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IL TELEFONO

 

Due numeri


MARINO MORETTI

IL TELEFONO

Sei tu, sei tu, sei tu. Mentre ti parlo,
mentre t'ascolto, immobile, mi pare
che la tua voce seguiti a vibrare
in questo orecchio mio per lacerarlo.

Sei tu, sei tu. La tua voce mi giunge
da una profondità d'anima oscura.
Io ti rispondo, amica, ma ho paura,
ché vicina mi sei tu che sei lunge.

Ho paura di te, di questo ordigno
che al povero cuor mio che più non sogna
dona la voce tua, la tua menzogna
come per uno spirito maligno.

Che vuoi da me? Che mi domandi ancora?
L'ultimo sogno cadde come un frutto.
Io nulla vedo, nulla voglio, tutto
ciò che fu mio lasciò la mia dimora.

E mi par quasi che fra tanto fasto
d'illusioni solo questo ordigno
fedele al muro, come un vecchio scrigno
pieno d'accenti tuoi, mi sia rimasto.

Tu parli e io vedo il tuo bianco profilo
un po' chinato sopra l'apparecchio
mentre raccogli nell'intento orecchio,
più che il mio dire incerto, il mio respiro:

tu parli e io non t'ascolto: non t'ascolto
perché ti vedo: vedo d'improvviso
una lieve penombra di sorriso
ch'erra nel volto tuo, chino e raccolto...

Ah ridi ridi ridi tu che sei
bella e ami solo la tua gioventù.
Io? Ti rispondo, ma non sono più
che due numeri: 10-36.

(da Poesie di tutti i giorni, Ricciardi, 1911)

.

L’introduzione del telefono in Italia risale al 1877, quando fu attivata la linea tra due apparecchi che mettevano in comunicazione una caserma dei pompieri di Milano con la stazione di Porta Venezia della tranvia per Monza. Solo quattro anni dopo fu installata a Roma la prima linea civile. È con il nuovo secolo che il telefono inizia a diffondersi: entra anche nella poesia di Marino Moretti, come una cosa ancora estranea però al catalogo lirico classico, viene notata nel mondo crepuscolare del poeta romagnolo più che per la sua capacità di porre in comunicazione due persone lontane per quel suo trasformare gli utenti in numeri spersonalizzandoli, privandoli di un’identità.

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FOTOGRAFIA © THE SPRUCE CRAFTS

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  LA FRASE DEL GIORNO   

Il telefono è il più grande fastidio tra le comodità e la più grande comodità tra i fastidi.
ROBERT STAUGHTON LYND




Marino Moretti (Cesenatico, 18 luglio 1885 – 6 luglio 1979), poeta, romanziere e drammaturgo italiano. Nell’ambito del crepuscolarismo descrive vicende semplici ambientate nella provincia romagnola, con personaggi dimessi come il suo stile, che talvolta lascia balenare vene di umorismo.

MARTEDI' poesia

 

In un giorno d’estate


GIUSEPPE PICCOLI

SE TI CHINI

Se ti chini
sul mondo che si divide
del mezzogiorno
o della mezzanotte
in un giorno d’estate
vedrai e udrai
le foglie cantare
nate da te
dallo spirito dell’albero
con mille ciliegie
o le albicocche
e vedrai sentirai capirai
palpitare le ciocche di capelli
della tua bella
che non sa parlare.
E capirai sentirai
gli anelli dell’aria
di sé in stelle mutare.

(da Poesia, Crocetti, 213, Febbraio 2007)

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Con il solstizio oggi alle 11.14 inizia ufficialmente l’estate, stagione che si celebra con feste sia pagane sia religiose (San Giovanni Battista). Un’atmosfera di forza e di splendore – estate deriva etimologicamente da aestas, che in latino indica il calore bruciante – celebrata in questi versi dal travagliato poeta veronese Giuseppe Piccoli.

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FOTOGRAFIA © LC-CLICK/PIXABAY
da canto delle sirene blogspot

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Il piede straniero

 

SALVATORE QUASIMODO

ALLE FRONDE DEI SALICI

E come potevamo noi cantare
con il piede straniero sopra il cuore,
fra i morti abbandonati nelle piazze
sull’erba dura di ghiaccio, al lamento
d’agnello dei fanciulli, all’urlo nero
della madre che andava incontro al figlio
crocifisso sul palo del telegrafo?
Alle fronde dei salici, per voto,
anche le nostre cetre erano appese,
oscillavano lievi al triste vento.

(da Giorno dopo giorno, Mondadori, 1947)

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25 aprile, Anniversario della Liberazione. Spulciando gli archivi, ho notato che ancora mancava su questo blog una delle più famose poesie di Salvatore Quasimodo: dure immagini di morte e violenza vengono a rappresentare gli anni dell’occupazione nazista, quel “piede straniero sopra il cuore” che richiama alla memoria la contemporanea analogia orwelliana dello “scarpone che calpesta una faccia”. Ma il poeta stavolta non appenderà la cetra, come nel salmo 137: “Ai salici di quella terra / appendemmo le nostre cetre, / perché là ci chiedevano parole  / di canto / coloro che ci avevano deportato, /allegre canzoni, i nostri oppressori”. Anzi:”Per quelli che credono alla poesia come a un gioco letterario, che considerano ancora il poeta uno estraneo alla vita, uno che sale di notte le scalette della sua torre per speculare il cosmo, diciamo che Il tempo delle speculazioni è finito. Rifare l’uomo: questo è l’impegno”.

fonte web

Aprile di Renzo Pezzani



Questo mese canterino

che ha un fioretto nello stemma,
 non dimentica un giardino,
non si scorda d'una gemma.

Mostra i suoi color più belli
da ringhiere e da cancelli.
Cor contento ed occhi puri,
con un filo d'erba in bocca,
va pel mondo e tutto tocca,
mette il verde anche sui muri.
 S'addormenta in mezzo al prato:
è felice d'esser nato.
Sopra il monte aspetta il sole.
Tutti i doni ha nella sporta
per lasciarne ad ogni porta.
Ma per sè altro non vuole
che la piuma d'un uccello
per ornarsene il cappello.

dal web

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