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IVAN TRINKO padre della Benecia

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18 mar 2024

LA LINGUA FRIULANA


 Il friulana (furlan ascolta, lenghe furlane; marilenghe, "lingua madre") è una lingua romanza del gruppo retoromanzo.

Si è sviluppata a partire dal latino rustico aquileiese, mescolato a elementi celtici, a cui si sono poi aggiunti numerosi elementi slavi e germanici, in quanto i vari popoli di stirpe germanica (longobardigotifranchitedeschi) hanno dominato il Friuli per oltre 900 anni.

Già nel 1600, come dice Sergio Salvi, "(…) Era del resto opinione comune dei viaggiatori del tempo che il friulano fosse una sorta di francese oppure di spagnolo. Ma soltanto nel 1873, Ascoli dà forma compiutamente scientifica a queste opinioni diffuse."

Lo Stato italiano ha riconosciuto, nel 1999, la "minoranza linguistica storica friulana" e la sua lingua e cultura, con la legge 482/1999, articolo 2.

Storia

Le origini della lingua friulana non sono chiarissime. La matrice preponderante alla base del friulano è quella "latina aquileiese"[4]: il grande evento alla base della formazione della cultura e della lingua friulane fu infatti l'arrivo dei Romani, che nel 181 a.C. dopo aver affrontato e sconfitto i Taurisci (PlinioNaturalis historia), che minacciavano gli alleati Veneti, e romanizzati i Carni, fondarono la prima colonia nella pianura friulana ad Aquileia, consentendo alla popolazione sconfitta, maggioritaria rispetto ai Romani, di continuare nella colonizzazione della circostante pianura (solo dopo il 20 a.C.: prima di tale epoca, la bassa pianura era abitata solo da romani,[senza fonte] il resto del Friuli era abitato dai Celti): da tale mescolanza di Romani e Carni si suppone possa essere derivato un latino volgare con influenze celtiche, alla base della successiva evoluzione della lingua friulana. Prima dell'arrivo dei Romani tutta la pianura friulana è stata abitata a partire dall'epoca preistorica e protostorica e di ciò ci sono importanti resti archeologici. In particolare vanno ricordati i numerosi castellieri e i tumuli, oggetto di numerose campagne archeologiche dall'Università degli Studi di Udine e che risultano essere tra i meglio conservati di tutta l'Italia nord-est[5], e la lunga storia della Aquilea preistorica; lo stesso nome "Aquileia" è ritenuto un nome indigeno confermato dai Romani.

L'influenza fonetica e grammaticale del dialetto di tipo celtico parlato dei Carni sul latino aquileiese è però controversa, sia perché tale idioma originario fu trasmesso solo oralmente e oggi non è quasi per nulla noto, sia perché nelle epigrafi antiche ritrovate si riscontrano solo delle modifiche ad elementi fonetici e morfo-sintattici del latino comuni anche ad altre parti dell'impero, cosa che se pur non prova una corrispondenza diretta con l'idioma parlato, comunque rende difficile qualsiasi studio filologico del "proto-friulano" antecedente al medioevo. Inoltre l'unica prova diretta di substrato celtico, quella del lessico, dimostra che la componente celtica nel friulano odierno, benché di gran lunga superiore a quella ravvisabile nei dialetti galloitalici e in altre lingue neo-latine con substrato celtico (francesegalloarpitano), sia complessivamente limitata a toponimi, parole di senso geografico e nomi collegati all'agricoltura, ai monti e ai boschi, e comunque comparabile all'influsso lessicale ricevuto "per prestito" da lingue germaniche e non di molto superiore a quello delle lingue slave.

Alcuni studiosi ipotizzarono che il friulano fosse conseguenza di migrazioni di popolazioni dell'Impero, costrette ad abbandonare le regioni orientali come la Pannonia (e si spiegherebbe comunque il sostrato celtico, poiché la Pannonia era abitata da tribù Galliche) a causa della pressione e del movimento di genti barbariche come i Longobardi: fatto evidentemente non escludibile neppure come evento collaterale, ma che comunque non chiarisce l'eventuale influsso di un substrato linguistico sul friulano medioevale e moderno.

Tuttavia se la prova linguistica diretta manca, a supporto della tesi di una derivazione dell'ethnos friulano dalla romanizzazione del popolo carnico/celtico vi sono numerosi elementi del folclore, della tradizione e dell'ambito magico e religioso, sia antichi che moderni, di stampo inconfutabilmente celtico-alpino, elementi diffusi in buona sostanza proprio sullo stesso territorio storicamente accertato come friulanofono.

Interessante inoltre anche il fatto che l'antico confine etnico tra popolazioni venetiche e quelle dei carni romanizzati, imposto dal dominio romano e attestato dalle fonti antiche, fu (a partire dalle prealpi) il corso del fiume Livenza (in latino Liquentia), lo stesso elemento geografico che ancora in epoche recenti delimitava in pianura la zona di confine tra area friulanofona e area venetofona (avanzata estesamente verso est a scapito del friulano solo a cavallo del 1800 per l'effetto congiunto di colonizzazioni di aree scarsamente abitate e della venetizzazione delle grandi città); stesso confine inoltre che secondo alcuni segnerebbe ancora oggi, su basi etnologiche più generali, il punto di transizione tra cultura veneta e friulana. Tutto ciò fa supporre che una certa differenziazione tra le parlate a ridosso di questa zona esista da lungo tempo e possa avere una matrice pre-latina, anche se bisogna sottolineare quanto l'idioma veneto del XIV secolo fosse più arcaico dell'attuale, condividendo qualche caratteristica con il friulano, idioma più conservativo.

Se le origini antiche della lingua e il substrato pre-latino sono questione controversa, un largo consenso è stato tuttavia raggiunto sul periodo di formazione del friulano, che si fa risalire attorno all'anno 1000, in contemporanea con gli altri volgari romanzi; anche se ci sono delle testimonianze più antiche: San Gerolamo afferma che, per farsi capire dal suo popolo, il vescovo di Aquileia Fortunaziano compose un commento ai Vangeli in lingua rustica. I primi termini in friulano appaiono in atti amministrativi del XIII secolo, ma solo a partire dal Trecento i documenti si fanno più numerosi e, oltre a qualche documento commerciale, appaiono le prime testimonianze letterarie, quali i Frammenti letterari e altri testi, tutti originari di Cividale, divenuta ormai il centro più importante del Friuli. Interessante notare come secondo uno studioso, il Giovan Battista Pellegrini, dall'analisi della ballata Soneto furlan, il verso 'ce fastu' rimanderebbe all'espressione citata da Dante nel De vulgari eloquentia XI,6 per caratterizzare la parlata aquileiese ([...] Aquilegienses et Ystrianos cribremus, qui Ces fas tu? crudeliter accentuando eructuant)

da wikipedia

18 set 2021

Nel mistero del giorno nuovo

 

PIERLUIGI CAPPELLO

LETTERA PER UNA NASCITA

Scrivo per te parole senza diminutivi
senza nappe né nastri, Chiara.
resto un uomo di montagna,
aperto alle ferite,
mi piace quando l'azzurro e le pietre si tengono
il suono dei "sì" pronunciati senza condizione,
dei "no" senza margini di dubbio;
penso che le parole rincorrano il silenzio
e che nel tuo odore di stagione buona
nel tuo sguardo più liscio dei sassi di fiume
esploda l'enigma del "sì" assordante che sei.

Scriverti è facile; e se potessi verserei
la conoscenza tutta intera delle nuvole
la punteggiatura del cosmo
la forza dei sette mari, i sette mari in te
nel bicchiere dei tuoi giorni incorrotti.

Ma non sono che un uomo, e quest'uomo
ti scrive da un tavolo ingombro
e piove, oggi, e anche la pioggia ha le sue beatitudini
sulla casa dalle grondaie rotte
quando quest'uomo ti pensa e fra tutte le parole da scegliere
non sa che l'inciampo nel dire come si resta
e come si preme
nel mistero del giorno nuovo in te
che prima non c'era
adesso c'è.

(da Mandate a dire all'imperatore, Crocetti, 2010)

.

Pierluigi Cappello scrive questi versi in occasione della nascita della nipotina Chiara, cui dedicherà quando sarà più grandicella anche le poesie di Ogni goccia balla il tango. Non sono versi di circostanza ma una specie di consigli di un “fratello più grande”, per farle conoscere – un giorno – il mondo attraverso le parole.

.

FOTOGRAFIA © ANNE GEDDES

.

https://cantosirene.blogspot.com/2021/09/nel-mistero-del-giorno-nuovo.html?utm_source=feedburner&utm_medium=feed&utm_campaign=Feed:+IlCantoDelleSirene+(Il+canto+delle+sirene)

2 mar 2021

I veri Romeo e Giulietta erano friulani

 


E' ormai appurato che Shakespeare scrisse la famosa tragedia ispirandosi ad una novella di Luigi Da Porto. La novella, dedicata all'amore di Giulietta e Romeo, fu composta probabilmente intorno al 1524, quindi pubblicata per la prima volta nel 1530-1.

Luigi Da Porto, nasce a Vicenza nell'anno 1485, da Bernardino Da Porto e da Elisabetta Savorgnan, sorella del più noto Antonio personaggio di spicco della nobiltà friulana. Entrato a far parte, con il grado di comandante, nell'esercito della Serenissima, si trovò presto di stanza in Friuli. Sarà proprio a Udine, durante una festa in maschera alla residenza dei Savorgnan (a quel tempo ancora situata presso l'attuale Piazza Venerio), che conoscerà Lucina Savorgnan Del Monte, sua lontana cugina. L'incontro avvenne il 26 febbraio 1511, al debutto in società di Lucina, ormai quindicenne. Il Da Porto se ne innamorò perdutamente.

L'amore, da subito non fu facile, soprattutto a causa dell'inasprimento del conflitto sociale che Udine stava vivendo in quei giorni e che porterà, il giorno seguente (27 febbraio 1511), alla feroce rivolta della "crudel zobia grassa", durante la quale furono trucidati gli avversari politici dei Savorgnan. In segreto, Lucina e Luigi, si fecero comunque promessa di matrimonio. Promessa che non venne però mai concretizzata, poichè nella notte tra il 18 e il 19 giugno del 1511, il Da Porto, durante uno scontro con le milizie austriache presso il fiume Natisone, venne ferito al collo da un colpo di lancia che lo lasciò paralizzato sul fianco sinistro. Si ritirò dunque nella sua villa di Montorso Vicentino, dove apprese la notizia delle nozze combinate tra la sua amata e il cugino Francesco Savorgnan Della Torre.

Distrutto dal dolore, decise di scrivere una novella dedicandola alla propria amata. Un racconto a tratti autobiografico che per ragioni di prudenza fu ambientato nel Trecento a Verona.  La vicenda è così trasportata ai tempi di Bartolomeo della Scala, nel 1301-1304.

Alcuni studi hanno dimostrato l'inconsistenza storica dei protagonisti nella Verona del Trecento, mettendo al contrario in evidenza diverse corrispondenze geografiche del racconto con la zona dell'antica Contrada Savorgnan a Udine. Interessante da questo punto di vista è la lettura del libro "Giulietta e Romeo. L'origine friulana del mito." di Albino Comelli e Francesca Tesei edito da L'Autore Libri Firenze.

Ad ogni modo dopo circa settanta anni, William Shakespeare lesse la novella in traduzione inglese e riprendendone la trama portò alla ribalta il dramma "Romeo and Juliet".

da http://www.friulani.net/

18 gen 2021

Mario Benedetti

 

immagine dal web


«Povera umana gloria/ quali parole abbiamo ancora per noi?»

(da Umana gloria, p. 112)

Mario Benedetti (Udine9 novembre 1955 – Piadena27 marzo 2020) è stato un poeta e insegnante italiano. Fu tra i fondatori delle riviste di poesia contemporanea “Scarto minimo”, Padova, 1986-1989, ed “Arsenal littératures”, edita a Brest dal 1999 al 2001.

Le sue opere vennero tradotte in Francia da Jean-Charles Vegliante (da ultimo in "Siècle 21" n.25, 2014, Poésie italienne d'aujourd'hui - Antologia).Dopo i primi venti anni trascorsi a Nimis (Udine), paese dei suoi genitori, si trasferì nel 1976 a Padova dove si laureò in Lettere con una tesi sull'opera complessiva di Carlo Michelstaedter, diplomandosi poi in Estetica presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Si dedicò all'insegnamento nelle scuole superiori, dapprima a Padova poi a Milano, città in cui si trasferì.

La sua vita, la sua poesia ed il suo modo di essere furono fortemente connotati dalla presenza di una malattia cronica: una particolare forma di sclerosi multipla che lo accompagnò dall'infanzia. Gravi episodi dovuti a questa patologia si verificarono nel 1999 e nel 2000. La notte del 14 settembre 2014 a seguito di un infarto con ipossia cerebrale venne ricoverato all'Ospedale San Luca di Milano dove fu tenuto in coma farmacologico per diverso tempo.

Al suo graduale risveglio cominciò una terapia riabilitativa, per poi essere trasferito in una struttura sanitaria milanese per continuare le cure. Benedetti è morto il 27 marzo 2020, a causa del COVID-19, nella struttura in cui viveva dal 2018, a Piadena (Cremona).[1] È stato tumulato nella cappella di famiglia di Donata Feroldi, l'amica di una vita, la mattina del 30 marzo 2020.In seguito alla pubblicazione di varie plaquettes, nel 2004 Mario Benedetti riassunse il suo lavoro con Umana gloria, pubblicato nella collana Lo Specchio (Mondadori). A distanza di quattro anni da Umana gloria, uscì Pitture nere su carta (Mondadori, 2008), raccolta in cui l'autore batteva sentieri comunicativi ed espressivi precedentemente inesplorati, inaugurando una stagione nuova. ..da https://it.wikipedia.org/wiki/Mario_Benedetti_(poeta_italiano)



SLAVIA ITLIANA


Madri così presenti dopo essere tante volte morte: 

grida sulla porta, zoccoli da soli, anni.

 Nonni che lavorano terra di altri e parlano dialetto sloveno 

– campi della loro vita, erba e filari della loro vita –.

 Si era soltanto piccoli e c‟erano le felci da raccogliere 

per il maestro Dialmo una mattina di agosto. 

Le felci come un viso che si impara dietro il muro del paese

 una mattina tutti insieme con il maestro Dialmo.

 Sono venuti giù i sassi,

 il letto ha detto la zia aveva una pietra grossa nel mezzo.

 Siamo scappati dagli occhi, il vento nella testa.

 Ho pensato ogni giorno a questo solo stare senza sguardo 

– cose dette dalle giacche, dalle scarpe, dai calzoni –

 contro la terra e i sassi, senza poter finire.


da "Il Parco del Triglav" 1999

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