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GINEVRA E ODORICO

 


Ginevra di Strassoldo era una bellissima ragazza e seppur ancora molto giovane era già stata promessa sposa a Federico di Cuccagna.

L’accordo delle due famiglie prevedeva il matrimonio dei rispettivi figli quando questi sarebbero divenuti più grandi. Gli anni passarono velocemente, ma quando giunse il tempo delle nozze, Ginevra dichiarò il suo amore per il conte Odorico di Villalta conosciuto poco tempo prima ad un ballo.

Il padre di Ginevra, volendole assai bene, acconsentì al matrimonio con il conte rompendo così l’accordo con i Cuccagna. Era il 1344 quando Ginevra di Strassoldo e Odorico di Villalta convolarono a nozze. Per il matrimonio Ginevra preparò tutti i suoi bagagli e partì alla volta del castello di Villalta. Giunta però alle porte del maniero fu imprigionata da Federico di Cuccagna che sentitosi tradito aveva assediato il castello e scacciato Odorico. Federico non riuscì però ad usare violenza su Ginevra, poichè narra la leggenda, la giovane fanciulla si tramutò in una statua di marmo.

Nel frattempo Odorico aveva radunato un gruppo di cavalieri a lui fedeli che lo aiutarono a riprendere il castello ed uccidere il rivale.

Odorico si mise alla ricerca di Ginevra: in una stanza della torre trovò una statua di pietra, che assomigliava in tutto per tutto a Ginevra. In lacrime abbracciò la statua che riprese le fattezze umane. La felicità dei due sposi non durò però a lungo. Odorico infatti partì in guerra non facendo più ritorno. Ginevra non smise mai di aspettarlo tanto che ancora oggi si narra che nelle notti di luna piena è possibile sentire i lamenti della bella ma sfortunata ragazza.

testo e immagine dal web

 

La leggenda della Bora


 Impossibile non menzionare la Bora parlando di questa bellissima regione, che ospita la straordinaria città di Trieste. Proprio su questo forte vento, che influisce pesantemente sul clima locale, c’è una famosa leggenda.

Vento padre dei venti, che era solito girare il mondo in compagnia dei suoi figli. Tra questi vi era Bora, la più bella. Un giorno giunsero ad un altopiano verdeggiante, che ripido scendeva verso il mare. La bella Bora cominciò a giocare con le nuvole, allontanandosi dal padre e dai suoi fratelli. Trovò una caverna e senza alcun timore, proprio come un bimbo che gioca immerso nella natura, vi entrò. Fu così che incontrò un uomo, essere che Bora non aveva mai visto prima: si trattava dell’argonauta Tergesteo. Fu amore a prima vista. I due giovani vissero felici in quella grotta sette giorni di amore e di travolgente passione.

Bora non avvisò il padre Vento, che preoccupato aveva già iniziato a cercare la prediletta figlia. Dopo alcuni giorni di ricerche la trovò e vedendola abbracciata a Tergesteo si arrabbiò a tal punto che si scagliò contro l’uomo, lo gettò con violenza contro le pareti della grotta, uccidendolo. Bora scoppiò in un singhiozzo talmente disperato che ogni sua lacrima iniziò a trasformarsi in pietra. Fu così che il prato verde dell’altopiano venne completamente ricoperto da un manto di pietre: ecco spiegata anche la formazione del Carso, da un punto da un punto di vista leggendario.

l padre Vento ordinò a Bora di ripartire, ma lei distrutta dal dolore non ne volle sapere. Così Odino ordinò a Vento di ripartire da solo e di lasciare la figlia nel luogo che aveva visto nascere e morire il suo grande amore. Madre Natura, dispiaciuta per la morte di Tergesteo fece nascere il sommacco, che da allora colora di rosso l’autunno carsico. È stato il sangue del giovane ad impietosire Madre Natura.

Mare ordinò a Onde di ricoprire il corpo di Tergesteo di conchiglie, stelle marine e alghe, dando vita, nel tempo, ad una collina sulla quale gli uomini costruirono un Castelliere, che, ingrandendosi, divenne città chiamata Tergeste in ricordo di Tergesteo, oggi Trieste. Ancora oggi Bora si trova qui perché Terra le concesse di regnare sul luogo della sua disperazione e Cielo di rivivere ogni anno alcuni giorni del suo amore: sono proprio questi i giorni in cui la bora soffia impetuosa. Oggi, si parla di bora “chiara” quando Bora è fra le braccia del suo amore; “scura” quando attende di incontrarlo.

https://www.ilcomuneinforma.it/viaggi/7295/leggende-del-friuli-venezia-giulia/#La_leggenda_della_Bora


Leggenda del Castello di Gemona

 


Un edificio suggestivo, costruito sopra uno sperone roccioso a guardia dell’antica strada che collegava l’Adriatico alle Regioni Danubiane. Il bellissimo Castello di Gemona ha subito grossi danni a causa del terremoto del 1976, ma grazie ad una mirata opera di ricostruzione, è tornato al suo originario splendore. La posizione è davvero suggestiva e permette di godere di un panorama a dir poco stupendo: la pianura friulana si distende al suo cospetto, protetta dalla sua maestosità.

Sul castello si tramanda una misteriosa leggenda, che lo ha reso ancor più famoso. Molto tempo fa, un ambulante giunse a Gemona in una notte d’estate e non avendo soldi si fermò a dormire sotto il Palazzo del Comune. A mezzanotte, però, venne svegliato da strani rumori. Una strana voce gli sussurrò: “se hai coraggio domani sera a quest’ora fatti trovare nuovamente qua”.

La notte seguente l’ambulante si recò nuovamente lì e udì ancora la misteriosa voce: “vieni con me alla torre del Castello: li dovrai gettare un sasso e poco dopo vedrai una tremenda bestia a cavallo di una cassa con una chiave in bocca; non dovrai spaventarti, il tuo compito sarà quello di strappare la chiave al mostro prima che scocchi l’una di notte”.

L’ambulante, leggermente timoroso, non si tirò indietro e fece quanto richiesto ma proprio quando sembrava avercela fatta scoccò l’una. La missione era fallita e la bestia e la cassa scomparvero tra le fiamme. La povera anima disse così all’ambulante: “avevo la speranza di essere liberata da te; purtroppo ora dovrà nascere un nuovo albero da cui ricavare la culla per un altro uomo che possa avere maggior fortuna”.

L’anima ancora oggi non è stata liberata: chi sarà il prossimo uomo al quale chiederà di essere liberata?

Una leggenda che fa parte della tradizione popolare e che da secoli incanta grandi e piccini. Prima o poi, un uomo forte e astuto riuscirà nell’impresa: l’anima potrà manifestarsi e il mistero sarà risolto.https://www.ilcomuneinforma.it/viaggi/

i giorni della merla


 I tre giorni della merla (29 – 30 – 31 Gennaio) sono considerati i giorni più freddi dell’anno. Se sono freddi, la primavera sarà bella, se sono caldi la primavera arriverà tardi

Una leggenda dice che lo scherzoso mese di gennaio desse fastidio a una merla bianca facendo venire il freddo ogni volta che l’uccello usciva a recuperare cibo. La merla gli chiese di essere più breve (allora gennaio aveva 28 giorni), ma non lo convinse. L’anno successivo fece scorta di cibo e restò nel nido per tutto il tempo e il 28esimo giorno si burlò di gennaio. Questo, per vendicarsi, chiese tre giorni a febbraio e scatenò una bufera. La merla si nascose in un comignolo, si salvò, ma le sue piume diventarono nere come sono attualmente. Simile quella che racconta di un’intera famiglia di merli costretta a ripararsi vicino a un comignolo.

LE KRIVAPETE

 https://www.krivapete.eu/#portfolio

VISITA IL SITO MOLTO INTERESSANTE

Samuele Madini, CC BY-SA 4.0 <https://creativecommons.org/licenses/by-sa/4.0>, via Wikimedia Commons

La 
Krivapeta è una figura mitologica delle tradizioni popolari delle Valli del Natisone.La Krivapeta è un personaggio mitico che compare nelle leggende raccontate dagli abitanti della Slavia veneta[1]. Essa non è una strega, ma viene rappresentata come una donna che vive isolata dalla gente, abita in grotte o anfratti, vicino ai torrenti, ed ha la particolarità di avere i piedi ritorti (con il tallone all'avanti e le dita dietro), difetto da cui prende origine il nome di Krivapeta (dallo sloveno kriv = curvo, ritorto e peta = tallone) [2].

Le Krivapete vengono descritte come donne dai capelli verdi che ricoprono loro le spalle e vestite di bianco. Sono donne diverse e dotate di una grande ed intollerabile autonomia, di particolare capacità e cultura, fornite del privilegio della preveggenza, trasgressive e selvagge, a conoscenza delle virtù delle erbe e dell'evoluzione del tempo. Le Krivapete possono essere cattive con gli uomini oppure buone e pronte a dare loro consigli su come realizzare cose ancora ignote ed a suggerire ai contadini i momenti più adatti alla semina, al raccolto ed alle altre attività della campagna. In cambio dell'aiuto però possono richiedere di portare via i bambini piccoli in quanto alcune sono crudeli e cannibali[3][4].

Le Krivapete sono quindi delle creature leggendarie del mondo del fantastico e dell'immaginario del popolo delle Valli del Natisone, che, con esse, andava ad arricchire le fiabe che i nonni raccontavano ai nipotini davanti al focolare.

Bisogna notare che le Krivapete, come gli altri spiritelli e mostri della mitologia slovena quali gli Skratiaci, i Benadanti, i Lintver, vengono sempre associati a caverne, precipizi e torrenti[5] ossia a località potenzialmente rischiose per la vita dei bambini. I racconti dei nonni, con la loro atmosfera paurosa, servivano quindi, in tempi in cui i giovani giocavano per lo più nei prati e nei boschi, a far sì che i piccoli si tenessero lontani dai luoghi pericolosi[1

LA NASCITA DEL CARSO

 

Il Friuli Venezia Giulia, regione situata nel Nord Italia, nasconde varie leggende, tra cui quella del Carso. Il Carso è una terra arsa di sassi, rocce, spine, priva d’acqua, vegetazione, persone. Terra di sofferenza per migliaia di nostri soldati che vi combatterono durante la Guerra Mondiale. L’arsura del Carso ha dato il nome a questa popolare leggenda.

Si racconta che un giorno il Signore camminava con San Pietro faticosamente per attraversare la paurosa pietraia. Erano entrambi poveri e avevano un asinello caricato di semplici provviste: pane, acqua, formaggio e un po’ di pesce secco. Fin dal mattino avanzavano per la balze e le rupi, cercando qualche creatura in pena da consolare. Erano stanchi e stufi, così fu tempo di mangiare. San Pietro mise il suo mantello su un sasso per dare al Signore una specie di sedile. Poi cercò le provviste attaccate all’asinello, ma il formaggio non c’era. “Signore”, esclamò, “ce l’hanno rubato”. E il Signore ebbe un lampo di sdegno: perché rubare a lui che era sempre pronto a donare?. Allora Gesù disse: “Pietro, d’ora in poi chiunque abiterà nel Carso avrà scarsezza d’acqua perché così mai più deve estinguersi la sete di colui che ci rubò il nostro umile cibo”. Da allora, si racconta, il Carso fu aspro, sassoso, senza ombra e senza sorgenti.

da https://www.ilcomuneinforma.it/viaggi/7295/leggende-del-friuli-venezia-giulia/

LEGGENDA DI CARNEVALE

 

CARNEVALE

 Carnevale era un Re, potente e generoso.

dal web

Le porte del suo palazzo erano sempre aperte e

chiunque poteva entrare nelle cucine della reggia

 e saziarsi a volontà.

Ma i sudditi  approfittarono del suo buon

cuore e a poco a poco si presero tanta confidenza,

da costringere il povero re a non uscire più dal suo

palazzo per non essere fatto oggetto di insulti.

Quindi si ritirò in cucina e lì rimase nascosto,

mangiando e bevendo in continuazione.

Ma un  giorno,era sabato, dopo essersi saziato ed abbuffato

,cominciò a sentirsi male.

Grasso come un pallone,il volto paonazzo ed il ventre

gonfio, capì che stava per morire per la sua ingordigia.

Tutto sommato era felice per la vita allegra che aveva

condotto, ma non voleva andarsene così, solo,

abbandonato da tutti.

Si ricordò allora di avere una sorella, una donnina

fragile, snella , di nome Quaresima,

che lui, un giorno, aveva cacciato di corte.

La mandò a chiamare e lei, generosa, accorse;

gli promise di assisterlo e farlo vivere altri tre giorni,

domenica, lunedì e martedì, ma in cambio pretese di

essere l’erede del regno.

Re Carnevale accettò e passò gli ultimi tre giorni della

sua vita divertendosi il più possibile.

Morì la sera del martedì e sul trono, come

precedentemente avevano stabilito, salì Quaresima.

Per risollevare l’economia del regno, lavorò duro e

grosse penitenze furono le caratteristiche del suo

governo.

In molti paesi  oggi la Quaresima  è rappresentata

da una “pupattola” appesa ai balconi delle abitazioni.

E’ una bambola di pezza, raffigurante una vecchia magra e

brutta, con un fazzoletto in testa.

L’abito è spesso realizzato con la stoffa nera .

Alle gambe della bambola è appesa un’arancia, in cui

sono infilate 7 penne di gallina, da sfilarsi una ogni

domenica che precede la Pasqua.

da https://balbruno.altervista.org/index-1981.html

I GIORNI DELLA MERLA

da wikipedia

 29-30 e 31 gennaio secondo la leggenda dovrebbero essere i giorni più freddi dell'anno.

Un tempo i contadini del Friuli osservavano le condizioni meteorologiche dei tre giorni della merla e, sulla base di esse, facevano le previsioni sul tempo dei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Se il 29 era molto freddo e soleggiato anche l'ormai passato gennaio, era stato per la maggior parte dei giorni freddo ma soleggiato, mentre se il 30 era piovoso e più mite, anche la maggior parte del mese di febbraio sarà piovoso e le temperature saranno più miti. 

Una volta i merli erano tutti bianchi.Si narra che una merla con i suoi piccoli si rifugiò in un camino.Terminato il freddo uscì,ma gli uccelli erano tutti neri di fuliggine e non furono riconosciuti dai loro simili.

Questa è una leggenda che mi raccontò la mia maestra delle scuole elementari.Oggi non so se la raccontano ancora.

proverbio friulano

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Se ‘l è biel il dì di San Giâl ‘lè biel fin a Nadâl” ovvero se c’è bel tempo il giorno di San Gallo (il 16 ottobre) è bello poi fino a Natale”

San Gallo (Irlanda550 circa – Arbon16 ottobre 645) è stato un monaco cristianomissionario e scrittore irlandese ed è venerato come santo dalla Chiesa cattolica.
San Gallo, che secondo alcune fonti nacque tra il 532 e il 560 e morì nel 627 o fra il 646 e il 650, svolse principalmente la sua attività di monaco colombaniano nei dintorni del lago di Costanza.

La leggenda dell'orso[modifica | modifica wikitesto]

L'orso di San Gallo nello stemma della città omonima

Una nota leggenda su san Gallo vuole che un fatto straordinario avesse avuto luogo presso queste cascate. Mentre il compagno di San Gallo, Hiltibod, dormiva, quegli era già sveglio quando improvvisamente gli si parò innanzi un grosso orso. San Gallo non si lasciò intimidire da quell'apparizione: egli ordinò all'orso, in nome del Signore, di gettare un pezzo di legno nel fuoco. L'orso ubbidì e gettò il pezzo di legno nel fuoco. San Gallo deve aver infine dato all'orso una pagnotta, a condizione che non si facesse più vedere. Hiltibod, che nel frattempo si era svegliato ed aveva visto ed udito tutto, disse a San Gallo: Ora so che il Signore è con te, se persino gli animali della foresta ubbidiscono alla tua parola. L'orso non si fece poi più vedere. Nell'interpretazione di questa leggenda l'incontro di San Gallo con l'orso fu un segno al missionario pellegrino di stabilirsi quel luogo e vincere le forze della natura.[2]

La leggenda del mostro di Loch Ness[modifica | modifica wikitesto]

C'è un'altra leggenda riguardo a san Gallo, descritta nei libri della tradizione scozzese.[senza fonte] Si dice che San Colombano, che nel 565 con i suoi seguaci giunse nelle Highlands per convertire al cristianesimo gli scozzesi, abbia partecipato per puro caso ad una cerimonia funebre presso il Loch Ness. Il morto fu afferrato all'amo da un mostro sul lago. San Colombano mandò un suo seguace (forse proprio San Gallo) sul luogo dell'incidente. Immediatamente il mostro emerse dai flutti. Non disturbare più questa gente! Ritorna immediatamente giù di dove sei venuto! ordinò il santo e fece il segno della croce. Il mostro obbedì e tutti i testimoni di questo miracolo si convertirono alla fede cristiana...


da https://it.wikipedia.org/wiki/San_Gallo_(monaco)

Non ti scordar di me

 


Un dì il Signore

dall’alto vide
la terra brulla e spoglia
cos’ gli venne voglia
di rivestire
di fiori
le spiagge, i colli
i monti e le pianure.

Tosto, per incanto
le margherite, i botton d’oro
rossi papaveri ed azzurri fiordalisi
le mammole ed i narcisi
l’erica e la ginestra
crebbero in tutto il mondo.

Ma poichè ogni pianta
ha bisogno di un nome
per far giusta distinzione
ad un angelo ordinò
in terra di volare
e dei nomi far distribuzione.

-Rosa-disse-giaggiolo
viola, serenella
anemone, mughetto, fior di leone
papavero, glicine, giglio, genzianella
convolvolo, narciso, fior della passione.

Quand’ebbe finito
di recitar
l’ultima strofa
del suo rosario di soavi nomi
e presso il Signor
s’accingeva a tornar
una flebile voce lo supplicò:
-Buon Angelo manco io
non ti scordar di me, mio Dio!-

Era un’ umile piantina
che essendo piccolina
dalle frasche nascosta
non era stata vista.

Trattenne l’angelo il volo
vide la piantina esile
e sorrise:
Non aver paura
. Non- ti – scordar. di- me
sarà il tuo nome
simbolo tu sarai
di amicizia sincera e duratura.

https://www.poesieracconti.it/poesie/opera-80163

I veri Romeo e Giulietta erano friulani

 


E' ormai appurato che Shakespeare scrisse la famosa tragedia ispirandosi ad una novella di Luigi Da Porto. La novella, dedicata all'amore di Giulietta e Romeo, fu composta probabilmente intorno al 1524, quindi pubblicata per la prima volta nel 1530-1.

Luigi Da Porto, nasce a Vicenza nell'anno 1485, da Bernardino Da Porto e da Elisabetta Savorgnan, sorella del più noto Antonio personaggio di spicco della nobiltà friulana. Entrato a far parte, con il grado di comandante, nell'esercito della Serenissima, si trovò presto di stanza in Friuli. Sarà proprio a Udine, durante una festa in maschera alla residenza dei Savorgnan (a quel tempo ancora situata presso l'attuale Piazza Venerio), che conoscerà Lucina Savorgnan Del Monte, sua lontana cugina. L'incontro avvenne il 26 febbraio 1511, al debutto in società di Lucina, ormai quindicenne. Il Da Porto se ne innamorò perdutamente.

L'amore, da subito non fu facile, soprattutto a causa dell'inasprimento del conflitto sociale che Udine stava vivendo in quei giorni e che porterà, il giorno seguente (27 febbraio 1511), alla feroce rivolta della "crudel zobia grassa", durante la quale furono trucidati gli avversari politici dei Savorgnan. In segreto, Lucina e Luigi, si fecero comunque promessa di matrimonio. Promessa che non venne però mai concretizzata, poichè nella notte tra il 18 e il 19 giugno del 1511, il Da Porto, durante uno scontro con le milizie austriache presso il fiume Natisone, venne ferito al collo da un colpo di lancia che lo lasciò paralizzato sul fianco sinistro. Si ritirò dunque nella sua villa di Montorso Vicentino, dove apprese la notizia delle nozze combinate tra la sua amata e il cugino Francesco Savorgnan Della Torre.

Distrutto dal dolore, decise di scrivere una novella dedicandola alla propria amata. Un racconto a tratti autobiografico che per ragioni di prudenza fu ambientato nel Trecento a Verona.  La vicenda è così trasportata ai tempi di Bartolomeo della Scala, nel 1301-1304.

Alcuni studi hanno dimostrato l'inconsistenza storica dei protagonisti nella Verona del Trecento, mettendo al contrario in evidenza diverse corrispondenze geografiche del racconto con la zona dell'antica Contrada Savorgnan a Udine. Interessante da questo punto di vista è la lettura del libro "Giulietta e Romeo. L'origine friulana del mito." di Albino Comelli e Francesca Tesei edito da L'Autore Libri Firenze.

Ad ogni modo dopo circa settanta anni, William Shakespeare lesse la novella in traduzione inglese e riprendendone la trama portò alla ribalta il dramma "Romeo and Juliet".

da http://www.friulani.net/

IL PONTE DEL DIAVOLO DI CIVIDALE



Quando a Cividale si dovette costruire un ponte sul Natisone nessun architetto ebbe il coraggio di assumersi l’opera. Allora il diavolo si dichiarò disposto a farlo. In compenso, però, chiese l’anima di colui che per primo fosse passato per il ponte. Il Consiglio della città, dopo lunghe esitazioni, stipulò l’accordo e Satana si mise al lavoro con i suoi aiutanti. Sua nonna, una vecchia diavolessa, portò nel grembiule il blocco di roccia su cui poggia il pilastro principale e centrale del ponte. Egli stesso prese delle grosse pietre dalle montagne vicine e finì l’opera prodigiosa in una sola notte.
Quando si fece giorno i cittadini di Cividale fecero passare per primo sul ponte un cane. Secondo il patto, il diavolo dovette accontentarsi di quell’anima canina.

Da "Leggende del Friuli e delle Alpi Giulie" di Anton von Mailly 
da fb

I giorni della merla

 


I cosiddetti giorni della merla sono, secondo la tradizione, gli ultimi tre giorni di gennaio (29, 30 e 31) oppure gli ultimi due giorni di gennaio e il primo di febbraio. Sempre secondo la tradizione sarebbero i tre giorni più freddi dell'anno. Le statistiche meteorologiche disponibili dicono che dopo la prima decade di gennaio in realtà si osserva una tendenza all'aumento della temperatura 

 Un tempo i contadini del Friuli osservavano le condizioni meteorologiche dei tre giorni della merla e, sulla base di esse, facevano le previsioni sul tempo dei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Se il 29 era molto freddo e soleggiato anche l'ormai passato gennaio, era stato per la maggior parte dei giorni freddo ma soleggiato, mentre se il 30 era piovoso e più mite, anche la maggior parte del mese di febbraio sarà piovoso e le temperature saranno più miti.

La leggenda, una merla, con uno splendido candido piumaggio, era regolarmente strapazzata da gennaio, mese freddo e ombroso, che si divertiva ad aspettare che lei uscisse dal nido in cerca di cibo, per gettare sulla terra freddo e gelo. Stanca delle continue persecuzioni, la merla un anno decise di fare provviste sufficienti per un mese, e si rinchiuse nella sua tana, al riparo, per tutto il mese di gennaio, che allora aveva solo ventotto giorni. L'ultimo giorno del mese, la merla, pensando di aver ingannato il cattivo gennaio, uscì dal nascondiglio e si mise a cantare per sbeffeggiarlo. Gennaio se ne risentì così tanto che chiese in prestito tre giorni a febbraio e si scatenò con bufere di neve, vento, gelo, pioggia. La merla si rifugiò alla chetichella in un camino e lì restò al riparo per tre giorni. Quando la merla uscì, era sì salva, ma il suo bel piumaggio si era annerito a causa della fuliggine del camino, e così essa rimase per sempre con le piume nere.

Sempre secondo la leggenda, se i giorni della merla sono freddi, la primavera sarà bella; se sono caldi, la primavera arriverà in ritardo.

da wikipedia

La leggenda del vischio

 


C'era una volta, in un paese tra i monti, un vecchio mercante. L'uomo viveva solo, non si era mai sposato e non aveva piu' nessun amico.

Il vecchio mercante si girava e rigirava, senza poter prendere sonno.
Uscì di casa e vide gente che andava da tutte le parti verso lo stesso luogo. Qualche mano si tese verso di lui. Qualche voce si levò:
- Fratello, - gli gridarono - non vieni?
Fratello, a lui fratello? Lui non aveva fratelli. Era un mercante e per lui non c'erano che clienti: chi comprava e chi vendeva. Per tutta la vita era stato avido e avaro e non gli importava chi fossero i suoi clienti e che cosa facessero.
Ma dove andavano?
Si mosse un po' curioso. Si unì a un gruppo di vecchi e di fanciulli. Fratello! Oh, certo, sarebbe stato anche bello avere tanti fratelli! Ma il suo cuore gli sussurrava che non poteva essere loro fratello. Quante volte li aveva ingannati? Piangeva miseria per vender più caro. E speculava sul bisogno dei poveri. E mai la sua mano si apriva per donare. No, lui non poteva essere fratello di quella povera gente che aveva sempre sfruttata, ingannata, tradita. Eppure tutti gli camminavano a fianco. Ed era giunto, con loro, davanti alla Grotta di Betlemme.
Ora li vedeva entrare e nessuno era a mani vuote, anche i poveri avevano qualcosa. E lui non aveva niente, lui che era ricco.
Arrivò alla grotta insieme con gli altri; s'inginocchio insieme agli altri. - Signore, - esclamò - ho trattato male i miei fratelli. Perdonami.
E cominciò a piangere.
Appoggiato a un albero, davanti alla grotta, il mercante continuò a piangere, e il suo cuore cambiò. Alla prima luce dell'alba quelle lacrime splendettero come perle, in mezzo a due foglioline. Era nato il vischio.

Sneguročka-leggenda russa

Quando ero bambina mi piacevano molto le leggende e favole russe.Una di queste è Sneguročka.


 

Stabrowski-Śnieżynka.jpg
da wikipedia

Sneguročka (in russo: Снегу́рочка?, pronuncia: [sʲnʲɪˈɡurət͡ɕkə]) o Snegurka (Снегу́рка), ovvero Fanciulla di neve o Nevina (dal russo sneg, "neve") è un personaggio del folclore russo, che si ritrova in varie fiabe e leggende popolari.

A partire dall'epoca sovietica, tale figura è stata associata anche al periodo natalizio, e al Capodanno in modo particolare, dove compare come nipote del portatore di doni Nonno Gelo (Ded Moroz).[1][2][3][4]

Il personaggio, riconducibile probabilmente a credenze pagane degli antichi Slavi[1], divenne popolare nel XIX secolo grazie ad un'opera teatrale di Aleksandr Nikolaevič Ostrovskij.[1] Alla figura di Sneguročka sono state dedicate opere teatrali e musicali, film, ecc.[2]Sneguročka viene descritta come una bella ragazza dai capelli biondi a treccia, che porta un vestito azzurro bordato di pelliccia.[3]

Secondo la leggenda, Sneguročka sarebbe la figlia della Primavera e dell'Inverno[2] e fa la propria comparsa d'inverno, per poi fare ritorno nel lontano nord durante l'estate.[3] A lei è impedito di amare: se dovesse innamorarsi, il suo corpo si scioglierebbe come neve.[2]

Come accompagnatrice di Nonno Gelo, vive insieme a lui a Velikij Ustjug e distribuisce regali ai bambini.


Una leggenda[1] racconta che Sneguročka era la figlia di due persone che non riusciavano ad avere figli e, per questo motivo, decisero di "fare" una figlia con della neve.[1] Un giorno, Sneguročka, che d'estate si sentiva sempre triste, andò in un bosco con altre ragazze per raccogliere dei fiori; le ragazze accesero poi un falò, attorno al quale si misero a saltare: lo fece anche Sneguročka, che però si sciolse diventando una nuvola.[1]

Un'altra leggenda[5] racconta che Sneguročka era la figlia della Fata Primavera e del Vecchio Inverno e che Jarilo, il Sole, l'aveva condannata a morire se mai si fosse innamorata di qualche ragazzo; per questo motivo, viene tenuta a lungo nascosta dalla madre. Un giorno però Sneguročka conosce Mizgir', il fidanzato della sua migliore amica e se ne innamora, ricambiata: questo sentimento però costa la vita a Sneguročka, che si scioglie colpita da un raggio di sole; Mizgir', affranto dal dolore, decide di togliersi la vita, gettandosi in un lago.

https://it.wikipedia.org/wiki/Sneguro%C4%8Dka

L' AGRIFOGLIO PIANTA NATALIZIA


 L'agrifoglio è una delle piante di Natale che addobbano le case: ma sai che significato ha? Scoprilo insieme a noi!

L'agrifoglio è un arbusto spontaneo: presenta foglie di color verde scuro che possono avere diverse intensità e striature. L'elemento che lo contraddistingue maggiormente sono le sue bacche di colore rosso acceso. Queste lo rendono una pianta la cui iconografia è famosa in tutto il mondo.

Non tutti sanno che da sempre l'agrifoglio è considerata una pianta magica. C'è infatti un'antica usanza che suggerisce di piantare l'agrifoglio proprio vicino l'ingresso della propria casa per tenere lontani gli spiriti malvagi. Proprio le foglie pungenti dell'agrifoglio erano considerate le armi migliori per allontanare tutte le presenze maligne. Partendo da questo elemento l'agrifoglio è stato successivamente considerato una pianta ben augurante. Infatti nel periodo romano era generalmente regalato ai novelli sposi in segno di buon augurio per la nuova vita di coppia.

Questo elemento positivo dell'agrifoglio è rimasto inalterato nel corso dei secoli ed è stato collegato al Natale. Ma chi furono i primi ad utilizzarlo nel periodo natalizio? Pare che la tradizione derivi dall'Irlanda, proprio nell'isola di Oscar Wilde si iniziò ad utilizzare questa pianta per abbellire le case in occasione del Natale. Successivamente l'usanza si diffuse in tutta l'Europa.

 

LA LEGGENDA SCANDINAVA DELL'AGRIFOGLIO

 

Nei paesi scandinavi c'è un'antica leggenda che narra la nascita dell'agrifoglio. Il Dio Odino ebbe un figlio a cui era molto legato, il suo nome era Baldur. Durante una battaglia venne ferito gravemente da un dardo. Quando fu colpito si accasciò su un agrifoglio e spirò. Odino volle omaggiare questa pianta che aveva accolto il sangue del proprio figlio morente: decise di trasformarla in una pianta sempreverde e di regalarle tante bacche di colore rosso per ricordare l'eroico sacrificio compiuto dal figlio. Proprio l'intervento del dio Odino conferì questo elemento "magico" all'arbusto che è rimasto legato alla pianta di agrifoglio come pianta portatrice di buoni auspici.




AGRIFOGLIO E CRISTIANESIMO

 

Anche nella religione cristiana l'agrifoglio ha un significato metaforico molto forte. Le foglie sono il simbolo delle spine che cingevano la testa di Gesù e le bacche rosse ricordano il sangue versato sulla croce e la rinascita dopo la morte. Portarlo sulle tavole nel periodo natalizio significa ricordare il sacrificio di Gesù e offrire ai nostri cari un pensiero benaugurante per le festività natalizie ed il nuovo anno!

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