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6 apr 2024

STORIA DELLE LINGUE SLAVE

Storia delle lingue slave, slavi, proto-slavi, slavi orientali, slavi occidentali, slavi meridionali, slavi ecclesiastici antichi, slavi sud-orientali, slavi sud-occidentali, lechitici, polabi, sorabi, pomeraniani, polacchi, ruteni, russi, ucraini, bielorussi , ruteno, serbo-croato, sloveno, bulgaro, slavo macedone
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18 mar 2024

LA LINGUA FRIULANA


 Il friulana (furlan ascolta, lenghe furlane; marilenghe, "lingua madre") è una lingua romanza del gruppo retoromanzo.

Si è sviluppata a partire dal latino rustico aquileiese, mescolato a elementi celtici, a cui si sono poi aggiunti numerosi elementi slavi e germanici, in quanto i vari popoli di stirpe germanica (longobardigotifranchitedeschi) hanno dominato il Friuli per oltre 900 anni.

Già nel 1600, come dice Sergio Salvi, "(…) Era del resto opinione comune dei viaggiatori del tempo che il friulano fosse una sorta di francese oppure di spagnolo. Ma soltanto nel 1873, Ascoli dà forma compiutamente scientifica a queste opinioni diffuse."

Lo Stato italiano ha riconosciuto, nel 1999, la "minoranza linguistica storica friulana" e la sua lingua e cultura, con la legge 482/1999, articolo 2.

Storia

Le origini della lingua friulana non sono chiarissime. La matrice preponderante alla base del friulano è quella "latina aquileiese"[4]: il grande evento alla base della formazione della cultura e della lingua friulane fu infatti l'arrivo dei Romani, che nel 181 a.C. dopo aver affrontato e sconfitto i Taurisci (PlinioNaturalis historia), che minacciavano gli alleati Veneti, e romanizzati i Carni, fondarono la prima colonia nella pianura friulana ad Aquileia, consentendo alla popolazione sconfitta, maggioritaria rispetto ai Romani, di continuare nella colonizzazione della circostante pianura (solo dopo il 20 a.C.: prima di tale epoca, la bassa pianura era abitata solo da romani,[senza fonte] il resto del Friuli era abitato dai Celti): da tale mescolanza di Romani e Carni si suppone possa essere derivato un latino volgare con influenze celtiche, alla base della successiva evoluzione della lingua friulana. Prima dell'arrivo dei Romani tutta la pianura friulana è stata abitata a partire dall'epoca preistorica e protostorica e di ciò ci sono importanti resti archeologici. In particolare vanno ricordati i numerosi castellieri e i tumuli, oggetto di numerose campagne archeologiche dall'Università degli Studi di Udine e che risultano essere tra i meglio conservati di tutta l'Italia nord-est[5], e la lunga storia della Aquilea preistorica; lo stesso nome "Aquileia" è ritenuto un nome indigeno confermato dai Romani.

L'influenza fonetica e grammaticale del dialetto di tipo celtico parlato dei Carni sul latino aquileiese è però controversa, sia perché tale idioma originario fu trasmesso solo oralmente e oggi non è quasi per nulla noto, sia perché nelle epigrafi antiche ritrovate si riscontrano solo delle modifiche ad elementi fonetici e morfo-sintattici del latino comuni anche ad altre parti dell'impero, cosa che se pur non prova una corrispondenza diretta con l'idioma parlato, comunque rende difficile qualsiasi studio filologico del "proto-friulano" antecedente al medioevo. Inoltre l'unica prova diretta di substrato celtico, quella del lessico, dimostra che la componente celtica nel friulano odierno, benché di gran lunga superiore a quella ravvisabile nei dialetti galloitalici e in altre lingue neo-latine con substrato celtico (francesegalloarpitano), sia complessivamente limitata a toponimi, parole di senso geografico e nomi collegati all'agricoltura, ai monti e ai boschi, e comunque comparabile all'influsso lessicale ricevuto "per prestito" da lingue germaniche e non di molto superiore a quello delle lingue slave.

Alcuni studiosi ipotizzarono che il friulano fosse conseguenza di migrazioni di popolazioni dell'Impero, costrette ad abbandonare le regioni orientali come la Pannonia (e si spiegherebbe comunque il sostrato celtico, poiché la Pannonia era abitata da tribù Galliche) a causa della pressione e del movimento di genti barbariche come i Longobardi: fatto evidentemente non escludibile neppure come evento collaterale, ma che comunque non chiarisce l'eventuale influsso di un substrato linguistico sul friulano medioevale e moderno.

Tuttavia se la prova linguistica diretta manca, a supporto della tesi di una derivazione dell'ethnos friulano dalla romanizzazione del popolo carnico/celtico vi sono numerosi elementi del folclore, della tradizione e dell'ambito magico e religioso, sia antichi che moderni, di stampo inconfutabilmente celtico-alpino, elementi diffusi in buona sostanza proprio sullo stesso territorio storicamente accertato come friulanofono.

Interessante inoltre anche il fatto che l'antico confine etnico tra popolazioni venetiche e quelle dei carni romanizzati, imposto dal dominio romano e attestato dalle fonti antiche, fu (a partire dalle prealpi) il corso del fiume Livenza (in latino Liquentia), lo stesso elemento geografico che ancora in epoche recenti delimitava in pianura la zona di confine tra area friulanofona e area venetofona (avanzata estesamente verso est a scapito del friulano solo a cavallo del 1800 per l'effetto congiunto di colonizzazioni di aree scarsamente abitate e della venetizzazione delle grandi città); stesso confine inoltre che secondo alcuni segnerebbe ancora oggi, su basi etnologiche più generali, il punto di transizione tra cultura veneta e friulana. Tutto ciò fa supporre che una certa differenziazione tra le parlate a ridosso di questa zona esista da lungo tempo e possa avere una matrice pre-latina, anche se bisogna sottolineare quanto l'idioma veneto del XIV secolo fosse più arcaico dell'attuale, condividendo qualche caratteristica con il friulano, idioma più conservativo.

Se le origini antiche della lingua e il substrato pre-latino sono questione controversa, un largo consenso è stato tuttavia raggiunto sul periodo di formazione del friulano, che si fa risalire attorno all'anno 1000, in contemporanea con gli altri volgari romanzi; anche se ci sono delle testimonianze più antiche: San Gerolamo afferma che, per farsi capire dal suo popolo, il vescovo di Aquileia Fortunaziano compose un commento ai Vangeli in lingua rustica. I primi termini in friulano appaiono in atti amministrativi del XIII secolo, ma solo a partire dal Trecento i documenti si fanno più numerosi e, oltre a qualche documento commerciale, appaiono le prime testimonianze letterarie, quali i Frammenti letterari e altri testi, tutti originari di Cividale, divenuta ormai il centro più importante del Friuli. Interessante notare come secondo uno studioso, il Giovan Battista Pellegrini, dall'analisi della ballata Soneto furlan, il verso 'ce fastu' rimanderebbe all'espressione citata da Dante nel De vulgari eloquentia XI,6 per caratterizzare la parlata aquileiese ([...] Aquilegienses et Ystrianos cribremus, qui Ces fas tu? crudeliter accentuando eructuant)

da wikipedia

27 set 2022

Minoranze linguistiche del Friuli Venezia Giulia

 


Si può affermare che il friulano soddisfi esigenze comunicative legate alla pratica quotidiana e all’ambiente rurale e tradizionale, mentre più recenti sono gli usi amministrativi e ufficiali: attualmente il rapporto tra italiano e friulano è interpretabile nei termini di un bilinguismo in cui possono intervenire parziali sovrapposizioni e coincidenze funzionali, poiché la marilenghe viene talvolta adoperata nella scrittura letteraria e nella comunicazione pubblica mentre l’italiano, in quanto lingua nativa di gran parte dei parlanti, dilata sempre più il proprio spazio comunicativo anche ai domini informali. Il regresso del friulano è in ogni caso accompagnato dal fatto che esso viene percepito come un vincolo di coesione comunitaria: la storia della regione, la conformazione del territorio, il temperamento degli abitanti poco inclini alle innovazioni, il contenuto processo di urbanizzazione hanno in ogni caso agevolato il delinearsi di una varietà spiccatamente individuale rispetto al resto dell’Italia settentrionale e il mantenimento di un rilevante grado di vitalità. 

Le comunità di lingua tedesca nel territorio friulano 

Le comunità di lingua germanica disseminate lungo le aree alpine del Friuli ( link all’articolo di Marco Caria ) hanno avuto fin dall’inizio caratteri di insediamenti spontanei da parte di gruppi esigui di persone, allontanatisi verosimilmente dalle valli carinziane nel corso del XIII sec. alla ricerca di occupazione nell’estrazione mineraria (a Sappada/Plodn, ora in provincia di Belluno e a Timau/Tischlbong, ca. 700 abitanti, nella valle del But) o di sfruttamento di terre spopolate (a Sauris/Zahre, ca. 500 abitanti, nell’alta valle del Lumiei). Diversa è la vicenda dei tedescofoni della Val Canale/Kanaltal (con i centri principali di Pontebba/Pontafel e Tarvisio/Tarvis) sudditi fino la 1918 dell’Impero Austro-Ungarico. Si tratta di comunità che usano varietà di tedesco o austro-bavarese, talora a stretto contatto con sloveno e friulano in contesto plurilingue. Negli ultimi decenni si osserva, in specie fra i giovani, un progressivo cedimento delle antiche parlate: tale regresso è in parte rallentato dalla riscoperta delle proprie origini e da una più matura consapevolezza linguistica, favorite da molteplici iniziative promosse dalle associazioni culturali e dalle istituzioni locali. 

Le comunità slovenofone del Friuli Venezia Giulia

 Trovano spazio lungo la fascia montuosa e collinare del confine nord-orientale tra Italia e Slovenia. Parte di quest’area (alta valle del Torre e valli del Natisone), appartenente alla provincia di Udine, è anche nota, per l’antica dipendenza dalla Repubblica di Venezia, come Benècija o SlaviaVeneta. Dal punto di vista linguistico, le comunità slovenofone sono suddivise in vari gruppi dialettali da nord verso sud: lo zegliano (zilijsko), propaggine italiana, acquisita dopo il primo conflitto mondiale, del dialetto della valle carinziana di Zeglia, ancora diffuso in alcuni centri della Val Canale (KanalskaDolina), a contatto con dialetti tedeschi e i friulani; il resiano (rezijansko), in uso nei paesi della Val di Resia, che, esibendo tratti conservativi, rappresenta un caso a sé tra i dialetti sloveni del Friuli; il tersko, cioè i dialetti del Torre, sulle Prealpi, con diramazioni verso l’area pianeggiante; il nadiško, ossia i dialetti della Val Natisone (e delle valli contermini), tipo più vitale ed esteso. A questi si affiancano le varietà della provincia di Gorizia (briško cioè del Collio o collinare) e di Trieste (kraško, parlato prevalentemente nei paesi del Carso).Di tale articolata compagine va sottolineato che gli slavofoni della fascia prealpina orientale del Friuli hanno saputo preservare fino ai nostri giorni la loro antica parlata avvantaggiati dal relativo isolamento in cui si sono trovati i loro insediamenti, situati in aree scarsamente popolate, e dal tenace radicamento alle origini etnico-linguistiche. Sul piano del riconoscimento e della tutela, gli sloveni della Provincia di Udine sono stati lasciati un po’ nell’ombra fino all’entrata in vigore della legge 38/2001, che intrducendo “Norme per la tutela della minoranza linguistica slovena della Regione Friuli-Venezia Giulia”, ha promosso una significativa politica linguistico-culturale di sviluppo degli idiomi locali; alla normativa statale si sono poi affiancati provvedimenti regionali. Diverso è stato il trattamento riservato alle altre comunità slovene della regione, che godono della tutela da parte dello Stato, in particolare nel settore scolastico, prevista alla fine del secondo conflitto mondiale dal Memorandum di Londra del 1948 e poi dal Trattato di Osimo del 1975.Gli abitanti delle aree slovenofone non sono concordi nella scelta degli strumenti e del modello linguistico da proteggere e promuovere, che alcuni vorrebbero appiattire sullo sloveno letterario, ritenuto in grado di salvaguardare anche l’identità linguistica delle valli della provincia di Udine. A tale opzione si oppone tuttavia una parte consistente della popolazione, che vi ravvisa un tentativo di imporre una lingua che non percepisce come sua (lo sloveno letterario), a svantaggio delle parlate locali, che sono considerate invece il patrimonio da tutelare. La ragione di tale atteggiamento dipende anche dalla consapevolezza che esiste un forte legame partecipativo con le vicende storiche e culturali del Friuli (e indirettamente, dell’Italia) mentre i rapporti con gli Sloveni dell’opposto versante alpino, seppur mai interrotti, non sono stati mai così stringenti. Fino a qualche anno fa, inoltre, ribadire le relazioni di parentela linguistica coi vicini della ex Repubblica Iugoslava assumeva in alcune comunità il valore di accettazione di un simbolo politico sgradito a molti. 

fonte https://www.treccani.it/magazine/lingua_italiana/speciali/minoranze/Fusco.html

18 giu 2021

Alla scoperta della “Ricchezza della Diversità Musicale”


In occasione del ventesimo anniversario dell'adozione della legge n. 482/99 ha predisposto un progetto con il quale presenterà al grande pubblico la “Ricchezza della Diversità Musicale” del nostro Paese attraverso una serie di eventi culturali. Al progetto, sostenuto finanziariamente dalla Regione FVG, collaborano numerose società e organizzazioni rappresentative delle comunità slovene, friulane e tedesche del nostro Paese. L'obiettivo è quello di presentare la variegata realtà musicale e culturale delle minoranze che da sempre arricchiscono il nostro Paese attraverso eventi musicali - concerti per solisti, cori e formazioni da camera - oltre ad altre forme di espressione artistica, come recitazioni e testimonianze.
Il primo appuntamento si svolgerà domenica 20 giugno, alle ore 15, presso l'Auditorium Comunale di Tarvisio. Il programma sarà co-creato da studenti e professori di Glasbena matica, un coro misto di Ugovizza e membri dell'associazione Kanaltaler Kulturverein. L'evento culturale di Tarvisio si svolgerà sotto l'egida del Comune di Tarvisio, e oltre alla già citata German Channel Association, partecipano anche il Centro Culturale Sloveno Planika e l'Associazione Don Mario Cernet.

Coro Matajur (registrazione d'archivio)

In estate, Glasbena matica organizzerà incontri simili con partner di progetto anche in altri luoghi. Il prossimo evento a Udine sarà al centro polivalente di San Pietro venerdì 25 giugno, alle 18:00. Protagonisti della serata, che si svolgerà sotto l'egida del Comune di San Pietro, saranno anche il coro maschile Matajur e i membri dell'Associazione culturale friulana Fûrclap - Grop Tradizional Furlan.
Il progetto proseguirà poi a luglio con la registrazione del coro Vikra al Palazzo Lantieri di Gorizia, e si concluderà a settembre a Trieste con il concerto del duo, composto dal chitarrista Marko Feri e dal fisarmonicista Igor Zobin.

tradotto dal Novi Matajur

18 gen 2021

Steccati per la Cm Torre e Natisone



Il primo gennaio è entrata in funzione la nuova Comunità di montagna del Natisone e Torre. Già il 9 dicembre dell’anno scorso si è riunita l’assemblea dei sindaci del nuovo ente per l’elezione del presidente e dei componenti del Comitato esecutivo di gestione.

I primi cittadini di Torreano, Roberto Sabbadini, di Pulfero, Camillo Melissa, e di San Pietro al Natisone, Mariano Zufferli, hanno proposto per la presidenza il sindaco di Tarcento, Mauro Steccati, il quale è stato eletto mediante voto palese, con 14 voti favorevoli e un astenuto.

Steccati, 64 anni il prossimo 29 gennaio, è stato eletto sindaco con il sostegno delle liste Lega Nord, Amare Tarcento, Tarcento Futura e Forza Tarcento. Il suo primo mandato da primo cittadino è in scadenza, dato che l’amministrazione comunale sarà rinnovata in questo 2021.

Quindi si è passati alla elezione dei componenti del Comitato esecutivo. Melissa ha proposto per l’area delle Valli del Natisone Zufferli e Antonio Comugnaro (San Leonardo), mentre la sindaca di Magnano in Riviera, Roberta Moro, ha proposto per la zona delle Valli del Torre Alan Cecutti (Taipana) e Gloria Bressani (Nimis).

A tal proposito, Sabbadini ha evidenziato con disappunto di non essere stato contattato da nessuno, né del territorio del Natisone, né del territorio del Torre, al fine di concordare i nominativi da proporre per la composizione del Comitato esecutivo. A fronte di tale mancanza nei confronti del Comune di Torreano ha comunicato di non voler partecipare all’elezione dei componenti del Comitato esecutivo. Pertanto con 14 voti sono stati eletti Comugnaro, Cecutti, Zufferli e Bressani.

Nel dibattito il sindaco di San Pietro al Natisone ha evidenziato un certo squilibrio territoriale, infatti, a suo avviso incomprensibilmente la rappresentanza penda nettamente a favore della zona del Torre, che conta 7 comuni su 15 di cui 2 parzialmente montani (Tarcento e Faedis). Quindi l’assemblea all’unanimità ha stabilito di mantenere nel suo iniziale avvio l’organizzazione già prevista dall’Uti del Torre vale a dire: Area amministrativa, Area sviluppo risorse umane, Area economico finanziaria e Area tecnica.

Il nuovo ente si è dotato anche di un logo, caratterizzato da un’anonima grafica, che non richiama assolutamente le peculiarità ambientali e culturali del territorio e tra l’altro scritto solo in lingua italiana e non anche nelle altre due lingue di minoranza, sloveno e friulano, previste dallo statuto.

8 gen 2021

A difesa dell’insegnamento plurilingue

 


Nell’ultima riunione della Commissione consultiva regionale per la minoranza slovena, tenutasi l’1 dicembre, l’Unione economica culturale slovena (Skgz) ha proposto e difeso la riduzione da 80.000 a 20.000 euro del contributo all’insegnamento della lingua slovena in Valcanale. Sembra incredibile, addirittura assurdo, che l’iniziativa di interrompere l’apprendimento dello sloveno nelle scuole statali sia stata assunta da una delle due organizzazioni
 apicali della minoranza slovena, ma è proprio così. Per la serie: facciamoci del male da soli.
Certo, il taglio è stato motivato dalla necessità di attingere i fondi per i docenti di sloveno nelle scuole dei comuni di Tarvisio e Malborghetto- Valbruna dal bilancio del ministero della Pubblica istruzione e non dai fondi per le attività culturali della minoranza slovena. Questo è previsto dalla legge di tutela 38 del 2001, ma francamente è impossibile che il meccanismo possa scattare nel giro di pochi mesi, quando è restato lettera morta per quasi vent’anni. Dunque, togliere quegli 80.000 euro, che non sono nemmeno sufficienti a coprire l’intero monte ore necessario, significa interrompere il progetto d’insegnamento trilingue italiano-sloveno-tedesco perseguito con caparbietà dall’Istituto scolastico omnicomprensivo di Tarvisio, dalle due amministrazioni comunali e dai circoli sloveni e tedesco della Valcanale. Perché quello che si attua già il quinto anno a Ugovizza e il secondo a Tarvisio e Camporosso è un progetto serio, preparato e seguito da esperti provenienti da università italiane, slovene e austriache.Non si tratta, dunque, di semplici «corsi» extrascolastici, come è stato insinuato in commissione. Ma questo i sostenitori del taglio dovrebbero ben saperlo, dato che il progetto è stato presentato sul campo anche a loro. Come ben sanno pure che il passaggio del progetto in carico al ministero non è affatto imminente, anche se è stato prospettato durante la visita della ministra per gli Sloveni d’oltreconfine e nel mondo lo scorso mese di luglio.C’era, però, la volontà di spostare i fondi ad altri soggetti, naturalmente fuori dalla provincia di Udine. Per un pugno di euro si può fare tutto. Anche lasciare senza sloveno quasi 250 bambini.

ttps://www.dom.it/v-bran-vecjezicnemu-pouku_a-difesa-dellinsegnamento-plurilingue/

3 gen 2021

Sei bilingue,non avrai l'alzeimer!

 


Le persone bilingui sono meno predisposte a contrarre il terribile morbo di Alzheimer, o, quantomeno, lo contraggono più tardi rispetto alle persone che conoscono e usano una lingua sola.

Un gruppo di ricercatori canadesi ha esaminato la documentazione clinica di 221 pazienti con Alzheimer e ha riscontrato che quanti parlano costantemente due o più lingue ritardano l'esordio dei sintomi anche di cinque anni rispetto alla restante popolazione. Lo studio è stato pubblicato sulla prestigiosa rivista «Neurology». Secondo gli autori, il bilinguismo contribuisce a consolidare la «riserva cognitiva» del cervello. I vantaggi più evidenti sono sulla perdita di memoria, la confusione, la soluzione di problemi e la programmazione.

Uno studio di Ellen Bialystok (York University), Fergus Craik I. Mm (Rotman Research Institute), David W. Green (University College London), e Tamar H . Gollan (University of California, San Diego), pubblicato dalla rivista «Psychological science in the public interest» sostiene che i bambini che apprendono due lingue dalla nascita raggiungono gli stessi traguardi di base — ad esempio, la loro prima parola — dei bambini monolingui, ma possono utilizzare diverse strategie per l'acquisizione del linguaggio. Perciò i bilingui tendono ad avere risultati migliori rispetto ai monolingui su esercizi che richiedono un'alta concentrazione e la commutazione tra due o più compiti diversi.
Alla luce di queste ricerche non si può tacere la rabbia nei confronti di quegli insegnanti che per decenni in tutta la Slavia hanno cercato di convincere i genitori — riuscendoci in molti casi — a trasmettere ai propri figli solo l’italiano, pena futuri insuccessi scolastici. Ora la scienza certifica che hanno prodotto un grave danno. E non solo culturale.
http://www.dom.it/sei-bilingue-non-avrai-lalzheimer/

26 dic 2020

Fiabe e leggende nelle lingue del Friuli Venezia Giulia


 Nonostante le restrizioni dovute alla pandemia covid-19, l'Istituto della Cultura Slovena prosegue con gli eventi all'interno del progetto Incontri Multilingue, sostenuto dalla Regione Friuli in occasione del 20 ° anniversario della Legge 482 per la Protezione delle Minoranze Storiche del 1999. Fiabe e leggende nelle lingue del Friuli Venezia Giulia  questa volta sarà possibile ascoltare solo online - in autunno ci sono stati due incontri a Mašera e Mažaruola - o la piattaforma online Zoom. Mercoledì 30 dicembre, alle ore 17.30, il Museo del Popolo Resia di Stolvizza/Solbica trasmetterà una serata narrativa sul tema della nascita, coideata da Sandro Quaglia, Ada Tomasetig, Velia Plozner, Lucia Protto, Lucia Pinat e Ines Caneva. A nome dell'Istituto della cultura slovena, saluterà la vicepresidente Živa Gruden, che guida il progetto. Chi volesse seguire la serata narrativa deve registrarsi QUI.

tradotto da https://novimatajur.it/cultura/pravljice-in-legende-v-jezikih-fjk.html

12 ott 2020

A Masarolis...

 A Masarolis ascoltiamo favole nei dialetti e nelle lingue della nostra regione.




V Mažeruolah poslušamo pravce v narečijh an izikih naše dežele.

foto dal Novi Matajur

5 ott 2020

Ancora senza cura nelle lingue locali

 


È trascorso un anno da quando l’ex parroco di Tarvisio/Trbiž, don Claudio Bevilacqua, ha annunciato alle parrocchie della Collaborazione pastorale le proprie dimissioni. Bevilacqua, che ora ha 76 anni, ha guidato la parrocchia di Tarvisio, allora sede foraniale, dal 2002 al 2019. Ha assunto la decisione di lasciare l’incarico di concerto con l’arcivescovo Mazzoccato, dopo avere rilevato come l’incarico gli fosse da tempo gravoso. Negli ultimi anni, infatti, è mancato dapprima mons. Dionisio Mateucig (parroco a Camporosso/Žabnice e rettore al santuario di Lussari/Svete Višarje), quindi don Giuseppe Morandini (parroco a Fusine, Cave del Predil e referente della comunità di Coccau) e, infine, don Mario Gariup (parroco a Ugovizza/Ukve e Malborghetto-Valbruna/Naborjet-Ovčja vas).

A novembre 2019 l’incarico di parroco della Collaborazione pastorale di Tarvisio, con la cura delle parrocchie di Tarvisio, Camporosso, Fusine, Cave del Predil, Ugovizza e Malborghetto-Valbruna, è stato assunto da don Alan Iacoponi. Ha 43 anni e prima ha prestato servizio, da vicario parrocchiale, a Gemona del Friuli. È nato in Bolivia ed ha origini toscane. Ad aiutarlo in pianta stabile nelle parrocchie della Valcanale, come vicario parrocchiale, in questo momento c’è solo don Gabriel Cimpoesu, che ha 44 anni e viene dalla Romania.

Nel presentarsi alla comunità, l’anno scorso don Iacoponi aveva mostrato molta apertura, promettendo che avrebbe imparato anche lo sloveno e il tedesco.

Con l’eccezione di Lussari/Svete Višarje, nell’ultimo anno nella vita religiosa di Ugovizza e Camporosso lo sloveno è stato presente soprattutto su iniziativa dei fedeli, che hanno contribuito con letture, quando non con qualche preghiera bilingue; a Valbruna col canto. Un certo coinvolgimento rispetto alla multiculturalità della fede locale è stato dimostrato da don Giovanni Driussi, che tra novembre 2019 e settembre di quest’anno ha prestato aiuto nelle parrocchie della Collaborazione pastorale soprattutto nei fine settimana.

Escludendo p. Peter Lah, che si occupa del santuario di Lussari in particolar modo nei mesi estivi, nel nuovo anno pastorale della Valcanale ancora non c’è cura spirituale in sloveno e nelle altre lingue tradizionali. Questa situazione si protrae da novembre dell’anno scorso, quando, poco prima dell’arrivo di don Iacoponi a Tarvisio, è partito p. Jan Cvetek. Il padre francescano, che ha 39 anni e proviene da Bohinj, aveva prestato aiuto soprattutto nelle parrocchie di cui fino alla morte era stato titolare don Mario Gariup, ovvero a Malborghetto, con le filiali di Bagni di Lusnizza, Santa Caterina e Valbruna/Ovčja vas, e Ugovizza/Ukve.

Allo scadere del relativo accordo tra l’arcidiocesi di Udine e la provincia francescana slovena i fedeli della Valcanale hanno preparato una lettera, con cui hanno chiesto agli esponenti del clero diocesano competenti di accogliere nuovamente p. Cvetek nell’arcidiocesi di Udine, indirizzandolo alle loro comunità. La lettera è stata sottoscritta da un migliaio di fedeli da tutte le località valcanalesi – e nella valle risiedono circa cinquemila abitanti. Il documento è stato consegnato dai rappresentanti di varie parrocchie della Valcanale all’arcivescovo di Udine, Andrea Bruno Mazzoccato, già a dicembre dell’anno scorso. La risposta alla lettera, tuttavia, deve ancora arrivare, così come la cura delle anime nelle lingue locali.

https://www.dom.it/se-brez-oskrbe-v-domacih-jezikih_ancora-senza-cura-nelle-lingue-locali/?fbclid=IwAR36_3rAPukvRYw412U0qkTBlgwaMR7ky6KQqf9vaWFnkk7hNClMrb6f80g

26 set 2020

Oggi è la Giornata europea delle lingue

 


La Giornata europea delle lingue è stata istituita nel 2001 dal Consiglio d'Europa nel quadro dell'Anno europeo delle lingue. Da allora si celebra ogni anno il 26 settembre, con l'obiettivo di sensibilizzare i cittadini sulla diversità culturale e linguistica dell'Europa e di incoraggiare l'apprendimento delle lingue lungo tutto l'arco della vita.

In occasione della Giornata europea delle lingue 2020, il Dipartimento Politiche Europee ha aggiunto una nuova voce nella sezione EuroParole, dedicata a termini o espressioni in lingua straniera usati in Italia dalle istituzioni e dai media.

L'EuroParola di oggi è Start-up (o Startup).

Per avvicinare maggiormente i cittadini, le istituzioni, le associazioni, le scuole e tutti coloro che sono interessati all’apprendimento delle lingue, il Consiglio d’Europa ha realizzato il sito ufficiale di questa giornata, tradotto in 37 lingue, nel quale si possono trovare innumerevoli informazioni sulla giornata, oltre a giochi, svaghi linguistici (language trivia, gioco del linguaggio dei segni ecc.), concorsi video e foto.

Il Parlamento europeo ha offerto la possibilità di assistere alla diretta dall'Emiciclo, cuore del Parlamento e luogo in cui si svolge la Giornata del multilinguismo. Diverse sessioni sono dedicate al lavoro e alla vita degli interpreti e dei traduttori. Per tutte le sessioni è disponibile il servizio di interpretazione in inglese, francese, tedesco, italiano, polacco e spagnolo.

Il multilinguismo è uno dei principi fondamentali dell'Unione Europea sin dall'inizio del processo di integrazione. La coesistenza armoniosa di molte lingue in Europa è un simbolo forte dell'aspirazione dell'Unione Europea ad "essere unita nella diversità", uno dei fondamenti del progetto europeo.

Nell'UE, alle 24 lingue ufficiali si sommano circa sessanta lingue regionali e minoritarie e oltre 175 lingue parlate dai migranti.


http://www.politicheeuropee.gov.it/it/comunicazione/notizie/giornata-europea-lingue/

 

31 ago 2020

LE GUERRE TRA SLAVI E LONGOBARDI: GENESI DI UN DUALISMO CULTURALE (PARTE PRIMA)

 

INTRODUZIONE

Una delle peculiarità etnico-linguistiche del Friuli è senza dubbio data dalla presenza secolare, per non dire millenaria, di insediamenti slavi lungo la fascia di confine orientale, quasi senza soluzione di continuità; fascia che può essere poi suddivisa nelle varie aree del Carso (o Carsia), del Collio, della Slavia Friulana (o Benecia), della Val Resia (volendo, includibile nella precedente) e della Val Canale. Certamente la migrazione più nota ed emblematica, e che ha in effetti consolidato permanentemente la presenza slava in terra friulana, fu quella favorita dai patriarchi per ripopolare la pianura a cavallo della linea delle Risorgive, resa desolata dalle ferocissime invasioni ungare tra l’898 e il 954. Ma la storia conta due imponenti flussi migratori slavi, o meglio, due stagioni di spostamento di questo popolo; questa era solo la seconda. La prima si realizzò seguitamente all’ingresso longobardo in Friuli e in Italia, ma, mentre il secondo flusso non causò disordini e si sviluppò in maniera pacifica, il primo ebbe come risultato quello di aver fatto scaturire un periodo di forti dissidi tra Slavi e Longobardi, con non pochi episodi di aperto conflitto. Gli esiti degli scontri non lesinarono disastri da ambo le parti, anche se alla fine l’azione longobarda riuscì a confinare gli Slavi ai limiti della Patria del Friuli.

Proprio per questa cruciale importanza che ebbe la difesa e la reazione longobarda nel preservare l’integrità appena costituita del territorio friulano, vale la pena ben approfondire, al pari di altre invasioni più note, le vicende che interessarono questo primo e violento contatto tra queste genti dell’Est e i nuovi padroni del Friuli: un confronto tra una civiltà slava e una germanica in territorio latino. Un mix etnico-storico che il Friuli, per la sua natura geografica, ha permesso di produrre. Buona lettura!

 

ALLE PORTE DEL FRIULI

Diacono

Paul Warnefried, nome di battesimo dello storico longobardo Paolo Diacono, originario di Cividale. Le sue cronache rappresentano un tesoro di informazioni sul Friuli longobardo e su questo popolo in generale. Qui in un codice della Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.

Lo storico udinese Francesco Prospero Antonini (1809-1884) nel suo libro “Del Friuli ed in particolare dei trattati da cui ebbe origine la dualitá di questa regione” ci racconta che nel 545 il popolo dei Vindi, antenato degli Sloveni e dominato crudelmente dagli Avari, calò dalle terre a est del Danubio nel Norico Mediterraneo, dunque alle porte della Patria, incendiando chiese ed abbazie. Altre fonti indicano invece il termine “Vendi” (presumibilmente un sinonimo) come il nome che i Tedeschi davano agli Sloveni della Carinzia. Ad ogni modo essi nel 548 occuparono la Carniola, quindi la Carinzia, venendo poi però bloccati e ricacciati indietro quando nel Tirolo Orientale si scontrarono coi Bavari del Re Tassilo, circa nel 596, che così impedirono che si compissero scorrerie slave sino in Rezia, l’antica regione a cavallo tra Alpi Centrali e Orientali. In effetti questi flussi, anche violenti, furono solo una conseguenza della volontà di questi proto-Sloveni di liberarsi finalmente dall’opprimente morsa avara. Scesi nel frattempo, seguendo l’ingresso in Italia del Re longobardo Alboino del 568, si insediarono infine, tra il 580 e il 590, nel territorio bagnato dai fiumi Drava, Sava e Mura, quindi grossomodo nel cuore dell’attuale Slovenia, ma anche nella Valle del Gail (detta anche Valle Giulia) e nell’Alto e Medio Isonzo. Ma mancavano ancora le terre sul Golfo di Trieste, quindi Carso e Istria settentrionale, che infatti cominciarono ad essere popolate da Sloveni dopo l’emanazione dell’editto del 619, col quale l’Imperatore d’Oriente Eraclio consentiva la nascita di colonie slave in territori bizantini. Questa nuova e bellicosa popolazione si era ormai stabilita presso i confini del neonato Ducato del Friuli. Tuttavia lo storico cividalese dei Longobardi Paolo Diacono (720-799), noto intellettuale presso la corte di Carlo Magno, non sembra aver fatto cenno in nessuna sua opera alla vicinanza degli Slavi a Cividale, nonostante lo storico bujese Gian Domenico Guerra (1703-1779), posteriore di mille anni, nel suo “Otium forojuliense”, opera che raccoglie trascrizioni di documenti pubblici e privati sulla storia friulana, faccia riferimento a un’antica relazione cividalese che dice: “il monte che occupa il Settentrione, ed il Levante (del territorio di Cividale) é abitato dai Schiavi, così chiamati fino da Paolo Diacono, de’ Schiavi o Illirici di Dalmazia”. “Schiavi” altro non era che l’arcaico nome attribuito agli Slavi. Un importante indizio certamente vero è la lettera (del 598) che Papa Gregorio Magno (540-604) inviò al clero dell’Istria in merito alle incursioni degli Sloveni anche in quella regione. Il riferimento alla loro imminente calata in Italia, e quindi in Friuli, è evidente: “affligor in his, quoniam in vobis patior; conturbor, quia per Istriæ aditum jam in Italiam intrare coeperunt”. C’è infatti da ribadire che queste violente razzie, nonostante non avessero ancora investito il fiero Friuli longobardo, non furono contrassegnate affatto da incontri amichevoli tra le civiltà. Anzi il paganesimo slavo produsse vere e proprie devastazioni in molte località a danno delle testimonianze cristiane, tanto che per due secoli, ove regnarono gli Slavi, non ve ne saranno.

valli

Nelle Valli del Natisone si stanziarono genti slave già nelle prime fasi della dominazione longobarda. Non rappresentarono sempre il confine orientale del Ducato, che in alcuni periodi si estendeva anche più a est, ma erano vitali per bloccare eventuali minacce verso Cividale, capitale del Ducato.

Parrebbe dunque che le genti slave insediatesi sino ai confini della Friuli provenissero dalla vicina Carinzia e Carniola, ma un paio di elementi compromette almeno in parte questa che sembrava una verità ovvia. Già secondo la tradizione radicata proprio nelle terre slave del Friuli, queste genti discenderebbero da Slavi originari della Dalmazia o della Bosnia-Erzegovina, piuttosto che della Carinzia e della Carniola (un tempo detta anche Cragno). E siccome le tradizioni non sono mai campate in aria, ecco subito un riscontro linguistico: un addolcimento nella pronuncia. Gli slavi a nord-est del Friuli dicono latte mleco e fiume reka, mentre quelli del Centro Adriatico fanno mlieco e rieka. Quest’ultimo termine, poi, è facilmente individuabile a livello toponomastico proprio nella regione di cui ci stiamo occupando. “Rieka”, che letteralmente vuol dire “fiume” (vedi per esempio la famosa città, oggi croata, sul Golfo del Quarnaro), nelle Valli del Natisone indica nello specifico proprio tre corsi d’acqua; per cui è come se questi letteralmente si chiamassero “Fiume Fiume” (anche se in realtà si tratta di torrenti e nulla più), una tautologia in pratica, e uno di questi, il più occidentale, dopo essere nato in località Bocchetta di Calla, si inserisce nel Chiarò esattamente nel punto in cui sorgono, non a caso, i Casali Rieca, in Comune di Torreano. Altra similitudine con gli slavi più del sud è la terminazione in “-ac” e in “-ar” di alcune parole, anziché in “-ec” e in “-er”. Lo storico cividalese Carlo Podrecca (1839-1916) ci racconta che alcuni montanari della Benecia, in seguito all’annessione asburgica della Bosnia-Erzegovina (1908), nel recarvisi per adempiere ai loro commerci, notavano la presenza di nomi, nelle famiglie e nei paesi, identici ad alcuni delle loro terre, cosa che non avevano riscontrato nella molto più vicina Carinzia, per esempio. Uno di questi era “Gabrovizza”, toponimo di una certa frequenza se pensiamo che oltre al nostro paese, nei pressi di Cepletischis, esiste una località col medesimo nome anche in Comune di Sgonico, sul Carso triestino, ma anche nel Carso sloveno in Comune di Comeno e in quello di Capodistria. Ma è proprio possibile che le nostre genti di origine slava siano tutte derivate da popoli provenienti da regioni a centinaia di chilometri a sud-est? Rimanendo concentrati sulle Valli, in realtà deve esserci stata una combinazione di due migrazioni, l’una effettivamente irradiatasi dalla Dalmazia, dalla Bosnia e dall’Erzegovina, e l’altra dalle confinanti Carinzia e Carniola. A dimostrarlo ci sarebbero differenze etniche tra la valle di San Pietro e quella di San Leonardo, che suggerirebbero che presso la prima fossero giunti gli Slavi cragnolini, mentre presso la seconda e nel territorio di Prepotto, già Val Judrio, quelli dalmato-bosniaci...continua qui https://forumjuliiblog.wordpress.com/2017/11/18/le-guerre-tra-slavi-e-longobardi/

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