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26 apr 2024

I tipi di basi Nato in Italia

F16

 

I tipi di basi Nato in Italia

Le basi Nato e degli Stati Uniti su suolo italiano sono di quattro tipi. Le prime furono concesse agli Stati Uniti negli anni Cinquanta e, pur essendo sotto controllo italiano, gli Stati Uniti mantengono il controllo militare su equipaggiamenti e operazioni. Poi ci sono le basi Nato gestite dall’alleanzale basi italiane messe a disposizione della Nato e le basi a comando condiviso tra Italia, Stati Uniti e Nato.

Le più importanti, da nord a sud, sono quelle di Solbiate Olona (in provincia di Varese) e Ghedi (Brescia) in Lombardia, di Vicenza e Motta di Livenza (Treviso) in Veneto, di Aviano (in provincia di Pordenone) in Friuli Venezia Giulia, di Poggio Renatico, nel Ferrarese, in Emilia Romagna, di La Spezia in Liguria, di quella nella tenuta di Tombolo (Pisa) in Toscana (anche se si tratta di una base italiana dove operano anche militari statunitensi), di Cecchignola (Roma) e Gaeta (Latina) nel Lazio, di Mondragone (Caserta) e Napoli in Campania, di Taranto in Puglia e di Trapani Birigi e Sigonella, nel territorio del Comune di Lentini (Siracusa), in Sicilia.

Cosa fanno le basi Nato in Italia

A Sigonella si trova il comando di monitoraggio in tempo reale delle truppe a terra e da qui partono i droni di sorveglianza che oggi monitorano i confini ucraini. A Napoli hanno sede uno dei due centri di comando della Nato (mentre l’altro è nei Paesi Bassi) la base dei sommergibili statunitensi nel mediterraneo, così come il comando delle forze aeree e dei marines statunitensi. Infine, ad Aviano e Ghedi si trovano alcune bombe atomiche B61-3, B61-4 e B61-7. La base di Aviano è usata dall’aeronautica statunitense, mentre quella di Ghedi dall’Italia. Le atomiche sono statunitensi, ma in caso di guerra possono essere lanciate anche da aerei italiani.

Come già detto, oltre a queste ci sono altre 105 strutture tra centri di ricerca, depositi, poligoni di addestramento, stazioni di telecomunicazione e antenne radar sparpagliate sul territorio, più le 20 basi segrete statunitensi. Queste basi, come quelle negli altri paesi Nato, godono di extraterritorialità e non sono soggette all’ordinamento giuridico della nazione in cui si trovano. Tutto ciò che accade al loro interno è coperto da segreto, così come il numero delle forze presenti.

https://www.wired.it/article/basi-nato-in-italia-dove-sono/#:~:text=Le%20pi%C3%B9%20importanti%2C%20da%20nord,La%20Spezia%20in%20Liguria%2C%20di

9 mar 2024

A Masarolis per una casa vista mare



Da lì nelle giornate di sole l’orizzonte si spinge fino al mare, oltre Grado e fin verso i monti e i colli del Veneto. La comunità, poi, è molto coesa. Ecco le ragioni principali per cui a Masarolis/Mažeruola Enrico Maria Sicco e Cecilia Caporossi si sono trovati da subito bene. La coppia si è trasferita in paese nell’autunno scorso ed è stata una ventata di speranza, tanto per la giovane età dei due nuovi residenti, quanto per la provenienza dalla pianura. Se lui ha 32 anni e proviene da Ialmicco, nel cuore del Friuli, lei ne ha 24 e proviene dal Lazio, da Anzio, una città sul mare.

In vista del matrimonio – che celebreranno a ottobre, proprio nella chiesa di Masarolis –, hanno iniziato a cercare una casa da acquistare. «Siamo stati da subito interessati alla zona del Cividalese e delle Valli del Natisone, perché è quella che ci piace di più a livello di paesaggio, cultura, storia e molto altro», spiega Cecilia. Tra l’altro, Enrico ha origini proprio a Torreano, perché la sua bisnonna è di Reant/Drejan. Alla fine la casa ideale per la coppia è stata individuata a Masarolis. «Ricordo che, quando siamo venuti a vederla per la prima volta in estate, col cielo chiarissimo e limpido, abbiamo visto Grado, la zona di Lignano, il Golfo di Trieste, un panorama mozzafiato».

Una volta trasferiti in paese Cecilia ed Enrico sono rimasti davvero colpiti dalla vita di comunità. «Siamo stati fortunatissimi, perché il paese è coeso, ci si vuole bene, ci si aiuta e si organizzano iniziative», nota Cecilia. «Siamo stati accolti cordialmente, come se fossimo della famiglia. Il giorno che ci siamo trasferiti, i vicini ci hanno accolto in casa, ci hanno offerto da bere e da mangiare … Dal primo giorno, senza sapere niente di noi». Sono stati accolti anche nella vita parrocchiale. «In paese siamo anche fortunati, perché la messa è celebrata sia venerdì sia domenica e vi partecipiamo. A Natale abbiamo cantato in coro, mi hanno invitata ed è stato molto bello». Insieme al gruppo di maschere tradizionali di Masarolis, Cecilia ha anche partecipato alla grande sfilata del pust di San Pietro al Natisone. «Ho sfilato in una maschera tradizionale, mi hanno vestita da ta liepa ».

Cecilia si è laureata da poco in filologia classica. «Ho anticipato la discussione della tesi dal 16 all’8 gennaio per fare il concorso per insegnanti. Potrei insegnare materie umanistiche alle medie o alle superiori ». Enrico, invece, lavora come macellaio in un supermercato vicino a Udine, con turni al mattino o al pomeriggio. Ma ha anche l’hobby dell’apicoltura. Al momento le sue api si trovano ancora a Ialmicco perché in inverno non si possono spostare, ma appena migliorerà il tempo le arnie saranno portate a Masarolis, per proseguire la produzione amatoriale di miele.

Nei primi mesi non sono mancati alcuni momenti di adattamento. La perplessità più grande, ma presto superata, per Cecilia è stata quella di riuscire o meno ad abituarsi alle strade di montagna. «Venendo da Anzio ed essendo abituata ad altro, avevo paura di non riuscire a gestire una strada di montagna. Alla fine è bastato impratichirsi un attimo».

Ci vuole, poi, più organizzazione nel tener testa ai bisogni. «Vero che Enrico lavora in un supermercato, per cui non è mai stato un reale problema. Ma, se avessi bisogno di qualcosa, per arrivare a Torreano ci vogliono venti minuti. Non sono una grande distanza, ma nemmeno i tre minuti del supermercato davanti casa ad Anzio. Quindi, più organizzazione di quella che avevo in città, ma a me piace».

Minori sono stati gli sforzi per Enrico: «Masarolis è un paese relativamente servito. E per una coppia può certo essere utile sapere di poter contare su alcuni servizi come l’arrivo di una corriera di linea o di uno scuolabus, specie quando vuoi progettare un futuro».

Per motivare le persone a trasferirsi, comunque, una scintilla può nascere già solo da un evento o manifestazione di comunità. «Già partecipando a un’iniziativa, una coppia può conoscere un po’ il territorio e notare alcuni aspetti che mancano nella vita di città. Dobbiamo sempre tenere presente che non si può amare ciò che non si conosce. Nell’immaginario di molti queste sarebbero zone un po’ morte, ma non è vero, qui c’è molta vita. Soprattutto molta voglia di stare insieme». Enrico rimarca il battito pulsante stimolato dalle realtà del territorio. «La parrocchia, la pro loco del paese o il gruppo degli alpini sono molto importanti per mantenere un senso di comunità e creare punti d’aggregazione». Un punto saldo, nei mesi di apertura della bella stagione e fino a fine ottobre è anche il chiosco, dove ritrovarsi per un caffé e tenersi al corrente circa cosa succede tra i Možerci.

«Quando andavo a messa in città, in chiesa la domenica eravamo presenti meno di un centinaio. E ad Anzio ci sono circa 60.000 persone! Qui siamo perlomeno una quindicina su una settantina di abitanti».

E c’è l’aspetto peculiare della lingua del territorio, il dialetto sloveno, continua Enrico: «Parlo friulano. In molte zone del Friuli questo è dato per scontato, così a poco a poco tra i giovani sta regredendo. In realtà come Masarolis queste specificità sono difese con maggiore tenacia. Ho imparato già alcune parole, che mi sono annotato, e vorrei imparare a destreggiarmi un po’», dice Enrico. «Ho una formazione più riconducibile all’ambito neolatino, ma mi incuriosisce molto la lingua locale. Spero nel tempo, almeno di riuscire a capirla », si propone Cecilia, che vede come punti forti della zona anche la natura e la qualità dell’acqua. (Luciano Lister)

dal Dom

2 mar 2024

ATTIMIS,FAEDIS,SLOVENO A SCUOLA


 Dopo la fase introduttiva, si passa a una prima programmazione. L’insegnamento dello sloveno nelle scuole dell’Istituto comprensivo di Faedis si sta, infatti, a poco a poco strutturando, più precisamente nei plessi d’infanzia e primari di Campeglio, Faedis e Attimis.

Non essendo ancora stato possibile, malgrado ripetuti tentativi, reperire finanziamenti pubblici per organizzarlo, ad offrire sostegno all’Istituto comprensivo di Faedis sarà l’Associazione/Združenje don Eugenio Blanchini, che si farà carico di reperire un docente per svolgere alcune ore d’attività come programmato dall’Istituto.

Nella scuola d’infanzia di Attimis , così, saranno offerte quattro ore di attività in sloveno a tutti i bambini insieme, mentre nella scuola d’infanzia di Campeglio, dove il numero di alunni è maggiore, i bambini saranno suddivisi in due gruppi, cui saranno sempre offerte quattro ore ciascuno. Sempre in considerazione del numero di alunni, le attività in sloveno saranno organizzate per quattro ore a due diversi gruppi anche alla scuola primaria di Attimis. In totale, quindi, l’Associazione Blanchini fornirà sostegno per venti ore di attività.

Alla scuola primaria di Faedis, invece, alcune ore di attività in sloveno stanno già venendo offerte grazie alla collaborazione di un volontario.

All’Associazione Blanchini sono affiliati diversi sodalizi rappresentativi della comunità slovena della provincia di Udine, dalla Valcanale alle Valli del Torre fino a quelle del Natisone. L’insegnamento dello sloveno è una priorità e rispondere alla richiesta dal territorio è stato naturale, come già avvenuto a suo tempo nel caso della scuola di Taipana/Tipana, nell’ambito dell’Istituto comprensivo di Tarcento.

Le prime attività in sloveno avevano fatto ingresso nelle scuole primarie di Attimis e Faedis già a maggio dell’anno scorso.

Grazie alla collaborazione di Flavio Cerno, impiegato allo sportello linguistico per la minoranza slovena di Faedis, i bambini avevano imparato a cantare la canzone «Na planincah sončece sije», i saluti di benvenuto e di arrivederci nonché a ringraziare in lingua slovena. Alla festa di fine anno, in seguito, alcuni genitori erano stati particolarmente felici di sentire i propri figli cantare anche in sloveno. Allora era stato espresso l’auspicio che per l’anno scolastico 2023-2024, nell’ambito di un progetto strutturato, fossero coinvolti anche i bambini delle scuole d’infanzia di Attimis e Campeglio.

Ricordiamo come, accanto al friulano, il dialetto sloveno sia tradizionalmente parlato tanto nelle frazioni montane di Attimis – quindi a Forame/Malina, Subit/Subid, Porzus/Porčinj – quanto in quelle di Faedis – quindi a Canebola/Čenijebola, Valle/Podcierku, Clap/Podrata, Costalunga/Vile, Costapiana/Rauan, Pedrosa/Pedroza, Stremiz/Garmouščica e Gradischiutta/ Radišče.

Già a gennaio scorso in municipio a Faedis si era svolto un incontro, cui avevano partecipato l’allora sindaco, Claudio Zani, la dirigente dell’Istituto comprensivo di Faedis, Michela Maffei, accompagnata dall’insegnante Maria Rosa Amadori, e il vicepresidente dell’Associazione/Združenje don Eugenio Blanchini, Gianfranco Topatigh, accompagnato da alcuni soci. In quell’occasione era stato spiegato come, negli anni, diverse famiglie del territorio di Attimis e Faedis avessero più volte espresso all’Istituto scolastico di riferimento il desiderio dell’insegnamento dello sloveno per i propri figli, come per il friulano. All’incontro era stato valutato come dare risposta alla richiesta delle famiglie.

Questo proposito ha riscosso, poi, il sostegno dell’amministrazione comunale di Attimis, guidata da Sandro Rocco, e in seguito anche quello della nuova amministrazione comunale di Faedis, guidata da Luca Balloch.

Siccome il comune non rientra nell’ambito di applicazione della legge di tutela della minoranza linguistica slovena, le attività in sloveno non sono state proposte nelle scuole d’infanzia, primaria e secondaria di primo grado di Povoletto, anch’esse attive nell’ambito dell’Istituto comprensivo di Faedis. (Luciano Lister)

dal Dom

18 giu 2023

Articolo

Stolvizza-Solbica
  Le fognature di Codroipo sono infestate di alligatori. L’alieno di Mortegliano è scappato di nuovo. Il cugino di un tizio di Tarcetta si è svegliato in un fosso che gli mancava un rene. Resia è un comune russofono, tipo Donetsk.

Su come nascano questo genere di leggende metropolitane c’è ormai una discreta letteratura. Quella di Resia russofona ha un’origine facilmente spiegabile. Nasce nel solco di quelle posizioni politiche per cui, per le parlate della fascia confinaria della provincia di Udine, va bene qualsiasi definizione purché non sia quella che ne danno i linguisti, ossia che si tratta di dialetti sloveni.
‘Resia russa’ però era talmente poco credibile che anche gli stessi ambienti che l’hanno inventata (che si trovano dalle stesse parti di quelli che fino al 23 febbraio ammiravano lo stile autoritario di Putin) non la riproponevano più da anni.
Poi però la Russia ha invaso l’Ucraina e organi di informazione che si fregiano di essere fra i più prestigiosi in circolazione, per qualche click in più, l’hanno rilanciata. Dal Messaggero Veneto (allergico a tutto ciò che è sloveno, benzina compresa) all’insospettabile Ansa regionale. Ignorando leggi dello Stato, della Regione ed evidenze scientifiche. Tutte questioni puntualmente riportate nella replica del Rozajanski Dum (che pubblichiamo all’interno). Ignorando anche il sentire di molti resiani che, dopo anni spesi a scannarsi su questioni identitarie, con le ultime amministrative di queste beghe hanno mostrato di essersi piuttosto stufati. Il punto è che, con gli eventi cui assistiamo attoniti, non vorremmo che qualche fetta dell’opinione pubblica friulana possa chiedere in futuro di mettere al rogo tutte le citire e le bunkule. 

DAL NOVI MATAJUR

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