di «Io sono Mariupol» (Я – Маріуполь) forniscono assistenza psicologica, sociale, legale e medica per i nuovi arrivati.

Il giorno 17 maggio 2022 Mariupol è caduta, ma la sua gente continua a vivere una crisi umanitaria drammatica. Tuttavia, è importante ricordare che non è l’unica città a soffrire le conseguenze dell’occupazione russa. Infatti, in seguito ai costanti bombardamenti degli ospedali, asili, scuole e case, le popolazioni di Polohy, Vasylivka, Melitopol, Dniprorudne, Berdyansk, Energodar, Oryhive, Huliaipol – città e villaggi che fanno parte della Zaporiz’ka oblast’ – sono state evacuate presso i centri di accoglienza nel centro di Zaporizhzhya, dove i volontari cercano di farli sentire a casa con la loro costante presenza.

La vita all’interno di questi rifugi è intessuta di lacrime degli adulti, consapevoli di aver perso tutto, e sorrisi dei bambini, coccolati dai volontari. Sarà il sangue ribelle cosacco o semplicemente voglia di libertà su tutti i fronti, ma gli zaporizhtsi preferiscono agire tramite iniziative proprie, piuttosto che seguire le indicazioni delle organizzazioni internazionali. Così, un noto locale – Beluga – ha trasformato il suo karaoke e night pub in cantina per i militari e rifugiati ucraini. Il proprietario del locale, Oleksandr Beluga, rende noto sul suo account Instagram che lui insieme ai suoi 170 volontari preparano più di 3000 razioni giornaliere. Mentre carica il cibo e i beni di prima necessità nella nuova auto blindata – acquistata grazie agli sforzi dei volontari – Oleksandr ride e afferma: «сытый воин, сильный воин» (guerriero ben nutrito, guerriero forte). Il suo umore è sempre positivo e ottimista, spiega che non c’è tempo per demoralizzarsi.

Nonostante la crisi immane che sta fronteggiando la nazione, l’attuale capo dell’amministrazione militare dell’oblast di Zaporizhzhya, Oleksandr Starukh, in un’intervista ha voluto sottolineare lo spirito libero dei cosacchi. Difatti, sin dal primo giorno della guerra, Zaporizhzhya opera su tutti i campi. I civili cercano di contribuire all’economia locale, sforzandosi di condurre lo stile di vita pre-guerra, i militari combattono difendendo la propria terra, mentre la città fa da rifugio per chi scappa da realtà ancor più crudeli. Riusciranno i «cosacchi contemporanei» a difendere ancora una volta la propria terra? Questa guerra si è dimostrata molto imprevedibile. L’unica cosa è certa: il mito dei cosacchi brucerà nel sangue zaporizhzhiyano fino all’ultima goccia di speranza.

fonte Wikimedia commons

https://www.eastjournal.net/archives/125945

vignetta

vignetta
vauro

io sto con emergency

logotip

logotip
blog