Quanto segue è una documentazione pubblica.
O meglio: lo era stata, prima che la disgregazione della Repubblica Federativa di Jugoslavia portasse anche alla distruzione di buona parte della documentazione sulla Resistenza.
Distruggere il patrimonio ideale, documentale e monumentale di uno dei più forti movimenti partigiani europei aveva un senso preciso nella strategia dei nazionalismi che si spartirono negli anni ’90 del 20° secolo la Jugoslavia. La Resistenza era l’episodio fondativo della Repubblica federativa socialista, era stata il movimento egemonizzato dal Partito Comunista di Tito, Kardelj, Gilas, Rankovic e degli altri dirigenti della nuova Jugoslavia. Un movimento che liberò praticamente da solo quel paese, combattendo duramente contro i troppi fascisti occupanti che lo avevano martirizzato dal 1941 al 1945 (italiani, tedeschi, ungheresi, rumeni, bulgari, albanesi), ma anche contro le milizie indigene degli ustaša croati, četnici serbi, belogardisti sloveni ed SS musulmani bosniaci.
La documentazione fotografica che pubblichiamo era conservata in una biblioteca pubblica dell’ex Jugoslavia, e fu salvata dalla distruzione da un cittadino di quel paese, diventato esule come centinaia di migliaia di altri. Ci è giunta attraverso un amico, il sindacalista della Cgil pordenonese Claudio Petovello, che ha avuto l’idea di riprodurre le fotografie.
I protagonisti delle immagini sono quasi sempre militari italiani impegnati nell’uccisione di massa di civili jugoslavi (cfr. anche la documentazione contenuta in altro luogo in questo stesso sito: http://www.storiastoriepn.it/quante-volte-ragazze-croate-guardavate-i-bersaglieri-italiani-come-fosse-il-demonio-le-foto-del-bersagliere-riccardo-lorenzon-durante-loccupazione-italiana-della-jugoslavia/). Solo in una minoranza dei casi qui documentati gli assassini sono soldati germanici.
Il materiale fotografico è corredato da una classificazione che lo colloca tra quello raccolto dalle autorità jugoslave nel dopoguerra, per l’identificazione dei criminali invasori e dei loro aiutanti. Un’azione di giustizia che, con la complicità delle autorità dei vari paesi coinvolti nel conflitto, in primo luogo i governi dell’Italia postbellica, non è mai stata fatta. Lasciando così libero spazio alle rivendicazioni nazionalistiche ed al revisionismo e negazionismo storico.
Le foto non sono sempre corredate da una apposita didascalia. Quelle che c’erano, le abbiamo riprodotte tra virgolette « ». Successivamente alla pubblicazione, abbiamo ricevuto alcune richieste di chiarimento, che ci hanno indotto ad approfondire l’origine delle foto. Cosa che si è rivelata possibile per la maggioranza di esse, anche se non ancora per tutte.
Utili, oltre alle segnalazioni di alcuni studiosi con cui siamo in corrispondenza, sono i quattro ponderosi volumi fotografici Fotografski dokumenti o boju Komunistićne Partije Slovenije, Ljubljana, Inštitut za zgodovino delavskega gibanja in muzej ljudske revolucije, 1959-1964, rintracciati nella sorprendente biblioteca personale di Mario Bettoli.
Infine, un gruppo di altre foto è stato identificato grazie al catalogo della mostra Una lunga notte 1942-1945. La collezione Erminio Delfabro, edita dal Comune di Gradisca d’Isonzo e dal Centro isontino di ricerca e documentazione storica e sociale “Leopoldo Gasparini” (Gorizia, 2001, a cura di Dario Mattiussi, Luciano Patat e Marco Puppini). In questo caso, si tratta di una selezione delle foto che il fotografo partigiano gradiscano raccolse, dapprima riproducendo clandestinamente i rullini dei soldati tedeschi portati a sviluppare nel laboratorio del (pure antifascista) Valentino Zuliani presso cui lavorava, e poi continuando il lavoro di documentazione con i reparti partigiani e nel dopoguerra in Jugoslavia, presso la sezione fotografica dell’ufficio informazioni della Presidenza del Consiglio della Repubblica popolare di Slovenia, ove «collabora[va] alla raccolta di prove fotografiche sulle atrocità compiute da fascisti e nazisti in Slovenia» (Una lunga notte, cit., p. 14).
Gian Luigi Bettoli