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IVAN TRINKO padre della Benecia

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26 ago 2020

‘Ascoltare il mondo’ con i suoni del quotidiano

 


Dal 16 agosto e fino al 5 settembre, nelle Valli del Natisone e nelle alte Valli del Torre è in corso un’operazione culturale molto particolare ad opera di Radio France International, l’importante emittente con sede a Parigi ma che conta in tutto il mondo più di 1.400 stazioni radio-partner che diffondono i suoi programmi, con una media di 41 milioni di ascoltatori a settimana.

Il progetto in corso nel Friuli Orientale nasce grazie alla collaborazione tra la giornalista italo- francese Monica Fantini e Stazione di Topolò. ‘Ecouter le monde/Ascoltare il mondo’ è il nome del progetto internazionale artistico e pedagogico, creato dalla Fantini e dedicato allo sviluppo della pratica e della capacità di ascolto.

Per farlo, è stata inventata una piattaforma digitale che offre un’esperienza inedita: far scoprire le culture del mondo attraverso i suoni della quotidianità.

“In effetti – dice Fantini – siamo abituati a guardare il mondo, me- no ad ascoltarlo. Eppure, i richiami dei venditori di un mercato di Dakar, le grida dei bambini in una piazza di Parigi, i canti della pagoda di Rangoon, i suoni di tutte le lingue parlate a Bruxelles o la mezzanotte suonata dalle campa- ne di piazza San Marco a Venezia… raccontano la nostra quotidianità, con una forza evocativa forse superiore alle immagini. I suoni registrano tracce della nostra umanità.”

Il progetto per Stazione di Topolò prevede la registrazione di suoni e testimonianze dirette di giovani che hanno scelto di sfidare le difficoltà del vivere in zone ritenute marginali per intraprendere attività di impresa, come l’allevamento, l’agricoltura, il turismo sostenibile o lo studio della montagna.

Oltre a ciò, saranno proposti diversi laboratori dedicati all’ascolto, alla creazione letteraria, sonora e visiva in collaborazione con Robida, con gli artisti in residenza a Topolò dal 28 settembre e i visitatori della Stazione.

Tutte le creazioni realizzate nell’ambito della residenza saranno presentate al Festival, pubblicate sul sito www.ecouterlemonde.net e mandate in onda su Radio France Internationale. Un contributo, questo, decisamente importante per la conoscenza all’estero delle nostre zone confinarie.

https://novimatajur.it/cultura/ascoltare-il-mondo-con-i-suoni-del-quotidiano.html

20 ago 2020

Il diavolo e la gubana-Hudič in gubanca-Il diaul e la gubane fiaba e leggenda



anche in friulano e sloveno
racconto di Chiara Carminati illustrato da Pia Valentinis

"Sul confine orientale tra Italia e Slovenia scorre il fiume Natisone ,freddo e smeraldino."
Inizia così la favola "Il diaul e la gubane" pubblicata a cura della biblioteca di Cividale in edizione trilingue(Hudič in gubanca" è il titolo in sloveno,"Il diavolo e la gubana" in italiano) della onlus Sinnos con il contributo dell'Arlef (Agenzia regionale per la lingua friulana),del Comune di Cividale,della Banca Popolare di Cividale e del Circolo di cultura Ivan Trinko.
  Il racconto è di Chiara Carminati,autrice udinese nota anche a livello nazionale per la sua attività di autrice per l'infanzia,le illustrazioni portano la firma di Pia Valentinis,nata a Udine e cagliaritana d'adozione.
   Al centro del racconto ci sono il dolce tipico delle Valli del Natisone,il mugnaio Michele Foramitti,che vive ai margini di un paesino,ed un diavolo invidioso di ogni amicizia,che vuole rovinare le festività pasquali a tutti.E' così che riesce a fare in modo che tutte le focacce si brucino nei forni del paese ,eccetto uno,quello del mugnaio.
   Questi rimedia,per la stizza del diavolo,creando,come annuncia ai suoi compaesani,"il dolce più buono che abbiate mai mangiato",la gubana appunto.
Le versioni in sloveno e friulano arricchiscono una favola che riporta ai tempi in cui ogni paese era comunità forte e unita,i mulini erano numerosi e le gubane profumavano le case.

fonte  archivio Novi Matajur 

immagine da http://www.ibs.it/code/9788876092893/carminati-chiara/diavolo-gubana.html

 

26 mag 2020

Tutti siamo partigiani sloveni

Pubblichiamo l’intervento di Furio Honsell, sindaco di Udine, alla commemorazione, avvenuta domenica 7 settembre, dei quattro martiri sloveni fucilati dai fascisti nel 1930 a Bazovica.
BazovicaPresidente del Comitato per le onoranze degli eroi di Basovizza, Milan Pahor, Ministro Jakič, Ambasciatore Mirosič, Console Sergaš, Onorevole Blazina, Sindaci in rappresentanza delle vostre comunità, familiari e amici degli eroi, cittadine e cittadini antifascisti,
spoštovani, vsi lepo pozdravljeni,
con grande emozione prendo la parola oggi in un’occasione così intensa sia sul piano etico e politico, sia su quello umano. Sento profondamente il significato che questa ricorrenza ha per la comunità slovena di Trieste, e quindi deve avere per la città di Trieste tutta, per la nostra regione, per l’Italia e per tutti quei cittadini italiani e sloveni che sentono il dovere di riaffermare i valori di libertà, di pluralità, di solidarietà, di uguaglianza, di pari opportunità, di giustizia, di democrazia. Valori che sono la nostra unica speranza per il progresso civile dell’umanità. Ma questa è anche un’occasione per condannare i fascismi e la loro barbarie, per condannare le politiche di omologazione che vogliono negare le specificità e azzerare le differenze, togliendo così la dignità alle diverse identità e culture che sono invece gli autentici fondamenti delle comunità.
La feroce politica di denazionalizzazione forzata, ma sarebbe più corretto dire di fascisitizzazione, di cui fu fatta oggetto la popolazione di lingua slovena di queste terre a partire dagli anni venti da parte del governo Italiano di allora rimarrà per l’eternità simbolo di atrocità e barbarie. L’eliminazione delle scuole slovene prima, poi della lingua slovena dalle scuole e dalle chiese, la messa al bando delle associazioni culturali e addirittura sportive slovene, la chiusura dei giornali sloveni, la soppressione di qualsiasi attività culturale slovena e in lingua slovena, la progressiva eliminazione di cognomi e toponimi, sin dei nomi dei corsi d’acqua, sono tra le forme più abominevoli e più subdole di negazione della cultura di una comunità. Particolarmente vigliacca fu la messa al bando dello sloveno nei tribunali negando così il diritto ai cittadini ad avere pari opportunità nel potersi difendere.
In aperta violazione dei trattati internazionali le autorità italiane non repressero le violenze fisiche di cui era fatta oggetto la minoranza slovena da parte degli squadristi, ma anzi con il rafforzarsi del Fascismo la violenza nei loro confronti fu legittimata sempre di più e crebbe a livelli più alti con l’incendio di varie Case del Popolo e del Narodni Dom a Trieste, per venire infine pienamente legalizzata con l’internamento dell’intellighenzia slovena e il trasferimento di insegnanti e clero sloveno.
Questa drammatica vicenda, così tragica per chi l’ha vissuta in prima persona o nelle narrazioni dei propri anziani, oggi non va inquadrata meramente come un problema di una minoranza oppressa, ma ne va colto il valore simbolico più ampio. Riconoscere e ammettere pienamente la responsabilità di questi atti di “bonifica etnica” è oggi un dovere, per un paese come l’Italia che non ha mai saputo fare i conti con i suoi crimini fascisti, per un paese che non ha avuto una sua Norimberga. E quest’oggi da autentici cittadini europei, cittadini di un’Europa antifascista che ha come motto “uniti nella diversità” e quindi sull’antitesi dell’idea di Europa nazifascista, dobbiamo dire siamo tutti partigiani sloveni “vsi smo slovenski partizani”. Questi eroi sono martiri universali perché hanno saputo resistere contro la dittatura, e non solamente esistere, hanno saputo sacrificarsi nel nome di valori e diritti umani e civili per tutti noi. Sono i nostri martiri.
Per onorare questi eroi barbaramente trucidati alle 5.43 del 6 settembre 1930, dopo atroci torture e un processo farsa, basterebbe pronunciare, anzi gridare i loro nomi, Ferdinand Bidovec di anni 22, Franjo Marušič di anni 24, Zvonimir Miloš di anni 27 e Alojz Valencič di anni 34, unendo ad essi anche il nome dell’eroe croato istriano Vladimir Gortan, fucilato a Pola il 17 ottobre del 1929.
Quanto erano giovani e quanto erano coraggiosi. Avevano capito che era importante resistere, che a un certo punto giunge l’ora di agire. Quanto sarebbe stato più facile, allora, ma forse in tutte le epoche, essere invece spettatori piuttosto che attori. Questi giovani capirono invece prima degli altri che la vera etica è quella che impone di reagire perché l’attesa, ma soprattutto l’indifferenza, di fronte all’ingiustizia, sono già complicità. E oggi nella perdurante crisi antropologica, prima ancora che economica che stiamo vivendo, della quale i giovani sono le prime vittime non possiamo non trarre profonda ispirazione dall’età giovanissima di questi eroi. Dai giovani nasce la libertà e la giustizia. Erano giovani ma erano già dei giganti.
La solenne occasione di oggi è piccola cosa di fronte alla grandezza della loro epopea. Ma nondimeno è un’occasione importantissima per noi per rinnovare il significato universale di quanto seppero dimostrare con le loro gesta. Questi eroi sono un modello da non dimenticare. E mi sento profondamente onorato nell’avere l’opportunità di prendere parte a questa manifestazione in rappresentanza di tutta la comunità udinese.
Il Fascismo è infatti sempre in agguato, soprattutto in Italia. Come disse Gobetti all’indomani della marcia su Roma: “Questa non è una rivoluzione ma una rivelazione degli antiche mali d’Italia”. In ogni epoca c’è il rischio di una deriva fascista, di una deriva totalitaria. L’abbiamo visto anche in anni recentissimi in Italia e oggi in altri paesi della “civilissima” Europa. La deriva fascista è lenta, quasi impercettibile, si alimenta di consensi diffusi costruiti sui pregiudizi e sui luoghi comuni, fino a quando è troppo tardi, e perduti i diritti democratici si instaura la dittatura. E allora ci vuole una sanguinosa lotta di Liberazione per potersene liberare. Questa è l’unica grande lezione del XX secolo, il tragico secolo breve. Bisogna dunque resistere sempre e non stancarsi mai di condannare il fascismo stigmatizzandone i segnali deboli quando fanno “capolino”. Ma non basta essere consapevoli dei rischi del fascismo, bisogna vivere l’impegno antifascista quotidianamente anche quando sembra che il rischio sia lontano. Per questo motivo occasioni come questa, non sono mere cerimonie retoriche, ma sono invece occasioni molto significative anche sul piano etico e politico.
Ma questa giornata è molto importante anche sul piano storico, perché è l’occasione per sottolineare quanto forse è poco conosciuto, oppure viene dimenticato, o addirittura deliberatamente misconosciuto: la portata europea della resistenza antifascista slovena e croata a Trieste e Gorizia, sul Carso, in Istria e nel litorale.
Vi ringrazio anche personalmente per avermi dato l’opportunità oggi di rendermene pienamente conto, e di rendermi interprete di questo fatto che purtroppo è ancora troppo poco noto, e che andrebbe invece fatto conoscere di più anche nelle scuole: “quello che si diffuse nei territori sloveni a partire dagli anni venti fu la prima autentica forma in Europa di antifascismo come movimento diffuso in un popolo.”  Se si pensa a quale consapevolezza avesse, negli stessi anni, l’opinione pubblica, soprattutto italiana, esaltata dalla mistificazione e dalla propaganda fascista, si coglie pienamente la grandiosa portata ideale e profetica della comunità slovena. A parte alcuni settori dell’élite intellettuale antifascista e i membri del Partito Comunista, pochissimi in Italia seppero rendersi conto allora di quanto stava avvenendo. La piena consapevolezza nella popolazione italiana e il dissenso esplicito al fascismo arrivarono solamente dopo le prime sconfitte militari nella guerra imperialista dell’Italia a fianco della Germania, quindi quasi vent’anni dopo. In Italia un’autentica presa di coscienza dal basso, un convinto sentimento antifascista e lo slancio ideale resistenziale si diffusero in un movimento collettivo e in un bisogno di partecipazione attiva, sia di resistenza armata che di resistenza civile, solamente dal 1943in poi.  Solamente allora la popolazione italiana divenne ciò che mirabilmente espresse  Calamandrei e oggi è riportato sul monumento alla Resistenza a Udine: “Quando io considero questo misterioso e meraviglioso moto di popolo, questo volontario accorrere di gente umile, fino a quel giorno inerme e pacifica, che in una improvvisa illuminazione sentì che era giunto il momento di darsi alla macchia, di prendere il fucile, di ritrovarsi in montagna per combattere contro il terrore, mi vien fatto di pensare a certi inesplicabili ritmi della vita cosmica , ai segreti comandi celesti che regolano i fenomeni collettivi, come le gemme degli alberi che spuntano lo stesso giorno, come le rondini di un continente che lo stesso giorno s’accorgono che è giunta l’ora di mettersi in viaggio. Era giunta l’ora di resistere, era giunta l’ora di essere uomini: di morire da uomini, per vivere da uomini.“
È decisivo sia sul piano etico che storico riconoscere oggi come i primi a prendere coscienza che in Italia si stava delineando un abominevole e barbaro mostro fascista fu proprio la popolazione di lingua slovena di Trieste e del goriziano, così barbaramente brutalizzata. Furono loro questi eroi i primi antifascisti d’Europa. A loroil merito e l’onore.  La loro è una grande lezione di civiltà e di libertà della quale tutti siamo debitori. Se solamente i cittadini italiani avessero guardato a questi loro concittadini sloveni quanto avrebbero saputo riconoscere prima i segnali di una tragedia che avrebbe di li a poco travolto tutti. Quanto dolore e quanta sofferenza e violenza contro innocenti si sarebbero potute evitare.
Va dunque ribadito “quant’era pien di sonno”, come direbbe Dante, la coscienza italiana in quegli anni, e va riconosciuta e condannata la violenza contro la popolazione slovena e croata che l’esercito fascista avrebbe ancora perpetrato nel ventennio successivo culminata con l’invasione della Slovenia stessa nel 1942, fino alla repressione e ai rastrellamenti di Lubiana e alla deportazione in massa dei dissidenti sloveni nei campi di concentramento italiani, come quello di Gonars.
Qui sul Carso e in Istria e nel litorale la grande anima slovena fu invece profetica della tragedia ma anche della Liberazione. Per cosa combattevano quei giovani se non per un futuro di dignità che non avevano mai potuto veramente conoscere, ma solamente immaginare con la forza dei loro ideali. Quale consapevolezza avevano questi ragazzi che furono i pionieri della Resistenza antifascista, come movimento di popolo, in Europa! Proprio la giovane età di questi eroi ci fa capire quanto fosse profonda e radicata nella comunità slovena questa consapevolezza di libertà e di giustizia.
Manifestazioni come questa sono anche importanti perché sono momenti nei quali bisogna ribadire e combattere il revisionismo storico che proprio a Basovizza assume un significato ancora più drammatico. La tragedia dei profughi italiani dall’Istria e dalla Dalmazia, del dopoguerra, non deve essere sottovalutata e dimenticata, furono anch’essi vittime, vittime della tragedia della guerra imperialista nazifascista. Ma ricordare Basovizza, come purtroppo viene fatto, solamente per la sua Foiba, e non per questi eroi, è una mistificazione che non aiuta a capire la Storia e quindi a non ripetere gli errori e gli orrori. Accresce solamente i pregiudizi, gli stereotipi e offende la memoria di questi eroi. Va riconosciuto invece che la retorica delle foibe è stata inventata dalla propaganda nazista già nel 1943, paradossalmente addirittura prima che accadessero i fatti drammatici per i quali oggi è stata istituita la giornata del ricordo. È decisivo per costruire un’Europa di pace e convivenza che si riconoscano invece i crimini fascisti e ci si liberi dalle mistificazioni riconoscendo le tragedie senza fare una contabilità delle vittime e ricercare inqualificabili giustificazioni. Vanno dunque respinti e condannati tutti i tentativi di riscrivere la Storia. Le responsabilità non si cancelleranno mai. La forza oscurantista del revisionismo è sempre in agguato come dimostrano i numerosi (13) attentati anche contro questo monumento.
Concludo con tre brevi considerazioni. La prima è che il monumento più importante per una comunità è costituito dalla propria lingua, quella slovena qui. Non fu certo a caso se la violenza legalizzata fascista si abbatté con tanta ferocia proprio contro la lingua slovena. La lingua è cultura. Il bisogno di identità di una comunità e di un popolo si realizza attraverso le proprie narrazioni. Ed è proprio la lingua nella quale queste narrazioni sono espresse che diventa essa stessa la prima e autentica narrazione, “il mezzo stesso è messaggio” La lingua è narrazione di identità allo stato puro. Un appello quindi che come riscatto per questi martiri siano sempre più le occasioni per tutti i giovani di questi territori italiani e sloveni di poter imparare lo sloveno. Tutte le scuole dovrebbero insegnare lo sloveno, almeno in questa regione, molte di più dovrebbero diventare almeno bilingui.
L’importanza della Resistenza slovena è decisiva proprio per capire il senso della nuova cittadinanza Europa che dobbiamo costruire. I nazionalismi quando diventano fondamentalismi generano mostri. La Resistenza slovena in queste terre fa invece capire come possa esserci una difesa della propria identità che non è distruzione del diverso ma anzi è opportunità di confronto con il diverso. Il pluralismo è il più grande valore democratico da difendere oltre ad essere una grande opportunità. Si conosce se stessi anche per contrasto. L’idea di Europa nazifascista prevedeva un’omologazione totale e l’azzeramento delle differenze, l’Europa nata della Resistenza invece fa delle differenze il proprio fondamento: “unita nella differenza” è il suo motto. I nazionalismi sono un dramma quando diventano, come in recente movimenti politici anche in Italia, rifiuto e annientamento del diverso, le identità sono invece delle opportunità di arricchimento quando sono vissute con orgoglio e tolleranza come viene fatto qui. L’Europa per realizzarsi pienamente deve infatti abbandonare il concetto ottocentesco di stati-nazione. L’intera Europa va sentita come propria patria, la pluralità di lingue e culture va cementata dai comuni valori di democrazia e tolleranza.
Un ultima riflessione riguarda il dilemma vissuto così profondamente nella Resistenza slovena in queste terre: Resistenza legale oppure Resistenza clandestina e armata. Il XX secolo ha dimostrato che purtroppo quando la democrazia scompare, l’azione ancorché armata è inevitabile. E questo è un motivo in più per difendere quindi strenuamente la democrazia e i diritti delle minoranze. Siamo infatti tutti minoranza, membri di qualche minoranza. Se una minoranza viene delegittimata, in quanto tate, da un governo diventiamo tutti potenzialmente delle vittime. Per questi motivi, come giustamente viene ricordato qui a Basovizza, questi martiri hanno dato la loro vita anche per tutti noi indipendentemente dalla nostra lingua madre. La loro battaglia per il pieno riconoscimento dell’identità slovena è una battaglia che hanno condotto anche per la nostra identità, per l’Umanità, per la democrazia.
Grazie dunque Ferdinand, Franjo, Zvonimir e Alojz, per i vostro sacrifico, il nostro impegno antifascista e democratico e la difesa della cultura e lingua slovena sarà il vostro riscatto.
Come dice il poeta Miroslav Košuta:
E che mai non muoia il ricordo
Di un tempo che non deve fare ritorno
In da nikdar ne zamre spomin
Na čas, ki naj se ne povrne
Concludo facendo mia la frase eroica con la quale ha concluso la sua esistenza terrena il giovanissimo Ferdo Bidovec: Živela Jugoslavia –Smrt Fasizmu.
Viva la Resistenza dei popoli al fascismo, viva la verità, la libertà e la giustizia! Viva i diritti delle minoranze.

25 mag 2020

ANCORA A DEBITA DISTANZA



In questo periodo – dagli inizi di marzo ad oggi – in cui non sono accaduti eventi, in realtà è accaduto e sta accadendo di tutto. Sta cambiando il mondo, stanno cambiando i nostri stili di vita, sta cambiando la nostra idea di futuro. Sarà poi che in questo periodo sono nati e proliferati come i funghi sul Planino i virologi, epidemiologi e mascherinologi di ogni specie, ma a volte sembra veramente di essere soppraffatti da informazioni che spesso informazioni nemmeno lo sono.
In tutto questo a noi, come comunità, forse dovrebbero interessare soprattutto due aspetti. Di uno se ne parla molto anche a livello nazionale. La scuola. La scuola in Italia è e rimarrà ancora per tanto una nota dolente, inutile girarci attorno. La pandemia sta però mettendo ancora di più in discussione il sistema scolastico italiano, con tutti gli annessi e connessi. Si può cominciare con il chiedersi se è (o meglio: era) davvero impossibile pensare a una ripresa delle lezioni in classe (o fuori dalla classe, nei cortili, nei prati, nei boschi, ovviamente ove questo sarebbe stato possibile) prima della fine dell’anno scolastico. Di certo quella che a fatica sta terminando atttaverso la didattica a distanza non è un’esperienza che si può definire ‘scuola’. Lo dice benissimo Angelo Floramo nell’intervista che pubblichiamo su questo numero.
Il secondo aspetto che più ci interessa, come comunità slovena, è quello del confine. Anche qui l’impressione è che, una volta tolti i blocchi di cemento dai valichi confinari, non tutto sarà come prima. Da una par- te abbiamo capito che quel confine che vorremmo sempre aperto può richiudersi anche da un momento all’altro, per motivi che certo non dipendono da noi. Dall’altro, anche su questo giornale abbiamo spesso registrato voci che parlavano di una grande occasione che non sempre è stata utilizzata al meglio. Quando torneremo a circolare liberamente, ricordiamoci anche di questo. (m.o.)

23 mag 2020

La scuola bilingue e la didattica a distanza “Una novità per tutti, noi ci siamo mossi così”


Fa discutere, certo non solo a livello locale, la reale efficacia della didattica a distanza a cui sono co- stretti, ancora per una ventina di giorni, scolari e studenti delle scuo- le in Italia. Mentre in altri Stati europei le lezioni sono riprese tra le mura scolastiche (anche se in Francia alcune scuole hanno richiuso dopo una settimana), in Italia infatti il ritorno sui banchi avverrà a settembre. Con modalità tutte da definire. Di tutto questo ne parliamo con il dirigente dell’Istituto scolastico bilingue di S. Pietro, Davide Clodig. “Per noi, come per altri, è tutto nuovo, non ci sono indicazioni e non c’è una preparazione ad hoc, anche se dal punto di vista della formazione digitale siamo avvantaggiati per aver già realizzato progetti specifici, come quello della classe 2.0. Ora però la didattica è tutta così, ed è una novità anche per chi è tecnicamente preparato. Questo vale per gli allievi, per le famiglie e anche per gli insegnanti”, ci dice.
Delle difficoltà, comunque, ci sono. “Ci sono ma sono anche superabili” afferma il dirigente, che spiega: “Abbiamo casi limitati dove non c’è possibilità di connessione a internet. In questo caso si caricano i materiali didattici su una chiavetta Usb e li si fornisce all’allievo. O anche con fotocopie.” Clodig fa an- che sapere che, per quanto riguarda le classi della primaria, da qualche settimana sono partite le lezioni in videoconferenza, “forse in ritardo per due motivi: abbiamo deciso di uniformarci a soluzioni simili se non uguali alle altre scuole slovene del territorio regionale, attra- verso il programma della ‘digitalna šola’, e poi perché abbiamo dovuto risolvere alcune situazioni per famiglie che avevano problemi: non avevano una connessione o non se la potevano permettere. Con fondi del Ministero abbiamo cercato di coprire questo genere di spese fornendo, quando necessario, tablet, pc portatili o anche router per il wi-fi. Questo valeva per gli allievi, ma anche per gli insegnanti. Come per tutto, siamo partiti e cerchiamo di aggiustare il tiro in corsa, perché non è facile capire quanto le famiglie siano capaci di rispondere a questo genere di innovazioni.”
La scuola bilingue ha messo quindi a disposizione circa 45 tra tablet e computer portatili (tra i pri- mi 5 sono stati donati dalla Zadružna Kraška Banka assieme all’Unione regionale economica slovena e all’Ufficio regionale per le scuole con lingua di insegnamento slovena, tra i pc portatili 3 sono dono del gruppo di volontariato La via di Bet di Clenia).
Il dirigente della bilingue rimarca, oltre all’aspetto formativo, anche quello psicologico legato alla qua- rantena. Un supporto alle famiglie e anche agli insegnanti, in questo senso, viene portato dalla psicologa Mara Floreancig. Va posto poi l’accento su problemi più specifici, ad esempio quando l’alunno non ha chi a casa lo possa aiutare con la lingua slovena. In questo caso, come per chi ha problemi di dislessia, si sta pensando di acquisire programmi con lettori vocali di testo.
Cosa succederà, però, a settembre? “Tutti i dirigenti – risponde Clodig – stanno cercando di fare delle ipotesi, ma al momento non ci sono indicazioni. Fino a che non ci saranno protocolli chiari su come vanno organizzati gli spazi, è difficile immaginare qualsiasi scenario. È chiaro che la presenza dei bambini e dei ragazzi è ideale, ma questo si scontra con gli aspetti legati a spazi e personale".

30 apr 2020

I politici e il letame-Politiki in gnojnica



RTV Slovenija je zadnji mesec prva in lahka tarča. Treba bo obuti škornje, vzeti v roke lopate in očistiti to gnojišče, je čivknil predsednik (izvenparlamentarne) stranke SLS Marjan Podobnik nedolgo za tem, ko so ga preiskovalni novinarji oddaje Tarča na Televiziji Slovenija bržkone dobili z roko v marmeladi, ko je pritiskal na direktorja blagovnih rezerv Antona Zakrajška, naj sklene posel za zaščitne maske z majhnim podjetjem iz Slovenske Bistrice.
Kot kmetijski inženir nekdanji podpredsednik vlade vendarle nekaj ve o zlivanju gnojnice, a le s to napako, da jo poliva po javnem radiotelevizijskem servisu. Podobnik je v svoji izjavi pravzaprav protisloven – najprej bi umazal RTV SLO, potem pa svoj gnoj počistil.
Čeprav se je nova fronta nad RTV SLO in slovenskim neodvisnim novinarstvom nasploh napovedovala, ne bi smelo biti tako zlahka sprejemljivo, da za del javnosti in politike polivanje gnojnice postaja nacionalni šport, ker novinarji opravljajo svoje delo – nadzirajo oblast. Že zato, ker se iz namerne škodoželjnosti delovanje RTV reducira zgolj na informativni program.
Toda če kdaj, prav med pandemijo javna medijska hiša dokazuje svojo vrednost za poslušalce, bralce in gledalce vseh starosti. Njen namen ni, da bi ugajala vsem, še posebej ne politikom, ki so prepričani, da je novinarstvo le širjenje njihovih »resnic«. Politikom, ki v tem navalu papeške nezmotljivosti celo ustvarjajo strankarske medije. Medije, ki to seveda niso.
Polivanje gnojnice po novinarskih hišah, ki so sploh še nad gladino, je seveda ceneno nabiranje političnih točk, prepričevanje že prepričanih. Bistveno bolj nevarno je sistemsko uničevanje novinarske svobode. V času, ko se je vlada odločila deliti interventne milijarde za reševanje brezizhodnosti gospodarstva v epidemiji, je ministrstvo za kulturo sporočilo, da lahko medijem v najboljšem primeru izplača tretjino že potrjene vsote za sofinanciranje programskih vsebin v letošnjem letu. Države, ki razumejo vrednote novinarstva za obstoj zdrave demokracije, so že potrdile povsem nasprotne ukrepe.
Pri nas vlada v nadzorni svet imenuje ljudi, ki spodbujajo neplačevanje RTV prispevka, kar je tudi pobožna želja predsednika vlade Janeza Janše, in ukinja novinarske konference. Vse z namenom cenzure kritike, s čimer pa mediji lahko postanejo zgolj podaljšek oblasti.
Uporaba politične moči proti kritični misli je stvar avtoritarnih režimov, kar je v sodobnem času sredi Evrope nedopustno ne glede na izredne razmere, ki so spremenile svet. Temu se je treba upreti. In podpreti svobodno, kritično novinarstvo.

22 apr 2020

‘Izbral sem srednjo pot’, knjiga spominov Rudija Pavšiča

Pavšič se je lani spomladi poslovil od predsedniškega mesta Slovenske kulturno-gospodarske zveze, ki jo je vodil celih 22 let. Eno leto kasneje prihaja njegova knjiga spominov na to dolgo obdobje, ki ni zgolj pogled na prehojeno pot ampak ponuja tudi prerez življenja Slovencev v Italiji v ključnem zgodovinskem obdobju.
Skozi njegov osebni pogled se seznanimo s trenutki, ki so za marsikoga še uganka, od odmevnih dogodkov kot sta bili zaprtje Tržaške kreditne banke ali kriza Primorksega dnevnika do širšemu krogu manj znanih dinamik znotraj manjšine. V svojem pričevanju – zabeležil ga je pisatelj Marjan Žiberna – se Pavšič loteva kočljivih tem, kot so sodelovanje in zavezištva oziroma konflikti in obdobja nezaupanja znotraj manjšine, problematični odnosi z italijanskim delom prebivalstva, vzpostavljanje dialoga s pripadniki italijanske manjšine v Sloveniji in še veliko drugih.
Že na začetkih svoje politične poti je avtor izbral srednjo pot: potem, ko se je
doma vžgala debata z očetom, ki ga je nagovarjal za stranko Slovenske skupnosti in mamo, ki je volila za Komunistično partijo, se je kot mlad fant odločil, da bo volil za italijansko socialistično stranko in na tak način, kot je tudi sam opisal svojo odločitev, izbral srednjo pot.
Skozi življenje se je njegova srednja pot kazala v njego vem načinu delovanja, v nenehnih poskusih posre dovanja med ljudmi. Z umirjenostjo in njemu značilnemu čutu za humor je vedno skušal gladiti ostre robove, povezovati ljudi ne glede na njihovo gledanje ali politično pripadnost, v prid skupnega dobrega. Kot ugotavlja tudi sam, mu je včasih uspelo, včasih ne.
Knjiga Izbral sem srednjo pot vsebuje tudi poglede nekaterih ožjih sodelavcev ali prijateljev Rudija Pavšiča. Vsak dodaja še svoj kamenček ne samo k pripovedi o delu, ki ga je več kot dve desetletji opravljal kot predsednik ene od krovnih organizacij Slovencev v Italiji, ampak tudi k bolj poglobljenemu razumevanju tega obdobja. Brali bomo lahko misli enega njegovih najbližjih sodelavcev, Aceta Mermolje, ter dragocena pričevanja prvega slovenskega predsednika Milana Kučana, Iole Namor, ki je za časa Pavšičeve službe na Novem Matajurju v Čedadu bila glavna urednica časopisa, senatorke Tatjane Rojc, predsednika Italijanske unije v Sloveniji Maurizia Tremula, Marjana Šturma, predsednika Zveze slovenskih organizacij na Koroškem, ter slovenskega veleposlanika v Trstu Vojka Volka.
Prva izdaja knjige bo v elektronskem formatu na voljo na splet- nem portalu http://www.biblos.si.

21 apr 2020

Brez okužb, a vseeno s smrtnim primerom - Senza contagi ma con un decesso



V Zgornjem Posočju že več kot štiri tedne niso zabeležili novega primera koronavirusa. Zaradi občutka varnosti pa je več dogajanja na prostem, kar jezi policijo. Zaradi nespametnosti se je druženje pretekli teden za nesrečnega 29-letnika končalo tragično.
»Po več kot 14 dneh, ko pozitivni pacient nima več simptomov, se šteje kot zdrav. Pri nas je torej trenutno stanje brez aktivnih okužb. To lahko pripisujemo ukrepom do tedna dni nazaj, saj nespoštovanje ukrepov lahko prične kazati posledice po sedmih do 14 dneh,« je trenutno zadovoljen zdravnik in direktor Zdravstvenega doma Tolmin Gaudencio Lucas Triep.
Opozarja pa, da bodo lahko s sprostitvijo ukrepov in novega gibanja prebivalstva med občinami spet pojavili novi primeri okužb: »Z navalom ljudi in več novih stikov povečamo verjetnost okužb, s turizmom pa sploh. Če pogledamo, kaj se dogaja v sosednjih državah, menim, da je trenutna situacija v Sloveniji pod nadzorom. Za koliko časa? Nihče ne ve.«
Posledica novih razmer in pristopu k delu pa je, da so kronični bolniki, ki niso imeli dostopa do specialistične obravnave na sekundarnem ali terciarnem nivoju, precej oslabeli, opaža. »To je postalo dodatno breme za primarni nivo zdravstva, saj se še vedno na primarni ravni rešuje glavnina, ki bo še enkrat na udaru. Treba bo razumeti, da bo na tak način, kot trenutno delamo v Tolminu, potekalo tudi naprej, brez čakanja po čakalnicah, z naročanjem in upoštevanjem ure naročanja, da zmanjšamo stike obolelih med seboj in tako zmanjšamo možnosti okužb.«
Minuli konec tedna so imeli tolminski policisti polne roke dela. »Nisem zadovoljen, saj se je dogajalo marsikaj, kar se ne bi smelo navkljub vsem opozorilom,« je izpostavil komandir Policijske postaje Tolmin Boris Zorko. Druženje ob Soči je bilo namreč v soboto usodno za mlajšega Tolminca, ki je utonil v Soči.
Policisti so izdali 14 predlogov zdravstveni inšpekciji zaradi kršenja prepovedi zbiranja na javnih površinah, še osem predlogov pa je iz Posočja dobil požarni inšpektor zaradi kršenja prepovedi kurjenja v naravi. »Huje je bilo kot v normalnih razmerah. Kršitve s takšnimi posledicami lahko vplivajo na vso državo glede ukrepov. Potrpite še malo, potem bo spet vsega dovolj,« je pozval Zorko.

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