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Questo blog parla delle minoranze linguistiche del Friuli:SLOVENA,FRIULANA eTEDESCA,articoli dei giornali della minoranza slovena,degli usi,costumi,eventi e tanto altro.Buona lettura.OLga

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10 nov 2020

JOSIP BROS TITO e la sua storia

 

Ringrazio la blogger di Omsk Lyudmila Fedodorovna per questa ricerca

I residenti del nostro paese conoscono la risposta a una domanda così interessata e gli abitanti della nostra città di Omsk? Dopotutto, abbiamo Broz Tito Street, che si trova nel centro di Omsk, e molte persone ci passano ogni giorno.


Leader rivoluzionario, politico, statista, militare e di partito jugoslavo. Leader della Jugoslavia dal 1945 fino alla sua morte nel 1980. Dal dicembre 1937 è a capo del CPY. È stato presidente dell'Unione dei comunisti di Jugoslavia dal 1966.

Come è finito Josip Broz a Omsk?

Nasce nel 1892 in campagna, a Kumrovitsa. A quel tempo, questo territorio faceva parte dell'Impero Austro-Ungarico. Nel 1913 Josip fu arruolato nell'esercito.

Inizia la prima guerra mondiale. Nella primavera del 1915 Brose fu ferito e, già nel grado di sottufficiale, fu catturato dai russi. Fu curato e mandato negli Urali. Nel 1917 Josip fu rilasciato, ma poche settimane dopo fu nuovamente arrestato. Broz è riuscito a scappare e per qualche tempo si è nascosto nel villaggio di Mikhailovka, che non è lontano da Omsk. Era lì che gli piaceva la ragazza del posto Pelageya. È noto che il maresciallo Tito era un uomo molto capriccioso (la prova di ciò può essere considerata i suoi cinque matrimoni e gli innumerevoli romanzi per tutti gli 87 anni della sua vita), ma fu Pelageya Belousova a diventare la sua prima moglie.

Pelageya Denisovna Belousova è nata in una famiglia di contadini ordinari nel 1904. Quindi, al momento dell'incontro con il futuro leader jugoslavo, non aveva ancora 15 anni. Lo stesso Brose aveva più di 10 anni in più del suo prescelto. La famiglia Belousov nascose a casa il fuggitivo Josip, grazie al quale iniziò una relazione tra i giovani.

Nel 1919, Josip e Pelageya si sposarono in una delle chiese di Omsk. Tuttavia, il matrimonio doveva essere registrato di nuovo.

"Mi sono sposato con Pelageya Denisovna Belousova nella chiesa della città di Omsk quando Kolchak era al potere", ha detto Tito durante l'interrogatorio della polizia di Zagabria nel 1928. "Poi, poiché questo matrimonio non è stato riconosciuto dai bolscevichi, ho registrato un matrimonio civile con lei a Omsk nel 1920 ". Questo evento ebbe luogo il 7 settembre 1920, di cui è stato conservato il record fatto negli atti del comitato esecutivo regionale di Bogolyubsky della regione di Omsk.

Il fatto è che i bolscevichi non consideravano il matrimonio un atto ufficiale e nel 1920 gli sposi registrarono il loro stato civile in conformità con le nuove leggi. Inoltre, secondo i documenti, il cognome dei coniugi è indicato come Brozovichi.

Per qualche tempo Brozovichi ha vissuto a Omsk. E il capofamiglia ha anche lavorato come meccanico in città. Ma non è durato a lungo. Nello stesso 1920 la coppia partì per la Jugoslavia.

Al ritorno dalla Russia, Josip viveva con Pelageya nel villaggio di Veliko Troistvo, dove lavorava in un mulino. I primi quattro bambini sono morti molto giovani, solo il quinto è sopravvissuto: Zharko. 



Formalmente, la coppia ha vissuto insieme per 17 anni (Tito ne ha trascorsi 6 in prigione "per propaganda comunista"), ma data la natura dipendente del futuro presidente, questo matrimonio difficilmente avrebbe potuto durare più a lungo. Dopo il suo rilascio nel 1935, mentre si trovava a Mosca, Tito fu seriamente trascinato da un'altra donna, la comunista tedesca Elsa Bauer, e decise di rompere con Pelageya. Hanno divorziato nell'ufficio del registro del distretto Oktyabrsky di Mosca. Tito ha spiegato il suo divorzio e il nuovo matrimonio dal fatto che la moglie russa "è la principale colpevole del fatto che mio figlio Zharko è diventato un bullo e un figlio perduto". 

A proposito, lo stesso Zharko Tito all'età di 17 anni nel 1941 si offrì volontario per il fronte, prese parte alle battaglie vicino a Mosca e sotto il villaggio di Kryukovo, cantato nella canzone, perse la mano. Zharko è stato insignito dell'Ordine della Guerra Patriottica, II grado.
Pelageya Belousova ha trascorso un totale di circa 15 anni nei campi di Stalin. Dopo il divorzio, rimase in URSS e fu arrestata nel 1938. Nel 1948, nel bel mezzo della campagna anti-jugoslava, ci fu un altro arresto. 

Padre e figlio. 1952 
Solo nel 1966 le autorità permisero a Zharko Tito di venire a Mosca e vedere sua madre. Ma non ha mai visto il suo ex marito Pelageya Belousova. Nel 1968 morì di infarto. Josip Broz Tito ha ordinato all'ambasciatore jugoslavo a Mosca di deporre una corona di fiori sulla tomba della sua ex moglie per suo conto. Sfortunatamente, nessuno ricordava cosa c'era scritto sul nastro. 

Già presidente della Repubblica socialista federativa di Jugoslavia, Josip Broz Tito era a Omsk per una visita ufficiale. È successo il 26 giugno 1965.

Una foto rara: Josip Broz Tito a Omsk, 26 giugno 1965. Guidando lungo Marx Street.


   fonte:https://serdzerasum.blogspot.com/2020/11/blog-post.html

8 nov 2020

COSA NE PENSATE


 In  America come tutti sanno è stato eletto Joe Biden 46esimo presidente degli USA. Io sono molto contenta,voi cosa ne pensate?

Esponente dell'area moderata del Partito Democratico, prima di intraprendere l'attività politica ha conseguito il titolo di Juris Doctor e ha esercitato la professione di avvocato, prestando la propria opera come difensore d'ufficio. Nel 1972, a 29 anni di età, fu eletto per la prima volta senatore federale in rappresentanza del Delaware, diventando così il sesto componente più giovane della camera alta nella storia degli Stati Uniti. In seguito fu riconfermato per ulteriori sei mandati consecutivi, nel corso dei quali si occupò perlopiù di politica estera e di giustizia: Biden ricoprì ininterrottamente la carica fino al 2009, anno in cui si dimise per assumere le funzioni di vicepresidente sotto l'amministrazione di Barack Obama.

Nel 2017 fu insignito della medaglia presidenziale della libertà con lode, massima onorificenza civile del Paese.

Comincerà il suo mandato in qualità di Presidente degli Stati Uniti d'America il 20 gennaio 2021, grazie alla vittoria alle elezioni presidenziali del 2020 che lo hanno visto prevalere sul presidente uscente Donald Trump. A 77 anni di età, e 78 alla data prevista per l'insediamento, è il più anziano Presidente mai eletto dagli Stati Uniti d'America.da https://it.wikipedia.org/wiki/Joe_Biden

Lavorando insieme arrivano risultati



Da un mese è partito anche l’Invito pranzo che proseguirà fino all’8 dicembre. «Le prime due settimane sono state un po’ in sordina, forse anche a causa del brutto tempo – racconta la presidente dell’associazione Invito a pranzo, Tiziana Strazzolini –. Nell’ultimo periodo, invece, l’afflusso è stato buono. So che la settimana del Burnjak, quella del 18 ottobre, quasi tutti avevano esaurito i posti. Molte sono state le prenotazioni anche per questa ultima settimana». Quest’anno si può rilevare che mancano forse i gruppi degli altri anni, vi è maggiore presenza di famiglie o di coppie. «Molti da tutta la Regione hanno richiesto i libretti di Invito a pranzo», spiega la presidente di Invito che si chiede se forse non si sia iniziato tardi a distribuirli. Sicuramente l’attuale clima di incertezza non aiuta nessuno. In generale i locali che partecipano a Invito a pranzo si sono detti soddisfatti di come sta procedendo l’edizione autunnale dell’iniziativa, ci sono tantissime richieste per il pranzo domenicale, alcune non si riescono a soddisfare, procede bene anche il sabato. I locali dove si può prenotare sono l’agriturismo La casa delle rondini, la trattoria Alla cascata, la trattoria Ai colli di Spessa, l’osteria Al Colovrat, la trattoria Da Walter, l’Osteria di delizie e curiosità, la trattoria Gastaldia d’Antro, la trattoria Al Giro di boa, l’agriturismo Monte del re, la trattoria Da Na.Ti., l’agriturismo Pestrofa, il Rifugio Pelizzo e la trattoria Vartacia.

Sapori nelle Valli, invece, ha organizzato un’iniziativa che ha coperto l’intero mese di ottobre, ogni fine settimana ha avuto il proprio protagonista: la prima, quella del 3 e del 4 ottobre, è stata caratterizzata dalla gubana, la seconda, del 10 e dell’11 ottobre, dalla castagna, quella del 17 e del 18 ottobre, dalle mele; l’ultimo appuntamento, del 24 e del 25 ottobre, dedicato all’innovazione, è purtroppo saltato nell’incertezza provocata dalle ultime misure di contenimento della Covid-19.

Come ci ha spiegato Mauro Pierich, l’iniziativa è stata un vero e proprio successone, con numeri molto importanti, nonostante il tempo non sia stato sempre clemente. Di sicuro è stata premiata anche

la buona volontà di riprendere un’iniziativa – quella della castagnata su quattro domeniche che si svolgeva proprio nello stesso stabile della zona industriale utilizzato da Sapori nelle Valli – che era molto amata dalla gente del luogo e di fuori e di cui si sentiva la mancanza. «I numeri sono molto importanti – ci ha detto Pierich. La prima fine settimana abbiamo registrato 680 ingressi, registrando un numero di telefono per gruppo, la seconda fine settimana ha visto 510 ingressi il sabato, un centinaio la domenica; il vero successo è stata la terza fine settimana, anche se abbiamo comunque avuto una giornata di brutto tempo: il sabato, nonostante la pioggia, abbiamo avuto 300 ingressi e la domenica oltre millecento».

Non hanno partecipato tutte le aziende dell’associazione Sapori nelle Valli, quelle presenti erano: l’azienda agricola Valnatisone (Pulfero), l’azienda agricola La Seuka (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Tropina, l’agriturismo Pestrofa (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Floram (Pegliano), la Corte delle Lumache (San Pietro al Natisone), Birra Gjulia (San Pietro al Natisone), Gubane Dorbolò (San Pietro al Natisone), Apicoltura Cedarmas (San Pietro al Natisone), Giuditta Teresa Gubane (San Pietro al Natisone), Antico Molino Pussini (San Pietro al Natisone), Ajo& Ojo (San Pietro al Natisone) e Gubana Cedarmas (Pulfero).

«Abbiamo abbinato questa iniziativa con Invito a pranzo, i ristoratori proponevano nelle giornate a tema il tema della nostra manifestazione. Sono state organizzate camminate da parte della Pro loco Nediške doline e da Forest-Studio naturalistico», spiega Pierich, il quale aggiunge che: «c’è stata sinergia fra più associazioni, che dimostra che lavorando assieme per il bene comune delle Valli i risultati vengono fuori per tutti».

dal Dom del 31 ottobre 2020


Parole sagge, che vanno recepite

 


Avere oggi 80 anni di vita ha una qualche particolare valenza, in particolare se questa considerevole somma di anni, mesi, giorni e ore di vita è stata vissuta all’insegna di una missione, di una vocazione tesa al servizio degli altri, del prossimo e del lontano, del buono e del cattivo, del bello e del brutto. Quella sacerdotale non è una professione, è, o dovrebbe essere, un modo di vita che, ben piantato nel concreto e nel presente, si spinge nel trascendente, in «ciò che è superiore ad ogni altro, in ciò che è al di sopra dell’esperienza sensibile e della percezione fisica umana, in ciò che porta al Divino». Una premessa per richiamare l’attenzione all’ottantesimo compleanno di mons. Marino Qualizza. I suoi studi, il suo insegnamento, la sua opera pastorale, il suo servizio religioso hanno lasciato segni tangibili; il suo impegno nel riaffermare i valori religiosi, culturali e linguistici del mondo fisico, culturale e sociale a cui appartiene, divengono un patrimonio cui ognuno può attingere. Anche rileggendo gli scritti raccolti nel libro appena pubblicato, «Benečija naš dom», un volume antologico dei suoi contributi al periodico Dom di cui è direttore responsabile.Giustamente il suo ottantesimo compleanno è stato una celebrazione eucaristica tra la sua gente, la comunità slovena della Benečija, ed è stata la mensa eucaristica, nella chiesa di Špietar-S. Pietro al Natisone, a simboleggiare il pranzo di gala. Non mi dilungherei nel riproporre i diversi interventi tesi a ribadire il senso di riconoscenza al festeggiato. Va dato un certo risalto alle considerazioni espresse da Dejan Valentinčič, segretario di Stato del ministero per gli Sloveni d’oltreconfine e nel mondo. Le sue parole indicano quanto e come il governo sloveno segua ed interpreti le condizioni delle popolazioni etnicamente contermini. «Mi sento onorato – ha detto il viceministro – di portare gli auguri e il grazie da parte della Repubblica di Slovenia a mons. Marino Qualizza, per tutto il lavoro fatto. Egli è un’autentica autorità, apprezzato, rispettato non solo dal punto di vista religioso ma anche per la sua profonda conoscenza della storia della Benečija e per la sua saggezza. Le popolazioni della Benečija, del Posočje (Isontino) – luogo da cui io stesso provengo – e di Lubiana sono della stessa lingua, delle stesse radici, quindi della medesima anima. Oggi in Benečija c’è meno gente che parla lo sloveno, tuttavia coloro che hanno a cuore la lingua slovena sono, per citare il Vangelo, lievito e sale di queste valli. Non riesco a immaginarmi la Benečija priva della parlata slovena, perché perderebbe la propria fisionomia. Mons. Gujon scrisse tempo fa che la scuola bilingue ha sostituito l’opera dei sacerdoti per la lingua e la cultura locale, tuttavia rivestono un ruolo importante sia la messa che la catechesi nel mantenimento e nello sviluppo degli stessi valori. Scuola, messa e catechismo sono una necessità in solido. D’altronde è evidente, oltre a ciò, l’importanza dell’economia. La gente rimarrà qui solo se potrà guadagnarsi il pane dove vive. Affinché ciò possa avvenire è lavoro imprescindibile sia per noi, della Repubblica di Slovenia, che ci curiamo degli sloveni confinanti, sia delle autorità in Italia. D’altronde abbiamo molti esempi di località poste ai confini, che si sono ravvivate, divenute economicamente più forti proprio per le loro caratteristiche plurilinguistiche e multiculturali radicate sul territorio. Dobbiamo lavorare affinché questo risveglio possa attuarsi anche qui in Benečija attraverso una forte collaborazione col vicino territorio isontino-Posočje». Ho voluto tradurre quanto più fedelmente possibile il breve intervento del rappresentante del governo sloveno, affinché possa essere conosciuto anche da coloro che non hanno particolare dimestichezza con lo sloveno. Evidenti appaiono le parole chiave di questo saluto, come a corollario e riconoscimento dell’esempio di mons. Qualizza. Non è il solo. La scuola bilingue ha un ruolo fondamentale, ma altrettanto fondamentali per il recupero dell’identità individuale e di gruppo sono l’insegnamento della fede dei padri e la relativa pratica religiosa. Ancora una volta si ribadisce questa necessità della compenetrazione di lingua e fede. Dal punto di vista economico si vuole prospettare la valorizzazione proprio dell’identità culturale e linguistica come strumento di promozione globale della gente in sé e del territorio come entità geograficamente definita. Non ci potrà essere vero sviluppo senza una forte coesione nell’identità di gruppo. Questo è il messaggio. E, a quanto pare, la presenza dei sindaci alla celebrazione dell’ottantesimo di mons. Qualizza, appare come un primo passo, promettente, in questa direzione. 

Riccardo Ruttar (Dom, 31. 10. 2020)

 da Slovit del 31 ottobre

7 nov 2020

CORONAVIRUS FVG 😭

😭 Cresce ancora il numero di nuovi contagi nella nostra regione. Oggi ne sono stati rilevati 872, record assoluto, pur a fronte di un numero importante di tamponi effettuati (8.629, mai così tanti). Sette i morti legati al coronavirus. I totalmente guariti sono 6.333, i clinicamente guariti 89 e le persone in isolamento 7.029.😭



Gli storni del 2020

Quest'anno non sono mancato all'appuntamento. Dalla finestra, ieri, un grande stormo sui tralicci accanto alla ferrovia. Dalle 12 alle 15 una sosta di alcune ore e poi via.
video di Trevisan Romeo

6 nov 2020

Europa e minoranze, servono ancora firme per Sign It Europe


C’è tempo sino a sabato 7 novembre per sottoscrivere, attraverso il sito web www.signiteurope.com, la nuova Iniziativa dei cittadini europei (ICE, che con una buona approssimazione corrisponde a ciò che a livello statale è la proposta di legge di iniziativa popolare) dedicata alla tutela delle minoranze. Promossa con lo slogan “Sign It Europe”, il suo iter è stato avviato nel 2019 in seno alla minoranza ungherese in Romania. L’obiettivo dichiarato è l’apertura da parte dell’UE di una specifica linea di bilancio, nel quadro dei fondi assegnati per lo sviluppo regionale, dedicata a quelle comunità che hanno caratteristiche linguistiche e culturali specifiche e distinte, allo scopo di promuoverne lo sviluppo socioeconomico in armonia con il riconoscimento e la promozione delle rispettive peculiarità e con l’esercizio dei corrispondenti diritti linguistici. Le firme finora raccolte sono già più di un milione, ma non sono sufficienti, poiché sono concentrate in soli tre Stati membri – Romania, Ungheria e Slovacchia – mentre devono essere distribuite in un numero più ampio di Paesi. Due anni fa, con 1.123.442 firme ufficialmente convalidate, raccolte in undici Stati, era stata presentata un’altra ICE, denominata “Minority SafePack”. Lo scorso 15 ottobre quella proposta, volta a dotare l’UE di una normativa più efficace e specifica in materia di tutela delle minoranze e di promozione delle rispettive lingue, ha compiuto un nuovo passo avanti con l’audizione al Parlamento europeo del suo comitato promotore, che ne ha illustrato contenuti e finalità, incontrando l’interesse e l’attenzione degli eurodeputati e dei rappresentanti della Commissione, dell’Agenzia dell’UE per i diritti fondamentali e del Comitato delle Regioni, che hanno preso parte all’incontro.

https://novimatajur.it/attualita/europa-e-minoranze-servono-ancora-firme-per-sign-it-europe.html

5 nov 2020

FRIULI VENEZIA GIULIA IN ZONA GIALLA

 


Per arrestare la curva dei contagi, in notevole rialzo negli ultimi giorni ,il testo del DPCM 24 ottobre viene sostituito da quello del 3 novembre , in vigore dal 6 novembre.

Regime differenziato tra le Regioni, a ognuna delle quali con ordinanza del Ministero della Salute viene assegnata una delle tre fasce differenziate per il pericolo del contagio, in base ai 21 parametri elencati nel provvedimento.


Zona rossa

Sono in "zona rossa" Lombardia, Piemonte, Valle d’Aosta e Calabria. Le norme saranno valide dal 6 novembre al 3 dicembre.

Zona gialla

E' la fascia a livello di rischio moderato, nella quale si applicano le limitazioni sopra indicate. Vi rientrano le seguenti Regioni: Abruzzo, Basilicata, Campania, Emilia-Romagna, Friuli-Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Marche, Molise, Provincia di Trento e Provincia di Bolzano, Sardegna, Toscana, Umbria, Veneto.

Zona arancione

  • E' la fascia che comprende le Regioni a criticità medio-alta: Puglia e Sicilia
  • Divieto di ogni spostamento, in entrata e in uscita, dalla Regione (salvo che per comprovate esigenze di lavoro, salute e urgenza), consentiti solo gli spostamenti strettamente necessari ad assicurare lo svolgimento della didattica in presenza e nei limiti in cui la stessa risulta consentita, con conseguente possibilità di rientro nel proprio domicilio o nella propria residenza.
  • Vietato ogni spostamento in un comune differente da quello di residenza, domicilio o abitazione, salvo che per comprovate esigenze lavorative, di studio, motivi di salute
  • Zona rossa

    • E' la zona a più elevata criticità, nella quale sono attualmente inserite le seguenti Regioni: LombardiaPiemonteCalabria e Valle d'Aosta
    • Divieto di ogni spostamento in entrata e in uscita dalla Regione, ma anche all’interno del territorio stesso, salve le ipotesi di necessità e urgenza.
    • Serrata per i negozi al dettaglio, ad eccezione di generi alimentari, farmacie, edicole.
    • Serrata per i mercati di generi non alimentari.
    • Chiusura attività di bar, pub, ristoranti, gelaterie, pasticcerie, ad eccezione della ristorazione con consegna a domicilio e, fino alle ore 22,00, quella con asporto, ma con divieto di consumazione sul posto o nelle adiacenze.
    • Sospese le attività sportive, anche svolte nei centri sportivi all’aperto.
    • Consentito svolgere, in forma individuale, attività motoria in prossimità della propria abitazione, nel rispetto della distanza di almeno un metro da ogni altra persona e con obbligo di mascherina.
    • Consentito lo svolgimento di attività sportiva esclusivamente all’aperto ed in forma individuale.
    • Sospesi tutti gli eventi e le competizioni organizzati dagli enti di promozione sportiva.
    • Attività scolastica in presenza per asili, primaria e prima media.
    • Restano aperte le attività inerenti servizi alla persona (tra cui parrucchieri, barbieri, estetisti).
    • I datori di lavoro pubblici limitano la presenza del personale nei luoghi di lavoro per assicurare esclusivamente le attività che ritengono indifferibili e che richiedono necessariamente tale presenza, anche in ragione della gestione dell’emergenza.
    • https://www.altalex.com/documents/news/2020/11/04/nuovo-dpcm-dal-5-novembre-italia-divisa-in-tre-zone



4 nov 2020

«Vahti» e «Verne duše», finestre sul Paradiso e sul Purgatorio

 La nostra gente viveva nel raccoglimento e nella preghiera le ricorrenze del 1° e 2 novembre. Alla sera, recitava il rosario, eseguiva canti adatti alla circostanza e i vecchi raccontavano episodi sulla morte che terrorizzavano i bambini… Per i Celti erano i giorni in cui i morti entravano in comunicazione con i vivi

Giorgio Banchig

In questa vigilia della festa di Tutti i santi e della Commemorazione dei defunti facciamo un rapido passaggio dal medievale britof, luogo del ballo, del mercato e del giudizio, che si svolgevano durante la festa dell’opasilo, dove regnava la «pace di fiera», all’odierno britof dove riposano in pace i nostri morti e dove ci rechiamo nei primi due giorni di novembre.

Nello sloveno della Benecia e di altre regioni slovene (Primorska e Notranjska) la festa dei Santi è chiamata

Vahti (la dicitura ufficiale è Vsi sveti/ Tutti i santi), mentre la ricorrenza del giorno seguente è denominata Vernih duš dan/

Giorno delle anime fedeli o semplicemente Verne duše/ Anime fedeli. Vahti si fa derivare dal verbo tedesco

wachen = vegliare, stare svegli (da cui anche il verbo (v)ahtati = vegliare, vigilare, sorvegliare). In sloveno il termine vahta significa guardia, sentinella, sorvegliante derivato dal tedesco wahte/waht con lo stesso significato che poi si è sviluppato nell’attuale Wacht (Snoj M., Slovenski etimološki slovar ³, www. fran.si, 17. 10. 2020).

Marko Snoj ribalta questa radicata convinzione e ipotizza che Vahti derivi dal tedesco Weihtag, con significato di festa, composto da weihen = santificare, consacrare, e Tag = giorno. La festa di Tutti i santi in tedesco è detta Allerheiligen (= tutti i santi) Weihtag (= festa); Vahti si sarebbe affermato nello sloveno dopo che nella

lingua corrente tedesca sarebbe stato eliminato il primo termine Allerheiligen (Snoj M., Slovenski etimološki slovar ³, www.fran.si, 17. 10. 2020). Ma lo stesso Snoj usa il condizionale nel proporre la sua teoria, perciò lascio agli studiosi di questa complicata materia il compito di illuminarci ulteriormente sull’etimologia di Vahti e vado a trattare dell’origine e del significato di queste ricorrenze religiose.

Il 1° novembre si onorano le persone canonizzate e beatificate dalla Chiesa, ma anche quelle che hanno già raggiunto la piena gioia del Paradiso, mentre il giorno seguente si prega in suffragio delle anime che si trovano in Purgatorio per purificarsi e ottenere la santità necessaria per essere ammesse alla visione di Dio. Nella prassi odierna le due festività si sono fuse in una sola: quasi dappertutto alla santa messa del 1° novembre segue la visita al cimitero per un momento di preghiera sulle tombe dei defunti.

Ma la liturgia della Chiesa distingue nettamente le due ricorrenze come avveniva nelle nostra Benecia fino a qualche decennio fa, quando tutte le parrocchie erano provviste di sacerdoti e il 2 novembre era un giorno semifestivo. Il 1° novembre, in mattinata, veniva celebrata la messa solenne di Tutti i santi; la funzione pomeridiana, invece, era divisa in due tempi: all’inizio venivano cantati i vesperi della festa dei Santi e impartita la benedizione eucaristica; seguiva una pausa, durante la quale veniva allestito il catafalco dei defunti e l’addobbo degli altari con drappi neri, poi venivano cantati o recitati i primi vesperi dei Defunti. Al termine i fedeli si disponevano alla processione verso il cimitero (dove questo era distante dalla chiesa) con un ordine prestabilito: dietro la croce affiancata dalle lanterne nere si allineavano gli uomini ai due lati della strada, seguiva il parroco con la teoria dei chierichetti e i cantori, le donne chiudevano il corteo in ordine sparso. Durante il percorso, accompagnato dai rintocchi delle campane a morto, si cantava il Miserere e il De profundis. Il giorno seguente i sacerdoti avevano la facoltà di celebrare tre sante messen suffragio dei defunti; al termine della terza veniva ripetuta la processione in cimitero. Questa divisione delle due ricorrenze ubbidiva alla tradizione liturgica della Chiesa secondo la quale le solennità religiose iniziano con i primi vesperi, dopo il tramonto della vigilia, e terminano con i secondi vesperi, al tramonto del giorno di festa.

Oltre a partecipare alle funzioni liturgiche, la nostra gente viveva nel raccoglimento e nella preghiera le due ricorrenze: alla sera si recitava il rosario, tutto intero, si eseguivano canti adatti alla circostanza, si ricordavano i defunti della famiglia; i vecchi raccontavano episodi sulla morte, sull’apparizione dei defunti o sull’aldilà, che terrorizzavano i bambini… Durante tutta la serata, in qualche paese fino a mezzanotte, suonavano ininterrottamente le campane: in tono di festa il 31 ottobre, da morto il 1° novembre.

Le feste cristiane del 1° e 2 novembre hanno origini antiche e si sono innestate su precedenti tradizioni pagane. Esistono testimonianze certe che fanno risalire al II secolo in Oriente e al III in Occidente la commemorazione dei santi martiri nell’anniversario della loro morte. Sant’Efrem Siro colloca nel 373 l’inizio di una festa in onore dei martiri che veniva celebrata il 13 maggio. Questa data coincise poi con la festa romana per l’anniversario della dedicazione del Pantheon alla Madonna e a tutti i martiri fatta da papa Bonifacio IV nel 610. La festa di Tutti i santi, come la conosciamo oggi, ebbe origine in Francia e fu istituita per cristianizzare le feste celtiche che si celebravano in quei giorni. Alla sua diffusione contribuì soprattutto il filosofo e teologo Alcuino di York, prestigioso esponente della Scuola palatina di Carlo Magno. Qualche decennio dopo la festa fu allargata a tutto il regno franco e in altre aree europee, ma solo nel 1475 papa Sisto IV la estese a tutta la Chiesa cattolica (Cfr. Turnšek 1946: 66; Kuret II 1989: 92; Cattabiani 1988: 311-312).

L’idea di commemorare tutti i defunti nacque, invece, su ispirazione di un rito bizantino che celebrava la memoria di tutti i morti in un periodo compreso tra la fine di gennaio e il mese di febbraio. Nella Chiesa latina l’inizio della tradizione viene fatto risalire al 998 su iniziativa dell’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny. Con la riforma dell’ordine monastico cluniacense l’abate «ordinò a tutti i cenobi dipendenti dall’abazia francese di far risuonare le campane con i tradizionali rintocchi funebri dopo i vespri solenni del 1° novembre, annunciando ai monaci che dovevano celebrare in coro l’Ufficio dei defunti». Il giorno dopo i sacerdoti dovevano celebrare l’eucaristia pro requie omnium defunctorum. Successivamente la liturgia entrò nei rituali diocesani fino ad arrivare a Roma nel XIV secolo, quando fu estesa a tutta la Chiesa cattolica (Cfr. Turnšek 1946: 66; Kuret II 1989: 101; Cattabiani 1988: 311-312).

Ma, come abbiamo visto per altre feste, anche le ricorrenze religiose dei primi di novembre, in particolare la Commemorazione dei defunti, si sono sovrapposte preesistenti tradizioni, credenze e riti pagani.

Molti etnologi fanno risalire l’origine dei riti in suffragio dei morti nientemeno che ai Celti, un popolo che, nel periodo della sua massima espansione (V-III sec. a. C.), era presente in una vastissima area che andava dall’Irlanda e dalle isole britanniche alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale (anche in Benecia), dalla Pannonia all’Asia Minore. L’inizio di novembre era il capodanno dei Celti: in Irlanda lo si chiamava « Samuin ed era preceduto dalla notte conosciuta ancora oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle Calende d’Inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico» (Cattabiani 1988: 311).

(20 – continua)

dal dom del 31 ottobre 2020

L'ASSURDA CELEBRAZIONE DEL 4 NOVEMBRE


Oggi si celebrava la "vittoria" di una ingiusta guerra. Una carneficina giocata in Friuli sulla pelle di una nazione divisa tra due stati, dove in cui ancora oggi "i caduti per la patria" erano solo dalla parte italiana, quelli dall'altra parte imperiale invece non gli viene neanche falciata neanche l'erba nel cimitero, anche se i loro figli e nipoti pagano le tasse al governo italiano. Come i curdi insomma... (Senza parlare poi delle leggi etniche contro gli sloveni e i tedescofoni)
I FESTEGJAMENTS FÛR DAI SEMENÂTS DAL 4 NOVEMBAR (friulano)
Vuê e si festegjave la "vitorie" di une vuere injuste. Un maçalizi zuiât in Friûl sore la piel di une nazion dividude in doi stâts, là che ancjemò vuê "i colâts pe patrie" a erin dome de bande taliane, e chei di chê altre bande imperiâl a no i ven nancje seade la jerbe tal cimiteri, ancje se i lôr fîs e nevôts a pain lis tassis al guviêr talian.
Tant che i Curdis insumis... (Cence fevelâ podopo des leçs etnichis cuintri slovens e tedescofins)
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La partecipazione del Regno d’Italia alla prima guerra mondiale viene tutt’ora considerata da molti come la “quarta guerra per di indipendenza”, dichiarata dal Regno d’Italia all’Impero Austroungarico al fine di “redimere”, ovvero unire alla nazione, i circa 800.000 trentini, goriziani, triestini e istriani di lingua italiana, che risiedevano nell’Impero Austroungarico. Il Regno d’Italia riuscì nell’intento grazie all’esito favorevole della guerra, che molti considerano una vittoria, ma che in realtà ha rappresentato soprattutto una sanguinosa tragedia, avendo provocato la morte di 650.000 e l’invalidità di 150.000 soldati italiani.
La revisione dei confini permise al Regno d’Italia non solo di ottenere la “redenzione” di 800.000 italiani di Trento, Tarvisio, Gorizia, Trieste, Istria con le isole quarnerine, Zara e Fiume, ma anche l’acquisizione di 365.000 sudditi sloveni e croati ivi presenti. Inoltre al Regno d’Italia furono assegnati ulteriori territori, che però erano caratterizzati da una preponderante presenza di abitanti di nazionalità non italiana: il Sud Tirolo, che all’epoca contava 240.000 tedeschi e solo 6.500 italiani (che rappresetavano circa il 3% dell’intera popolazione), ed ad est, i distretti di Tolmein (oggi Tolmin), Adelsberg (oggi Postojna), Sesana e Volosca, che all’epoca erano abitate da 126.000 sloveni e da soltanto 1.280 italiani (che in quei territori rappresentavano un esiguo 1% dell’intera popolazione).
Tale ingiusta ripartizione del territorio venne parzialmente riequilibrata dalla seconda guerra mondiale (con la quale il Regno d’Italia si prefiggeva di appropriarsi di ulteriori territori), il cui esito – questa volta sfavorevole – comportò la fine del Regno e, per la nazione italiana, la perdita di buona parte dei territori vinti nella Grande Guerra (Litorale Sloveno, Istria con le isole quarnerine, Fiume e Zara), e nella guerra italo-turca (Dodecanneso e Libia in cui, secondo il censimento del 1936, circa 115.000 italiani costituivano più del 10% della popolazione).
da fb post di Valter Maestra

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