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8 apr 2021

VECCHIO PROVERBIO

 

Quando nevica ad aprile...qualcosa di brutto sta per finire!

Il pane ripieno di zia Gigia per un delizioso pic-nic di Roberto Zottar

 Il pane ripieno di zia Gigia per un delizioso pic-nic

di Roberto Zottar
Picnic è uno vocabolo che ci è giunto dall’inglese, ma la parola d’origine era francese, “pique-nique”, dove il verbo piquer significa prendere, stuzzicare e nique indica ‘una piccola cosa’. Il termine si diffuse alla fine del 1600 e indicava un pasto frugale, fuori dalle formalità, durante le pause di caccia dei nobili a base di alcuni cibi semplici “sottratti” dalla cucina. Diventò presto una sorta di “trasgressione” molto diffusa tra i nobili, un costume sociale apprezzato, tanto che la stessa regina Maria Antonietta divenne famosa per le sue “scampagnate” nei prati di Versailles.
Nel secolo successivo, la pratica del picnic, non più solo riservata alla nobiltà, assunse una connotazione più “romantica”, associata al momento della consumazione di un pasto rilassato su un prato, magari in riva a un fiume, o su una spiaggia. Ne è un esempio, il famoso dipinto di Manet “Le déjeuner sur l’herbe”.
La ricetta di oggi è di zia Gigia, zia di mio papà, per un pane ripieno da affettare e mangiare senza posate. Prendete un filone di pane al latte e svuotatelo completamente della mollica. Per facilitare l’operazione il filone può essere inciso dal lato lungo. Frullate poi 150 g di tonno con 60 g di acciughe tutti sott’olio, 4 tuorli sodi e la metà della mollica estratta. Amalgamate il tutto con delicatezza a 150 g di burro montato spumoso con le fruste, 4 albumi sodi tritati, 200 g di prosciutto cotto tritato a piccolissimi dadini, aggiungete un cucchiaio di capperi e alcuni cetriolini sottaceto tutti tritati. Profumate con due cucchiai di cognac e una grattugiata di scorza di limone per dare freschezza, pepate e correggete di sale. Farcite bene il filone, ricomponetelo, richiudetelo con pellicola e lasciatelo consolidare in frigorifero. In alternativa si possono usare fette di pane da tramezzino, sia farcite una sull’altra e tagliate a quadrotti sia farcite con una sac-a-poche e poi arrotolate. Si serve a fette ed è adatto anche ad un antipasto in piedi a casa. È ottimo e si può surgelare finito!
Buon appetito
da Vita nei campi fb

Come la Serbia ha superato l'UE: Lezioni in Diplomazia del Vaccino

 in un nostro articolo, abbiamo parlato di come la Serbia sia diventata il deus ex machina della campagna vaccinale nella regione balcanica, guadagnandosi così il secondo posto sul podio europeo per il più alto tasso di vaccinazioni dopo il Regno Unito, nonché il settimo nel mondo.

Gian Marco Moisé di Understanding Politics ha approfondito la questione intervistando Giorgio Fruscione, analista presso l’Istituto per gli Studi di Politica Internazionale e redattore di East Journal. L’intervista, che vi riportiamo qui sotto, è in lingua inglese ma sottotitolata in italiano.


ANTICO PAN DI SORC

 


Dalla zona arancione della zucca, passiamo oggi in zona gialla della farina di polenta!La polenta in regione è condita in ogni modo e fantasia, fino ad arrivare ai vari toç, di burro cotto o strutto o lardo elaborati con farina di mais e latte o vegetali: emblema di povertà, ma invenzione geniale il condire la polenta con un sugo di polenta! Pur essendo un alimento americano foresto, il mais, in ogni sua forma, è diventato nel tempo parte del tutto integrante dell’essere carnico. Con poco zucchero e chicchi di mais, ma anche con quelli di grano saraceno, si facevano, lis sioris o sclopets, che oggi, forse, conosciamo solo con il nome americano di ‘popcorn’! Gianni Cosetti ricordava che la nonna di Quìnis gli riempiva le tasche di ‘pestadice’ cioè delle giuggiolette fatte con chicchi di granoturco saltati in padella e poi caldi pestati in un mortaio con lo zucchero. Un tempo la farina di mais veniva usata anche per cuocere il burro e farlo conservare più a lungo. Per un kg di burro si usavano due etti di farina di polenta: il burro era cotto quando la farina diventava color oro antico. Dopo la cottura il tutto veniva fatto raffreddare: la parte liquida, l’“ont” che oggi chiameremmo burro chiarificato, veniva messo nell’apposito contenitore, la piere da l’ont, mentre la farina, abbrustolita e un po’ così arricchita, in un sistema assolutamente autoctono di elaborazione dei componenti alimentari dove nulla veniva sprecato, diventava un importante ingrediente per una torta, la “pete di sorc”. L’arcaica peta, nome che probabilmente deriva da ‘petà’, cioè ‘schiacciare’, in origine era una schiacciata di farina di sola segala, poi di farine di granoturco e grano miscelate, mai lievitata, magari anche con fettine di lops, cioè mele selvatiche, fichi secchi o qualche cicciola di maiale e uvette. Veniva avvolta in foglie di verza e cotta sotto la cenere. Questa versione indubbiamente poteva risultare un po’ pesante tanto che Piero Adami ricordava che “bisognave vè stomi fuart per digjerile” (bisognava avere uno stomaco forte per digerirla).Gianni Cosetti ci ha lasciato la ricetta di una “pete di sorc” cotta al forno. Per realizzarla dobbiamo partire da 200 g di farina di mais cotta nel burro e raffreddata. A questa si uniscono poi 150 g di farina di mais cruda e 150 di farina 00. Mescolando, unite un uovo, 150 g di zucchero, un pizzico di sale, un bicchiere di latte tiepido e la scorza grattugiata di un limone. Amalgamate fino ad ottenere un composto morbido e omogeno. Versate in una tortiera imburrata da 26 cm, cospargete con 50 g di pangrattato mescolato con un cucchiaio di zucchero e cuocete per 40’ in forno a 150°. Si serve fredda.

Ringrazio Michela Urbano per le foto

Buon appetito!

Il folclore del Friuli Venezia Giulia

7 apr 2021

Ceccodotti: Covid variante sarda

 Il virus cambia pelle: ora c'è anche la "variante sarda". Ci mancava!... 😱😟 fonti: https://www.sardiniapost.it/cronaca/c...

Consuma per errore una pianta velenosa, muore intossicato

Attenzione alle erbe,ce ne sono anche di mortali





 Fatale per un uomo di 62 anni di Travesio, Valerio Pinzana, l’ingestione di una pianta velenosa che aveva raccolto pensando si trattasse di un'erba commestibile. Stando alle prime ricostruzioni si sarebbe trattato di colchico, o croco, conosciuto anche come 'falso zafferano' o 'arsenico vegetale', confondendolo con l'aglio orsino.

Forte della sua padronanza in fatto di piante spontanee, escursionista profondo conoscitore del suo territorio, aveva cucinato con quell'erba il pranzo, poi consumato insieme alla compagna, lo scorso 29 marzo.

Poi i primi sintomi, per entrambi, scambiati inizialmente per un altro tipo di patologia, anche perché la donna si trovava in isolamento per aver contratto il Covid. L’uomo è stato ricoverato prima nell'ospedale di Spilimbergo poi le sue condizioni si sono aggravate fino a perdere la vita, questa mattina, nel reparto di terapia intensiva di Pordenone dove era stato trasferito.

Tecnico della Snam Rete Gas, Pinzana lascia il padre, due fratelli, un figlio e la compagna, che è riuscita a salvarsi dall'avvelenamento.

https://www.ilfriuli.it/articolo/cronaca/consuma-per-errore-una-pianta-velenosa-muore-intossicato/2/239634

6 apr 2021

“A ferro e fuoco”, oggi la presentazione della mostra virtuale dell’occupazione italiana della Jugoslavia

 

In occasione dell’80° anniversario dell’attacco italo-tedesco alla Jugoslavia, l’Istituto nazionale Parri (già Istituto nazionale per la storia del movimento di liberazione in Italia), l’Istituto regionale per la storia della Resistenza e dell’Età contemporanea nel Friuli Venezia Giulia ed il Dipartimento di scienze politiche e sociali dell’Università di Trieste allestiscono una mostra fotografica virtuale, dal titolo ‘A ferro e fuoco. L’occupazione italiana della Jugoslavia 1941-43’, che verrà presentata oggi, martedì 6 aprile, alle ore 17 su Zoom e sul canale Youtube IRSREC FVG.
al sito www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it.
La mostra virtuale è stata realizzata con la partecipazione della Narodna in študijska knjižnica/Biblioteca nazionale slovena e degli studi di Trieste, Muzej novejše zgodovine Slovenije, Documenta – Centar za suočavanje s prošlošću e APIS – Umetnost za pozitivno družbeno spremembo ed ha ottenuto il patrocinio della Camera dei Deputati ed è stata realizzata in collaborazione con Divulgando srl e con il contributo della Regione autonoma Friuli Venezia Giulia. Il progetto è stato curato dal prof. Raoul Pupo (Irsrec FVG – Dispes), già docente di storia contemporanea e storia della Venezia Giulia presso l’Università di Trieste, che oggi pomeriggio illustrerà i contenuti della mostra assieme a Chiara Boscarol (Divulgando srl). Interverranno alla presentazione del racconto virtuale dell’occupazione italiana della Jugoslavia anche Mauro Gialuz, Presidente Irsrec FVG, Paolo Pezzino, Presidente Istituto nazionale “Ferruccio Parri”, Sara Tonolo, Direttrice Dispes – Università degli Studi di Trieste, Ettore Rosato, Vicepresidente della Camera dei Deputati e Vojko Volk, Console Generale della Repubblica di Slovenia a Trieste. Le conclusioni saranno affidate a Filippo Focardi, Direttore scientifico Istituto nazionale “Ferruccio Parri”.

La mostra, visitabile sul sito www.occupazioneitalianajugoslavia41-43.it si articola in 10 sezioni, di cui due doppie per un totale di 54 pannelli. Propone 200 immagini, 25 testimonianze d’epoca e una serie di interviste ai maggiori studiosi dell’argomento: Giancarlo Bertuzzi, Giulia Caccamo, Štefan Čok, Marco Cuzzi, Costantino Di Sante, Filippo Focardi, Eric Gobetti, Federico Goddi, Brunello Mantelli, Luciano Monzali, Jože Pirjevec, Guido Rumici, Nevenka Troha, Anna Maria Vinci. Autori dei testi sono Giancarlo Bertuzzi, tefan ok, Costantino Di Sante, Filippo Focardi, Brunello Mantelli e Raoul Pupo. Per facilitare la fruizione, i testi dei pannelli sono limitati all’essenziale, mentre gli approfondimenti sono demandati alle interviste (durata media 90’’). Ad ogni pannello di testo quindi sono associate una o più interviste ed una galleria fotografica; in molti casi anche una serie di testimonianze ed alcuni documenti.

Brusco calo della temperatura e neve in Benecia

 





RIFUGIO SOLARIE

 


Il rifugio Solarie è un rifugio situato in provincia di Udine, sul versante sud del monte Colovrat, ad una quota di 956 m s.l.m., nella parte meridionale della catena del Colovrat, nelle immediate vicinanze del passo Solarie, ex valico di confine di seconda categoria, che collega la val Cosizza con l'abitato sloveno di Volzana e quindi con la valle dell'Isonzo.La zona del passo Solarie e tutta la dorsale del Colovrat, durante la prima guerra mondiale, era area di competenza della 2ª Armata dell'Esercito Italiano che vi aveva realizzato un vasto ed articolato sistema difensivo. La zona fu tragicamente interessata dalla battaglia di Caporetto, che portò alla ritirata delle truppe italiane fino alla linea del Piave; la mattina del 24 ottobre 1917 la catena del Colovrat venne investita da un pesante bombardamento con shrapnel e granate a gas asfissiante che provocò un numero enorme di vittime sia tra i militari che tra la popolazione civile del posto. Al termine del cannoneggiamento, compagnie tedesche, comandate dal tenente Erwin Rommel, con un attacco a sorpresa, riuscirono a conquistarne le cime per proseguire, in rapida avanzata, verso il monte Matajur e la pianura friulana[3]. Nei pressi del passo Solarie è stato innalzato un cippo a ricordo di Riccardo Giusto, primo caduto italiano nel conflitto. Nell'area sono ancora visibili trincee, in corso di restauro, gallerie scavate nella roccia, camminamenti e resti di fortificazioni militari in cemento. La zona del monte Poclabuz/Na Gradu Klabuk è diventata un museo transfrontaliero all'aperto grazie al programma di iniziativa comunitaria INTERREG III A Italia/Slovenia denominato Sistema difensivo della 1ª guerra mondiale 1915-1918 2^-3^ linea di sistema e raccordo.

 testo e foto da https://it.wikipedia.org/wiki/Rifugio_Solarie

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"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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Slovacchia, l'attentatore del premier Fico è un 71enne fondatore di un club letterario

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