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🌞Blog che parla del Friuli: in particolare delle minoranze linguistiche slovena,friulana e tedesca e non solo. ❤️ Sono figlia di madre slovena (Ljubljana) e di padre appartenente alla minoranza slovena della provincia di Udine🌞 (Benecia).Conosco abbastanza bene la lingua slovena.Sono orgogliosa delle mie origini.OLga

INNO SLOVENO

তততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততত INNO SLOVENO "Vivano tutti i popoli che anelano al giorno in cui la discordia verrà sradicata dal mondo ed in cui ogni nostro connazionale sarà libero, ed in cui il vicino non sarà un diavolo, ma un amico!"❤️ FRANCE PREŠEREN poeta sloveno তততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততততত

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7 nov 2020

Gli storni del 2020

Quest'anno non sono mancato all'appuntamento. Dalla finestra, ieri, un grande stormo sui tralicci accanto alla ferrovia. Dalle 12 alle 15 una sosta di alcune ore e poi via.
video di Trevisan Romeo

6 nov 2020

Europa e minoranze, servono ancora firme per Sign It Europe


C’è tempo sino a sabato 7 novembre per sottoscrivere, attraverso il sito web www.signiteurope.com, la nuova Iniziativa dei cittadini europei (ICE, che con una buona approssimazione corrisponde a ciò che a livello statale è la proposta di legge di iniziativa popolare) dedicata alla tutela delle minoranze. Promossa con lo slogan “Sign It Europe”, il suo iter è stato avviato nel 2019 in seno alla minoranza ungherese in Romania. L’obiettivo dichiarato è l’apertura da parte dell’UE di una specifica linea di bilancio, nel quadro dei fondi assegnati per lo sviluppo regionale, dedicata a quelle comunità che hanno caratteristiche linguistiche e culturali specifiche e distinte, allo scopo di promuoverne lo sviluppo socioeconomico in armonia con il riconoscimento e la promozione delle rispettive peculiarità e con l’esercizio dei corrispondenti diritti linguistici. Le firme finora raccolte sono già più di un milione, ma non sono sufficienti, poiché sono concentrate in soli tre Stati membri – Romania, Ungheria e Slovacchia – mentre devono essere distribuite in un numero più ampio di Paesi. Due anni fa, con 1.123.442 firme ufficialmente convalidate, raccolte in undici Stati, era stata presentata un’altra ICE, denominata “Minority SafePack”. Lo scorso 15 ottobre quella proposta, volta a dotare l’UE di una normativa più efficace e specifica in materia di tutela delle minoranze e di promozione delle rispettive lingue, ha compiuto un nuovo passo avanti con l’audizione al Parlamento europeo del suo comitato promotore, che ne ha illustrato contenuti e finalità, incontrando l’interesse e l’attenzione degli eurodeputati e dei rappresentanti della Commissione, dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali e del Comitato delle Regioni, che hanno preso parte all’incontro.

https://novimatajur.it/attualita/europa-e-minoranze-servono-ancora-firme-per-sign-it-europe.html

5 nov 2020

FRIULI VENEZIA GIULIA IN ZONA GIALLA

 


Per arrestare la curva dei contagi, in notevole rialzo negli ultimi giorni ,il testo del DPCM 24 ottobre viene sostituito da quello del 3 novembre , in vigore dal 6 novembre.

Regime differenziato tra le Regioni, a ognuna delle quali con ordinanza del Ministero della Salute viene assegnata una delle tre fasce differenziate per il pericolo del contagio, in base ai 21 parametri elencati nel provvedimento.


Zona rossa

Sono in "zona rossa" Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria. Le norme saranno valide dal 6 novembre al 3 dicembre.

Zona gialla

E' la fascia a livello di rischio moderato, nella quale si applicano le limitazioni sopra indicate. Vi rientrano le seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Provincia di Trento e Provincia di Bolzano, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto.

Zona arancione

  • E' la fascia che comprende le Regioni a criticità medio-alta: Puglia e Sicilia
  • Divieto di ogni spostamento, in entrata e in uscita, dalla Regione (salvo che per comprovate esigenze di lavoro, salute e urgenza), consentiti solo gli spostamenti strettamente necessari ad assicurare lo svolgimento della didattica in presenza e nei limiti in cui la stessa risulta consentita, con conseguente possibilità di rientro nel proprio domicilio o nella propria residenza.
  • Vietato ogni spostamento in un comune differente da quello di residenza, domicilio o abitazione, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di studio, motivi di salute
  • Zona rossa

    • E' la zona a più elevata criticità, nella quale sono attualmente inserite le seguenti Regioni: LombardiaPiemonteCalabria e Valle d'Aosta
    • Divieto di ogni spostamento in entrata e in uscita dalla Regione, ma anche all’interno del territorio stesso, salve le ipotesi di necessità e urgenza.
    • Serrata per i negozi al dettaglio, ad eccezione di generi alimentari, farmacie, edicole.
    • Serrata per i mercati di generi non alimentari.
    • Chiusura attività di bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, ad eccezione della ristorazione con consegna a domicilio e, fino alle ore 22,00, quella con asporto, ma con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.
    • Sospese le attività sportive, anche svolte nei centri sportivi all’aperto.
    • Consentito svolgere, in forma individuale, attività motoria in prossimità della propria abitazione, nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona e con obbligo di mascherina.
    • Consentito lo svolgimento di attività sportiva esclusivamente all’aperto ed in forma individuale.
    • Sospesi tutti gli eventi e le competizioni organizzati dagli enti di promozione sportiva.
    • Attività scolastica in presenza per asili, primaria e prima media.
    • Restano aperte le attività inerenti servizi alla persona (tra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).
    • I datori di lavoro pubblici limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della gestione dell’emergenza.
    • https://www.altalex.com/documents/news/2020/11/04/nuovo-dpcm-dal-5-novembre-italia-divisa-in-tre-zone



4 nov 2020

«Vahti» e «Verne duše», finestre sul Paradiso e sul Purgatorio

 La nostra gente viveva nel raccoglimento e nella preghiera le ricorrenze del 1° e 2 novembre. Alla sera, recitava il rosario, eseguiva canti adatti alla circostanza e i vecchi raccontavano episodi sulla morte che terrorizzavano i bambini… Per i Celti erano i giorni in cui i morti entravano in comunicazione con i vivi

Giorgio Banchig

In questa vigilia della festa di Tutti i santi e della Commemorazione dei defunti facciamo un rapido passaggio dal medievale britof, luogo del ballo, del mercato e del giudizio, che si svolgevano durante la festa dell’opasilo, dove regnava la «pace di fiera», all’odierno britof dove riposano in pace i nostri morti e dove ci rechiamo nei primi due giorni di novembre.

Nello sloveno della Benecia e di altre regioni slovene (Primorska e Notranjska) la festa dei Santi è chiamata

Vahti (la dicitura ufficiale è Vsi sveti/ Tutti i santi), mentre la ricorrenza del giorno seguente è denominata Vernih duš dan/

Giorno delle anime fedeli o semplicemente Verne duše/ Anime fedeli. Vahti si fa derivare dal verbo tedesco

wachen = vegliare, stare svegli (da cui anche il verbo (v)ahtati = vegliare, vigilare, sorvegliare). In sloveno il termine vahta significa guardia, sentinella, sorvegliante derivato dal tedesco wahte/waht con lo stesso significato che poi si è sviluppato nell’attuale Wacht (Snoj M., Slovenski etimološki slovar ³, www. fran.si, 17. 10. 2020).

Marko Snoj ribalta questa radicata convinzione e ipotizza che Vahti derivi dal tedesco Weihtag, con significato di festa, composto da weihen = santificare, consacrare, e Tag = giorno. La festa di Tutti i santi in tedesco è detta Allerheiligen (= tutti i santi) Weihtag (= festa); Vahti si sarebbe affermato nello sloveno dopo che nella

lingua corrente tedesca sarebbe stato eliminato il primo termine Allerheiligen (Snoj M., Slovenski etimološki slovar ³, www.fran.si, 17. 10. 2020). Ma lo stesso Snoj usa il condizionale nel proporre la sua teoria, perciò lascio agli studiosi di questa complicata materia il compito di illuminarci ulteriormente sull’etimologia di Vahti e vado a trattare dell’origine e del significato di queste ricorrenze religiose.

Il 1° novembre si onorano le persone canonizzate e beatificate dalla Chiesa, ma anche quelle che hanno già raggiunto la piena gioia del Paradiso, mentre il giorno seguente si prega in suffragio delle anime che si trovano in Purgatorio per purificarsi e ottenere la santità necessaria per essere ammesse alla visione di Dio. Nella prassi odierna le due festività si sono fuse in una sola: quasi dappertutto alla santa messa del 1° novembre segue la visita al cimitero per un momento di preghiera sulle tombe dei defunti.

Ma la liturgia della Chiesa distingue nettamente le due ricorrenze come avveniva nelle nostra Benecia fino a qualche decennio fa, quando tutte le parrocchie erano provviste di sacerdoti e il 2 novembre era un giorno semifestivo. Il 1° novembre, in mattinata, veniva celebrata la messa solenne di Tutti i santi; la funzione pomeridiana, invece, era divisa in due tempi: all’inizio venivano cantati i vesperi della festa dei Santi e impartita la benedizione eucaristica; seguiva una pausa, durante la quale veniva allestito il catafalco dei defunti e l’addobbo degli altari con drappi neri, poi venivano cantati o recitati i primi vesperi dei Defunti. Al termine i fedeli si disponevano alla processione verso il cimitero (dove questo era distante dalla chiesa) con un ordine prestabilito: dietro la croce affiancata dalle lanterne nere si allineavano gli uomini ai due lati della strada, seguiva il parroco con la teoria dei chierichetti e i cantori, le donne chiudevano il corteo in ordine sparso. Durante il percorso, accompagnato dai rintocchi delle campane a morto, si cantava il Miserere e il De profundis. Il giorno seguente i sacerdoti avevano la facoltà di celebrare tre sante messen suffragio dei defunti; al termine della terza veniva ripetuta la processione in cimitero. Questa divisione delle due ricorrenze ubbidiva alla tradizione liturgica della Chiesa secondo la quale le solennità religiose iniziano con i primi vesperi, dopo il tramonto della vigilia, e terminano con i secondi vesperi, al tramonto del giorno di festa.

Oltre a partecipare alle funzioni liturgiche, la nostra gente viveva nel raccoglimento e nella preghiera le due ricorrenze: alla sera si recitava il rosario, tutto intero, si eseguivano canti adatti alla circostanza, si ricordavano i defunti della famiglia; i vecchi raccontavano episodi sulla morte, sull’apparizione dei defunti o sull’aldilà, che terrorizzavano i bambini… Durante tutta la serata, in qualche paese fino a mezzanotte, suonavano ininterrottamente le campane: in tono di festa il 31 ottobre, da morto il 1° novembre.

Le feste cristiane del 1° e 2 novembre hanno origini antiche e si sono innestate su precedenti tradizioni pagane. Esistono testimonianze certe che fanno risalire al II secolo in Oriente e al III in Occidente la commemorazione dei santi martiri nell’anniversario della loro morte. Sant’Efrem Siro colloca nel 373 l’inizio di una festa in onore dei martiri che veniva celebrata il 13 maggio. Questa data coincise poi con la festa romana per l’anniversario della dedicazione del Pantheon alla Madonna e a tutti i martiri fatta da papa Bonifacio IV nel 610. La festa di Tutti i santi, come la conosciamo oggi, ebbe origine in Francia e fu istituita per cristianizzare le feste celtiche che si celebravano in quei giorni. Alla sua diffusione contribuì soprattutto il filosofo e teologo Alcuino di York, prestigioso esponente della Scuola palatina di Carlo Magno. Qualche decennio dopo la festa fu allargata a tutto il regno franco e in altre aree europee, ma solo nel 1475 papa Sisto IV la estese a tutta la Chiesa cattolica (Cfr. Turnšek 1946: 66; Kuret II 1989: 92; Cattabiani 1988: 311-312).

L’idea di commemorare tutti i defunti nacque, invece, su ispirazione di un rito bizantino che celebrava la memoria di tutti i morti in un periodo compreso tra la fine di gennaio e il mese di febbraio. Nella Chiesa latina l’inizio della tradizione viene fatto risalire al 998 su iniziativa dell’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny. Con la riforma dell’ordine monastico cluniacense l’abate «ordinò a tutti i cenobi dipendenti dall’abazia francese di far risuonare le campane con i tradizionali rintocchi funebri dopo i vespri solenni del 1° novembre, annunciando ai monaci che dovevano celebrare in coro l’Ufficio dei defunti». Il giorno dopo i sacerdoti dovevano celebrare l’eucaristia pro requie omnium defunctorum. Successivamente la liturgia entrò nei rituali diocesani fino ad arrivare a Roma nel XIV secolo, quando fu estesa a tutta la Chiesa cattolica (Cfr. Turnšek 1946: 66; Kuret II 1989: 101; Cattabiani 1988: 311-312).

Ma, come abbiamo visto per altre feste, anche le ricorrenze religiose dei primi di novembre, in particolare la Commemorazione dei defunti, si sono sovrapposte preesistenti tradizioni, credenze e riti pagani.

Molti etnologi fanno risalire l’origine dei riti in suffragio dei morti nientemeno che ai Celti, un popolo che, nel periodo della sua massima espansione (V-III sec. a. C.), era presente in una vastissima area che andava dall’Irlanda e dalle isole britanniche alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale (anche in Benecia), dalla Pannonia all’Asia Minore. L’inizio di novembre era il capodanno dei Celti: in Irlanda lo si chiamava « Samuin ed era preceduto dalla notte conosciuta ancora oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle Calende d’Inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico» (Cattabiani 1988: 311).

(20 – continua)

dal dom del 31 ottobre 2020

L'ASSURDA CELEBRAZIONE DEL 4 NOVEMBRE


Oggi si celebrava la "vittoria" di una ingiusta guerra. Una carneficina giocata in Friuli sulla pelle di una nazione divisa tra due stati, dove in cui ancora oggi "i caduti per la patria" erano solo dalla parte italiana, quelli dall'altra parte imperiale invece non gli viene neanche falciata neanche l'erba nel cimitero, anche se i loro figli e nipoti pagano le tasse al governo italiano. Come i curdi insomma... (Senza parlare poi delle leggi etniche contro gli sloveni e i tedescofoni)
I FESTEGJAMENTS FÛR DAI SEMENÂTS DAL 4 NOVEMBAR (friulano)
Vuê e si festegjave la "vitorie" di une vuere injuste. Un maçalizi zuiât in Friûl sore la piel di une nazion dividude in doi stâts, là che ancjemò vuê "i colâts pe patrie" a erin dome de bande taliane, e chei di chê altre bande imperiâl a no i ven nancje seade la jerbe tal cimiteri, ancje se i lôr fîs e nevôts a pain lis tassis al guviêr talian.
Tant che i Curdis insumis... (Cence fevelâ podopo des leçs etnichis cuintri slovens e tedescofins)
Nessuna descrizione della foto disponibile.
La partecipazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale viene tutt’ora considerata da molti come la “quarta guerra per di indipendenza”, dichiarata dal Regno d’Italia all’Impero Austroungarico al fine di “redimere”, ovvero unire alla nazione, i circa 800.000 trentini, goriziani, triestini e istriani di lingua italiana, che risiedevano nell’Impero Austroungarico. Il Regno d’Italia riuscì nell’intento grazie all’esito favorevole della guerra, che molti considerano una vittoria, ma che in realtà ha rappresentato soprattutto una sanguinosa tragedia, avendo provocato la morte di 650.000 e l’invalidità di 150.000 soldati italiani.
La revisione dei confini permise al Regno d’Italia non solo di ottenere la “redenzione” di 800.000 italiani di Trento, Tarvisio, Gorizia, Trieste, Istria con le isole quarnerine, Zara e Fiume, ma anche l’acquisizione di 365.000 sudditi sloveni e croati ivi presenti. Inoltre al Regno d’Italia furono assegnati ulteriori territori, che però erano caratterizzati da una preponderante presenza di abitanti di nazionalità non italiana: il Sud Tirolo, che all’epoca contava 240.000 tedeschi e solo 6.500 italiani (che rappresetavano circa il 3% dell’intera popolazione), ed ad est, i distretti di Tolmein (oggi Tolmin), Adelsberg (oggi Postojna), Sesana e Volosca, che all’epoca erano abitate da 126.000 sloveni e da soltanto 1.280 italiani (che in quei territori rappresentavano un esiguo 1% dell’intera popolazione).
Tale ingiusta ripartizione del territorio venne parzialmente riequilibrata dalla seconda guerra mondiale (con la quale il Regno d’Italia si prefiggeva di appropriarsi di ulteriori territori), il cui esito – questa volta sfavorevole – comportò la fine del Regno e, per la nazione italiana, la perdita di buona parte dei territori vinti nella Grande Guerra (Litorale Sloveno, Istria con le isole quarnerine, Fiume e Zara), e nella guerra italo-turca (Dodecanneso e Libia in cui, secondo il censimento del 1936, circa 115.000 italiani costituivano più del 10% della popolazione).
da fb post di Valter Maestra

Jota ‘continua’, una minestra… divisiva.

 


DA VITA NEI CAMPI FB

di Roberto Zottar
La jota è uno dei piatti tipici della regione ed è anche terreno di scontro della competizione ‘culturale’ tra friulani e triestini che ne reclamano la paternità. Sto parlando di una minestra oggi principalmente a base di fagioli e patate che a seconda delle località si declina con l’aggiunta di capuzi garbi, cioè crauti a Trieste, o con l’impiego di brovada in Friuli, o anche con erbe o zucca in Carnia, o con farina di polenta o orzo, e viene insaporita con musèt, cotechino, o costine, cotenna o altra carne di maiale, affumicata e non, semi di kümmel. Dal sapiente diverso equilibrio tra tutti questi ingredienti nascono quindi le numerose varianti di jota carnica, della val Pesarina, goriziana, carsolina, bisiaca, triestina.
‘fa uno buino iottho’ è la prima citazione di jota in Friuli che risale al 1432 nei quaderni dei Battuti di Cividale e il termine jota potrebbe derivare dal tardo latino jutta “brodaglia, beverone”, forse di origine celtica. La ricerca della paternità della vera jota può essere fuorviante, rispetto al valore di un patrimonio culinario che attraversa la storia e le tradizioni delle tante culture che arricchiscono il mosaico di lingue e di popoli costituito dalla nostra regione. Direi che tutte le jote sono ‘vere’ e al giorno d’oggi quasi tutte prevedono fagioli e patate e magari farina di mais anche se nel medioevo, come affermava Piero Adami, erano probabilmente a base di fave. E se la jota triestina “classica” non è diversa da quella istriana, sempre con fagioli, patate, capuzi garbi e costine di maiale, la jota goriziana è simile a certe jote carniche con repa, cioè brovada.
In Friuli la jota è sempre stata considerata una pietanza di ripiego tanto che si diceva Se à di vanzâ, che vanzi la jote, cioè se deve avanzare qualcosa che avanzi jota. E le ragazze carniche cantavano simpri jote, simpri jote e mai polente e lat, simpri jerbis, simpri jerbis e mai un biel fantat (sempre jota sempre jota e mai polenta e latte, sempre erbe sempre erbe e mai un bel giovanotto). A Trieste invece questa minestra è uno dei simboli culinari e identitari della città. C’è perfino un curioso ricettario triestino dal titolo “Jota continua”. E forse per evitare di schierarsi tra triestini e friulani, gli autori hanno pubblicato anche un altro ricettario dal titolo “Frichissimo”!.
Per realizzare una jota triestina, fate cuocere in acqua 250g di fagioli, 250 g di patate, costine di maiale o un osso di prosciutto, sale e pepe. Passate poi metà dei fagioli e patate per dare cremosità alla minestra. A parte fate cuocete in acqua 250 g di crauti e una volta cotti aggiungeteli alla minestra insieme ad un soffritto bruno di farina.
Buon Appetito!

3 nov 2020

IMMUNI


Un autunno meno difficile del previsto


La situazione odierna non è delle migliori e, in particolare, per alcune aree ai margini come la Benecia le difficoltà attuali si inseriscono in un contesto di partenza non facile. Gli operatori e le realtà associative delle Valli del Natisone, però, ce la mettono tutta e stupiscono per l’inventiva che sanno tirare fuori anche in periodi duri come quello che viviamo oggi. Ecco che iniziative come «Marajna» nell’ambito del tradizionale Burnjak di Tribil – che quest’anno si è svolto domenica, 18 ottobre, sotto una nuova veste – Invito a pranzo e quella organizzata da Sapori nelle Valli alla zona industriale di San Pietro al Natisone ogni fine settimana di ottobre (l’ultima è saltata causa misure relative al contenimento della Covid-19) riescono ad attirare numerose persone anche da fuori.

«È andata meglio di quello che pensavo – racconta Francesco Chiabai della Kmečka zveza di Cividale che, assieme a Michela e a Stefano Predan, ha organizzato l’iniziativa «Marajna» –. Le persone cercano questo adesso, ossia conoscere le aziende agricole operanti sul territorio che, devo dire, lavorano molto bene e non hanno paura di aprire le proprie porte». Le aziende agricole che hanno preso parte a «Marajna» sono state una decina: l’azienda agricola Giuseppe Specogna s.s. (Pulfero), l’azienda agricola Manig (San Pietro al Natisone), Gubana della nonna (San Pietro al Natisone), L’oro della Benečija (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Zore (Taipana), Pra’ de Fontana (Torreano), l’azienda agricola Angolo di Paradiso (San Leonardo), l’agriturismo La Casa delle Rondini (Stregna), la Corte delle Lumache (San Pietro al Natisone) e La casa del tempo (San Leonardo). «Siamo soddisfatti dei numeri, non abbiamo avuto tantissima gente ma meglio così, perché come prima esperienza è andata bene con all’incirca 60/70 presenze. Si potrebbe anche pensare di ripetere questa iniziativa», aggiunge Francesco Chiabai che sottolinea anche quanto sia importante che le persone di fuori vengano in Benecia e vedano con i propri occhi dove lavorano le nostre aziende e quali sono le difficoltà che si trovano a dover fronteggiare.

Domenica, 25 ottobre, si è svolto un evento molto simile a «Marajna », organizzato da Marino Visentini, segretario del circolo di Udine di Legambiente, con visita all’Oro della Benečija di Angela Venturini e all’azienda agricola Manig di Elisa Manig. All’iniziativa «Marajna» hanno collaborato anche i giovani, Katja Canalaz, Fanika Coren e Biagio Tomasetig, che Francesco Chiabai ci ha tenuto a ringraziare. (Veronica Galli)

Canebola respira nella sua lingua

 

Canebola/Čenijebola

Anche se una volta contava oltre settecento abitanti, oggi Canebola di Faedis/Čenijebola conta una settantina di residenti. Gli abitanti al momento sono sempre meno, ma di giovani ce ne sono ancora e la comunità cerca di restare unita attorno alle proprie usanze e tradizioni.

Ricordiamo che sul territorio del comune di Faedis (come a Nimis, Attimis, Torreano e Prepotto) si parlano tre lingue: accanto all’italiano, anche le locali varianti di friulano e sloveno, entrambe tutelate dalle leggi statali e regionali. A Canebola, accanto all’italiano e al friulano, la lingua tradizionale del paese è il locale dialetto sloveno. La signora Iva Zoder spiega: «A casa nostra abbiamo sempre parlato nel nostro dialetto. Parliamo anche friulano e italiano, ma a Canebola si parla nel nostro dialetto».

Il cartello in italiano, friulano e sloveno/Tabla v italijanščini, furlanščini in slovenščini

La parlata di Canebola rappresenta, quindi, ancora un elemento importante nella vita di una comunità che nei decenni passati ha subito le stesse dinamiche di spopolamento che hanno interessato molti altri paesi della Slavia. «La modernità ha un po’ svuotato i nostri paesi, con la nostra gente che tende a disperdersi », nota Claudio Petrigh, anche se alcuni, dopo qualche anno all’estero, hanno fatto ritorno.

La chiesa di S. Giovanni Battista/Cerkev Sv. Janeza Krstnika

Un punto di riferimento importante per la cultura del paese, come in molte altre località, è la chiesa, intitolata a San Giovanni Battista. Le prime notizie della sua esistenza risalgono al XV secolo. È stata ricostruita nel XVIII e nel XIX secolo; dopo il terremoto del 1976 è stata ristrutturata per i forti danni subiti. I tempi in cui a prestare servizio erano sacerdoti che conoscevano la lingua locale, tra cui don Emilio Cencig, ormai sono un ricordo; ora i sacerdoti che conoscono lo sloveno sono pochi – e le celebrazioni sono, così, officiate in italiano. Ma la cultura locale è ancora presente attraverso il canto, ad esempio con Lepa si o Ti, o Marija, nonché altri canti religiosi intonati in occasione delle festività centrali nell’anno liturgico.

Nei plessi scolastici del comune, giù in pianura, l’insegnamento dello sloveno non è stato attivato. E pensare che un tempo, nelle frazioni montane di Faedis, il catechismo era insegnato in sloveno locale.

Anche se la chiesa del paese è intitolata a San Giovanni Battista, il momento centrale per eccellenza nella vita della comunità continua a restare la festa di Sveta Marija Bandimica («Madonna della Vendemmia»), che ogni anno cade in una delle domeniche prossime alla ricorrenza della Natività della Beata Vergine Maria, celebrata l’8 settembre. Rino Petrigh, che a Canebola aiuta in chiesa, nota come il nome della festa in dialetto sloveno sia legato al periodo della vendemmia, con le attività agricole espletate in quel periodo. (Luciano Lister)

https://www.dom.it/cenijebola-se-diha-v-svojem-jeziku_canebola-respira-nella-sua-lingua/

proverbio friulano

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Pal dì dai sants, la siarpe e i guants” ovvero per il giorno dei Santi la sciarpa e i guanti, una volta iniziava a fare veramente freddo.

ultimi commenti 👁️‍🗨️

Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

evidenzia

DIKLE

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