Una giovane donna sulla trentina, rassegnata ai propri fallimenti e con la sola passione per le serie poliziesche, viene costretta dalla madre a raggiungere un remoto villaggio per partecipare al funerale di zia Stana, morta soffocata da un pezzo di pollo. L’improvvisa dipartita della zia rischia di mandare a monte la vendita della casa e del terreno di famiglia e catapulta la ragazza in una serie di situazioni folli e grottesche, tra strade di campagna melmose, tentativi di suicidio, infermiere furiose, poliziotti indolenti e scorte segrete di alcol… Una rocambolesca cronaca familiare che è anche il ritratto tagliente e critico della società bosniaca del dopoguerra.
Slađana Nina Perković, nata a Banja Luka nel 1981, ha lavorato come corrispondente per i media nell’ex Jugoslavia e i suoi articoli sono apparsi anche su molti organi di stampa europei. Ha pubblicato la raccolta di racconti Kuhanje [Cucinare] e il romanzo Il funerale di zia Stana (titolo originale U jarku) – già uscito in Francia e in fase di traduzione in Bulgaria e Germania – insignito di una menzione speciale dal Premio dell’Unione
Ah, Lepanto. La battaglia navale… Ma dove sta esattamente?, ci chiedono dalla barca accanto. Scende la notte, l’aria è immobile, il cielo brontola attorno a San Marco. Isola di San Giorgio, molo della Compagnia della Vela. Il più bel posto del mondo. Non c’è un turista, ma davanti hai Venezia che luccica dalla Giudecca all’Arsenale. Così andiamo a Lepanto. E Lepanto, come ogni luogo del mito, nessuno sa bene dove sia. Paolo Rumiz
Autrice: Anita Likmeta Editore: Marsilio Anno: 2024 |
Il cuore di questo viaggio è l’incontro con uomini e donne di mare, seguendo le tracce della Serenissima sparse ovunque e con la malinconia che solo l’orizzonte ti può regalare. Ci sono baie solitarie, soste in osterie, marinai di poche parole. E poi ci sono i luoghi: Venezia, gli Arsenali, Parenzo, Pola, il Quarnaro, Lussino, Ragusa, le Bocche di Cattaro, Corfù, posti carichi di storia, di bellezza, di colori e sapori forti. E ancora, i popoli, quelli che evocano immaginari mai sopiti come i morlacchi, i turchi, gli slavi e una terra, quella dei Balcani, appena uscita da una delle grandi tragedie del Novecento. Un reportage da un mare che guarda a Est, ma che a specchio racconta chi siamo stati, la nostra origine, il senso profondo di un’Europa fatta di genti diverse.
Paolo Rumiz, scrittore e giornalista triestino, inviato speciale del “Piccolo” di Trieste ed editorialista de “La Repubblica”. Esperto del tema delle Heimat e delle identità in Italia e in Europa, dal 1986 segue gli eventi dell’area balcanico-danubiana. Nel 2001 invece segue, prima da Islamabad e poi da Kabul, l’attacco statunitense all’Afghanistan. Vince tra gli altri il prix Bouvier (2015) e la medaglia d’oro per l’impegno europeo assegnato dalla Fördergesellschaft für Europäische Kommunikation. Tra i suoi libri, quasi tutti pubblicati da Feltrinelli, ricordiamo: Tre uomini in bicicletta; È Oriente; La leggenda dei monti naviganti; Annibale, Il bene ostinato; Maschere per un massacro; A piedi; Trans Europa Express; Morimondo, Come cavalli che dormono in piedi; Il ciclope; Appia; La cotogna di Istanbul; Il filo infinito; Il veliero sul tetto; Canto per Europa. Per BEE ha pubblicato nel 2020 Vento di terra (3 edizioni) e nel 2022 la nuova versione de La linea dei mirtilli.
Europea per la letteratura 2022.
LE FAVOLE DEL COMUNISMO
Le favole del Paese delle Aquile raccontano di asini, meli, operazioni volte a salvare una ragazza pazza con la coda di cavallo, e di fogli che una volta piantati possono far germogliare non solo agli e cipolle, ma pure case. Il Paese delle Aquile è il più felice che ci sia. Anche se non c’è l’acqua corrente, anche se ci sono più bunker che mucche, anche se la mamma di Ari l’ha lasciata dai nonni perché è rimasta incinta troppo giovane per poter lavorare, e anche se quando cade il muro di Berlino altro che fine immediata della dittatura: nel Paese delle Aquile ci sono solo disordine e omicidi e uomini con la faccia coperta. Certo, quando cade il muro di Berlino molti partono per l’Italia, diretti alla riva opposta al Paese delle Aquile che è il più felice di tutti. Ma Ari e i nonni no, loro restano. I nonni si sentono troppo vecchi per partire, e allora Ari aspetta che la madre – partita sulla nave che hanno preso tutti gli altri – torni a prenderla.https://www.balcanicaucaso.org/Libreria/Copertine/Le-favole-del-comunismo
Ci sono due Ari in questo romanzo: una è la bambina che vive in Albania tra gli anni Ottanta e Novanta, ed è senza scarpe, perché le scarpe non devono essere consumate e dunque si va scalzi; l’altra è una giovane donna che di scarpe ne ha moltissime, così come ha l’acqua corrente, e oggi vive nel centro di Milano, in un appartamento elegante, passando ore sotto la doccia perché gli shampoo biologici non fanno abbastanza schiuma. Le due si somigliano, un po’ perché sono belle e la bellezza è tutta uguale, un po’ perché sono la stessa Ari.
Anita Likmeta, con tenerezza e ironia, con allegria e spietatezza, esordisce nel romanzo e ci racconta un’infanzia dove, certe volte, pisciarsi sotto era l’unico modo per riscaldarsi.
Anita Likmeta è un’imprenditrice nata a Durazzo, in Albania, durante il regime comunista di Enver Hoxha, naturalizzata italiana. Arrivata in Italia dopo la guerra civile nel 1997 ha conseguito la maturità classica e si è laureata in Lettere e Filosofia. Le favole del comunismo è il suo primo romanzo-
https://www.balcanicaucaso.org/Libreria/Copertine/Le-favole-del-comunismo
Grazie, Olga! I libri sono molto interessanti!
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