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22 giu 2022

Kries – la magia del falò di San Giovanni

 La notte tra il 23 e il 24 giugno è nella tradizione di diverse popolazioni europee una notte magica: si celebra il solstizio d’estate, che la tradizione cristiana ha associato al culto di San Giovanni. “Šentjanževo” o “Noč svetega Ivana” (“notte di San Giovanni) è una festa ancora molto sentita in Slovenia, ma anche nei paesi oltre confine dove vive la minoranza slovena: così in Benečija (Slavia Veneta), dove durante questa magica notte in molti paesi vengono accesi grandi falò, chiamati “kries” (“kres” in sloveno).

Uno di questi paesi è Tribil Superiore – Gorenji Tarbij, la frazione più alta (650 m slm) del comune di Stregna – Sriednje, dove vivono circa 40 abitanti, e dove – così ci dice Erika Balus, che qui vive con la famiglia, sembra di stare in paradiso. Erika ci racconta del kries e di altre tradizioni legate alla notte di San Giovanni; tradizioni che si perdono nella notte dei tempi e che le sono state tramandate dalla nonna e dalla bisnonna, che a loro volta ripetevano antichi gesti, spesso senza saperne il significato più profondo, semplicemente perché “la notte di San Giovanni si fa così”.

I gesti antichi e i rituali iniziano già prima del grande evento del kries. A parte i preparativi veri e propri per il falò, come la raccolta di legna e ramaglie da ardere, il 23 giugno si raccolgono fiori ed erbe aromatiche, che secondo la tradizione in questo giorno raggiungono il culmine delle loro proprietà. I fiori vengono utilizzati per fare “križci” (croci) e “krancelni” (ghirlande), che, sapientemente intrecciati, verranno poi appesi alla porta d’ingresso delle case per proteggerle.

Le erbe aromatiche vengono fatte marinare nel vino, che viene benedetto e utilizzato come medicinale per tutte le malattie, “sia quelle note, che quelle ignote”. Ma le erbe aromatiche sono anche l’ingrediente principale delle “marve”, piatto particolarissimo e unico nel suo genere, senza il quale la festa di San Giovanni non è una vera festa.

La notte del solstizio d’estate è anche un’occasione unica per conoscere il futuro, sbirciando un albume d’uovo “cucinato” sotto i raggi della luna, o cancellare le rughe dal viso rotolandosi nella rugiada al mattino presto. O scoprire quali mesi saranno piovosi utilizzando 12 gherigli di noce. “Magie” che ci raccontano di un mondo contadino la cui vita era strettamente intrecciata con gli eventi della natura e le sue stagioni, gesti e tradizioni dietro a cui si celano antichissimi riti di cui sono giunte a noi solo tracce, sbiadite dalla patina dei secoli.

https://www.slovely.eu/2017/06/22/kries-la-magia-del-falo-di-san-giovanni/


1 giu 2020

DI GENTI, LUOGHI, ACQUE E DELLE ORIGINI DELLA PENTECOSTE IN FRIULI Seconda Parte

Ben ritrovate e ritrovati, amiche ed amici del Contastorie, e “buine Pasche di Maj” ovvero buona Pentecoste.
Prima di riprendere il nostro viaggio, il Contastorie Vi dedica un video musicale, che Vi invita a guardare ed ascoltare, con uno dei maggiori successi di un menestrello e cantastorie contemporaneo, Angelo Branduardi in “Ballo in Fa Diesis Minore”:
https://youtu.be/uwAOZaAfUughttps://youtu.be/uwAOZaAfUug
Vi starete chiedendo quale attinenza abbia questo brano musicale di Branduardi con la Pentecoste e con la Pasche di Maj friulana, vero?
Bene: nelle prossime due tappe fra oggi e domani, scopriremo che questa può essere considerata la colonna sonora della Pentecoste in Friuli e non solo... e, se avrete pazienza, Vi farò ascoltare la sua versione più antica ed una friulano-russa.
Intanto, parliamo della Pentecoste e del senso della sua festività nel cristianesimo intero, perché viene celebrata da tutte le chiese cristiane (cattoliche, ortodosse, protestanti, copte, armene, vetero-cattoliche e così via).
La parola viene dal greco πεντήκοστος ημέρα (pentecostos emera - cinquantesimo giorno) a significare il 50° giorno dopo la Pasqua di resurrezione di Gesù Cristo, quando – come narrano gli Atti degli Apostoli – lo Spirito di Dio sotto forma di lingue di fuoco scese sui dodici Apostoli riuniti con Maria, madre di Gesù, nel cenacolo della casa di Maria, madre di Johannes Marcus, Marco, san Marco l’Evangelista.
È la nascita della Chiesa cristiana perché la discesa dello Spirito ha dotato Pietro ed i suoi del dono della glossolalia, ovvero il dono di parlare e venir compresi da persone che parlano diverse lingue, permettendo loro di attuare l’invito del Messia – come riportato nel vangelo di Marco: “Andate in tutto il mondo e predicate il vangelo ad ogni creatura… E questi saranno i segni che accompagneranno quelli che credono: nel mio nome scacceranno i demoni e parleranno lingue nuove…”.
Ma prima di divenire l’evento fondante di tutta la Chiesa cristiana, la Pentecoste esisteva già ed era la festa più importante della religione ebraica, soprattutto per le comunità rurali che vivevano nelle campagne e comunque erano estranee alle caste cittadine di sacerdoti e scribi (Farisei e Sadducei), dominanti e colluse con il potere: per esempio i Galilei, i Samaritani, gli Esseni, i Terapeuti e così via.
Ed era la "festa della mietitura e delle primizie", una sorta di rito di ringraziamento e di propiziazione per la fertilità della terra e la fecondità degli armenti.
Cadeva (e cade tuttora) il 50° giorno dopo la Pesah – la Pasqua ebraica, che come abbiamo già visto significa “passaggio” a ricordo della salvezza di Mosè e del popolo ebraico inseguiti dagli Egizi con il miracoloso passaggio attraverso il Mar Rosso, quando – alla vista dell’esercito del faraone inghiottito dalle acque – la profetessa Myriam prese in mano un tamburello e guidò le donne d’Israele in una danza di ringraziamento, salmodiando in due cori di donne e uomini: “Cantate al Signore perché ha mirabilmente trionfato: ha gettato in mare cavallo e cavaliere”.
Poi, lasciato l’accampamento sulle rive del mar Rosso, Mosè condusse il popolo verso il deserto: ma la mancanza d’acqua provocò le lamentale degli Israeliti, che si rivoltarono contro il profeta.
Allora, su indicazione del Signore, Mosè prese un legno, lo immerse nell’acqua amara e questa si fece dolce.
E, a quel punto, Dio propose a Israele un patto: “Se tu ascolterai la mia voce, io non farò cadere su di te alcuna delle malattie con cui ho colpito l’Egitto, poiché io sono il Signore, Colui che guarisce” (in greco “terapeuta”, in ebraico “esseno”, in aramaico “asìn”).
Così, nel tempo, per la religione ebraica il giorno di Pentecoste e della festa delle primizie è divenuto il giorno della festa del Patto fra Dio e Israele, il “Berit” in ebraico, continuando a mantenere per le comunità rurali galilee, samaritane, essene, terapeutiche (da cui discendevano le famiglie di Gesù di Nazareth e dei suoi discepoli) il ruolo di festa più importante al termine di un periodo liturgico di cinquanta giorni che iniziava con la Pasqua e terminava con la Pentecoste, appunto.
La predicazione di Gesù e quella degli apostoli fece breccia in queste comunità e nei territori limitrofi, arrivando in breve ad Alessandria d’Egitto, dove c’era una folto numero di ebrei dissidenti e colà esulati.
Alessandria, al tempo (siamo nel I° secolo d.C.), era la capitale economica del Mediterraneo con quasi un milione di abitanti ed era un centro culturale di grande importanza, caratterizzato dalla convergenza e dalla fusione di elementi religiosi ebraici (ed in questo periodo “giudaico-cristiani”) e di elementi filosofici greci (in questo periodo “ellenistici”).
Inoltre, il porto alessandrino era il riferimento a sud per gli scambi con il nord del mondo di allora, nord dove c’era – come già abbiamo visto – il porto della nostra Aquileia…e fra le due metropoli si istaurarono – inevitabilmente – relazioni culturali, artistiche, religiose, soprattutto in merito al nuovo messaggio di Cristo, portatovi dal “terapeuta danzante” Marco l’Evangelista e dai suoi accoliti.
Adesso il Contastorie vi porta a fare un salto nel tempo e nello spazio, passando dal I secolo d.C. e dal Medio Oriente al XVII secolo d.C. ed al Friuli: esattamente alla Pentecoste del 1624 ed a Palazzolo dello Stella.
È il 10 giugno 1624 quando il nuovo vicario curato di Palazzolo dello Stella invia al Tribunale del Sant’Uffizio una lettera per denunciare un “insano” e “falso” comportamento di alcuni fedeli (donne e uomini) della locale pieve.
Per agevolare la lettura e la comprensione di tutti, ho sintetizzato e traslato in lingua italiana contemporanea il testo del prevosto, scritto nell’italiano “volgare” del tempo. Eccolo qui sotto:
“Si denuncia al Sant’Uffizio che certe donne e uomini di Palazzolo, contro ai riti di Santa Romana Chiesa e della vera e sana religione, per ottener la pioggia dal cielo sono andati nella notte di Pentecoste in processione lustrando il paese e la campagna, ballando e cantando a due cori una canzone che comincia con <Schiarazula Marazula a marito io me ne vò, siccome son donzella che piova questa sera>. E avendo rubato a tre signori del paese gli aratri, li portavano in tre luoghi d’acqua immergendoli nelle acque, dicendo che è il sicuro rimedio per far venir la pioggia…”
Continua, poi, il prevosto spiegando che questo rito è d’uso comune e tramandato nel territorio, sottolineando che i suoi predecessori non lo hanno mai vietato, e che la “leader” del gruppo era una certa Maria Alessandrina, “vedova impudica”.
Questo testo del 1624 contiene parole ed indicazioni molto interessanti per capire l’origine della Pasche di Maj ed i motivi per cui in queste tappe il Contastorie si è allungato nel parlare di ebrei, greci e alessandrini.
In particolare, la processione con musiche, canti e danze a due cori dal titolo “Schiarazula Marazula”; la lustrazione (o aspersione o benedizione) della terra; l’immersione dell’aratro (allora in legno) nell’acqua (che richiama il gesto di Mosè prima citato) e, infine, il nome della capo-coreuta della processione pentecostale eretica: Maria Alessandrina.
Partiamo dal titolo della canzone: Schiarazula Marazula.
E così facciamo assieme un salto indietro nel tempo di circa 50 anni, restando sempre in Friuli: è il 1578 quando Giorgio Mainerio, parmense di origini scozzesi e maestro di cappella della Basilica di Aquileia (intellettuale irrequieto e autore importante nella storia della musica strumentale e della danza), pubblica “Il Primo Libro de Balli”, la prima antologia europea di balli regionali, in cui ci sono pure alcune testimonianze friulane: e fra queste vi è lo spartito (privo di testo) di un brano intitolato “Schiarazzola Marazzola”!
E qui approfitto per farvi ascoltare il brano secondo l’originale del Mainerio, su cui Branduardi ha composto il testo di uno dei suoi successi: https://youtu.be/mC3uHa4iX3I
https://youtu.be/mC3uHa4iX3I
Ma cosa significano, a cosa si riferiscono Schiarazula Marazula?
Per Schiarazula, si potrebbe ipotizzare una somiglianza al termine con cui in friulano vengono definite le raganelle (scraçulis) adoperate in particolare durante il triduo pasquale quando le campane tacevano.
Ma Marazula?
Un grande ricercatore e musicologo friulano, Gilberto Pressacco, ha scoperto la reale etimologia delle due parole: greca!
Perché Schiarazula viene dal greco χάραξ (charax – canna) e Marazula dal greco μάραθων (marathon – finocchio) ovvero la canna ed il finocchio, due piante molto diffuse nelle zone lacustri, fluviali e di risorgiva del Friuli, considerate apotropaiche (che tengono lontano il male) tanto che anche i mitici “Benandants” friulani le adoperavano nelle loro battaglie notturne.
Per chi non sa chi fossero, i Benandants erano uomini e donne nati con il cencio amniotico (ancora oggi si dice in friulano “nassût cun la cjamêse” ed in italiano “nato con la camicia” per indicare persona fortunata e porta-fortuna), processati e condannati dal Tribunale dell’Inquisizione di Santa Romana Chiesa fra il XVI ed il XVIII secolo (l’ultimo, di Santa Maria la Longa, alla fine del 1700) perché, in virtù della loro nascita, sostenevano di uscire in puro spirito nelle notti delle Quattro Tempora a combattere con demoni e streghe per mettere in salvo il raccolto della campagna, brandendo canna e finocchio, per l’appunto.
Fermandoci qui in questa tappa e preannunciando che domani parleremo del canto a due cori, della lustrazione (o aspersione o benedizione) della terra con l’issopo, dell’immersione dell’aratro (allora in legno) nell’acqua e trovando le origini di questi gesti rituali nel mondo ebraico-ellenistico alessandrino e incredibili coincidenze con riti dei cristiani copti dell’attuale Etiopia,
salutandoVi, il Contastorie Vi lascia con un’ultima versione di Schiarazula Marazula, eseguita dai musicisti russi dell’ensemble di musica antica “Drolls” sul testo scritto nel secolo scorso dall’indimenticabile pre’ Domenico Zannier:
https://youtu.be/Wq8fF4rDGow
https://youtu.be/Wq8fF4rDGow

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