MONTEMAGGIORE/BREZJE Comunità raccolta in occasione della festa patronale nella chiesa del paese
Una comunità piccola riunita in una festa che a livello locale riveste grande significato domenica, 27 settembre, nella chiesa di Montemaggiore/Brezje di Taipana. Anche se in considerazione delle misure di prevenzione della diffusione della pandemia di Covid-19 non sono stati organizzati grandi festeggiamenti, la comunità si è in ogni caso riunita in chiesa per la Messa solenne, celebrata da don Roberto Borlini.
La festa patronale di San Michele è sempre stata centrale nella vita della comunità. Una volta veniva celebrata proprio nella ricorrenza del Santo, il 29 settembre. Donato Sturma, che ha quasi 71 anni e che a Montemaggiore ci è nato, ricorda ancora i festeggiamenti di un tempo. «La mattina squillavano le campane al mattino presto; la Messa era celebrata alle 10.00. Anche se allora non c’erano chioschi, veniva tanta gente. Si trattava di una festa religiosa che nel corso della giornata si trasformava in festa di paese, perché qui c’erano tre osterie e là la fisarmonica allietava tutti per l’intera giornata». In occasione della festa si usava mangiare un piatto particolarmente goloso, la polenta polita, che nei paesi vicini è chiamata anche
polenta nareta. Oggi Montemaggiore conta dieci abitanti, ma allora erano circa un centinaio. Donato abitava nel Borgo di sopra/Horenja uas. «Tra bambini e ragazzini eravamo una ventina e
venivamo giù in fila alla Messa ».
Gli fa eco Anita Tomasino, anche lei di 71 anni e di Montemaggiore: «Abbiamo fatto tutti la Comunione e la Cresima qui a Montemaggiore. In paese c’era anche la scuola. È rimasta attiva fino agli anni Sessanta; ora ospita un centro di accoglienza per i pellegrini lungo il Cammino celeste. Una volta era frequentata da così tanti bambini che erano divisi in due turni, uno al mattino e uno al pomeriggio. Altrimenti non ci sarebbero stati tutti, né c’erano banchi a sufficienza». Ma non solo. Una volta Montemaggiore aveva un proprio parroco, la latteria, dove gli abitanti portavano il latte che proveniva dalle loro stalle, e un negozio, spiega ancora Anita. «Nel secondo dopoguerra ci si arrangiava e si scambiavano generi alimentari e prodotti con i vicini d’oltreconfine. Loro fornivano più che altro carne, noi altri prodotti». Molto importante per la comunità di Montemaggiore era la località di Srednjebardo, più esposta al sole, dove si trascorreva l’inverno. L’insediamento in pietra ha subito forti danni dopo il terremoto del 1976.
Anche se gli abitanti sono pochi, a Montemaggiore è ancora parlato il locale dialetto sloveno, in chiesa a volte presente nel canto. «Qui in chiesa – spiega Anita – si cantavano diversi canti in sloveno, ancora conservato è soprattutto Čestito, eseguito in occasione
delle celebrazioni funebri. Qui in zona la tradizione del canto sloveno in chiesa è ancora abbastanza viva soprattutto a Platischis».
La celebrazione nella chiesa paesana.
La statua di San Michele.
Una casa tradizionale a Horenja uas.
dal Dom del 30 settembre