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La poesia di Mila Kačič

 

2913-2000

SPOZNANJE

Ljubim ležanje v soncu.
Vznak in zaprtih oči.
Na travi ob morju.

Valovi so koraki moža,
ki ga čakam
s hrepenenjem in strahom.

Zmeraj bliže prihaja.
Neznan je njegov obraz
in ne vprašam ga po imenu.
Bliža se
vroč in nestrpen,
dišeč po zrelem semenju.
Z nežnim nasiljem razpre mi korak
in me dvigne v vrtinec.

Ko oči spet odprem
in se nebo nad mano umiri,
smo le sonce,
trave
in jaz.

Valovi so spet koraki moža,
ki se vračajo k morju.

Ljubim ležanje v soncu.
Vznak in zaprtih oči.
Na travi ob morju.


RIVELAZIONE

Amo giacere al sole.
Supina e a occhi chiusi.
Sull'erba in riva al mare.

Le onde sono i passi dell'uomo
che aspetto
con smania e paura.

S'avvicina sempre di più.
Non conosco il suo viso
e non gli chiedo il nome.
Si avvicina
focoso e impaziente,
odoroso di semi maturi.
Con dolce violenza allarga le mie cosce
e mi trascina in un vortice.

Quando riapro gli occhi
e il cielo lassù si rasserena,
non c'è che il sole,
le erbe
ed io.

Le onde sono di nuovo passi d'uomo
che ritornano al mare.

Amo giacere al sole.
Supina e a occhi chiusi.
Sull'erba in riva al mare.

http://www.filidaquilone.it/num028milic.html


SREČKO KOSOVEL


 " Il calice di una rosa è colmo di rugiada..."

Ricorre oggi l'anniversario della nascita di SREČKO KOSOVEL.
Il poeta, nacque a Sežana il 18 MARZO 1904.
*
18. marca 1904 se je v Sežani rodil slovenski pesni, kritik in publicist, Srečko Kosovel.
Vogliamo ricordarlo in questo giorno con alcune sue poesie, nella traduzione di Jolka Milič (1926 - 2021)
⚘️
Primavera
Il calice di una rosa è colmo di rugiada,
si è aperto in una sera ventosa che
dolcemente accarezza la rorida campagna.
In mezzo ai fiori una bianca stella spande il suo profumo fino al cielo.
Va' e riempi il tuo calice!
Pomlad
Kelih rože je rose poln,
odprt je v večer vetrovni,
ki mehko boža čez rosna polja.
Sredi cvetja bela zvezda
dehti do neba.
Pojdi in si svoj kelih napolni!
🪻
O MADRE
O madre, non so né come
né cosa dirti,
le rocce del Carso mi hanno travolto
abbattendomi al suolo.
E nell’anima lo splendore dei miei
roridi e lucenti sogni si è offuscato,
sul mio petto le rocce del Carso,
non so come farò a vivere.
Arde come indorata da fuoco
la finestra della tua camera a ponente,
sento grondare il sangue dal mio cuore,
sento l’impotenza delle mie braccia spezzate,
sento l’impotenza dei miei sogni.
🪻
USIGNOLI
Gli usignoli cantano
all'ombra dei cespugli
in mezzo alla dolina;
solo soletto erro per i campi
in quest'ora silenziosa.
Nella rugiada brillano
la collina e la campagna,
cristalli d'argento...
E nel mio cuore sereno
si specchia la luna.
⚘️
Sarebbe bello
Sarebbe bello
vagare tutta la vita
per verdi selve
senza fermarsi.
Essere uccel di bosco
che ignora i campi.
Essere qualcuno
dal cuore tanto
tanto buono.
Mi dicono:
Questa non è vita.
Ma io oppongo :
È vita forse il dolore?
*
Kako lepo bi bilo
romati vse življenje
skozi zeleni gozd
in se ne ustaviti.
Biti kot gozdna ptica,
ki ne pozna poljan.
Biti človek
z dobrim,
dobrim srcem.
Pravijo mi:
To bi ne bilo življenje.
A jaz jim odvračam:
Je li življenje bolest?
🌿
Canto carsico
Pini fragranti, pini odorosi,
il loro profumo è sano e forte
e chi torna dalla loro solitudine,
non è più malato.
Su questo lembo di terra pietrosa
tutto è bello e vero,
essere, vivere, lottare
sentirsi giovane e sano.
Pini fragranti, compagni tenaci,
dolci compagni di spazi perduti,
io vi saluto dalla mia solitudine,
densa di grave e desolata bellezza!
Srečko Kosovel nasce a Sežana , il 18 marzo 1904.
Nel 1915 conclude la scuola elementare a Tomaj, dove la famiglia si era frattanto trasferita.
Dal 1915 al 1922 frequenta il ginnasio a Lubiana.
Nell’autunno del 1922 si iscrive alla facoltà di filosofia di quell’università .
Muore a Tomaj, il 27 maggio 1926.

Premio ad Andreina Trusgnach

 


La poetessa slovena delle Valli del Natisone ANDREINA TRUSGNACH è stata premiata a Trieste in occasione della giornata della cultura slovena.Andreina Trusgnach, soprattutto negli ultimi anni, è diventata famosa in quasi tutta Italia con le sue poesie, che scrive nel suo nativo dialetto sloveno e in cui tocca una grande varietà di argomenti, come lei regolarmente - e anche con molto successo, come lei ha già ricevuto un centinaio di premi, diversi primi premi - partecipa a concorsi di poesia (oltre a concorsi di prosa); si è anche presentata più volte in Slovenia.

Ti vogliono far morire Benečija,
l'ho capito.
Pensano di non trovare sveglio nessuno
quando verranno di notte, come ladri.
Ma noi li aspetteremo alzati
e tutti assieme, in mezzo al paese,
canteremo con forza quei canti
che ci hanno insegnato gli anziani.

Canteremo ed essi verranno con le forbici
per tagliarci la lingua
ma le canzoni si saranno giŕ levate nel cielo
in alto, in alto
sveglieranno tutte le persone del mondo
e tutti le udiranno e per questo
non potranno piů morire.

COMPLIMENTI ANDREINA!!!


Poesia di Ivan Minatti


 Nostalgija

Ivan Minatti (1924-2012)
Že rumené gozdovi
in oblaki počasneje jadrajo
svojo pot.
In tiho tiho je v meni
in tiho je naokrog.
(...)
Già i boschi si colorano di giallo
e le nuvole più lentamente
veleggiando se ne vanno.
C'è il silenzio in me,
silenzio tutt' intorno.
Ivan Minatti , poeta e tra duttore sloveno. Nacque a Slovenske Konjice il 22 marzo 1924 ed è morto a Ljubljana il 19 giugno 2012. E’ uno dei maggiori rappresentanti dell’intimismo sloveno.

POZABLJENIM/DIMENTICATI


 Simon Gregorčič

Goriški slavček - L'usignolo di Gorizia 1844-1906
Il giorno in cui tutti noi rivolgiamo i nostri pensieri ai cari defunti, il poeta si chiede chi ricordi le tombe dimenticate.
"A chi, in questo giorno, si rivolge il mio cuore? A voi, tombe dimenticate, dove non c'è una croce, né una pietra, non vi ornano fiori, e alcuna luce brilla.
Ma se nessuno, questa notte, vi ricorda, non vi ha dimenticati l'umile poeta e - il cielo"
Pozabljenim
Vseh mrtvih dan!
Na tisto tiho domovanje,
Kjer mnôgi spé nevzdramno spanje,
Kjer kmalu, kmalu dom bo moj,
In - tvoj,
Nocoj se sesul je roj močán,
Saj jutri bo vseh mrtvih dan,
Vseh mrtvih dan!
Bledó trepeče nad grobovi
Tisóč svetíl,
In križe, kamne vrh mogíl
Jesenski venčajo cvetovi -
Vseh mrtvih dan!
Kjer dragi spé jim po pokôpi,
Kleče, solzé živóčih trôpi,
Oh, dušo trè jim žal in bol;
Pod zêmljo pol, na nèbu pol
Nocój jim je srcé:
Na grob lijó grenké solzé,
V nebó gorké prošnjé!
O, le klečíte, le molíte,
Po nepozabnih vam solzíte,
Da bóde gròb od solz rosán,
Saj jutri bo vseh mrtvih dan,
Vseh mrtvih dan!
Solzíte,
Molíte!...
In jaz?
Ko misli vsakedó na svoje,
Kogà, kogà pa srce moje
Spomína se tačàs?
Vas, zabljeni grobovi,
Kjer križ ne kamen ne stojí,
Ki niste venčani s cvetóvi,
Kjer luč nobèn ne brlí.
O, če nikdó
Nocój se vas ne spomni,
Pozábil ni vas pévec skromni
in pa - nebo.

L'uomo che raccontava il basket

 Sergio Tavčar per TV Capodistria commentava le partite di pallacanestro del sabato dai pittoreschi palazzetti disseminati in tutta la Jugosavia. È ora nelle librerie il suo "L'uomo che raccontava il basket", edito da Bottega Errante Edizioni

22/09/2022 -  Stefano Lusa

Non è stata la fame a fare grande la nazionale di basket jugoslava, “pensare che un montenegrino (o affine) sgobbi di sua spontanea volontà è semplicemente improponibile”. Sergio Tavčar, voce storica di TV Capodistria, racconta un paese che non c’è più attraverso quella che lui considera probabilmente la sua più sublime espressione: la pallacanestro. Lo fa con l'ironia che lo contraddistingue e con un piglio che non ha nulla a che vedere con il politicamente corretto. Il libro è una riproposizione riveduta, corretta e ampliata di “La Jugoslavia, il basket e un telecronista”, pubblicato e distribuito in proprio nel 2015. Ora esce per Bottega Errante Edizioni  con il significativo titolo de “L’uomo che raccontava il basket”. Verrà presentato in anteprima questa sera, alle 18.30 alla Biblioteca comunale “Edoardo Guglia” di Muggia  .

Autore: Sergio Tavčar
Prefazione: Gigi Riva
Editore: Bottega Errante Edizioni
Collana: camera con vista

Un libro che ripercorre le vicende del campionato jugoslavo di pallacanestro e dei suoi tanti campioni, conosciuto anche tra gli appassionati di basket italiani, proprio grazie alle telecronache di Sergio Tavčar, che per TV Capodistria commentava le partite del sabato dai pittoreschi palazzetti dello sport disseminati nella federazione. Storie di squadre e soprattutto di campioni, per raccontare una scuola unica che ha rivoluzionato il gioco.

Per Tavčar i motivi del successo di quella nazionale stavano nel “fisico”, ovvero nei geni che regalano a quelle terre persone alte e coordinate; nel fatto che, soprattutto inizialmente, erano le élite intellettuali a praticarlo; nella propensione a far fare ai bambini, sin dalla scuola elementare, tanto sport e tanti sport diversi e nella fortuna che fosse gestito dai cestisti stessi. A spingere quella nazionale verso vette inimmaginabili non sarebbe stata quindi la fame e tanto meno la voglia di far fatica, ma il gusto di “nadmudrivati” (parola intraducibile in italiano) l’avversario, ovvero di imporsi dimostrando di essere più saggi e più astuti. Un mix vincente nato dalla mentalità balcanica e dalla passione per tutti i tipi di gioco, ma anche dall’amalgama di popoli con caratteristiche e propensioni tanto diverse tra loro. Una nazionale fatta di sloveni “tirchi, introversi, musoni, pessimisti”, ma che non si stancano mai di lavorare; di croati cosmopoliti, con una grande dignità nazionale “al limite del patriottismo da macchietta” e di serbi “oppressi da uno straordinario complesso di superiorità” che li porta “a non sentire alcun tipo di pressione psicologica nei momenti chiave”.

Una nazionale che diede medaglie europee, mondiali ed olimpiche al suo paese e che portò quella squadra ad un passo dal battere (o almeno dal giocarsela) il Dream team americano alle Olimpiadi di Barcellona. A quella partita la Jugoslavia non ci arrivò mai. Tutta la regione era precipitata nell’ennesima stagione di sanguinose guerre balcaniche. Le avvisaglie di quanto sarebbe accaduto cominciarono ad emergere anche nella pallacanestro già alcuni anni prima. Era il 1986 quando in Spagna, ai campionati del mondo, Tavčar si accorse che nella federazione stava succedendo qualcosa. Era appena arrivato a Madrid per seguire le fasi finali della manifestazione e con gli altri giornalisti jugoslavi si trasferì in autobus da Oviedo: “I serbi erano tutti seduti verso il fondo e chiacchieravano fra loro, i croati erano a destra, sloveni, bosniaci e macedoni a sinistra, io ed il collega del Kosovo, davanti, subito dietro al guidatore. E così per tutto il viaggio, con incomunicabilità totale fra i vari gruppi, incomunicabilità che non riuscivo a capire, visto che l’anno prima erano tutti grandi amici”.

Fu un mondiale disgraziato per la Jugoslavia, con l’accusa insabbiata di una hostess di essere stata violentata da tre giocatori jugoslavi e con la squadra che riuscì a perdere una semifinale dominata con l’Unione Sovietica dopo essere stata in vantaggio di nove punti a quarantasette secondi dalla fine. Quando Zoran Čutura segnò dall’angolo il canestro dell’85 a 76, Tavčar scattò in piedi e rivolse il tipico gesto ad ombrello al pubblico che stava facendo un tifo sfegatato per i sovietici. Venne ripagato alla fine della partita da una raffica di contro gestacci e grasse risate che continuano ad essere ancor oggi uno dei suoi incubi più ricorrenti.

In ogni modo rientrato da quei mondiali dalla Spagna a Zagabria, una volta passato il confine tra Croazia e Slovenia i due colleghi di Radio e TV Lubiana, che erano con lui “cominciarono a intonare a squarciagola un valzer del più famoso complesso pop-folk sloveno, quello dei fratelli Avsenik (…) Slovenija od kot lepote tvoje  (O Slovenia da dove provengono le tue bellezze), una specie di inno ufficioso che veniva obbligatoriamente intonato in ogni sagra di paese. Non contenti, alla fine cominciarono a discutere fra loro sull’altezza del muro che avrebbe dovuto essere costruito al confine per essere al riparo da brutte sorprese”. Tutto questo, dice Tavčar, tra due giornalisti, dove all’epoca difficilmente avrebbe potuto esserci posto per dei dissidenti. “Se loro due la pensavano così, immaginarsi gli altri”.

Quattro anni più tardi in Argentina, la Jugoslavia vinse, ma durante i festeggiamenti nel post-partita Vlade Divac strappò dalle mani dei tifosi una bandiera con la scacchiera croata. La Jugoslavia oramai stava andando a pezzi. L’ultimo campionato di basket jugoslavo si concluse con la vittoria spalatina della Jugoplastika che si impose sui belgradesi del Partizan. L’azione conclusiva della partita fu uno spettacolare contropiede di Toni Kukoč che andò a schiacciare dopo un giro di 360 gradi su se stesso. La spettacolare metaforica fine di un grande campionato che aveva insegnato il basket all’Europa e che aveva sviluppato una sua variante autarchica del gioco senza piegarsi alla scuola americana. Per Tavčar del resto “tutto il progresso tecnico, nel senso della reinterpretazione del basket secondo schemi mentali più consoni alle nostre genti, si svolse in Jugoslavia”.

La storia della pallacanestro jugoslava si concluse nel giugno del 1991, quando in Italia si disputarono gli europei. La squadra si impose senza troppi patemi, ma lo sloveno Jure Zdovc abbandonò la nazionale poco prima delle semifinali. Il suo paese aveva proclamato l’indipendenza ed i carri armati di Belgrado avevano cominciato a sferragliare per il paese. Troppo per difendere i colori della federazione in una competizione internazionale.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Slovenia/L-uomo-che-raccontava-il-basket-220657

La poesia di Srečko Kosovel: "Tra Carso e caos. Pre/sentimenti"

 

La poesia di Srečko Kosovel: "Tra Carso e caos. Pre/sentimenti"

Mentre in Italia si dibatte e ci si sbatte - e un po', mi pare, si perde tempo e energia - attorno al Diario postumo di Montale, divisi come siamo tra chi vuole sminuire, demolire o scanonizzare il poeta diabolico che s'ingegnava a depistare i "cani da tartufo" della filologia, chi magari è spiazzato o irritato dalle manipolazioni made in Cima o chi più semplicemente chiede di sapere come effettivamente andò con le ultime poesie, per consegnare ai lettori materiali credibili dell'ultimo periodo (tifo per quest'ultimi, ma senza particolari affanni), altrove la vita continua. E sarebbe continuata comunque, per fortuna. Continua la vita della poesia successiva, va da sé e ed ovvio, e continua la vita della poesia antecedente o contemporanea a quella di Montale. Lo sapeva anche Montale - voglio credere - per quanto a volte abbia l'impressione che desiderasse una poesia in qualche modo terminante con lui, almeno per un bel pezzo. I meccanismi dell'oblio gli erano probabilmente ben noti.

Ci spostiamo allora sul confine orientale a prendere una boccata d'aria carsica e parliamo un po' di Srečko Kosovel, un poeta che è stato talvolta avvicinato a Sergio Corazzini. La brevissima vita li ha fatti accostare e questo dato ci è sufficiente per diffidare, una volta di più, del peso delle biografie nelle interpretazioni, un vero e proprio male dei secoli e non solo del secolo. Kosovel è nato a Sežana, località facilmente raggiungibile dal valico triestino di Fernetti, nel 1904 ed è morto a soli 22 anni di meningite, a Tomaj. Lo scorso anno ricorrevano i 110 anni dalla nascita e Comunicarte Edizioni gli ha dedicato Tra Carso e caos. Pre/sentimenti, un volume 11x11cm stampato in 110 copie numerate (la numerologia non è casuale) curato da Darja Betocchi e Poljanka Dolhar (pp. 136, euro 15, con composizioni costruttiviste di Eduard Stepančič). Ne scrivo volentieri a 111 anni dalla nascita. Qualche anno fa Boris Pahor gli dedicò una monografia pubblicata da Edizioni Studio Tesi, tuttavia oggi questo volume quadrato proposto da Comunicarte Edizioni risulta essere, per il lettore di lingua italiana, una delle poche porte d'accesso alla sua lirica. La breve parabola esistenziale di Kosovel interseca molti dei temi che sono cari a Pahor, vale a dire tutta quella membrana di avvenimenti che accadono in quei luoghi, Carso compreso, dopo il Trattato di Rapallo del 1920.

Una parabola di vita così breve è stata incamiciata dentro più correnti. Si parla e si scrive di fase impressionista, espressionista e costruttivista (e per questo trovate in questo volume le interessanti composizioni di Eduard Stepančič). Ma non mancano nemmeno contatti con le avanguardie e allora ecco spuntare Dadaismo, Futurismo e Surrealismo. Dicevamo del Carso, e non si può non nominare questa regione nel caso di Kosovel. Certi poeti si possono benissimo leggere al di fuori delle correnti con le quali siamo stati più o meno abituati a incorniciarli, ma non troppo lontani dalla geografia dalla quale provengono e che hanno camminato. Si badi che nessuno sta dicendo che la geografia sia sempre determinante o che, ancor peggio, sia necessario parlare di "radici geografiche" o di qualche altra sciocchezza che poi, giù giù per la scala delle aberrazioni intellettuali, può arrivare persino ai vani e pericolosi discorsi su una sorta di costume locale. Ci sono poeti dialettali che sono davvero universali (Marin è uno, Giotti un altro tanto per stare in quella zona) e possiamo trovare poeti nemmeno sfiorati dal dialetto che accusano il colpo della piaga del localismo geografico e soprattutto mentale.  Quando dico "universali" intendo anche "classici", ma con "classici" non intendo "immutabili" o altre fesserie. Io credo che un classico rappresenti invece il massimo di alterità e distanza da come siamo noi e il massimo di mutazione nel tempo e nello spazio. Solo così, a mio avviso, può essere davvero universale. La scelta della lingua è solamente uno degli elementi che concorrono a formare il metodo con cui esploriamo la vita in letteratura, per quanto resti un fattore di straordinaria rilevanza. E se è davvero centrata l'affermazione che vuole nei luoghi i nostri ultimi dèi (Bonnefoy), tornando alla poesia di Kosovel scopriamo che è nulla forse senza la geografia dei suoi pini:

VIDI DEI PINI CRESCERE

Vidi dei pini crescere
al cielo. Imperturbabili
nel fuoco dei soli.
Vidi già il rogo
che li arderà.


Su bianchi cuscini
i monti-vegliardi posarono
il capo silente. —
Bisbigliano i pini.
(Chi mai li sente?)


Erano lì —
colonne di fuoco
svettanti nel cielo...


Il mio corpo s’incenerì.



VIDEL SEM BORE RASTI

Videl sem bore rasti
v nebo. Stoike mirne
skozi ognje sonc.
Videl sem že požar,
ki jih bo požgal.


Na belo blazino so
naslonili starci-hribi glavé
in obmolknili. —
Bori šumijo.
(S kom govore?)


Videl sem jih,
kako so romali
goreči stebri — v nebo ...


V pepel se mi je sesulo telo.


Insomma, è molto più semplice ignorare tutte le categorie nelle quali la lirica di questo poeta sloveno è stata fatta ricadere che ignorare l'immagine di una dolina, così come possiamo essercela fatta al di fuori di un dizionario, per poi leggere una poesia come la seguente:

SE SOLO SAPESSI

Se solo sapessi, canterei
il pioppo che fruscia con voce argentina,
il sole del Carso
in un fresco settembre,
il grano saraceno nella bianca dolina.

Se solo sapessi, canterei
una sola, un’unica fanciulla;
le voglio un tale bene
che non la cambierei
per nulla al mondo, nulla.


PA DA BI ZNAL

Pa da bi znal, bi vam zapel
o svetlo šumečih topolih,
o kraškem soncu
v hladnem septembru,
o belih ajdovih dolih.

Pa da bi znal, bi vam zapel
o enem, o enem dekletu;
tako rad ga imam
in ga ne dam
za vse, za vse na tem svetu.


Nella poesia di Kosovel affiorano innovazioni che balzano all'occhio di chi non conosce la sua lingua (stili, colori, simboli, collages, librazioni immaginifiche degli oggetti). A più riprese si fa largo un pensiero che "crepuscolare" non sia tanto una parte della poesia che abbiamo conosciuto, soprattutto nella prima metà del secolo scorso (con evidenti succedanei nell'oggi), ma tutta la poesia, compresa quella aurorale di Saffo. Ciò è proprio dei momenti di massima trascolorazione e acutizzazione dei sensi. Il punto è semmai come quest'essere crepuscolare e corpuscolare della poesia, onda e particella, si riverberi e produca energia cinetica, movimento insomma, in chi la legge, anche in traduzione.

TUTTE QUESTE PAROLE

Tutte queste parole dovrebbero essere
come un fragrante mare di pini,
astri che si spengono sui monti
ai primi raggi mattutini...

Ma è mezzanotte appena, mezzanotte,
e io devo farle splendere ancora,
così potremo restare sul Carso
in questa nostra grigia dimora.

Avvolto nel mio scuro cappotto
le invoco nel vento dai refoli fieri —
vibrano i vetri; mia madre si desta,
e sprofonda in sognanti pensieri...

Ma io smanio come la bora —
l’insonnia fuori mi conduce.
Percorro nel silenzio carsici sentieri.
La notte li ammanta di luce.


VSE TE BESEDE

Vse te besede bi morale biti
dehteče ko borova morja,
jutranje zvezde, ki ugašajo
ob zarji iznad pogorja ...

Pa je pólnoč še, pa je pólnoč še
in jih moram prižgati,
da v tej sivi kraški hiši
nam je ostati.

V temen plašč zavit jih v burjo
govorim, ko se zaganja
v okna; pa se mati vzdrami
in pomisli in zasanja ...

Jaz pa divji sem kot burja —
proč, o proč je moje spanje.
Tiho stopam preko poti kraških.
Noč mi sije nanje.
http://librobreve.blogspot.it/2015/04/la-poesia-di-srecko-kosovel-tra-carso-e.html


Letteratura slovena


 Riprendiamo con una bella poesia "I passeri e lo spaventapasseri" di Oton Župančič , poeta sloveno, tradotta in friulano da Gianni Marizza :

VRABCI IN STRAŠILO
Čiv-čiv, čiv-čiv,
še dolgo bom živ,
živ-žav, živ-žav,
še dolgo bom zdrav
na sredi poljá
tri vreče prosá!
Čiv-čiv, živ-žav,
vse prav? Vse prav!
Čiv-čiv, čiv-čiv,
saj nisem jaz kriv
živ-žav, živ-žav
če mož je brljav,
če metlo ima,
pa mesti ne zna.
Tradussion par furlan:
Cip cip, cip cip,
sarai vif ancjamó tant timp,
Cip cip, cip cip,
sarai san ancjamó tant timp
Tal miez dal cjamp tre sacs di méi
Cip cip, cip cip
Dut ben? Dut ben!
Cip cip, cip cip
No lé colpa me
cip cip, cip cip
se l'omp lé uarp
se al jà la scova
ma no'l sa scovà!

Oton Župančič (Vinica23 gennaio 1878 – Lubiana11 giugno 1949) è stato un poeta sloveno.

Appartenne a famiglia agiata, e poté studiare a Novo Mesto, a Lubiana e a Vienna. Per vari anni peregrinò in varie capitali europee e poté fare esperienza diretta di tutte le correnti letterarie dell'epoca.

Il suo stile inizialmente si ispirò alla poesia popolare per poi affrontare tutti i temi della vita e dell'arte, creando una lirica vivace e ricca di sentimento che fece di lui uno dei maggiori poeti sloveni.

Fra le sue raccolte si ricordano soprattutto Attraverso la pianura, del 1904, Monologhi, del 1908, All'alba di San Vito, del 1920 e La pervinca sotto la neve del 1945. Nel 1924 Župančič scrisse anche un dramma, Veronica di Desenice, con minore successo. Fu autore di una copiosa produzione di versi per l'infanzia e di numerose traduzioni da altre lingue in sloveno.

In Italia vi sono a lui dedicate due scuole primarie con lingua d'insegnamento slovena, una a Gorizia e una a Trieste, e una via nel paese di Jamiano nel comune di Doberdò del Lago.

Quel Carso Felice

 


In questi giorni di caldo infernale stiamo guardando impotenti, impauriti, gli incendi che hanno distrutto il Carso, una terra severa, difficile, ma incredibilmente, selvaggiamente bella. Di qua e di là del confine il fuoco sta mangiando ettari ed ettari di bosco, la casa di tantissimi animali e minaccia le case.

Guardiamo attoniti l'impegno sovrumano che viene messo dai #vigilidefuoco e dai #gasilci. dalla protezione civile e da tantissimi volontari.
In questo frangente mi è venuta in mente una delle più belle poesie di Srečko Kosovel, il grande cantore del #Carso, una poesia che parla dei maestosi pini, piante secolari "come guardie sotto la vetta".
Una poesia che riporto qui sotto con a fronte la traduzione di Michele Obit (pubblicata nella raccolta antologica Quel Carso Felice della Transalpina Editore, 2017) e di cui esiste anche una versione musicata da Alojz Srebotnjak che potete sentire nel link.
Srečko Kosovel: Bori Srečko Kosovel: Pini (trad. di
Michele Obit)
Bori, bori v tihi grozi, Pini, pini nel muto orrore,
bori, bori v nemi grozi, pini, pini nel silente orrore,
bori, bori, bori, bori! pini, pini, pini, pini!
Bori, bori, temni bori Pini, pini, tetri pini
kakor stražniki pod goro come guardie sotto la vetta
preko kamenite gmajne per le lande pietrose
težko, trudno šepetajo. sussurrano grevi e stanchi.
Kadar bolna duša skloni Quando l’anima sofferta si china
v jasni noči se čez gore, oltre le vette nella chiara notte,
čujem pritajene zvoke sento i suoni soffocati
in ne morem več zaspati. e più non so dormire.
«Trudno sanjajoči bori, “Stanchi sognanti pini,
ali umirajo mi bratje, muoiono forse i miei fratelli,
ali umira moja mati, muore forse mia madre
ali kliče me moj oče?» o è mio padre a chiamarmi?”
Brez odgovora vršijo Senza risposta mormorano
kakor v trudnih, ubitih sanjah, come gravati da sogni angosciosi,
ko da umira moja mati, come se morisse mia madre,
ko da kliče me moj oče, come se chiamasse mio padre
ko da so mi bolni bratje. e sofferenti fossero i miei fratelli.

da fb

IVANA DAVANTI AL MARE


 Si annuncia la prossima uscita di “Ivana davanti al mare”, romanzo della scrittrice slovena Veronika Simoniti, edito da Morellini Editore. Il libro ha vinto il prestigioso premio Kresnik 2020.



La nipote di una anziana donna slovena, morta da poco, torna da Parigi per svuotare la casa di sua nonna Ivana, quando trova una foto di lei, visibilmente incinta, che stringe fra le braccia una bambina: “Ma come” si chiede, “non era figlia unica mamma?”. La donna si mette alla ricerca del significato di quell’immagine, stridente come un bianco e nero privo di grigio. Una fotografia che il Secondo conflitto mondiale sembra aver lasciato proprio perché fosse lei a scoprirlo.


Ivana davanti al mare, campione d’incassi in Slovenia e già tradotto in diverse lingue, racconta un periodo drammatico della storia europea, in quel crocevia di popoli rappresentato da Istria ed ex Jugoslavia. Una vicenda tra Trieste e la Slovenia che conduce il lettore in una delle vicende più dolorose della nostra recente storia.
(Traduzione di Sergio Sozi)


Veronika Simoniti (Lubiana 1967) è laureata in lingue e letterature romanze. Ha lavorato per vari anni come traduttrice freelance e lettrice di lingua italiana. In campo letterario ha esordito dapprima come autrice di fiabe per Radio Slovenia e in seguito con il racconto Metuljev zaliv (La baia della farfalla), con cui ha vinto il primo premio al concorso bandito dalla rivista “Literatura”. Da allora ha continuato a scrivere sia per la radio che per varie riviste letterarie. Ha vinto premi o ricevuto segnalazioni anche per altri singoli racconti. Nel 2005 l’editore Lud Literatura ha pubblicato la sua prima raccolta di racconti brevi, Zasukane štorije (Storie contorte), segnalata dal Premio Esordio del 2005 e due volte inclusa tra i finalisti del Premio per la migliore raccolta di prose brevi Fabula 2006 e Fabula 2007. Nel 2011 ha pubblicato la sua seconda raccolta di racconti brevi, Hudičev jezik (La lingua del diavolo). I suoi racconti sono stati tradotti in quindici lingue straniere e figurano in antologie in lingue straniere (tra le quali la Best European fiction 2016). Nel 2014 è uscito il suo primo romanzo Kameno seme (Il seme di pietra) presso l’editrice Litera ed è stato segnalato, nel 2015, dal Premio Kresnik per il migliore romanzo dell’anno. Nel 2018 sono uscite due raccolte di racconti scelti tradotti: Teufelssprache (Litterae Slovenicae) in tedesco e Mere Chances (Dalkey Archive Press) in inglese. Nel 2019 ha pubblicato, per i tipi della casa editrice Cankarjeva založba, il suo secondo romanzo Ivana pred morjem (Ivana davanti al mare) che è stato segnalato dal Premio Modra ptica per il miglior manoscritto e ristampato lo stesso anno. È stato segnalato, inoltre, dal premio Kritiško Sito dell’Associazione dei critici letterari sloveni nel 2020, e ha vinto, nello stesso anno, il Premio Kresnik per il miglior romanzo dell’anno. È del 2019 anche Fugato, segnalato nel 2020 dal Premio Novo Mesto per la migliore raccolta di racconti brevi.


Andro' fra la gente


 MED LJUDI BOM ŠEL

ANDRÒ FRA LA GENTE
Med ljudi bom šel
S knjigo Hugoja v rokah.
In klical ljudem bom in klicali
bodo milioni z menoj.
Dol z vojno, nasiljem, krivico!
Za mir bom govoril, ljubezen, svobodo.
Začutil bom dneva novega sij.
Karel Destovnik Kajuh (1922-1944)
Adrò fra la gente
con in mano il libro di Hugò.
E chiamerò la gente, e milioni con me chiameranno.
Abbasso la guerra, la violenza, l'ingiustizia!
Parlerò di pace, amore e libertà.
"È scoprirò lo splendore di un nuovo giorno."

France Prešeren

Zdravljica- Brindisi (inno nazionale sloveno)

Žive naj vsi narodi
ki hrepene dočakat’ dan,
da koder sonce hodi,
prepir iz sveta bo pregnan,
da rojak
prost bo vsak,
ne vrag, le sosed bo mejak!


Vivano tutti i popoli
che anelano al giorno
in cui la discordia
verrà sradicata dal mondo
ed in cui ogni nostro connazionale
sarà libero,

ed in cui il vicino non sarà un diavolo, ma un amico!

 


France Prešeren (Vrba, 3 dicembre 1800  Kranj, 8 febbraio 1849) è stato un poeta sloveno.

È considerato il maggior poeta sloveno e uno dei maggiori poeti romantici europei[1] ed è una figura centrale nella storia della cultura in lingua slovena.

Spesso nel passato il nome di Prešeren è stato germanizzato in Franz Prescheren, in quanto nel XIX secolo gran parte della Slovenia era compresa nel Ducato di Carniola, parte dell'Impero Austriaco.

Biografia

France Prešeren nasce nel villaggio di Vrba, presso Žirovnica, in una famiglia di agricoltori di idee abbastanza moderne e progressiste. Lascia la casa paterna all'età di otto anni per stabilirsi presso la casa dello zio Jožef, prete di Kopanje, e frequenta le scuole elementari di Ribnica (it.: Ribenizza). Negli anni di Ribnica succede qualcosa che turberà la complessa personalità del poeta per tutta la vita, in particolare nel modo particolare di rapportarsi con le donne. L'episodio non è chiaro, ma sembra che sia relativo alla sfera della sessualità.

Finiti gli studi liceali, Prešeren si reca nel 1821 a Vienna per studiare legge, abbandonando l'idea di abbracciare il sacerdozio (idea sostenuta, ma senza alcuna imposizione, dalla madre Mina). In questi anni si dedica allo studio della poesia, sia classica sia romantica e incomincia a scrivere (1824). Nel 1828, divenuto dottore in legge, si reca in Moravia e successivamente ritorna a Lubiana.

Prešeren incomincia a lavorare come avvocato nel 1829.

Prešeren diventa uno dei migliori amici di Matija Čop (conosciuto in ambito tedesco come Matthias Tschop), uno dei maggiori intellettuali sloveni del tempo e grande conoscitore della retorica e della teoria della letteratura. Čop, anche sulla base delle idee romantiche che si erano diffuse in Europa in quel periodo, è convinto della necessità della formazione di una grande letteratura nazionale che si smarcasse dalla tradizione tedesca e che riflettesse lo spirito del popolo e dell'identità slovena. Nel 1830 viene pubblicata la prima edizione della raccolta di poemi Kranjska čbelica, che introduce formule e temi romantici.

La grande emozione provata per l'incontro con Julija Primic (germ. in Julia Primitz), una ricca lubianese, lo porta a scrivere la raccolta di sonetti Sonetni venec ("Serto di Sonetti", 1834).

Nel 1835 muore lo zio Jožef, il membro della famiglia più vicino a Prešeren e nello stesso anno annega vicino a Tomačevo, sulle rive della Sava Matija Čop. Il dolore provato per la morte di Čop da Prešeren è visibile nella mirabile elegia scritta in tedesco in sua memoria.

La mancanza di una relazione stabile, l'amore inaccessibile per Julija Primic, la morte di Čop e le insoddisfazioni nella professione di avvocato provocarono una grande crisi nel 1835: Prešeren incomincia a bere pesantemente, rifiuta di recarsi al lavoro e sembra anche pensi al suicidio.

Nella primavera del 1836 venne pubblicata una delle sue opere maggiori Krst pri Savici - "Il battesimo presso la fonte Savica". Nello stesso anno si lega con Ana Jelovšek, che diverrà sua amante.

Prešeren si interessa delle tradizioni popolari slovene e nel 1839, assieme all'amico Andrej Smole, uomo libero e ribelle all'autorità asburgica, progetta di realizzare un giornale in sloveno, idea bloccata dalla censura austriaca. Smole morirà improvvisamente fra le braccia di Prešeren durante il pranzo che il poeta aveva organizzato in occasione del suo compleanno. La morte di Smole, il disinteresse per Ana e un generale sentimento di malessere provocano una seconda crisi al poeta, che nemmeno il breve amore per la giovane Jerica Podboj (un altro legame che dura poco) riesce a cambiare.

La magnifica ispirazione poetica di Prešeren è riscontrabile in alcune delle sue ultime opere: Zdravljica ("Il Brindisi"), scritta nella forma di carmen figuratum nel 1844, ma pubblicata, senza censura, solo nel 1848 e l'elegia V spomin Andreja Smoleta ("In Memoria di Andrej Smole"). Nell'autunno 1846 si trasferì a Kranj, dove svolse la sua professione di avvocato. Muore l'8 febbraio 1849.

Prešeren è sicuramente una delle figure centrali della cultura slovena per le innovazioni che portò nella lingua e nella letteratura, ma anche per il contributo che ha dato alla nascita di uno spirito nazionale sloveno. L'8 febbraio, data della morte di Prešeren è il giorno nazionale della cultura slovena.

La principale piazza di Lubiana Prešernov trg (piazza di Prešeren), dedicata al poeta, presenta una statua a lui dedicata, eretta (con enorme partecipazione popolare) nel 1905; la base monumentale per la statua fu disegnata dall'architetto italo-sloveno Max Fabiani. In suo onore è stato istituito il Premio Prešeren assegnato ogni anno a uno o due artisti sloveni nell'anniversario della sua morte. Prešeren, che prima dell'avvento dell'euro veniva raffigurato sulla banconota da 1000 talleri, appare ora nel cerchio interno dalla moneta da due euro slovena.

A Trieste si trova il Liceo Scientifico con insegnamento in lingua slovena a lui dedicato.


  • Opere
  • Sonetni venec ("Serto di sonetti"), raccolta di 15 sonetti conclusa da un sonetto-acrostico finale di dedica a Julija Primic. Il tema principale è la lode a Julia, ragazza lontana e indifferente all'amore del poeta. Particolare attenzione è dedicata alla forma metrica: l'ultimo verso di ciascun sonetto richiama letteralmente il primo verso del sonetto successivo, trasformando la raccolta in una sorta di ghirlanda.
  • Krst pri Savici ("Il battesimo presso la fonte Savica"), composizione epico-storica ambientata nell'VIII secolo, che narra la conversione degli sloveni al cristianesimo.
  • Zdravljica ("Il brindisi"), scritta nella forma di carmen figuratum in otto strofe. Un anno prima della sua composizione, sul giornale tedesco Kmetijske in rokodelske novice (1843), Matija Vertovc, in un articolo intitolato Vinske terte hvala, lo aveva pubblicamente invitato a scrivere un'ode al vino. Già nella prima strofa di Zdravljica è possibile individuare il pensiero del sacerdote agronomo sloveno Vertovc. La prima e la settima strofa sono il testo ufficiale dell'inno nazionale sloveno dal 1991.
  • da wikipedia