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Don Michele Molaro: un Natale vissuto sobriamente è più autentico

 INTERVISTA con il sacerdote che dal 2017 guida le comunità

 di Drenchia, Liessa, San Leonardo, Tribil Superiore e Stregna

Luciano Lister

Ci vuole un po’ d’impegno a cercare di addentrarsi nel mistero del Natale, che resta sempre una delle feste più sentite a livello emotivo. Ne abbiamo parlato con don Michele Molaro, parroco a Drenchia/Dreka, Liessa/Liesa, San Leonardo/Svet Lienart, Tribil Superiore/ Gorenj Tarbij e Stregna/Sriednje.

Cosa significa per lei il Natale?

«Negli anni scorsi per molti il Natale è stato una festa da vivere con se stessi e i propri cari; il periodo della pandemia può far sì che molti degli affetti che di solito abbiamo vicino saranno più distanti. Natale è un mistero che celebriamo e riviviamo ogni anno e che spesso perdiamo di vista nel suo significato profondo. A me piace ricordare che il Natale ci rivela qualcosa di sovraumano, il mistero di Dio che diventa umanità, che ci dimostra che ci è stato vicino, assumendo le nostre sembianze. Questo osando le nostre condizioni precarie del nascere come uomo e dell’essere riconosciuto o anche non riconosciuto da parte dell’umanità. Si tratta di una dimensione che per noi diventa anche nuova e di un mistero legato anche alla missione che il figlio di Dio è venuto a compiere – quella di arrivare a compiere tutto attraverso il mistero della sua donazione piena nel momento della passione e della morte. Forse quest’anno il tempo particolare che stiamo vivendo ci farà vivere il Natale in modo più intenso nel suo significato e con meno distrazioni. Il tempo di pandemia ci obbliga, forse, ad addentrarci di più in noi stessi e a dare risalto alle cose che contano».

Con quale spirito dobbiamo vivere il Natale quest'anno?

«È ancora incerto se il modo di festeggiare il Natale o di viverlo nei rapporti familiari più stretti sarà limitato. Qualcuno si lascia scappare che forse sarà veramente Natale, come abbiamo vissuto la Pasqua quest’anno, in modo dimensionato. Eppure io, personalmente, l’ho vissuta con molta profondità – forse perché, trovandomi da solo a celebrare o a ricordare le mie comunità a distanza, per me è stata più reale. Non perché eravamo presi da impegni e ritualità,

ma perché c’è stata la possibilità di sentirci più vicini nonostante le distanze. Sembra un gioco di parole, ma si tratta di vivere questa ricorrenza andando alle cose essenziali. Probabilmente il Natale porta anche una solidarietà, una vicinanza, un ricordo, una preghiera; magari fa sentire le persone che lo vivono in modo ulteriormente più sobrio ancora più sofferto».

Quali sono i ricordi dei suoi anni da bambino e ragazzo?

«Nel contesto della mia famiglia, semplice e contadina, sicuramente non è mai stato vissuto con grandi feste, però ricordo i momenti attesi a livello di comunità in parrocchia, dove ero impegnato. I primi anni come chierichetto, poi come aiutante del sacrestano e del parroco, ci divertivamo ad allestire le scene del presepio e organizzare le celebrazioni con quel tono di solennità. Nella mia esperienza di prete di seminario, magari, l’ho vissuto anche in modo più partecipe, riflettendo sul suo significato più profondo. Alcuni giorni prima di recarci a casa per le vacanze, poi, organizzavamo ritrovi tra le famiglie dei seminaristi».

E dalle parrocchie in cui ha prestato servizio negli anni?

«Soprattutto nei primi anni dovevo aiutare gruppi e ragazzi a prepararsi al Natale, a viverlo e convolgerli nelle situazioni – dal canto all’animazione. Si trattava di coinvolgerli per trasmettere loro il significato del Natale non solo come messaggio e annuncio, ma anche come celebrazione. Nelle prime comunità che ho seguito da parroco i miei ricordi sono legati alle tante celebrazioni che si dovevano seguire. La mia esperienza è sempre stata in comunità piccole, magari dislocate sulla montagna; gli impegni erano anche calzanti e spesso non davano il tempo di riuscire a trasmettere fino in fondo il significato del Natale. Specie a persone che magari incontravo in queste poche occasioni, magari in quell’unica occasione dell’anno che poteva essere la festività del Natale. Sono, però, sempre state esperienze che ricordo e porto nel cuore, perché ogni piccola comunità allestiva e preparava le proprie particolarità,con cui si contraddistingueva. Anche attualmente colgo i particolari modi di viverlo e prepararlo con le tradizioni nelle diverse realtà in cui mi trovo a operare ».

Qual è l'augurio che rivolge ai sui parrocchiani?

«Di sorprenderci sempre di un messaggio che non è mai ripetitivo. Di metterci in ascolto di quelle poche espressioni che il Natale ci propone nella liturgia, ovvero gli stringati racconti del Vangelo, molto sintetici, ma molto significativi. Che quell’augurio che nasce dalla grotta di Betlemme – Gloria a Dio nel più alto dei cieli e pace in terra agli uomini amati dal Signore – possa diventare veramente un dono, un regalo, di cui stupirci sempre e rispetto a cui non sentirci mai abbastanza pronti ed esperti. Se questo ci sorprendesse, ogni attimo in cui ci accostiamo a questo messaggio diventerebbe come una nuova notizia» E quale augurio ai compaesani della sua terra d'origine?

«Di sentirli presenti e vivi nonostante io non sarò presente – non mi recherò neanche dai miei familiari, parenti o conoscenti per scambiarci questo augurio. Magari ce lo scambieremo via e-mail o telefonino. L’augurio è, comunque, di provare a cogliere sempre la novità del Natale e di viverlo, anche se in maniera più sobria, forse più efficace e autentica».

dal Dom del 20/12/2020

Table pravijo, da smo živi - I cartelli stradali mostrano che siamo vivi



Qualche giorno fa lungo la strada st. 54, che da Cividale porta a Stupizza/Štupca, sono stati installati indicatori di direzione bilingui, in italiano e sloveno. Finora il bilinguismo italiano-sloveno era presente solo sui cartelli toponomastici all’inizio e alla fine di località e territori comunali e sulle strade comunali e provinciali. A sette anni dal decreto del presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia di dicembre 2013, quindi, anche Anas si è adeguata alle normative di tutela della minoranza slovena.
I toponimi riportati da Anas sui cartelli, però, non corrispondono a quelli sui cartelli installati in precedenza. Anas, infatti, ha scelto i toponimi in lingua standard, e non in dialetto sloveno locale e la questione non è banale. Oltre vent’anni fa, quando si è iniziato a installare cartelli bilingui a seguito dell’approvazione delle leggi di tutela, con una decisione congiunta da parte di Comuni interessati, provincia di Udine e organizzazione slovene è stato scelto di riportare sui cartelli i toponimi in dialetto sloveno.
Balza all’occhio, inoltre, che come versione slovena di «Udine» sia riportato «Videm», invece del toponimo corretto «Viden». Nelle zone di Trieste, Gorizia e in Slovenia questo errore è onnipresente da tempo. Ma già nel 1999, nel manuale Slovenska krajevna imena v Italiji, l’esperto di toponomastica slovena in Italia Pavle Merkù spiegava che la versione corretta di «Udine» in sloveno è «Viden».
La toponomastica bilingue, trilingue o quadrilingue (a seconda del comune considerato) non è ancora stata installata a Drenchia, Torreano, Attimis, Nimis, Malborghetto-Valbruna e Tarvisio. I cartelli mostrano che lo sloveno e le nostre lingue sono vive, e noi con loro. Sta a noi indurre i nostri amministratori ad adempiere alle leggi dello Stato.

Pred kratkin so tudi na daržavni ciesti štv. 54 iz Čedada do Štupce nastavili smerokaze, ciestne tabele, na katerin so imena kraju napisane po italijansko in po slovensko. Do sada so ble tabele v obieh jezikah samuo tiste na začetku in koncu vasi in na kamunskih ter provincialnih ciestah. Se pravi, de se je slabih sedam liet po dekretu predsednika dežele Furlanije Julijske krajine iz dičemberja 2013 tudi ANAS prilagodila zakonam, ki varjejo slovenski jezik in kulturo. Ries liepa novica.
Daje pa na uoč, de slovenska imena, ki so napisane na novih tabelah, se na ujemajo s tistimi, ki so na te drugimi tablami. ANAS je namreč zbrau imena v literarnem jeziku, ki jih za naše kraje nucajo v Trstu, Gorici in Sloveniji in ne domače imena, s katerimi Benečani vič ku tavžint liet kličejo svoje vasi. De na tabele se napišejo imena po domače so bli kajšnih dvejst liet odtuod kupe določili kamuni, videnska provinca in slovenske organizacije, kàr so začeli postavljati dvojezične table po sparjetju zaščitnega zakona, sa’ Špietar nie biu nikoli Špeter, Podbuniesac nikoli Podbonesec in takuo naprej.
Tudi na smerokazih za glavno furlansko miesto beremo ime Videm, namesto te pravega Viden. Tle pa na gre za izbiero med domačim in literarnim jezikam, ampa za napako, ki se na Taržaškem, Goriškem in v Sloveniji pojavlja že puno liet. Sa’ je Prešernov nagrajenec in narguorš strokovnjak za slovensko toponomastiko v Italiji Pavle Merkù, že lieta 1999 v priročniku Slovenska krajevna imena v Italiji podčartu: »Videm je učena spačenka s hiperkorekturo izglasnega nosnika. Zgodovinsko in etimološko nima ime kaj opraviti z Vidmi znotraj meja slovenske države. « Telo razlago so pred lieti sparjeli v Terski dolini, kjer so pravilno napisali Viden, in tudi v Reziji.
V kamunah Dreka, Tavorjana, Ahten, Neme, Naborjet-Ovčja vas in Tarbiž, razen na smerokazih državnih, regionalnih in provincialnih ciest pa nie še tabel s slovenskim imenam vasi.
Gre za kamune, v katerih je priznana slovenska manjšina, na konfinu s Slovenijo in tudi sosednje občine na italijanski strani imajo tabele po slovensko. Nedopustno je. Vsakemu obiskovalcu se daje zgrešeno kulturno podobo tistih vasi. »Tle žive’ samuo Italijani, okuole in okuole so Slovenci«, lahko misli, kduor nie domačin in na pozna tistih kraju.
Se na more mučati nad telo karvico, ki se jo diela domačim ljudem, ki so veseli svoje kulturne podobe. Trieba je partiskati na administratorije, de izpunijo, kar predvidevajo zakoni. Šindiki, ašešorji in kamunski možje na morejo biti Slovenci, kàr gre za vzdigniti kontribute in potlé pozabiti na jezik in kulturo. Cajt je na glas, jasno in močnuo zahtevati, kar nam pripada. Nie nobednega razloga za kakaršenkoli strah. Muoremo vsi – politiki, kulturni dieluci, navadni ljudje – imieti radi svojo podobo, svoj jezik, svojo kulturo. Se pravi same sebe. Ciestne tabele po slovensko jasno kažejo kaduo smo in de čemo obdaržati te pravo podobo. (M. K.)

Ora toccherà alla Benečija - Ali pride zdaj na vrsto Benečija?



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Za nami je zgodovinski dan 13. julija, ko sta predsednika Italije in Slovenije prisostvovala podpisu protokola o nameri za prenos tržaškega Narodnega doma na slovensko narodno skupnost v Italiji, v Bazovici opravila spravno dejanje s počastitvijo prvih ustreljenih Slovencev, ki so se zoperstavili fašizmu, in se poklonila italijanskim žrtvam povojnih pobojev jugoslovanskega komunističnega režima. Pisatelju Borisu Pahorju sta predsednika Slovenije in Italije podelila najvišji državni odlikovanji.
Ti dogodki »se bodo s svetlimi črkami zapisali v našo stvarnost, kot odraz skupnega sodelovanja med različnimi jezikovnimi komponentami Trsta in dveh sosednjih držav. Slovenci in Italijani smo v tem prostoru poklicani, da sobivamo in sodelujemo. K temu sta prav tako poklicani Slovenija in Italija, za kateri predstavlja visoka raven zaščite jezikovnih manjšin glavno osnovo za uspešno in perspektivno sodelovanje v sklopu skupnega evropskega prostora,« je poudarjeno v sporočilu za tisk Sveta slovenskih organizacij.
Zares je 13. julij 2020 prelomen datum v odnosih med Italijani in Slovenci.
Do zgodovinskega dogodka je prišlo po zaslugi slovenske narodne skupnosti v Italiji, v prvi vrsti krovnih organizacij SSO in SKGZ, katerima je uspelo spodbuditi vse najvišje slovenske in italijanske instance – predsednika, vladi, ministrstva … –, da se je zadeva premaknila z mrtve točke in je to pripeljalo do zaželenega rezultata. S tem je naša skupnost dokazala, da z združenimi močmi lahko doseže najbolj ambiciozne cilje, ki si jih sama zastavi.
To je razveseljivo tudi za nas, Slovence v Benečiji, Reziji in Kanalski dolini, ki se bojujemo za preživetje, saj menimo, da bi se dalo nekaj narediti tudi za nas, če je to uspelo za Narodni dom.
Znani razglas o anihilaciji Slovencev videnske pokrajine – »te Slovane je treba uničiti«, je bil objavljen 22. novembra 1866, torej 54 let pred požigom tržaškega Narodnega doma, ki velja za začetek napada na tamkajšnje Slovence. V Benečiji se je »napad« začel pol stoletja prej in zdaj gre »delo« proti koncu.
Marino Qualizza in uredništvo

ANCORA A DEBITA DISTANZA



In questo periodo – dagli inizi di marzo ad oggi – in cui non sono accaduti eventi, in realtà è accaduto e sta accadendo di tutto. Sta cambiando il mondo, stanno cambiando i nostri stili di vita, sta cambiando la nostra idea di futuro. Sarà poi che in questo periodo sono nati e proliferati come i funghi sul Planino i virologi, epidemiologi e mascherinologi di ogni specie, ma a volte sembra veramente di essere soppraffatti da informazioni che spesso informazioni nemmeno lo sono.
In tutto questo a noi, come comunità, forse dovrebbero interessare soprattutto due aspetti. Di uno se ne parla molto anche a livello nazionale. La scuola. La scuola in Italia è e rimarrà ancora per tanto una nota dolente, inutile girarci attorno. La pandemia sta però mettendo ancora di più in discussione il sistema scolastico italiano, con tutti gli annessi e connessi. Si può cominciare con il chiedersi se è (o meglio: era) davvero impossibile pensare a una ripresa delle lezioni in classe (o fuori dalla classe, nei cortili, nei prati, nei boschi, ovviamente ove questo sarebbe stato possibile) prima della fine dell’anno scolastico. Di certo quella che a fatica sta terminando atttaverso la didattica a distanza non è un’esperienza che si può definire ‘scuola’. Lo dice benissimo Angelo Floramo nell’intervista che pubblichiamo su questo numero.
Il secondo aspetto che più ci interessa, come comunità slovena, è quello del confine. Anche qui l’impressione è che, una volta tolti i blocchi di cemento dai valichi confinari, non tutto sarà come prima. Da una par- te abbiamo capito che quel confine che vorremmo sempre aperto può richiudersi anche da un momento all’altro, per motivi che certo non dipendono da noi. Dall’altro, anche su questo giornale abbiamo spesso registrato voci che parlavano di una grande occasione che non sempre è stata utilizzata al meglio. Quando torneremo a circolare liberamente, ricordiamoci anche di questo. (m.o.)