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IVAN TRINKO padre della Benecia

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18 gen 2024

Gnocchi di pane al formaggio.


 “Gnocs di pan cul formadi”, ovvero gnocchi di pane al formaggio.

di Roberto Zottar
La cucina del Friuli, basata sulle risorse del luogo, un tempo lasciava poco spazio alla varietà e a pietanze elaborate, fatta eccezione per le famiglie abbienti e per i giorni di festa. I cibi preparati con quello che c’era o quello che avanzava erano amati e odiati per le medesime ragioni: permettevano sì di sfamarsi in tempi di “magra”, ma erano gli stessi ogni santo giorno per chi non poteva permettersi altro. Certamente anche gli gnocchi di pane, piatto di recupero, suscitavano questi contrastanti sentimenti. In origine erano preparati solo con pane raffermo avanzato impastato con erbe, spinaci o rape, mentre oggi è consuetudine arricchirli con formaggio e salumi, ingredienti che un tempo caratterizzavano la pietanza solo nelle feste solenni. Gli gnocchi di pane sono molto diffusi, con nomi diversi, in tutto il Centro Europa. Si chiamano “Knödel” in Austria e in Baviera mentre nel resto della Germania sono chiamati anche “Klöße”. In Boemia sono “knedlìky”, preparati spesso anche mescolando pasta cruda da pane con pane raffermo e realizzati a forma di grosso cilindro, poi bollito in un canovaccio e serviti a fette, simili cioè nella forma agli austriaci “Serviettenknödel”. Dalla stessa radice di “Knödel”, “knot” cioè grumo, deriverebbe anche il termine delle più raffinate “quenelles” francesi. In Italia questi gnocchi sono presenti nel Nord est e sono conosciuti come “canederli” o “balotes” in trentino e nell’ampezzano, “gnòchi de pan” a Gorizia e Trieste, mentre in Carnia sono chiamati “chineglis”. Gianni Cosetti ne riporta una ricetta che impasta pane e testina di maiale affumicata. Oggi vi propongo i “gnocs di pan cul formadi”, ovvero i canederli al formaggio con la ricetta dell’amica Marina di Trento. Per realizzarli tagliate a piccoli dadini 300 g di pane raffermo e aggiungete 300 g di latte tiepido, anche se la quantità del latte dipende da quanto secco è il pane. Lasciate riposare mezz’ora. Sbattete un uovo intero con sale, pepe e noce moscata, versatelo sul pane ammorbidito e mescolate con le mani. Si devono sentire ancora i cubetti tra le dita, ma il tutto deve essere amalgamato bene. Aggiungete un cucchiaio di farina e 2-3 etti di formaggio Montasio tritato grossolanamente. Volendo anche una manciata di prezzemolo o di erba cipollina. Lasciate riposare ancora un momento, quindi con le mani inumidite formare gli gnocchi del diametro di 6 cm e disponeteli su un vassoio infarinato. Cuoceteli per 15’ in brodo che sobbolle. Serviteli in brodo o asciutti conditi con burro fuso e grana o sugo di arrosto o gulasch.
Buon Appetito!

7 dic 2023

La cicerchia

 


La Cicerchia, che ha pure un nome in friulano!

di Cristina Micheloni
La cicerchia (Lathyrus sativus L), legume dalla tradizione antichissima ed oggi PAT, ovvero prodotto agroalimentare tradizionale italiano. Originarie del Medio Oriente, chiamate lathiros dai greci e cicerula dai romani, in varie aree della penisola assumono nomi come pisello d’erba o veccia indiana ed hanno pure un paio di nomi friulani (così ci dice Enos Costantini!): bisòcje o lintôse. Il fatto che abbiano un nome friulano significa che di certo venivano consumate e verosimilmente anche coltivate pure in questa terra, sempre prima dell’avvento del fagiolo.
Cicerchia fa rima con miseria perchè si coltivava laddove le altre colture non ce la facevano proprio, sia per terreni poveri che per estrema siccità. Per contro, fa rima pure con sicurezza, perchè comunque andasse l’annata qualcosa si portava a casa per riempire le scodelle (sotto forma di zuppa) o i piatti (sotto forma di polenta).
Proprio nelle annate molto magre, quando toccava mangiare tante e quasi solo cicerchie ogni giorno, diventava un problema il loro contenuto di ODAP (acido β-N-Oxalyl-L-α,β-diaminopropionico), neurotossina responsabile del latirismo, che però si riduce con il lungo ammollo e l’altrettanto lunga cottura.
La pianta è simile a quella del cece, ma, appunto, assai più spartana: terreni maghi e sassosi, nessuna irrigazione e nemmeno fertilizzazione, con le malerbe se la può cavare… è più resistente di loro! Per contro, su terreni fertili e ricchi rischia di venir soverchiata da tutte le altre piante presenti, su terreni proni al ristagno parimenti soffre.
In prospettiva di cambiamento climatico e annate siccitose ritorna interessante, perchè anche praticamente senza precipitazioni nè irrigazioni può arrivare a produrre fino a 2,5 ton/ha! Che è vero possono non è essere una leccornia (dipende sempre dai gusti, ma in Umbria è pure Presidio Slowfood) ma sono comunque ottima proteina e abbondanti sali minerali quali calcio e fosforo.
Poi molto sta nel cucinarla nel modo giusto: zuppe soprattutto! Più semplice da gestire in cucina se decorticata.
Si semina in autunno o a febbraio/marzo, considerate che sotto gli 0°C la pianta soffre, quindi se siete in montagna privilegiate le semine primaverili, a file distanti 40 cm e con distanze di 25cm lungo la fila. Se siete dei raffinati o le malerbe sono troppo abbondanti, potete sarchiarla un paio di volte, strategico il primo passaggio appena la piantina si è consolidata! Dopo una bella fioritura la raccolta, del legume secco, può avvenire manualmente ma anche meccanicamente con la falciatura verso fine luglio, seguita dopo un paio di giorni dalla raccolta dell’intera massa , dopo un altro paio di giorni dalla trebbiatura.
Ma che ha la cicerchia a che vedere col Natale? In Centro Italia le cicerchie vengono tradizionalmente usate per “pavimentare” le stradine del presepe. Sono infatti piatte e chiare, spesso bianche e fanno un bel effetto “marmorino”.
da Vita nei campi

15 nov 2023

La mostarda di frutti di rosa canina

 


 La mostarda di picecûi

Testo e immagini di Michela Urbano
L’autunno è la stagione ideale per raccogliere i falsi frutti della rosa canina: i cinorrodi.
E’ facile individuare gli arbusti di rosa canina innanzi tutto perché sono diffusi su tutto il
territorio regionale, i suoi arbusti prediligono gli ambienti aridi, i margini delle strade di
campagna le boscaglie rade e i pendii assolati. E poi perché i lunghi rami spinosi,
puntellati di cinorrodi in variazioni di rosso, rallegrano il panorama dalle cromie marroni,
tipicamente autunnali.
La raccolta è tradizionalmente consigliata “dopo la prima gelata”, affinché il freddo
agevoli la rottura della membrana cellulare dei cinorrodi, permettendo così di attingere
alle loro molteplici proprietà benefiche.
Permettetemi una riflessione: sappiamo bene che le temperature si sono notevolmente
alzate, le gelate arrivano molto più in là del periodo ottimale di raccolta e i notevoli sbalzi
termici e le piogge abbondanti creano un facile proliferare di muffe e batteri.
Pertanto mi sento di raccomandarvi la massima attenzione nel raccogliere cinorrodi sani e
integri, turgidi anche se leggermente più aspri nel gusto.
Una volta raccolti i cinorrodi vanno divisi a metà e privati dei frutti e peluria interna. Per
questa operazione vi consiglio di utilizzare dei guanti, la peluria sebbene non sia velenosa
all’ingestione è piuttosto urticante per tutte le mucose,
I suoi tanti nomi popolari come picecûi , spicecȗl o forecȗl, la dicono lunga su questo
effetto poco desiderato.
Con i cinorrodi ben puliti e lavati potrete sbizzarrirvi in molteplici preparazioni come
confetture, marmellate, melliti, infusi, decotti, fermentazioni.
Attenzione però, sebbene il cinorrodo delle rose (eh sì, non solo quello della rosa canina!)
sia famoso per l’altissimo contenuto di vitamina C questa oltre a essere idrosolubile è
particolarmente termolabile, pertanto se oltrepasserete la soglia dei 36°C svanirà.
Non disperate, esistono ben altre 129 proprietà che giustificano il valore, e quindi la
raccolta, di questo dono della natura.
Oggi vi lascio una ricetta speciale, dono dell’amica Isabella de Crignis, nota rifugista, che
per ben 36 stagioni ha gestito, insieme al marito, il rifugio Pelizzo sul monte Matajur:
La mostarda di picecûi:
Raccogliete 300 gr di cinorrodi di rosa canina.In una pentola capiente portate a bollore
250 ml di vino bianco con 50 ml di aceto di susine, 150 gr di zucchero, 150 gr di succo di
uva americana, 1 stecca di cannella, 8 chiodi di garofano,1 piccola cipolla,1 spicchio di
aglio di Resia, 2 mele cotogne con la buccia, 8 bacche di ginepro, 4 foglie di alloro, la
scorza di un limone,1 cucchiaino di senape in polvere, timo selvatico e basilico, sale
quanto basta. Fate ridurre e passate al setaccio. Aggiungete i “picecûi” puliti e portate a
cottura.Passate al passaverdura per ottenere una purea. Invasate e pastorizzate a 90°C
per 25 minuti.Isabella serve la sua mostarda in particolare con il lesso e i formaggi
invecchiati.
da Vita nei campi

21 ott 2023

Mele,castagne e diversificazione


 Alcune raccolte fondamentali sono ancora in corso (tra cui la più rilevante economicamente, quella delle mele), per cui bisogna ancora tenere le dita incrociate, ma l’annata agricola 2023 sembra avviarsi verso una conclusione positiva. Francesco Chiabai, segretario per la provincia di Udine della Kmečka zveza, sottolinea non solo l’aspetto delle quantità, pur importante, ma anche un «cambiamento di pelle» del settore primario della Slavia dove la tradizione si sposa con nuove professionalità, la ricerca della qualità e di nuovi sbocchi diretti verso i mercati di consumo, la sempre più profonda e strutturale collaborazione transfrontaliera con la Slovenia, che si conferma anche a livello agricolo un grande punto di forza per la Benecia. Al Burnjak di Tribil Superiore, la principale «vetrina» delle produzioni di qualità della Slavia, in programma domenica, 15 ottobre, si vedranno insomma volti sorridenti e si potranno assaggiare prelibatezze particolarmente gustose.

Mele col vento in poppa

«È stata un’annata strana, capricciosa come il meteo – spiega Chiabai – ma alla fine abbiamo schivato il grosso problema delle grandinate e nei settori dell’orticoltura, frutticoltura, seminativi e foraggi il bilancio è positivo. Anzi, le temperature miti e il clima ventilato di questi giorni stanno facendo molto bene alla raccolta delle mele, il settore in cui ci sono, tra San Pietro al Natisone e Pulfero, le aziende agricole più grandi e infrastrutturate. La raccolta è partita sotto la pioggia, nell’unica settimana di maltempo, ma ora il cambiamento climatico ci sorride».

Castagne, i primi test sono positivi

E sorride pure alla raccolta delle castagne, quest’anno un po’ tardiva e appena agli esordi, ma che si annuncia di ottima qualità. «C’era qualche preoccupazione, ma l’andamento del meteo sta favorendo la maturazione e la caduta dei frutti – spiega Chiabai –. Potrebbe essere un’annata molto buona, sotto il profilo della quantità ma soprattutto della qualità».

Chiunque conosca le Valli del Natisone e del Torre le associa mentalmente alla castagna, anche se ormai questa coltura ha un peso e un’estensione irrilevante per le aziende agricole organizzate. «Il castagno, però, oltre che un simbolo storico per la rilevanza che ha avuto per la vita delle nostre popolazioni – spiega Chiabai – è anche l’emblema di quello che dovrebbe diventare la nostra agricoltura: non possiamo competere sul prezzo con le produzioni meccanizzate di altre zone, ma dobbiamo raggiungere il consumatore finale attento alla qualità e alla salubrità, anzi dobbiamo farlo venire a visitare i nostri borghi e i nostri boschi. Siamo l’unica zona in regione che può vantare ben 9 varietà di castagna e questo può rimanere un’ottima integrazione del reddito che si sposa anche alla manutenzione dell’ambiente e alla lotta all’avanzare del bosco, perché il castagno richiede spazi aperti, sole e aria». Grazie alla nostra straordinaria biodiversità siamo riusciti a contenere meglio che altrove il problema del cinipide galligeno del castagno, il parassita che ha fatto temere negli anni scorsi la scomparsa del castagno dai nostri boschi.

Zucche e rape per battere il cambiamento climatico

Tra gli agricoltori della Slavia cresce la consapevolezza che, per battere le incertezze del cambiamento climatico, bisogna investire sulla diversificazione.

«Il settore che meglio permette di farlo è quello dell’orticoltura. Si può infatti scegliere tra una grande varietà di colture, a partire da quelle autoctone – spiega Chiabai – e una grande varietà di trasformazioni, che permettono anche di destagionalizzare il prodotto, ad esempio con le conserve in agrodolce e sotto aceto. Si possono valorizzare le varietà locali, come ad esempio la zucca a pasta bianca tipica della Valli del Natisone con cui si fa la zuppa “malonova”, oppure le rape, che possono avere una molteplicità di trasformazioni. Questo è un modo anche per ridurre gli sprechi e per arrivare al consumatore finale, quello disposto a pagare di più per un prodotto buono e genuino, aumentando il valore aggiunto che rimane all’impresa agricola. Un discorso che si lega anche al turismo e alla valorizzazione del territorio.Mancano però trasformatori, cioè professionisti di questa arte di produrre conserve. Questo può essere uno spazio professionale anche per i giovani», spiega Chiabai.

Autosufficienti per il foraggio

Ottima anche la produzione autoctona di foraggio, dopo la crisi dello scorso anno. Una boccata d’ossigeno per gli allevatori che non hanno dovuto acquistare i foraggi altrove, e magari un incentivo anche per sfalciare qualche prato in più.

Sempre più in rete con la Slovenia Un altro bell’esempio di evoluzione positiva dell’agricoltura nella Slavia viene dall’allevamento. Se nel settore lattiero-caseario si segnala l’ascesa di ottime produzioni di qualità locali, in quello della carne un ottimo risultato ha avuto il progetto transfrontaliero Interreg Italia-Slovenia denominato «Farm eat», ovvero «mangia in fattoria». Ha permesso ad allevatori della Benecia e della valle dell’Isonzo di mettersi in rete realizzando un disciplinare di produzione di carne di qualità: solo bovini da pascolo, regole ferree sull’alimentazione tra cui l’assoluto no agli Ogm. Il tutto completato dal ruolo chiave assunto dal macello di Tolmino, che si è occupato del taglio e del confezionamento della carne per i piccoli produttori.

«Unendo le forze si è potuto scavalcare l’ostacolo dei forti investimenti che sarebbero stati necessari a ciascuna azienda per provvedere a macellazione e confezionamento delle carni – spiega Chiabai –. Il legame con la Slovenia è fondamentale, perché nella valle dell’Isonzo il settore agricolo è molto forte e organizzato. Anche in questo settore c’è spazio per i giovani. Mancano casari, macellai, norcini». (Roberto Pensa )   dal Dom

30 set 2023

La ricetta di vita nei campi


 Zuppa di gulasch

La Contessa Perusini ricordava che “il friulano desidera la scodella di minestra calda, ben preparata, come e quanto i meridionali tengono ai loro maccheroni” e che “nella lista di spesa di Casa Colloredo del 1716 la minestra figura tutti i giorni”, mentre in quella di casa Rabatta c’era una minestra di verdure oppure una zuppa sia a colazione sia a pranzo. E fra le zuppe presenti in regione c’è quella di gulasch, la cui ricetta ha origini antiche. Un tempo i mandriani ungheresi a cavallo, i ‘gulyas’, cuocevano carne a pezzetti con cipolle finché il liquido evaporava ed essiccavano poi il tutto al sole su tavole, e lo conservavano in otri di pelle. Nei bivacchi il cibo veniva riscaldato poi con acqua e qualche rapa per preparare una minestra. Questa zuppa venne chiamata ‘gulyashus’, poi abbreviata in ‘gulyas’, dove ‘hus’ è ‘carne’, ossia carne preparata alla maniera dei mandriani. Il vero gulasch, piatto oggi simbolo dell’Ungheria, è appunto proprio una zuppa, quella che nei paesi di lingua tedesca si chiama Gulaschsuppe, a base di carne a bocconcini in una salsa più liquida. Nei paesi parlanti tedesco, ma anche da noi, con ‘Gulasch’ spesso oggi si indica invece uno stufato di carne, piatto che in Ungheria va invece sotto il nome di ‘pörkölt’. Ricordo che la paprika, ricavata solo con la polvere dei peperoni dolci, e oggi elemento imprescindibile del piatto, non era prevista nella ricetta originale ed è stata aggiunta solo nel ‘700. L’abbondante uso di paprika, a differenza di quello che in molti credono, non dà una nota molto piccante, come la darebbe invece il peperoncino, ma serve a dare densità, un aroma speziato ed il caratteristico colore rosso cupo alla pietanza. Pietro Adami riporta, come apporto d’oltralpe in Carnia, una ricetta di Gulaschsuppe, ma oggi vi racconto invece quella dell’Antico Albergo Roma di Tolmezzo. In una casseruola soffriggete in olio 3 etti di cipolla tritata grossolanamente, aggiungete 3 etti di carne tritata a dadini, muscolo o paletta di spalla, salate, pepate e rosolate bene. Insaporite con 2 cucchiai di paprika dolce e ½ cucchiaino di piccante, un pizzico di Kűmmel e uno di semi di finocchio, bagnate con un bicchiere di vino rosso e fate evaporare cuocendo per 10 minuti. Aggiungete ora, poco alla volta, due bicchieri di brodo di carne continuando la cottura per un’ora e quaranta. A parte cuocete al vapore 2 etti di patate tagliate a dadini badando che restino bene sode, e unitele alla zuppa che dovrà risultare bene densa. Servite bollente in ciotole di terracotta e, volendo, accompagnate con gnocchi di pane.
Buon appetito!

13 mar 2023

“Spesso buono oltre”: cosa vuol dire la nuova etichetta dei cibi proposta dall'Europa

 Per ridurre lo spreco alimentare e facilitare la comprensione della data di scadenza del cibo, la Commissione europea ha proposto di aggiungere la nuova etichetta spesso buono oltre al fianco del classico “da consumarsi preferibilmente entro”. Secondo l’esecutivo dell’Unione, oltre a contribuire a un minore impatto ambientale, il cambiamento consentirà di migliorare il processo decisionale dei consumatori.

In base alla bozza del provvedimento, secondo uno studio della Commissione, la maggior parte dei consumatori in Europa non comprende appieno la distinzione tra le etichette con la dicitura “da consumare entro” e quelle con scritto “da consumarsi preferibilmente entro”. Le due formule dell'etichetta di un alimento si riferiscono infatti a due indicatori diversi, relativi alla sicurezza e l’altro alla qualità.

Differenze sulle etichette

La prima dicitura indica l'effettiva data di scadenza, che avverte il consumatore o la consumatrice della data entro cui consumare l’alimento è ancora sano e sicuro per gli esseri umani. Dopo questa data il prodotto può deperire, ammuffire o cominciare a decomporsi. Al contrario, la seconda etichetta indica invece il momento in cui in cui potrebbe verificarsi un cambiamento della qualità dell’alimento, che pur restando completamente sicuro e sano da consumare, potrebbe non presentare più le stesse caratteristiche organolettiche, gustative o nutrizionali.

L’intervento fa parte delle molte misure contenute all’interno del Green deal europeo, per ridurre l’impatto ambientale dell’Unione in tutti i settori. In particolare, secondo la Commissione, questa iniziativa potrebbe contribuire a ridurre lo scarto alimentare europeo che si aggira attorno alle 57 milioni di tonnellate annue, pari a 127 chili per abitante, con un costo di circa 130 milioni di euro l’anno.

La nuova dicitura rappresenta solo un primo passo di Bruxelles per combattere lo spreco alimentare. Entro la prossima estate, l’esecutivo presenterà la prima proposta per una modifica mirata della direttiva sui rifiuti, alla quale la Commissione ha già cominciato a lavorare coinvolgendo governi, cittadini e imprese nelle consultazioni che vanno avanti da circa un anno. L’obiettivo sottoscritto dall’unione e dai governi degli stati membri è quello di ridurre del 50% lo spreco alimentare europeo entro il 2030.

https://www.wired.it/article/etichetta-cibi-alimentari-europa-spesso-buono-oltre/

3 mar 2023

BACCALA' MANTECATO

 


da vita nei campi

Il “bacalà” mantecato: un sontuoso “mangiar di magro”

di Roberto Zottar
Siamo in Quaresima e gastronomicamente parlando è il periodo del “mangiar di magro”. In Friuli, secondo una antica, e conveniente, tradizione popolare di semplificazione teologica, oltre che dai fritti e dai dolci, c’era l’astensione dalle carni degli animali presenti sull’arca di Noè. Ecco quindi che, oltre aringhe e “bacalà”, si consideravano “di magro” tutti gli uccelli acquatici, “masurini” e fischioni, rane e perfino i castori perché vivono in acqua. Anche le lumache erano permesse tanto che si racconta che papa Pio V, che ne era ghiotto, abbia proclamato: “Estote pisces in aeternum!”, ossia “Siate pesci in eterno!”.
L’arrivo di pietanze dal nuovo mondo creò molti dibattiti teologici sul permesso di consumarle: tante le discussioni sul caffè, ma la pietanza che creò maggiori dispute teologiche nel XVII secolo fu il cioccolato. È noto che a volte un divieto amplifica la ricerca del piacere gustativo. La diatriba tra teologi venne brillantemente risolta dal Cardinal Francesco Maria Brancaccio attraverso l’escamotage di ritenerlo una bevanda, dato che allora lo si sorbiva in tazza, per cui “liquidum non frangit jejunum”!
Oggi vi parlo di “bacalà” mantecato, un sontuoso “mangiar di magro”. Per realizzarlo acquistate stoccafisso di qualità, già battuto e ammollato; il migliore è il cosiddetto “Ragno”. Lessatelo in acqua con gambi di prezzemolo e sedano per 25 minuti e lasciatelo intiepidire nella pentola. Con infinita pazienza (è un lavoro noioso!), togliete pelle, spine e impurità, “sfogliando” anche la polpa. Montatelo ora con un cucchiaio di legno aggiungendo a filo dell’olio come si fa per una maionese, ma è molto più semplice usare una ‘planetaria’ con il gancio a foglia. Non usate però assolutamente un frullatore a lame, perché perderebbe la tipica consistenza a piccolissimi filetti e assomiglierebbe più ad una crema come la maionese. Se vi piace, strofinate prima la ciotola con uno spicchio d’aglio. Usate un olio dal gusto delicato e man mano che la foglia mantecherà il “bacalà”, continuando ad aggiungere l’olio, vedrete che si forma una massa bianca, soffice e spumosa. Il rapporto di olio e “bacalà” ammollato può arrivare al 50% del peso, ma voi partite con 300 ml di olio per un kg di pesce ammollato. Servitelo meglio tiepido con una spolverata di prezzemolo tritato ed accompagnato da fette di polenta rigorosamente bianca passate alla griglia.
Vi regalo un segreto: per fare uno splendido risotto al “bacalà”, fate un normale risotto alla parmigiana in bianco e aggiungete alla fine un paio di cucchiai di “bacalà” mantecato.
Buon Appetito!

Tutte le re

19 feb 2023

Il paniere del Parco Prealpi Giulie


 Il Paniere del Parco è il progetto grazie al quale il Parco naturale regionale delle Prealpi Giulie intende far conoscere ed apprezzare le produzioni tipiche del territorio.

E’ fondato sui prodotti di eccellenza esistenti nei Comuni dell’area protetta (Aglio di Resia, Brovadâr di Moggio Udinese, Fagiolo Fiorina di Lusevera, Formaggio di malga Montasio e Zucca di Venzone) e si propone la valorizzazione del comparto agro-alimentare esistente.
Questi raccontano una storia antica, fatta di tradizioni, di arti e di mestieri che si tramandano da generazioni e che tratteggiano il carattere delle popolazioni, dedite all'agricoltura e alla pastorizia. Sono produzioni simbolo di un territorio sano e incontaminato, di pratiche di produzione e lavorazione sostenibili, sempre attente alla salvaguardia dell’ambiente.
Al fine di promuovere e valorizzare i prodotti di eccellenza dei nostri territori quali motore di sviluppo di un’agricoltura sostenibile che freni l’abbandono di queste zone e tuteli la biodiversità, nell'ambito del progetto "Taste the Parks" sviluppato in collaborazione con Naturpark Weissensee proponiamo questo video a cura di Enrico Micelli.
Per saperne di più sul progetto Taste the Parks https://www.parcoprealpigiulie.it/.../pro.../taste-the-parks
Per saperne di più sul Paniere del Parco https://www.parcoprealpigiulie.it/.../il-paniere-del-parco

16 feb 2023

Frittelle allo zabaglione

 


Frìtulis cul zabajòn

di Roberto Zottar
Con l’arrivo di febbraio, con l’aria pungente e qualche bella giornata di sole, si fa strada anche quell’atmosfera di festa tipica del Carnevale con i suoi dolci fritti caratteristici. La Contessa Perusini nel suo testo “Mangiar e ber friulano” ne annovera molti. Ci sono i crostoli e i ravioli fritti, cioè quei dolci ripieni simili ai famosi Rafiòi Dòlzi, che secondo documenti medievali, venivano anche offerti in dono alle personalità in visita a Trieste da parte della Comunità Tergestina. Ci sono molte ricette di “frìtulis”, frittelle, che lei ricorda come uno dei dolci più popolari ed anche dei più antichi del Friuli, tanto che, ricorda, si trovano loro riscontri nel Libro di cucina del XIV secolo e nel “De honesta voluptate et valtudine” del Palatina. Questo libro del 1485 è il primo testo a stampa in assoluto del Friuli, edito a Cividale ed è di cucina. Oltre alle frìtole di pasta al lievito, quelle per capirci piene all’interno, Perusini riporta anche delle frittelle dolci che sono vuote. Lei commenta queste frittelle dicendo che “… ora sono chiamate “beignets”, ma altro non sono che le nostre frittelle di impasto più semplice, ribattezzate con nome francese”.
Oggi vi presento quindi frittelle che sono realizzate con pasta da bignè fritta, o detto meglio in francese come “pâte à choux”, che, essendo vuote, si riempiono dopo fritte di tanta golosa crema e… attenti nel mangiarle!, perché la crema vi può colare appena le addentate!
Ma dato che “co le cjacole non se impasta frìtole” passo subito alla ricetta. In una casseruola fate bollire 200 g d’acqua con 30 g di burro e 20 di zucchero e un pizzico di sale. Unite tutti in una volta 140 g di farina e mescolate con una spatola fino a che l’impasto si stacca dalle pareti della pentola. Togliete dal fuoco e incorporate, una alla volta, 3 uova grandi o 5 piccole, altri 70 g di farina, due cucchiai di rum, scorza grattugiata di limone e arancia, 40 g di uvetta e 20 g di scorza candita d’arancia a cubetti e, segreto, un pizzico di ammoniaca per dolci presa in farmacia.
Prendete la pasta a cucchiai e friggetela in olio a 180°. Una volta dorate, scolate le bignole con una schiumarola e passatele nello zucchero semolato. Per farcirle fate una crema allo zabaione montando bene 8 tuorli con 235 g di zucchero e aggiungete 45 g di farina. Scaldate 260 g di vino Marsala secco con 70 g di vino moscato, versatevi i tuorli montati e portate a bollore. Raffreddate velocemente questa crema, che è una versione moderna dei dolci “zabajon” della Contessa Persusini, e farcite poi con generosità le frittelle.
Buon Appetito!

16 gen 2023

Cucina povera


 Le ricette frugali: lidric con lis fricis.


Adesso è il momento dei radicchietti croccanti che si trovano sia dal verduraio che a cercarli negli incolti.
Si lava la verdura e si affetta più o meno sottile a piacere. Mentre i radicchi si scolano, tagliare a listarelle o a cubetti della pancetta o del guanciale, farli rosolare in padella senza olio, finchè i tocchetti diventano scuri e croccanti. Uno spruzzo di l'aceto, far sfumare e versarli subito caldi sui radicchi.
Buon appetito!

5 gen 2023

Via libera dell'UE alla farina di grillo





cosa ne pensate?

 A partire dalla fine di gennaio, in tutta l’Unione europea potranno essere venduti e comprati liberamente prodotti alimentari a base di Acheta domesticus, cioè fatti con polvere di grillo domestico. È quanto prevede il regolamento 2023/5 della Commissione europea, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale il 3 gennaio 2023.

Dopo il parere positivo dell’Autorità europea sulla sicurezza alimentare del 23 marzo 2022, la polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus è diventata il terzo tipo di alimento a base di insetto approvato per il consumo sulla tavola da Bruxelles e dagli stati dell’Unione. Come già raccontato in passato da Wired, la Commissione ha precedentemente approvato la vendita e il consumo delle tarme della farina essiccate e della locusta migratoria. L’insieme di queste misure hanno un obiettivo comune, cioè l’introduzione di fonti di proteine a basso costo e a basso impatto ambientale nel mercato alimentare europeo, per dare un’alternativa a chi vuole ridurre il consumo di carne, i cui allevamenti intensivi pesano gravemente sull’ambiente a causa delle forti emissioni prodotte lungo la filiera e degli elevati consumi idrici e di territorio.

Cosa dice la normativa europea

La commercializzazione di insetti a scopo alimentare è stata resa possibile grazie all’aggiornamento del Regolamento comunitario sugli alimenti avvenuto nel 2018, per rendere più semplice e rapida la regolamentazione e l’autorizzazione, senza abbassare gli elevati standard di sicurezza alimentare dell’Unione. Starà poi ai consumatori decidere se provare o meno i nuovi alimenti, ma nel frattempo, grazie al paragrafo dedicato ai cosiddetti novel food, gli insetti considerati sicuri per il consumo umano possono essere riconosciuti sia come nuovi alimenti sia come prodotti tradizionali in arrivo da paesi terzi.

Nello specifico, a partire dal 24 gennaio 2023, il regolamento appena approvato autorizza la società vietnamita Cricket one a immettere sul mercato europeo il nuovo alimento a base di polvere di grillo domestico, o farina di grillo. L’autorizzazione potrà essere estesa anche ad altri richiedenti, che dovranno però prima superare le necessarie verifiche di sicurezza alimentare previste dal Regolamento.

In quali cibi potrà essere usata la polvere di grillo

L’Acheta domesticus in polvere potrà essere usata come base o aggiunta per la preparazione di pane e panini multi cereali, di crackergrissini o barrette ai cereali, nelle miscele secche già pronte per i prodotti da forno, nei biscotti, nella pasta secca farcita e non farcita, nelle salse, nei prodotti a base di patate, legumi o altre verdure, nella pizza, nei prodotti sostitutivi della carne, nelle minestre in polvere, negli snack a base di farina di granturco, nella birra, nel cioccolato e negli snack diversi dalle patatine fritte.

Cosa ne pensano italiani e italiane

In base all’indagine Coldiretti/Ixela maggior parte degli italiani sembra essere contraria all’introduzione di questi alimenti, che vengono però già consumati regolarmente in molti paesi del mondo. In base ai dati riportati da Coldiretti, il 54% delle persone intervistate si è dichiarata contraria, il 24% indifferente e solo il 16% si è detto totalmente favorevole, mentre l’ultimo 6% ha preferito non rispondere.https://www.wired.it/article/grillo-cibo-alimenti-unione-europea/

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