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LA MIGLIOR CURA SI OFFRE A CASA


 Non è assolutamente dovuta al caso la riapertura dell’ambulatorio medico di Platischis. La dottoressa Jennifer Patriarca già frequentava assiduamente la zona per seguire i suoi assistiti. «Ero già presente in zona ogni 15 giorni – racconta la dottoressa Patriarca – andando casa per casa a visitare i miei pazienti a domicilio. Il problema, lassù, sono soprattutto gli anziani affetti da patologie croniche, che hanno bisogno di un monitoraggio sanitario, ma spesso non hanno mezzi di trasporto e hanno parenti che vivono lontani e non li possono portare in ambulatorio. Questo nonostante Platischis sia un paese dove tutti conoscono tutti, c’è una importante rete di solidarietà sociale spontanea e la gente è abituata ad aiutarsi nelle difficoltà. Ad esempio, c’è una signora che scende ogni giorno a Nimis, va in farmacia e fa le commissioni per tutti coloro che non possono provvedere da soli. E così mi è sembrato naturale e giusto mettermi in gioco con questa proposta dell’ambulatorio. E sorprendentemente, nei primi test che ho fatto di apertura dell’ambulatorio a Platischis con accesso libero e senza prenotazione, ho visto che vengono anche diverse persone del fondovalle, anche da Povoletto, che trovano comodo l’orario e il minor affollamento».

Dottoressa, però oggi scelte come la sua sono in controtendenza con gli orientamenti generali della sanità. Anche nelle Valli del Natisone si sta pensando di accentrare i medici in luogo centrale.

«È vero, io credo molto nella medicina di famiglia come era intesa una volta, fondata sullo stare vicina al paziente a casa. Che senso ha parlare di medicina del territorio sepoi i medici non sono sul territorio? Anche l’idea delle case della salute, che si prospettano, ha un senso ma fino ad un certo punto. Risponde alle esigenze di chi può muoversi, che ha l’auto. Ma l’anziano che non guida e che non può contare sul supporto di nessuno? Quando i medici di famiglia saranno “sepolti” in queste strutture centralizzate rimarrà scoperto chi in realtà ha più bisogno del medico di medicina generale, ovvero i malati cronici. E le cronicità vanno gestite a domicilio, altrimenti ci ritroveremo come hanno raccontato le cronache dei giorni scorsi con le sale dei pronto soccorso piene e lunghe code chilometriche fatte in prevalenza da malati cronici che hanno bisogno solo di una rassicurazione. Se il medico di famiglia non va più a domicilio, quando accade qualche evento acuto che preoccupa il paziente, chi ci va a casa? L’ambulanza che porta l’anziano al pronto soccorso e in ospedale».

Lei ha aperto da un anno circa a Nimis l’ambulatorio, ma ha una significativa esperienza di medicina del territorio… «Sì, durante la pandemia ho lavorato al distretto di Udine e ho visto i vantaggi di lavorare col paziente malato di Covid a domicilio rispetto alla ospedalizzazione. L’Usca (Unità speciali di continuità assistenziale) di Udine è stata quella che ha avuto i più bassi tassi di ospedalizzazione dei pazienti durante il Covid e c’è un motivo: bisogna portare le medicine e l’assistenza a casa del paziente se non si vuole il paziente in ospedale».

Ma così non si creano delle domande improprie di salute che generano costi e sprechi?

«È normale che il paziente, di fronte a certi malesseri, necessiti di rassicurazioni di carattere medico e sanitario. La maggior parte delle telefonate che ricevo in ambulatorio riguardano non l’esigenza di una visita medica ma di rassicurazioni. Credo che il più efficace e meno dispendioso sistema per gestire questa necessità sia la creazione di una rete sociosanitaria che vede l’intervento di altre figure intermedie, come l’infermiere di comunità, ma sempre molto legate al territorio e orientate all’occorrenza all’intervento a domicilio. Il nostro lavoro per far funzionare bene la sanità è di spiegare al paziente che molte delle necessità che lui percepisce di accertamento diagnostico o di visita non sono necessarie. Ad esempio, molti, se provano dolore, chiedono subito risonanze magnetiche al ginocchio o alla spalla, malanni molto frequenti. Magari glielo ha suggerito il fisioterapista, o il vicino di casa, o l’hanno letto su internet. In realtà basterebbe una radiografia, molto meno costosa e più rapida nei risultati, per avere le stesse risposte. Manca una situazione di educazione sanitaria anche all’utilizzo delle risorse diagnostiche che abbiamo. L’educazione sanitaria è un compito del medico di famiglia. Spesso purtroppo non c’è il tempo. Ma per chi verrà sepolto in una medicina di gruppo aperta 10-12 ore al giorno e dovrà rispondere anche alle esigenze degli assistiti dei colleghi della medicina di gruppo, di tempo ce ne sarà ancora di meno o per nulla. Credo invece che sia importante la presenza del medico sul territorio, magari organizzando delle serate sanitarie in cui si approfondiscono delle tematiche di salute importanti per il cittadino e per parlare di prevenzione ».

Andrebbero dati maggiori incentivi ai medici che operano in zone più disagiate e periferiche?

«Ci sono già degli spiccioli che vengono dati e, per carità, sono utili, perché siamo liberi professionisti che non hanno uno stipendio fisso ma devono stare attenti all’equilibrio tra costi e ricavi. Ecco perché la specializzazione in medicina generale è spesso poco frequentata se non deserta. Gli incentivi dovrebbero esserci per l’apertura dello studio, premiando la gestione corretta del paziente e la diminuzione dell’ospedalizzazione e anche per l’acquisto di strumenti diagnostici. Io, per esempio, ho acquistato un ecografo e posso dare delle risposte rapide ai miei pazienti. Ma lo strumento costa ed è onerosa pure la formazione. Però io il paziente con sospetta colecistite non lo mando ad affollare il pronto soccorso ma gli do subito una risposta anche a casa sua, perché ho l’ecografo portatile. Anche alcuni problemi che normalmente portano all’ospedalizzazione possono essere risolti dal medico di famiglia a domicilio del paziente magari solo con il supporto di una ambulanza. La medicina più efficace si fa sul territorio e non sepolti dentro una medicina di gruppo». (Roberto Pensa)

dal Dom

LA MESSA NON E' FINITA


 I nostri amici friulani, e noi con loro, aspettavamo il regalo di Natale della Conferenza episcopale italiana, ma siamo rimasti a mani vuote perché la generosità non alberga neanche nei vertici della Chiesa italiana. Con la votazione del 16 novembre scorso, ivescovi italiani hanno gettato nel cestino ventianni di lavoro per la traduzione in friulano del Messale romano, preceduti da altrettanti per latraduzione della Bibbia, che ha unito le forze di pre Checo Placereani e pre Antoni Bellina,assieme alla consulenza biblico-teologica di una apposita commissione. Un lavoro di grande impegno e di uguale passione, dettato dall’amore alla lingua friulana che doveva avere il suo posto nella liturgia. Tutto questo è risultato inutile dinanzi alla insensibilità culturale e umana di troppi vescovi.

Noi Sloveni del Friuli ci teniamo alla nostra lingua, ma ci teniamo anche ai diritti dei nostri amici Friulani, che da anni combattono per avere riconosciuti i loro diritti anche in chiesa. Siamo due popoli che devono lottare quotidianamente per i loro diritti e anche per questo ci sentiamo fratelli e portatori degli stessi destini.

Ora, ciò che suscita incredulità è la differenzadel comportamento dello Stato e della Chiesa. Il primo ha riconosciuto il diritto costituzionaledelle lingue minoritarie, sloveno e friulano, einvece la Chiesa ha chiuso la porta. Incredibile!Sarebbe stato più verosimile il contrario. È proprio vero ciò che diceva il cardinale Martini: la Chiesa è indietro di duecento anni! E li dimostra tutti. I numeri della votazione sono impietosi. Avevano diritto di voto 226, ma erano presenti 202, ne mancavano 24. Era richiesta una maggioranza qualificata dei 2/3, stabilita in 151. Hanno votato in 173, quindi altri 53 in meno. A favore 114, contrari 50 e 9 astenuti. Il bello o piuttosto il brutto che il numero dei 2/3 era calcolato sulla totalità, un assurdo, ma così dicono le regole che si sono imposte. Il voto degli assenti è ritenuto contrario, non si sa con quale logica.

Si dà il caso che i vescovi hanno criticato spesso i parlamentari italiani per il loro assenteismo, ma sembra che nel frattempo abbiano imparato la lezione. Si assentano, certamente per nobili motivi. 

Adesso bisogna rimboccarsi le maniche e continuare nel lavoro, uniti, Friulani

e Sloveni, perché siamo tutti nella stessa barca,minacciata da onde impetuose o, al contrario, relegata in un porto abbandonato, quasi non avesse nessun valore. Friulani e Sloveni ci sentiamo tanto più amici e fratelli perchéportatori di valori storici, culturali e religiosiche nessuna votazione potrà cancellare. Non so se è il caso, ma forse è da rispolverare il motto friulano: Di bessòi. Magari con qualche aiuto dall’alto.

Marino Qualizza

DAL DOM

Se la Benecia diventa «terra promessa»

 «Felici al di là delle nuvole» è il parziale titolo di un articolo uscito di recente su «la Repubblica», cui segue con tono enfatico «così n Friuli si ripopolano i borghi di montagna». È un’ iniziativa sociale, culturale, economica e, direi, politica, che pare aver già attecchito forse proprio cogliendo quel bisogno di «felicità al di là delle nuvole» che spinge molte persone alla ricerca di alternative valide alla convulsa quotidianità lavorativa cittadina che opprime ed isola nel suo moto perpetuo. Mi ha sorpreso leggere le prime righe dell’articolo di Francesca Santolini: «Savogna è un piccolo Comune di 356 anime nelle valli del Natisone, nel cuore dell’Europa, un ideale punto di incontro fra cultura latina e quella balcanica».

Per inciso, trovo limitativo il raffronto relativo alla cultura balcanica rispetto a quella latina, ben sapendo quanto siano estesi il mondo e le culture slave, non solo balcaniche; aprendo l’orizzonte si può ben immaginare il senso di questa sutura e commistura che le valli del Natisone possono rappresentare nella loro effettiva centralità europea.

Si parla di ripopolamento dei borghi montani. Ne hanno estremo bisogno sia la Carnia friulana che il territorio della fascia confinaria tradizionalmente abitata da popolazioni di lingua slovena. Voglio evidenziare intenzionalmente queste specificità linguistiche e culturali anche perché trovo, in questo, una opportunità speciale che questi ambienti montani possono offrire non solo in considerazione del loro particolare percorso storico, ma anche per l’esperienza di conoscenza e rivalutazione di antichi valori che la città non riesce più ad offrire.

Quanto all’iniziativa in atto, sono particolari infatti l’impostazione, i programmi, le finalità della stessa, finanziata dalla «Fondazione Friuli» e attuata dalla «Cooperativa Cramars di Tolmezzo, – per ora – in collaborazione con alcuni Comuni della montagna Friulana e – specificherei – Slovena. Il portale creato a tale scopo: «Vieni a vivere e lavorare in montagna», – così scrivono gli organizzatori – «è pensato per tutte quelle persone che ricercano uno stile di vita all’insegna della qualità, a stretto contatto con la natura, lontano dai grossi centri urbani e basato sull’appartenenza ad una piccola comunità accogliente». Il principio ispiratore e motore, dunque, parte proprio dalla ricerca della disponibilità di una comunità «accogliente» nelle zone montane, dove potrebbe nascere e svilupparsi non solo l’iniziativa economica, ma tutto un processo di inclusione e collaborazione nella stessa comunità accogliente.

«Il portale – viene ribadito – segnala solo quei “territori accoglienti” che mettono a disposizione una “comunità accogliente” per i potenziali nuovi abitanti, “creando le facilitazioni possibili attraverso persone del luogo che potranno accompagnarli nella ricerca degli alloggi disponibili, a fornire informazioni utili per cercare un lavoro in zona, nell’illustrare le modalità di funzionamento dei servizi disponibili, siano essi scolastici che per le persone adulte o anziane. Insomma, un gruppo di ‘ciceroni locali’ in grado di accompagnarti alla scoperta del tuo nuovo mondo».

A quanto pare, per questa stagione le possibili adesioni sono concluse e sono sette le comunità comunali che effettivamente partecipano all’iniziativa, quelle che hanno scommesso su questa opportunità pionieristica: Comeglians, Tramonti di Sopra, Tramonti di Sotto e Resiutta, sui monti della Carnia; Resia/Rezija, Stregna/Sriednje e Savogna/Sauodnja sui contrafforti orientali sloveni. Quindi la risposta almeno di questi candidati non si è fatta attendere. Presumo, allora, che le aree che partecipano al progetto possiedono una comunità viva, disponibile, organizzata e soprattutto ospitale. Quindi le persone che hanno manifestato un concreto interesse «verranno affiancate da persone del luogo (ciceroni) che li aiuteranno a conoscere il territorio e le possibilità che offre: dal lavoro ai servizi, dal sistema scolastico a quello assistenziale, alla mobilità ed alla reperibilità di ogni altra informazione ritenuta utile e di interesse».

La prospettiva di una reale concretizzazione e sviluppo dell’iniziativa apre scenari decisamente innovativi, se non addirittura dirompenti, nell’ambiente valligiano tenendo conto dei pregressi storici di una popolazione legata caparbiamente al proprio pezzetto di terra, alla casa, all’orto, anche quando, come oggi, ha già da tempo abbandonato fisicamente il paesello nativo. In considerazione di quanto siano incredibilmente frazionate le proprietà, suddivise in migliaia di parcelle e proprietari, vedo come un possibile miracolo che si crei un fenomeno di coesione, di accordi che permettano una reale disponibilità del territorio ad essere sfruttato al fine di una crescita sociale ed economica e, perché no, anche demografica. Tutti sogniamo una qualche felicità, che sia al di qua o al di là delle nuvole.

dal Dom

A Resia all’asilo nido Böguw log

 

V Reziji v otroških jaslih Böguw log
A Resia all’asilo nido Böguw log

Fino al 31 maggio 2023 sarà possibile presentare al Comune di Resia la pre-iscrizione all’asilo nido comunale Böguw log/ Arcobaleno situata a Prato capoluogo della vallata.

La struttura, aperta dal 1 settembre al 31 luglio, dal lunedì al venerdì dalle ore 8.00 alle ore 16.00, con servizio mensa, è gestita dalla Cooperativa Kyklos.L’asilo nido, che propone diverse attività sensoriali e ricreative, accoglie bambini dai 3 ai 36 mesi d’età. L’organico, che è composto da diverse figure professionali: educatrici dell’infanzia, un coordinatore pedagogico e un ausiliario, costituisce collegialmente un gruppo di lavoro al quale sono attribuiti specifici compiti di programmazione e di organizzazione dell’attività educativa.

Le educatrici dell’infanzia si prendono cura dei bambini e aiutano la loro formazione con lo sviluppo di competenze emotive-affettive, sociali e cognitive. Il lavoro dell’educatore conduce il bambino ad essere autonomo, a costruire la propria identità e a diventare partecipe e attivo del proprio progetto educativo. Predispongono, inoltre, gli ambienti, spazi e materiali; pensano, organizzano e conducono attività, si occupano dei momenti molto delicati di cura e relazione, come il cambio, il pasto e il sonno; si rapportano con il singolo bambino e con il gruppo, accolgono i genitori collaborando nel compito educativo.

Il coordinatore pedagogico, invece, ha compiti di indirizzo e sostegno tecnico al lavoro degli operatori, anche in rapporto alla sua formazione permanente, di promozione della qualità del servizio, di monitoraggio e documentazione delle esperienze, di sperimentazione di soluzioni innovative, di raccordo tra i servizi educativi, sociali e sanitari, di collaborazione con le famiglie e la comunità locale. Il personale ausiliario, altresì, si prende cura degli spazi legati al gioco ed alle routine, garantisce la pulizia e l’igiene dell’ambiente.

La struttura, inoltre, lavora in stretta collaborazione con l’amministrazione comunale, con la scuola dell’infanzia e con i servizi pediatrici, sociosanitari ed educativi del territorio. Con questo prezioso servizio la comunità di Resia viene incontro alle esigenze delle famiglie e dei genitori che vogliono continuare a vivere in valle dando anche un supporto alle famiglie delle comunità limitrofi. (Sandro Quaglia)

dal dom

Ciclabile del Natisone

 

Al lavoro per la ciclabile del Natisone

Šentlenarski župan/Il sindaco di San Leonardo Antonio Comugnaro

A metà aprile è stato inviato a tutti gli enti interessati (una decina) il progetto della pista ciclabile che unirà Kobarid a Pulfero, tassello fondamentale del piano «Bimobis » che creerà un anello ciclabile a cavallo del confine tra Italia e Slovenia. C’è tempo 90 giorni per sollevare delle eccezioni e opporsi, dopodiché scatterebbe il meccanismo del «silenzio-assenso» e la conferenza dei servizi già convocata per metà luglio (scaduto il fatidico termine) non potrebbe che avallare l’opera.

Insomma, fino ad oggi, a metà del tempo a disposizione, solo il Servizio ittico regionale ha fatto pervenire delle osservazioni che potranno essere accolte senza difficoltà alcuna (è già in agenda un incontro con i progettisti) e soprattutto senza ritardi nella esecuzione dell’opera, strategica per lo sviluppo turistico delle Valli del Natisone. Nessuna notizia, invece, dall’Autorità di bacino dei fiumi Isonzo, Tagliamento, Livenza, Piave e Brenta Bacchiglione, dalla quale, potenzialmente, potrebbe arrivare un «siluro» non da poco, se dovesse considerare il progetto insufficiente sotto il profilo della sicurezza da alluvioni e piene del Natisone.

Salendo verso Kobarid la pista ciclabile correrà dapprima parallela alla statale 54 e prima della galleria si sposterà sul versante opposto con un ponte ciclabile. In quel tratto si è dovuta elevare parecchio la quota del tracciato sul greto del fiume per evitare problemi con le piene. D’altra parte l’Anas ha detto che non si poteva utilizzare neanche un centimetro dell’attuale sede stradale e purtroppo, per problemi di caduta massi, non si è potuto utilizzare in quel tratto (come invece è avvenuto in altri tratti) nemmeno il tracciato della vecchia ferrovia Cividale-Kobarid costruita durante la prima guerra mondiale». I progettisti sono riusciti a risolvere il rebus con un solo ponte ciclabile sul Natisone e a realizzare un tracciato che ha già avuto il via libera dall’Ente tutela pesca (sotto il profilo della protezione della fauna ittica), del servizio geologico regionale e di quello ambientale (anche per il tema della nidificazione di alcune specie di uccelli che era stato a suo tempo sollevato da Legambiente).

«In genere se ci sono grossi problemi vengono sollevati subito – osserva Antonio Comugnaro, sindaco di San Leonardo e membro del comitato esecutivo della Comunità di Montagna Natisone e Torre –. Nell’iter abbiamo seguito tutte le prescrizioni di legge e ciò mi rende ottimista. È vero che si tratta di una gola molto stretta, quindi gli aspetti a cui prestare attenzione sono tanti. C’è il fiume, la montagna che cade a picco, la strada statale con i suoi vincoli. Sul territorio sloveno la pista ciclabile transiterà sì a fianco al fiume, ma gli spazi sono molto più ampi e presentano soluzioni multiple. Noi abbiamo delle scelte obbligate e se non passano creerebbero grosse difficoltà, non tanto tecniche, ma di lievitazione dei costi dell’opera».

Nel frattempo prosegue senza intoppi a livello tecnico la progettazione esecutiva del tratto di pista ciclabile tra Pulfero e Cividale, che sarà il primo a essere messo in cantiere. «Conto di mettere in appalto questo tratto entro l’anno – evidenzia Comugnaro – per un importo di 1,9 milioni di euro». (Roberto Pensa) dal Dom

Raccontare i paesi e gli antichi sentieri

 

Predstaviti teritorij po starih poteh
Raccontare i paesi e gli antichi sentieri

Faedis/Fojda

Sono passate poche settimane dal suo insediamento, ma l’aspettativa tra la popolazione di Faedis è molto alta. Del resto si tratta del primo cambio di rotta deciso dopo anni di continuità amministrativa, qualcuno sostiene dopo oltre quarant’anni. E il nuovo sindaco Luca Balloch, che ha 48 anni e risiede a Canal di Grivò, è già operativo insieme alla sua giunta. Coi consiglieri eletti nelle listeLuca Balloch sindaco – Cambiamo insieme e Lista Balloch sindaco – Fedriga presidente, ha già effettuato una prima ricognizione dei fronti aperti. «Anzitutto saranno ultimati i progetti non ancora completati, come alcune opere a Canebola. Sono in programma interventi anche su altre strade di frazioni collinari, perché le opere non sono state eseguite sebbene le risorse siano disponibili».

Essendo venute meno alcune figure, spiega Balloch, all’Ufficio tecnico del municipio si erano arenate diverse pratiche. Altri lavori, invece, sono stati abbandonati del tutto. Ora l’Ufficio è di nuovo attivo e a breve dovrebbe rimettersi tutto in moto. Anche se sono state avanzate alcune richieste di deroga, infatti, non utilizzare i fondi può anche portare a delle sanzioni.

Balloch è cosciente e anche orgoglioso della varietà del territorio di Faedis. «L’attenzione per le comunità di montagna e le parti del territorio più difficili da raggiungere è alta. Stiamo lavorando sulla sentieristica, con l’intento di tracciare di nuovo i sentieri “antichi” univano le varie frazioni del comune. Ci siamo accorti che, nel tempo, molti tra questi hanno deviato il percorso, perdendo un po’ le proprie caratteristiche originali. Stiamo lavorando con esperti della materia e vecchie carte».

Luca Balloch

Nemmeno con la nuova amministrazione verrà meno il sostegno alle iniziative proposte dal territorio e alle associazioni, come la manifestazione legata a ovini e caprini a Costalunga/Vile o Mari e monti a Faedis.

Anche la recente manifestazione sportiva Maunik Trail, tra l’altro, ha tratto un bilancio oltre le aspettative, tanto che è stato necessario bloccare le iscrizioni.

L’afflusso di camminatori, sportivi e turisti sul territorio rappresenta per Balloch una linea di sviluppo importante. «In alcune occasioni, al momento è anche necessario gestirne il flusso. Anche i maratoneti, ad esempio, trovano qui un contesto facilmente raggiungibile che ha tutti i sapori della montagna». Sempre rispetto alla sentieristica, sottolinea il sindaco, fondamentale resta l’impegno delle associazioni della zona, che mantengono e pubblicizzano i vari percorsi. «In parallelo c’è anche un’azione del Comune, ad esempio con un progetto che vuole valorizzare le nove chiesette della montagna. Sarà strutturato con schermi touch screen che illustreranno storia e percorsi, nonché con cartellonistica».

Un altro punto importante, nel mandato di Balloch, sarà quello di rendere la cittadinanza del comune consapevole di tutte le bellezze presenti sul territorio. «Noi abbiamo un patrimonio che il cittadino non conosce e vogliamo in tutti i modi portare il cittadino a conoscere il paese. Io stesso sto scoprendo piccoli angoli di Faedis che non conoscevo. Come possiamo valorizzarlo e pubblicizzarlo se non lo conosciamo?».

Per la nuova compagine amministrativa, comunque, al momento è ancora periodo di festeggiamenti.

«Sabato, 13 maggio, insieme alla nuova amministrazione ho incontrato associazioni e cittadini nell’ambito di una festa in piazza a Faedis. Mantendendo fede a una mia promessa fatta in campagna elettorale, tra l’altro, alle 18.00 è stata eletta la first lady 2023, che sarà compagna ufficiale del sindaco nelle varie cerimonie». (Luciano Lister) dal Dom

IN BENECIA

 

Benečija potrebuje razvojni center
Benecia, serve un’agenzia di sviluppo

La politica economica regionale «deve tornare a partire dai territori. Solo così si può dare una svolta concreta e significativa a situazioni di squilibrio territoriale come quella dei 5 comuni delle Valli del Natisone ormai da molti anni in fondo alla classifica del reddito pro capite in Friuli-Venezia Giulia». L’economista Fulvio Mattioni, profondo conoscitore del tessuto produttivo friulano, non ha dubbi sulla strada da perseguire per invertire la rotta dello spopolamento: forte ancoramento dei progetti alle risorse umane, naturali e produttive dei luoghi e massima partecipazione e coinvolgimento dei cittadini nell’elaborazione delle priorità ma anche nella gestione dei progetti.

Dott. Mattioni, la politica economica sembra impotente di fronte al perdurare dei problemi della montagna friulana. Ancor di più nella Slavia, il cui spopolamento severissimo ha radici anche nella guerra fredda e nel congelamento di questi territori mentre il resto della regione viveva delle fasi di sviluppo. Qual è la causa? Scarsità di risorse, di competenze o implicitamente si vuol dire che in alta montagna ci possono vivere solo gli orsi?

«Il tema dell’abbandono dei territori montani in regione è impressionante. Il dramma di questi ultimi 20 anni in Regione è che sono state abbandonate le politiche territoriali. La realtà è molto diversa se vista da Trieste o da Drenchia. Occorre rivedere l’assetto istituzionale della Regione affinché le risorse umane, che ora sono dislocate soprattutto a Trieste, possano invece supportare i territori nelle loro sfide. Servono meno impiegati amministrativi e più professionalità che possano supportare la competitività delle diverse aree omogenee e renderle attrattive. La riforma che ha introdotto le Comunità è fallita, perché il nuovo organo è stato recepito in pratica solo da chi è stato obbligato ad adottarlo: le ex comunità montane e la Comunità collinare. Mancano sul territorio delle agenzie di sviluppo che andrebbero create decentrando la Regione. Ce ne vorrebbero almeno una decina in Friuli-V. G.».

Fulvio Mattioni

Un caso emblematico è quello del turismo. Alcuni dei comuni meno ricchi delle Valli del Natisone hanno sul proprio territorio pregevoli memorie della prima guerra mondiale che, oltreconfine in Slovenia, sono state valorizzate creando un notevole indotto turistico. Da noi invece è ancora tutto da sistemare.

«Il turismo è uno dei settori in cui si è maggiormente visto un accentramento e una conseguente perdita di valore dei territori. Difatti negli ultimi 20 anni è cresciuta moltissimo turisticamente solo Trieste, il cui comune ha una struttura che conta migliaia di dipendenti. La montagna, nel complesso, si è fortemente indebolita perché non dotata delle strutture di progettazione necessarie».

Per attuare la Strategie delle aree interne i comuni delle Valli del Torre e del Natisone dovranno darsi una apposita governance. Che consigli darebbe loro?

«È fondamentale che i progetti partano da un reale processo partecipativo della popolazione. Questo è importante dappertutto, perché aumenta notevolmente le probabilità di successo, ma lo è ancor di più nelle zone che soffrono di scarsità di risorse umane perché il convergere delle energie su talune priorità è essenziale. Mi pare molto azzeccata anche l’idea di creare una cooperativa di comunità per gestire i servizi che verranno promossi con i fondi per le aree interne. Può essere un forte stimolo all’imprenditorialità e aumentare il protagonismo specie dei giovani».

Spesso i mass media rilanciano iniziative di territori periferici e spopolati che cercano di attrarre con vari incentivi giovani famiglie alla ricerca di luoghi in cui vivere in modo più armonico con l’ambiente: sussidi in denaro, case prezzo agevolato ecc… Le sembra una strada percorribile, soprattutto per le nuove professionalità che lavorano molto col web?

«Senz’altro può essere una via da percorrere, ma a queste persone bisogna offrire opportunità reali e specifiche. Non ci si può limitare a generiche promesse. Lo stesso se si intende attrarre imprenditori da altri territori. Può essere una strada per crescere, ma per il successo non basta una accorta politica di marketing territoriale, ma occorre fornire delle opportunità concrete di business e di investimento. È per questo che occorre un’agenzia di sviluppo». (Roberto Pensa) dal Dom


La biblioteca di Resia fa 30 anni

 

Rezija, knjižnica praznuje 30 let
La biblioteca di Resia fa 30 anni


Dal 1993 a Resia è operativa la Biblioteca comunale, che per molti anni è stata ospitata nell’ex casa canonica di Stolvizza/Solbica.

Dal 2005, a seguito della ristrutturazione delle ex-scuole del paese, la biblioteca e l’archivio storico comunale sono gestiti direttamente dal Comune e hanno sede in quella struttura. In particolare l’archivio, che dopo i terremoti del 1976 è stato depositato all’Archivio di Stato a Trieste, il quale ha anche provveduto ad inventariarlo, conserva documentazione archivistica a partire dalla fine del XIV secolo.

La biblioteca, invece, vanta un’ampia scelta di libri, periodici, pubblicazioni e riviste. Di particolare interesse la sezione riguardante gli aspetti culturali e linguistici della Val Resia, con una nutrita serie di Tesi di laurea. L’edificio che ospita la biblioteca e l’archivio è, pertanto, un prezioso contenitore culturale che conserva e promuove le informazioni che le fonti scritte ci consegnano sulla storia della vallata.

Nella biblioteca è operativo, inoltre, lo Sportello linguistico regionale per la lingua slovena, che valorizza soprattutto le varianti locali del resiano.

Per il trentesimo anniversario di attività la Biblioteca comunale, in collaborazione con enti ed associazioni locali, nelle giornate di sabato 22 e domenica 23 aprile ha organizzato il Festival del libro intitolato «Fioriscono libri» e una ricca serie di eventi ed appuntamenti, con escursioni guidate e le presentazioni dei libri «Il coraggio a volte è un dovere», «Il momento di partire» di Andrea Rossi e «Marta» di Sandra Sodde. È stata, inoltre, inaugurata la mostra «Ascoltare: le parole della Natura». Per i più piccoli si sono svolte le letture itineranti curate dal Parco naturale delle Prealpi Giulie, il laboratorio didattico «Crea il tuo segnalibro» e una lettura animata a cura di Stella Nosella.

Durante tutto l’anno la biblioteca organizza anche laboratori di lettura in resiano rivolti sia a bambini, in particolare a quelli che frequentano le scuole locali, sia agli adulti. (Sandro Quaglia)

Od leta 1993 je v Reziji odprta občinska knjižnica. Mnogo let je njen sedež bil v župnišču na Solbici; leta 2005 so pa v isti vasi obnovili staro šolsko poslopje. Občinska knjižnica in občinski arhiv, ki ju upravlja sama Obina Rezija, sta prav tam našla nove prostore.

Arhiv ohranja dokumente, ki segajo v XIV. stoletje.

Poleg knjig in publikacij ponudi knjižnica razne diplomske naloge o rezijanski kulturi.

V okviru knjižnice deluje tudi Deželno jezikovno okence za slovenski jezik, ki v dolini Rezija vrednoti še posebej rezijansko slovensko narečje.

Ob svoji trideseti obletnici je občinska knjižnica v Reziji v soboto, 22., in nedeljo, 23. aprila v sodelovanju z raznimi ustanovami in društvi organizirala knjižni festival. V okviru programa so organizirali predstavitve knjig, vodene sprehode in razstav


In Benecia

 


In Benecija c'è ancora un movimento politico che si oppone ai diritti degli sloveni



Il nazionalismo italiano, che si oppone alla minoranza slovena, è tornato molto vivo. Dopo la caduta della "cortina di ferro" e successivamente dopo l'ingresso della Slovenia nell'UE (e anche nell'area Schengen), la situazione degli sloveni che vivono in Italia è migliorata. Nel febbraio 2001 l'Italia ha adottato una legge di protezione per gli sloveni. Nella storia, a volte le cose cambiano velocemente, ed è ancora più difficile cambiare contemporaneamente l'opinione delle persone. Questo è sempre più evidente a Venezia.

In provincia di Udine - dove 8.500 abitanti sono divisi tra Valli del Natisone, del Torre e Val Resia - si sentono di nuovo vecchi slogan nazionalisti, per cui l'atmosfera politica è tornata difficile. Sebbene tutta la Venecia sia nell'area di attuazione della legge di protezione per gli sloveni in Italia, c'è anche un forte movimento politico che vorrebbe dimostrare che la minoranza slovena non esiste in questo territorio. Come sottolineano i nuovi nazionalisti, i dialetti veneto e resiano non sono lo sloveno ma lingue indipendenti. Ciò che affermano tutti gli slavi, italiani e sloveni, non vale per loro. La maggioranza dei politici veneti di centrodestra difende quindi la tesi che queste due lingue siano indipendenti. Chiedono che la legge di tutela non si applichi ai comuni di Venezia. "Non siamo sloveni, ma paleoslavi e quindi italiani", è il loro motto.

Da lontano, questa teoria sembra ridicola. E lo sarebbe, ma i sindaci di alcuni comuni veneti hanno dimostrato di essere d'accordo. Sebbene i comuni stessi non possano discostarsi dalla legge (trattandosi di una legge statale), questi sindaci in qualche modo ostacolano i diritti di quei veneziani che sono membri della minoranza slovena. Così, un anno fa a Rezia, l'associazione del sindaco ha organizzato una protesta contro il cittadino Gabriele Cherubini, quando ha presentato al comune richiesta di carta d'identità bilingue, come consentito dalla legge. Oltre un centinaio di persone con bandiere italiane alla fine misero in fuga il povero Gabriel Cherubino.

Peggio è quanto sta accadendo di recente a San Pietro(2.200 abitanti, il comune più grande della Slavia), dove l'amministrazione comunale si oppone a una scuola bilingue. La scuola primaria, fondata nel 1984, è diventata statale proprio per la legge di tutela.

Non è facile capire perché queste discriminazioni continuino a verificarsi. Sicuramente 150 anni di assimilazione italiana non si possono cancellare con una legge. Inoltre, a in Benecia dopo la seconda guerra mondiale, la politica era fortemente influenzata da organizzazioni segrete statali (principalmente Gladio), che lavoravano contro gli sloveni. Ovviamente anche adesso ci sono interessi politici a mantenere forte la tensione con il tema nazionalista.

Antonio Banchig

tratto da mladina.si

E' un articolo datato,ma sempre valido. 

 


È questa la grande scommessa lanciata da «Nascemed», associazione di promozione sociale con sede a Cividale del Friuli che recentemente ha stipulato con tutti i comuni delle Valli del Natisone una convenzione per promuovere su questo territorio un corso di specializzazione, di studio al più alto livello, su alcune tematiche cruciali e fondamentali per il nostro tempo e soprattutto per il futuro.

Ne parliamo insieme al dott. Stefano Qualizza, presidente di Nascemed (acronimo di Natura, Scienza e Medicina), valligiano, medico di base a San Leonardo, Drenchia, Savogna, Stregna, profondo conoscitore e sostenitore dei valori che il territorio della Slavia Friulana può offrire ad una società che finalmente pare aver capito e accolto come una priorità il tema del rapporto armonico tra l’uomo e l’ambiente, nell’economia, nella sanità, nei servizi sociali ecc… «Vogliamo portare le Valli del Natisone nel futuro, non a tutti i costi, ma rispettandone i valori più profondi soprattutto delle persone e dell’ambiente – spiega il dott. Qualizza –. Come primo passo abbiamo pensato alla diffusione della cultura d’impresa, certi che la presenza di opportunità qualificate di lavoro sul territorio sia il presupposto per combattere lo spopolamento e per invertire la rotta. Con la partnership di Unismart, fondazione promossa dall’Università di Padova come punto di incontro di eccellenza tra imprenditoria, università, enti pubblici e privati, vogliamo promuovere un’iniziativa di alta formazione, un master, per aiutare soprattutto i giovani, ma anche i meno giovani motivati a farlo, per diventare protagonisti della creazione di imprese innovative sul nostro territorio».

Non si tratta di un sogno, ma di una realtà concreta e già ben delineata, pronta a partire a cavallo tra la fine del 2023 e l’inizio del 2024. Chi saranno i docenti? «Scelti e coinvolti dal coordinatore del corso, il prof. Paolo Di Alessandro dell’Università di Padova, interverranno docenti universitari esperti in innovazione, creazione e diffusione d’impresa, imprenditori che hanno lanciato nuove start up esaltando le caratteristiche dei territori in cui operano e anche imprenditori locali per capire difficoltà e potenzialità del territorio», spiega il dott. Qualizza. L’immersione nel territorio sarà il segno distintivo di questa iniziativa, che per questo motivo sarà itinerante portando le lezioni in tutti i 7 comuni aderenti all’iniziativa (Drenchia, Grimacco, Pulfero, San Leonardo, San Pietro al Natisone, Savogna, Stregna). Oltre ad ospitare le lezioni (che si svolgeranno un weekend al mese il venerdì pomeriggio e il sabato mattina, in modo da permettere la partecipazione anche a chi già lavora) offriranno la possibilità agli studenti interessati di conoscere più a fondo le opportunità e i punti di forza dei rispettivi territori.

E gli studenti? Saranno individuati con un apposito bando di prossima pubblicazione. La partecipazione sarà molto «aperta». Si tratta nei fatti di un master, però non è richiesto come requisito la laurea, ma soprattutto l’amore per il territorio delle Valli del Natisone, la voglia di creare impresa e di fare qualcosa di positivo per la propria terra. Non è necessario essere residenti sul territorio, ma voler lavorare e creare qualcosa di buono per le convalli del Natisone.

Anche l’età è ampia: «I frequentanti degli ultimi anni delle scuole superiori, gli universitari e i laureati da poco sono il pubblico di elezione a cui ci rivolgiamo – spiega il dott. Qualizza –. Ma se capitasse un giovane pensionato che ha ancora voglia di spendersi per il territorio non gli diremmo di no». Il corso riguarda la creazione d’impresa in modo ampio, quindi non legata a settori particolari, adatta a diverse «business ideas» dall’agricoltura al turismo, dalla tecnologia ai servizi sociali. «L’importante è voler fare impresa rispettando il nostro territorio e i suoi valori intrinseci – spiega il dott. Qualizza –. Ora che la sostenibilità e il rispetto dell’ambiente sono diventati valori imprescindibili per ogni tipo di business, sarebbe assurdo non partire proprio da questi valori che la nostra tradizione ha sempre preservato».

Altro aspetto importante sono i costi per i partecipanti, che per questo tipo di iniziative in genere sono significativi.

«Stiamo coinvolgendo enti, fondazioni e privati in modo da ridurre la quota di partecipazione ad un livello simbolico – spiega il dott. Qualizza – per avere una partecipazione la più ampia e democratica possibile». Gli interessati possono già contattare il dott. Stefano Qualizza all’indirizzo mail info@nascemed.it e seguire gli sviluppi sul sito www.nascemed.it. Il dott. Qualizza è disponibile anche per colloqui individuali approfonditi per spiegare meglio l’iniziativa.

L’associazione «Nascemed» è formata interamente da persone delle Valli del Natisone, di età media compresa tra i 20 e i 30 anni. Quella del master è la prima iniziativa pubblica, ma altre sono in cantiere soprattutto nel settore sanitario e sociale. (Roberto Pensa)

S pobudo »Nascemed« nameravajo vzgojiti kadre, ki bi skrbeli za trajnostni razvoj Benečije. Preporod Benečije zahteva novi pristop, hitre spremembe in prilagajanja na vseh področjih. Izobraževanje kadrov je nuja, saj le vrhunsko znanje prinese vrhunske rezultate.

Dobrodošla je torej pobuda »Nascemed«, ki jo je predlagala fundacija »Unismart« Univerze v Padovi in ki so jo sprejeli župani Nediških dolin.

Do konca letošnjega leta naj bi stekel tečaj 100 ur, da bi vzgojili profesionalce za trajnostni razvoj Benečije. Namenjen naj bi bil univerzitetnim študentom, mladim diplomirancem in upokojencem dobre volje. Trenutno si organizatorji prizadevajo, da bi vključili javne zavode, fundacije in zasebnike. Potrebno kotizacijo za tečaj bi tako zmanjšali na simbolično vsoto. Tako nam je povedal sam predsednik društva »Nascemed«, Stefano Qualizza, ki je družinski zdravnik v Svetem Lienartu, Dreki, Sauodnji https://www.dom.it/nascemed-zamisli-za-benecijo_da-nascemed-idee-per-la-slavia/

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