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🌞Blog che parla del Friuli: in particolare delle minoranze linguistiche slovena,friulana e tedesca e non solo. ❤️ Sono figlia di madre slovena (Ljubljana) e di padre appartenente alla minoranza slovena della provincia di Udine🌞 (Benecia).Conosco abbastanza bene la lingua slovena.Sono orgogliosa delle mie origini.OLga

INNO SLOVENO

INNO SLOVENO "Vivano tutti i popoli che anelano al giorno in cui la discordia verrà sradicata dal mondo ed in cui ogni nostro connazionale sarà libero, ed in cui il vicino non sarà un diavolo, ma un amico!"❤️ FRANCE PREŠEREN poeta sloveno

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30 dic 2021

In prima linea nella difesa delle Valli / V prvi obrambi liniji Benečije

mons.Marino Qualizza

 Zoticoni, barbari, montanari e via elencando con apposizioni e attributi dispregiativi per quella popolazione. «Slavi da eliminare» era il programma dichiarato 155 anni fa proprio in questo periodo dell’anno: «Noi dobbiamo molto considerare gli Slavi che abbiamo sul nostro territorio al confine… adopereremo la lingua e la cultura di una civiltà prevalente quale è l’italiana per italianizzarli… civiltà che deve brillare ai confini tra quegli stessi che sono piuttosto ospiti nostri. Questi Slavi bisogna eliminarli ». (Giornale di Udine 22 novembre 1866. Ufficiale pegli Atti giudiziari ed amministrativi della Provincia di Udine). Non ci riuscì ad eliminarli il Regno e neppure il Fascismo. Purtroppo ci sta riuscendo la Repubblica. Ci furono comunque fattori ed attori che favorirono, coltivarono quella specie di resistenza o, come si direbbe oggi, di resilienza, vale dire di quella capacità di affrontare e superare eventi traumatici senza soccombere del tutto.

Non intendo certo affrontare questa tematica piuttosto complessa. Vorrei soffermarmi, invece, su quelle particolari figure emblematiche che la comunità slovena ha saputo esprimere, tra cui a un livello elevato i sacerdoti, pastori nel senso più ampiamente concreto e simbolico del termine. Bello e istruttivo sarebbe poter creare un dossier completo relativo a queste figure che hanno avuto le valli slovene per culla, per scuola ed esperienza di vita. Che hanno usufruito sì, come alunni, ma spesso come maestri, insegnanti, professori e artefici di quella «civiltà prevalente» cui sono stati soggetti, senza esservi assorbiti e men che meno «eliminati». Sono stati, invece, iniettori di linfa vitale, di apporti culturali, civili, addirittura tecnici, in quella e per quella che si definiva «civiltà prevalente». Tanto orgogliosamente prevalente da chiudersi in se stessa, quasi ignorando l’immenso mondo culturale panslavo a cui apriva la stessa presenza della nostra comunità slovena. Un confine non-confine, creato dall’inimicizia politica e militare con gli Arciducali dell’impero austroungarico; un confine discriminatorio interno esasperato dal rifiuto fascista di dar dignità ai non-italiani di lingua e cultura. Per poi proseguire in tutta la seconda metà del ’900 repubblicano con una infinita diatriba linguistica e identitaria tesa a quella italianizzazione forzata, a tratti violenta, programmata un secolo prima dal citato «Giornale di Udine».

Già un secolo prima a nulla sono serviti gli studi, le pubblicazioni, gli appelli a rivedere quel programma da parte di intellettuali originari delle valli slovene. Avvocati come Carlo Podrecca, geologi e geografi come Francesco Musoni, entrambi di Špietar, per fare solo due nomi, fanno ancora da manifesto alla vuotezza di significato di qualsiasi pretesa superiorità culturale di parte.

Essi e tanti altri con loro, nativi delle Valli e portatori della specifica cultura ed apertura mentale, hanno usufruito certamente di quanto potesse offrire loro il patrimonio del sapere italiano, ma partivano con un bagaglio valoriale e spirituale di un’altra levatura.

Ma ci sono stati ben altri intellettuali, operatori culturali, promotori di sviluppo sociale, culturale e anche economico, che dai pulpiti e dalle canoniche hanno dato linfa e vita alla nostra gente. I sacerdoti. Penso ad esempio a don Genjo Blankin/Eugenio Blanchini, di cui sabato 27 novembre abbiamo ricordato, con una santa messa a Špietar, il centenario della morte. Un prete di quelli che «magari ce ne fossero»! Ne potrebbe celebrare le qualità umane, religiose, sociali con riconoscenza la comunità udinese della parrocchia di S. Giorgio, dove la sua enorme creatività e capacità organizzativa hanno lasciato segni concreti ancora validi oggi.

A lui non possiamo non affiancare mons. Ivan Trinko, altrettanto attivo sul piano intellettuale e didattico. A lui va ascritto quel germe che ha portato innumerevoli sacerdoti ad un’attività di promozione culturale, linguistica, pastorale della nostra gente. Quelli sono stati i veri promotori di quell’identità linguistica e culturale che ha permesso alla nostra gente di mantenere la propria dignità personale e di gruppo.

Preti eroici dai tempi lontani quanto il Plebiscito (1866), quanto il buio fascista, quanto l’avversione politica antislovena del secondo dopoguerra. Preti in prima linea, forti e decisi come quelli i cui nomi troviamo incisi sulla lapide commemorativa sul fianco della chiesa di Cras (Dreka/Drenchia), purtroppo una delle poche in cui ad ogni celebrazione possiamo ancora commuoverci nell’ascolto dei canti di un tempo, della parola calda dei nostri nonni e padri. Grazie all’ultimo prete-samurai, mons. Marino Qualizza, il simbolo della resilienza di tutti i nostri sacerdoti che lo hanno preceduto.

Riccardo Ruttar     tradotto dal Dom

continua in sloveno https://www.dom.it/in-prima-linea-nella-difesa-delle-valli_v-prvi-obrambi-liniji-benecije/


Con la Casa degli Esperimenti, alunni e studenti sono rimasti affascinati dalla fisica, dall'astronomia e dalla biologia

 


Alla bilinge di San Pietro al Natisone si è svolto un seminario di due giorni organizzato da un'istituzione slovena rivolto agli alunni. Miha Kos, direttore del centro di conoscenza Casa degli esperimenti, ha spiegato gli obiettivi di un seminario di due giorni organizzato da un'istituzione slovena di Lubiana il 20 e 21 dicembre nell'ambito della sua attività mobile, la Casa degli esperimenti, presso la bilingue Paolo Petričič bilingue di Špeter/San Pietro al Natisone. Il coordinatore del progetto è Andreja Perat.

Gli alunni e gli studenti delle scuole primarie e secondarie di primo grado hanno potuto interessarsi di fisica, astronomia e biologia e si sono incuriositi. Hanno eseguito esperimenti altrimenti originali e hanno seguito diverse avventure. Sono stati in grado di scoprire quanto è lontana la Luna dalla Terra (la distanza è molto maggiore di quanto immaginiamo), quanto sono forti il ​​magnetismo e la pressione dell'aria, quanta energia forniscono i diversi alimenti, o anche come il cervello elabora le informazioni ottenute attraverso gli occhi o le orecchie... Il regista Miha Kos ci ha raccontato che in venticinque anni di attività, durante i quali si è fatta conoscere in tutta Europa, la Casa degli Esperimenti ha preparato più di cinquanta esperimenti originali adatti a tutte le età. “La curiosità sulla conoscenza è importante per tutti. È bello quando i bambini e gli insegnanti ammettono di non sapere qualcosa. Così scopriamo che non tutto è già noto,

Il direttore della Casa degli Esperimenti ci ha dato un'altra lezione importante e molto attuale: "Il proverbio sloveno dice che 'tutti sanno tutto'. Oggi, troppo spesso, lo interpretiamo male, soprattutto sui social media, perché "ogni uomo sa tutto". Non così. "
Se qualcuno, indipendentemente dall'età, vuole provare le attività della Casa degli Esperimenti e diventare un pensatore più curioso e critico, può partecipare a un workshop che si svolgerà tramite Zoom il 29 dicembre. Le informazioni e le domande sono raccolte sul sito web www.he.si/spletnevsebine.

tradotto dal Novi Matajur


La mia Benečija come i ruderi di El Obeid/ Moja Benečija kakor ruševine El Obeida


Avevo 11 anni quando ho lasciato la mia famiglia, il paese, le valli, per una specie di sogno, di un’avventura suggerita dalle immagini e suggestioni di un libretto cui mi aveva abbonato suor Maruska, la zia pittrice che, allora, stava affrescando la grande abside della cattedrale cattolica di El Obeid in Sudan. Ho saputo che quella cattedrale non esiste più e del grande affresco solo qualche immagine fotografica.

Sono trascorsi oltre 60 anni da allora; il sogno missionario più che svanire si è trasformato, ma da allora «casa mia» è divenuta il sogno di una Benečija da preservare, quasi da redimere, coi suoi antichi valori, il bene di una lingua della mente e del cuore, di una tradizione ricchissima di valori immateriali nella estrema povertà concreta.

E ora, ho davanti agli occhi una cattedrale, la Benečija, che potrei paragonare ai ruderi di El Obeid. Cattedrale che, assieme a tanti altri che l’avevano e l’hanno a cuore, è da ricostruire con le sue colonne economiche portanti, le sue navate/ valli da restituire al lavoro, i paesi da restaurare come pannelli sbiaditidi una Via Crucis e l’immensa abside panoramica di un ambiente naturale da riqualificare.

Mi sono fermato molte volte, nelle mie frequenti scorribande per i nostri monti, su a Kamenica, sulla strada di Tribil per Stara Gora, ad ammirare il panorama ed ho pensato: c’è un posto più bello per chi qui ci è nato?

Perché lasciarlo andare come vuoto a perdere? Perché così pochi se ne prendono cura? Si tratta solo di un destino avverso? Ed il pensiero si perde nei ricordi di bambino, vivi come immagini filmiche, carichi di emozione e rimpianto. Sono avvolto dal silenzio quando le poche auto si allontanano. Una volta il silenzio c’era solo a notte fonda, e magari neppure allora, quando le attività della gente si assopivano. Uccelli notturni, muggiti, rumori di catene delle mucche legate alle mangiatoie, abbaiare di cani. Ricordo il lavoro nei campi; là, lontano dalla parte opposta della valle, sentivo i colpi secchi della scure sul ceppo e vedevo in alto la scure del boscaiolo. Avevo capito, prima che il maestro ce lo spiegasse, che la luce va più veloce del suono. Sentivo il colpo sul tronco e vedevo levata in alto la scure in quel ritmo inusuale. A seconda delle stagioni tutto attorno per i versanti dei monti ferveva una vita intensamente vissuta. Là la voce stridula del ragazzo che richiama a casa la madre; lassù in fondo al campicello il vociare di ragazzi attorno al falò acceso dal padre per bruciare i ricci del castagno o i tralci secchi recisi alle viti. Lontano, sul versante assolato del monte, donne che rastrellano per pulire il prato dalle foglie rinsecchite da portare a casa come lettiera per le bestie nella stalla. Nel periodi del raccolto, intere famiglie chine a raccogliere tra l’erba le preziose castagne, le noci; le gerle appoggiate al muretto da riempire di rinomate mele locali, retaggio di cure ancestrali, di pere, di susine. Ceste negli orti riempite di carote, patate, barbabietole… del ben di Dio, frutto delle fatiche quotidiane.

E le campane, voci dai campanili sui poggi montani, a richiamare al trascendente, come a dire: è l’ora dell’Angelus, dell’Ave Maria; il suono triste del decesso o il richiamo della festa imminente. Quante immagini si accalcano nella mente e un po’ trasognato mi sveglio come disturbato dal suono cupo di un aereo in volo; una scia bianca in alto. Caspita, sono al centro di un mondo cambiato! E mi guardo attorno. Non c’è anima viva nel raggio di chilometri. Un prato davanti a me, residuo fortunato di un mondo che fu. Oltre? Solo bosco, foresta fitta che mi nasconde ogni cosa: strade, paesi, chiese, muri a secco a sostegno di mille campicelli rubati ai ripidi declivi. Niente mede di fieno per bovini che non riempiono più stalle di muggiti e di secchi di latte profumato. Nei paesini di montagna sembra regnare il coprifuoco e tacciono perfino i cani che una volta correvano liberi dietro le rare macchine in circolazione. Il canto del gallo è un ricordo e tra le viuzze dei borghi semideserti non senti l’odore della polenta sul fuoco e nemmeno quel profumo di fieno seccato al sole che sprigionavano le mede nei prati falciati di fresco.

In effetti io stesso rappresento nella mia esperienza di vita quell’abbandono che denuncio, sebbene ben più cosciente degli abitanti rimasti a casa del valore cuturale, storico, religioso, sociale ed anche economico dei luoghi natali.

E mi chiedo ancora, come me lo chiedevo in mezzo secolo di vita, quale sia una possibile strada di rinascita, di recupero, di concreta azione rigenerativa. Vorrei ripetermi quella frase storica, l’«eppur si muove» di Galileo di fronte al tribunale dell’Inquisizione. Forse non è la condanna definitiva e, magari in fondo all’anima, un barlume di speranza.

Riccardo Ruttar

https://www.dom.it/la-mia-benecija-come-i-ruderi-di-el-obeid_moja-benecija-kakor-rusevine-el-oblida/

i 700 di DANTE con le 500 Pubblicato il 23/12/2021 da grammidistoria

 

Mancano pochi giorni alla fine del 2021, quindi siamo ancora dentro l’Anno di Dante, l’anno che celebra i settecento anni dalla morte di Dante Alighieri (1265-1321).


Lo dico perchè mi sono ricordato appena in tempo di una moneta nella mia collezione; coniata nel 1965 per celebrare i settecento anni dalla nascita del sommo poeta.

500 Lire – 1965

Sono le 500 Lire del 1965, una moneta in argento 835, dal peso di 11g.

/d:

Sul dritto c’è una classica rappresentazione di Dante, il volto iconico che conosciamo rivolto a sinistra. Ecco la descrizione che fece di lui il Boccaccio.

“questo nostro poeta di mediocre statura e poi che alla matura età fu pervenuto, andò alquanto curvetto; e il suo andare grave e mansueto; d’onestissimi panni sempre vestito. Il suo volto fu lungo, e ‘l naso aquilino; e gli occhi anzi grossi che piccoli; le mascelle grandi; e dal labbro disotto era quello di sopra avanzato; e il colore era bruno; e i capelli e la barba spessi, neri e crespi: sempre in faccia malinconico e pensoso”.

/r:

Sul rovescio c’è la parte più interessante: è infatti rappresentata l’allegoria della Divina Commedia.

Si possono distinguere chiaramente: il paradiso in alto, con i raggi solari e le stelle; al centro il purgatorio rappresentato dalle nubi, e sotto le fiamme dell’inferno.

/b:

Nella “terza faccia” ossia nel bordo, in rilievo è riportata la scritta: 7° CENTENARIO DELLA NASCITA DI DANTE.

il bordo delle 500L Dante

Quanti studenti avranno avuto modo, nell’Anno di Dante, di conoscere questa moneta?

29 dic 2021

GARMAK-GRIMACCO

 GARMAK di Andreina Trusgnach

 


Po vasi nie vic obednega,

 grede ki gu luhtu na zvezda umiera.

 Lucˇ te velika na sveti: sa, 

morebit, je buojš na videt!

 Korito tecˇe njega suze 

an ist z njim.

 

Anta potlè, pozime,

 lucˇi od hiš

 parjo zvezde gu luhtu.


In paese non c’è più nessuno 

mentre in cielo una stella muore 

Non splende una luce vigorosa,

 chissà forse è meglio non vedere! 

Dalla fontana sgorgano lacrime 

e così pure da me. 

E poi in inverno 

le luci delle case

 paiono stelle in cielo.

fonte http://ilmondodigianni.altervista.org/wp-content/uploads/2019/02/ventodellevalli_2.pdf



Andreina Cekova Trusgnach è nata a Cividale nel 1961.
Vive a Cosizza di San Leonardo.
Partecipa attivamente alla vita delle associazioni slovene della Provincia di Udine e al Čezmejno Kulturno Društvo – Circolo di Cultura Transfrontaliero Nit (ex PoBeRe).
Nel 2011 il Circolo di Cultura – Kulturno Društvo Ivan Trinko di Cividale ha pubblicato la sua prima raccolta di poesie “Sanje morejo plut vesoko – I sogni possono volare alto“.
Nel 2018 ha vinto il Concorso di Poesia BlueNotte di Gorizia.
Un suo scritto è stato premiato come Miglior testo al Senjam Beneške Piesmi- Festival della canzone slovena della Benečija (Grimacco, Udine 2018).
Si è classificata seconda al XVI Premio Ischitella-Pietro Giannone 2019, con la silloge in dialetto sloveno delle Valli del natisone “Pingulauenca, ki jo nie bluo” – “L’altalena che non c’era” (Ischitella, Foggia 2019).
Nel suo recente curriculum ci sono la Segnalazione di merito al XVIII Premio Nazionale di Poesia dialettale Moschetta (Locri 2019); il secondo posto, nella sezione poesia libera, al V Concorso di Poesia “Un cuore, una voce” (Firenze 2019) e la vittoria al VI Premio Internazionale di poesia “Giovanni Bertacchi” (Campidoglio, Roma 2019).

fonte https://farevoci.beniculturali.it/fare-voci-gennaio-2020/

 

Documenti storici e scritti antichi in lingua Giorgio Ziffer

 




Nella provincia di Udine si conservano alcune preziose testimonianze scritte che documentano l’importanza di quest’area per la storia linguistica e culturale slovena e che, in ragione delle lampanti situazioni di contatto fra diverse lingue in esse riflesse, hanno un indubbio significato anche per la civiltà linguistica del Friuli. Mentre il più antico documento scritto in resiano, comunque solo settecentesco, la Cra(t)ka Dottrina cristian(s)ca, era passato dal conte Jan Potocki alla biblioteca Ossolin´ski a Breslavia, prima che se ne perdessero le tracce, la sorte riservata alle altre più antiche testimonianze vergate in varie forme di sloveno in quest’area è stata almeno parzialmente più fortunata. Il Manoscritto di Cergneu (in sloveno Åernjejski rokopis) è oggi per esempio conservato presso il Museo Archeologico Nazionale di Cividale. Si tratta dell’Anniversario di Legati latino-italiano-slavo della confraternita di S. Maria di Cergneu, studiato e pubblicato tra la fine dell’Otto e l’inizio del Novecento da Vatroslav Oblak e quindi da Jan Baudouin de Courtenay. Le annotazioni di varie mani, fatte in una lingua, o koinè, priva di particolari tratti dialettali della Val Torre o della Val Natisone, datano dalla fine del XV secolo (1497?) e si estendono per alcuni decenni. Il Manoscritto di Castelmonte (Starogorski rokopis), che fa parte del Libro della fraternità di Santa Maria del Monte, consistein due pagine, risalenti verosimilmente agli anni 1492- 1498 e contenenti il Padre nostro, l’Ave Maria e il Credo. Questi testi sono stati scoperti soltanto negli anni sessanta del secolo scorso, e in seguito pubblicati da Angelo Cracina; conservati inizialmente presso l’Archivio arcivescovile di Udine, la loro collocazione attuale è tuttavia ignota. Particolarmente interessante risulta il loro confronto con il Manoscritto di Klagenfurt (Celovski rokopis), che conserva le medesime tre preghiere. Il Manoscritto di Udine (Videnski rokopis), conservato nella Biblioteca civica «Vincenzo Joppi» reca la trascrizione, effettuata nel 1458 a opera di tale «Nicholo Pentor», di una serie di numeri – le unità fino al quarantadue, le centinaia fino a cinquecento, le migliaia fino a duemila soltanto. Al di là del loro rilievo solo apparentemente modesto, queste testimonianze arricchiscono in maniera sostanziale le nostre conoscenze sul divenire della lingua slovena nel lungo periodo che cade tra i Monumenti di Frisinga e la pubblicazione, nel 1550, del primo libro a stampa sloveno. Benché in realtà esse non abbiano svolto – per i loro contenuti così specifici come per la loro marginalità geografica – alcun ruolo nella formazione della lingua letteraria slovena, nondimeno esse costituiscono una prova della vitalità dello sloveno già in un’epoca tanto remota. Il quadro dei documenti manoscritti presenti nella provincia di Udine sarebbe però incompleto se non si facesse almeno un rapido cenno a uno dei suoi più importanti cimeli in assoluto, l’Evangeliario di S. Marco, conservato presso il già menzionato Museo di Cividale (ma alcune sue parti sono a Venezia e a Praga)
dal web


 

Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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MAGGIOLATA DI GIOSUè CARDUCCI

  Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori; porta le ortiche e i fiori, i serpi e l’usignol. Schiamazzano i fanciulli in terra, e i...

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