DETTO FRIULANO

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25 ago 2020

Etnotour delle valli del Torre – In bus (gratuito) alla scoperta delle valli del Torre

 Venerdì 5 settembre, partenza di  un minibus alle ore 9:00 da Piazza Primo Maggio (Udine). Ritorno a Udine, sempre in Piazza Primo Maggio, previsto intorno alle 20:00. L'evento è promosso dal Museo etnografico di Lusevera (a settembre aperto sabato e domenica, dalle ore 10:30 alle 17:30) nell'ambito del progetto "Etnofestival / Festa degli ex emigranti", cofinanziato dalla Regione autonoma Friuli Venezia Gulia


L'escursione in minibus gratuito del 5 settembre prevede un insolito itinerario con partenza da Udine, piazza Primo maggio. Leonardo Cerno vi guiderà alla scoperta della cultura, dell'ambiente e dell'attività dei borghi di montagna di  Attimis/Ahten, Porzus/Porčinj, Prossenicco/Prosnid, Platischis/Plestišča e Lusevera/Bardo.

E' possibile prenotare il pranzo per 15 euro (compreso acqua e vino) che si terrà all'agristursimo Brez mej di Prossenicco e un apertivo con chili, nell'ultima tappa di Lusevera, per 10 euro. Ognuno pagherà la quota direttamente ai gestori dei locali.

E' obbligatora la prenotazione compilando il format sottostante! Si potrà prenotare per al massimo 2 persone. Le prenotazioni si chiuderanno ad esaurimento posti.

http://www.museoluseverabardo.it/event/bus-valli-torre-lusevera-5-09-2020/?event_date=2020-09-05%2Fwww.museoluseverabardo.it%2Fevent%2Fbus-valli-torre-lusevera-5-09-2020%2F%3Fevent_date%3D2020-09-05&fbclid=IwAR0zvR6U7Zl0J2eAbfvw69ObN-3dPHGGzkHnfzd221swgizJsrBW0xtBO2I


24 ago 2020

Antonella Bukovac poetessa delle Valli del Natisone

 Siedo da anni nell’ansa

dove curvano i pensieri
si congiungono e riavviano
mi infilo nello spazio tra uno e l’altro
allargo le gambe – divarico il tempo
tra la fine e il principio
della pausa prendo l’impronta.[…]

Come i suoi compagni di collana, al Limite (Le Lettere, collana Fuori Formato, pp. 120, con DVD, euro 32) è una perla luminosa. Ne registro la sfericità vibrante nel panorama della recente poesia in lingua italiana con parecchio ritardo (il libro è infatti uscito nel 2011), ma non credo ci sia un time to market troppo stringente da rispettare in poesia. Per questa poesia. Antonella Bukovaz ha qui concentrato lo sforzo di una geografia poetica e di un percorso vocale tra i più avvincenti (da sempre infatti sperimenta la multimedialità, come nel DVD allegato realizzato assieme a Paolo Comuzzi e con le composizioni musicali di Antonio Della Marina). Attiva in quell’area (aria?) di confine tra Italia e Slovenia, in quel paese di Topolò (Topolove) salito agli onori della cronaca per uno dei più intelligenti festival artistici d’Italia (Stazione di Topolò/Postaja Topolove), poeta di intervalli e pendolare di valli (quelle del Natisone), tra San Pietro e Cividale, Antonella Bukovaz offre oggi una delle più aperte letture del paesaggio post-Zanzotto. Andrea Cortellessa, curatore della collana, parla giustamente di poesia site-specific, rimandando al parallelo con la prosa del paesologo Franco Arminio, autore di una bellissima nota conclusiva di cui riporto alcuni stralci importanti:

“C’è un solo punto del corpo da cui non si vede il cielo. Questo punto è la geografia tatuata sulla pianta dei piedi. Il contatto con la terra è la prima regola della nostra postura, ma è come se fosse in corso una rimozione del punto d’appoggio. La terra è la base, è come vivere in un vaso: a pensarci bene ogni passo è fioritura, è un andare e vedere dove siamo, dove possiamo andare.Io ho sempre letto i versi di Antonella Bukovaz cercando in essi il luogo da cui provenivano. Ogni corpo è un luogo di confine tra la terra e la carne e noi abitiamo sempre un bordo, un borgo minacciato di estinzione […] In ogni caso io amo la scrittura che mi dice dove si trova chi scrive, che vento e che nuvole e che macchine vede intorno a sé lo scrittore. […] La poesia è un po’ come la colatura di alici. […] 
Il luogo funziona come da spremiagrumi. Quando si rimane a lungo nel posto in cui si è nati, quasi sempre ci si spegne lentamente per inalazione di dosi minime e continue di ossido di carbonio. Perché la combustione avviene al chiuso, perché bisogna bruciare se stessi per darsi calore e luce. […] Con lei (con Antonella Bukovaz, ndr) siamo sui monti, siamo al confine, sospesi tra un’identiqua e un’identilà. E siamo ad Oriente. È come portare Saba ad alta quota, dalle galline alle poiane. […]”

Poesia site-specific quindi, ma poesia sulla fissità e sulla sparizione del luogo, dello spiraliforme mutare di natura, di simmetrie, delle invarianti del pendolo che ha come estremi la stanzialità del corpo e il nomadismo di ciò che è più perduto, il saluto di un verso quindi, di una poesia immersa in uno dei più lacerati “problemi della lingua” conosciuti nel secolo scorso, come giustamente ricorda Moreno Miorelli nella sua nota sugli indissolubili aspetti storico-geografici di quest’area: “La situazione ha mille sfumature e complessità che è impossibile qui approfondire, ciò che rimane è un “problema della lingua”, per chi l’ha difesa e per chi l’ha rifiutata, che si trasforma in un caso eccezionale, unico, come se in un bicchiere d’acqua si fossero radunate pronte allo scontro tutte le tensioni e le contraddizioni di secoli di storia, simboleggiate e concentrate in una parlata, in un dialetto che il solo nominarlo, praticarlo o studiarlo ha creato, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, asti e irremovibili sensi di colpa o di rivalsa o di rifiuto e questo per la più naturale delle espressioni umane, il parlare. Quella che richiederebbe, per non venire fraintesa, per dare forme chiare al pensiero, la più grande quiete.”

 Davvero una delle più belle letture (e visioni) degli ultimi mesi (cercatela anche su Youtube).



CAMERARDENTE

Nello sciame quantico
quanti siamo? Affondiamo
sempre più nella lingua
deglutiti da boschi d’alfabeti
si emerge a cercare calma
ci tiene a galla
un confine mai divelto.
Una corruzione inesorabile accompagna la crescita
e la parola
confine tra uomo e uomo
da questo abisso
risalire sarà una guerra
fino alla conchiglia delle mani
a scoprire una perla dal brillio del latte
pronta a esplodere o, nel peggiore dei casi
a perdere splendore
fino a ingrigire e spegnere
anche la luce intorno.
Dicono che sono caduti – i confini
ma com’è possibile? Erano tutt’uno
con le carni dei vicini e le ansie
da finitudine imperfetta
e la materia della lontananza!
Si è vissuti in un coagulo eroso
dal protendersi di opposti versanti
dalla notte delle strategie
da un misurato marasma.
Si è sopravissuti in sanguinaccio di identità.
E ora questa notizia!
……
Quindi ciò che sento è la presenza
di un arto fantasma?
Alla luce del desiderio del desiderio
sono evidenti le storture dello sguardo
i crampi alla percezione del reale
mentre il rimpianto dei confini
– poggiati su cuscini – di raso
è un’ode di cinque o sei versi
lungo i quali so schiantarmi e ricompormi
alla penombra della loro camera ardente.
Ho tenuto tra le mani il mio osso
ora non posso più respingermi
ma rischio di lasciarmi annegare
in questo che è il mio riflesso
e sembra mare.

(E se volete approfondire, troverete un’altra bellissima poesia, più lunga, in questo PDF scaricabile dal sito della casa editrice Le Lettere, dove l’epigrafe pasoliniana dice moltissimo del “problema della lingua”). 
Infine, data la natura del libro e dato il frequente ricorso al lavoro multimediale da parte dell’autrice, (con Sandro Carta, Marco Mossutto, Hanna Preuss, Antonio Della Marina e l’instancabile Teho Teardo), credo sia opportuno rimandarvi a questo video, le cui immagini stanno ai versi come le foglie ai rami, un lavoro che poi, tra l’altro, mi sembra così congeniale (consustanziale?) alla squisita irrequietezza che contraddistingue quest’artista.tratto interamente da:http://librobreve.blogspot.it/2012/05/da-al-limite-di-antonella-bukovaz.html


23 ago 2020

Tiglio/Lipa

  

                                       Lipov lies

                                                u je lahan
                                                anu mehan
                                                anu bieu anu
                                                    u diši .
                                                 U re liepo
                                                 za dielati
                                                       kola
                                               anu košišča.



                                                Il legno di tiglio                   
                                                      è leggero
                                                      è tenero
                                                      è bianco
                                                  è profumato.
                                                    E' adatto
                                                per fare ruote
                                                  e porta koti.


                                        Proverbio della Terska dolina

                                  Gladak ku lipa/Liscio come il tiglio


È noto che questo fosse l’albero sacro per gli antenati dei vicini sloveni, come in effetti è stato. Tuttavia, se ampliamo il nostro orizzonte, possiamo vedere che il tiglio fu l’albero sacro per tutti i popoli slavi, presso i quali il suo nome è sempre il medesimo, lipa, quasi a confermare la radice comune dell’antichissima credenza. Una credenza forse sopravvissuta a lungo in zone a noi familiari: potrebbe essere stato, infatti, un tiglio l’albero adorato dagli slavi di Caporetto e bruciato per idolatria nel 1331 da alcuni nobili cividalesi, dopo una sorta di crociata predicata dal frate minorita Francesco da Chioggia, inquisitore per il Friuli.

Sacro a tutti gli slavi era l'albero della giustizia per i popoli germanici,il protettore dei villaggi per gli scandinavi e sotto il quale si riunivano le vicinie del mondo della Benečija.

Una persona anziana di Villanova delle grotte/Zavarh mi ha raccontato che negli anni '40 furono piantati 4 tigli davanti alla chiesa ,due furono tagliati perchè davano fastidio.Uno di questi si spezzò a causa di un temporale (1956-1957 ca) così è rimasto solo quello attuale.

22 ago 2020

Le proprietà miracolose dell’olio di San Giovanni

 


ALL’IPERICO
 si ricava un unguento curativo per i problemi legati all’apparato cardiocircolatorio, le scottature, le infiammozioni e le ferite

Dall’iperico, o fiore di San Giovanni, Šentjanževka in sloveno, si ricava un olio a dir poco miracoloso e curativo per tutta una serie di disturbi. Il fiore è giallo, da non confondere con il ranuncolo, giallo anch’esso (pur se di aspetto completamente diverso), dal quale l’iperico si distingue per la presenza sui suoi petali di vescicole visibili in modo chiaro in riflesso con il sole. Sono proprio queste vescicole che secernono il liquido rosso benefico che macchia le mani se si stropicciano i petali e colora l’olio extravergine d’oliva se i fiori vi vengono messi a macerare per dieci giorni al sole.
Per la «Teoria della signatura» o «Signatura rerum» elaborata da Paracelso, medico e alchimista svizzero vissuto a cavallo tra ‘400 e ‘500,su ogni elemento del Creato sarebbe stato lasciato un segno, le piante recherebbero già nel loro aspetto l’indicazione degli organi umani a cui giovano: per esempio la sezione di una carota ricorda l’occhio umano e in effetti il betacarotene, contenuto in questo ortaggio, è una vitamina molto utile alla vista; le noci ricordano l’encefalo, con tanto di emisferi destro e sinistro, le rughe richiamano la corteccia cerebrale, infatti la scienza ha scoperto che questi frutti aiutano lo sviluppo dei neurotrasmettitori, sono ricchi di nutrienti per il Dna e le cellule nervose.
«Similia similibus curantur»: i simili si curino con i simili. Il liquido rosso che secerne l’iperico, secondo la teoria di Paracelso, ricorderebbe il sangue, potrà giovare quindi a questo e a tutti i problemi legati all’apparato cardiocircolatorio; ma anche alle scottature, alle infiammazioni e alle ferite. L’olio di San Giovanni è ottimo per l’apparato cutaneo e, se massaggiato, dona flessibilità alla pelle,costituendo quindi un alleato anche nelle cure di bellezza. È però fotosintetico, è meglio evitare di esporsi al sole avendolo addosso.
La pianta era detta anche Scacciadiavoli: pare che la tisana preparata con i fiori essiccati abbia proprietà rilassanti e calmanti; un mazzetto contenente l’iperico e altre erbe si trovava in ogni casa: serviva a scacciare tutto ciò che poteva minacciare il focolare. Il nome “fiore di San Giovanni” ha due spiegazioni: la prima è legata al liquido rosso che secernono i petali che ricorderebbe la morte violenta e il sangue di San Giovanni Battista decapitato, di cui ha dato vivida raffigurazione il Caravaggio in due suoi celebri quadri: “Salomè con la testa del Battista” e “La decollazione di San Giovanni Battista”. La seconda è collegata al momento migliore per la raccolta che, secondo la tradizione, cadrebbe proprio la vigilia della festa di San Giovanni (23 giugno) nelle ore calde della giornata.
Veronica Galli

21 ago 2020

Passa il tempo e tutto cambia

 Un tempo in Val Torre tutto era falciato e coltivato,gli anziani e i giovani , oltre ad avere tanti figli e nipoti,coltivavano l'orto,curavano gli alberi da frutto,allevavano galline,conigli ,capre ,pecore,mucche.Non si vedeva neanche un pezzetto di terra trascurato,era un vero piacere per la vista. Attualmente i sentieri si sistemano solo in occasione delle sagre , i giovani rimasti ormai pochi non  si dedicano a questi lavori,ma hanno altri interessi .Le donne comprano tutto pronto,anche l'insalata lavata,surgelata ,non si apprezza più la genuinità del proprio prodotto, non  c'è più tempo, perchè  si lavora altrove,ma soprattutto perchè lavorare la terra costa fatica e non si sa neppure fare. A Zavarh -Villanova ho visto orti lavorati, ma mai  raccolti...ahimè! Non più animali da cortile ,ma cani che lasciano i regalini ad ogni angolo.Si pretende dall'Amministrazione comunale che tagli l'erba anche davanti a casa.C'è qualche persona ,alquanto rara ,che trasferitasi altrove ,alla domenica ritorna in paese a coltivare patate, fagioli,insalate,broccoli ,verze ecc. 

Quanto è buono il prodotto fresco e genuino coltivato e raccolto personalmente!

20 ago 2020

ANTICHI MESTIERI :filare la lana



 Vouna


So strile ouce.
So predle vouno
So ložle dvje niti ukop
anu povile klovac


Tosavano le pecore.
Filavano la lana.
Mettevano due fili assieme
e facevano la matassa.

filatoio o corleta o gorleta
per filare la lana



Il diavolo e la gubana-Hudič in gubanca-Il diaul e la gubane fiaba e leggenda



anche in friulano e sloveno
racconto di Chiara Carminati illustrato da Pia Valentinis

"Sul confine orientale tra Italia e Slovenia scorre il fiume Natisone ,freddo e smeraldino."
Inizia così la favola "Il diaul e la gubane" pubblicata a cura della biblioteca di Cividale in edizione trilingue(Hudič in gubanca" è il titolo in sloveno,"Il diavolo e la gubana" in italiano) della onlus Sinnos con il contributo dell'Arlef (Agenzia regionale per la lingua friulana),del Comune di Cividale,della Banca Popolare di Cividale e del Circolo di cultura Ivan Trinko.
  Il racconto è di Chiara Carminati,autrice udinese nota anche a livello nazionale per la sua attività di autrice per l'infanzia,le illustrazioni portano la firma di Pia Valentinis,nata a Udine e cagliaritana d'adozione.
   Al centro del racconto ci sono il dolce tipico delle Valli del Natisone,il mugnaio Michele Foramitti,che vive ai margini di un paesino,ed un diavolo invidioso di ogni amicizia,che vuole rovinare le festività pasquali a tutti.E' così che riesce a fare in modo che tutte le focacce si brucino nei forni del paese ,eccetto uno,quello del mugnaio.
   Questi rimedia,per la stizza del diavolo,creando,come annuncia ai suoi compaesani,"il dolce più buono che abbiate mai mangiato",la gubana appunto.
Le versioni in sloveno e friulano arricchiscono una favola che riporta ai tempi in cui ogni paese era comunità forte e unita,i mulini erano numerosi e le gubane profumavano le case.

fonte  archivio Novi Matajur 

immagine da http://www.ibs.it/code/9788876092893/carminati-chiara/diavolo-gubana.html

 

18 ago 2020

PRAVICA OD PATALÏNA, LISÏCE ANO UKA - LA FAVOLA DEL GALLO, DELLA VOLPE E DEL LUPO

 

Val Resia/Rezija
I

sö ki bota lajali to jë se naredilo tu-w Wasy ta-na Solbici.

To jë bilo tu-w wulažej ano to jë bil den lipi din. Ta-na ni lati jë se rël patalyn.
Wsë na den bot je paršla lisica. Na jë bila karjë lačna.
Na jë poledala patalïna anu mu rakla, na di: “Zakoj stojïš ta-wnë, som, pridi dölo!” Ki na jë wžë si mïslila da, kako na ćë löpo a snëst.
Patalyn jë ji rëkel, an di: “Në, ja ostajën izdë zajtö ki vin, da tï be tëla radë me snëst!“
Ano lisïca jë mu rakla: “Oh, kako be tako, da si misliš da be tëla te snëst! Na viš, da somo naredili kontret, ta-mi brawčići, da na bomo se snëdli već ta-mi nomi!?!”
Patalyn jë rëkel lisici, an di: “Në, na vin nikar od isaa kontrata!”
Anu lisica jë mu rakla: “To nï karjë, ki somo a paraćali!”
Kar to si pravilo, to vïdi öbadwa uka. Pa un jë bil karjë lačen.
Ko lisica jë vidala, da uk se blïžë rudi već nu već, na jë se wstrašila.
Ano patalyn jë jo barel: “Mo kako, da se bojiš! Zakoj?”
Lisica jë rakla, na di: “Se bojïn, da an be me na snidël!”
Ano patalyn jë ji rišpundel: “Mo kako, nisi rakla, da jë kontret!”
.“Jë, jë kontret   – jë rakla lïsica, na di  – mo nïsamo šćë a podpïsali!”
Ano na jë hïtë wbižala.
LA FAVOLA DEL GALLO, DELLA VOLPE E DEL LUPO
Questa storia è accaduta, tanti anni fa, proprio qui, in questo borgo di Stolvizza che si chiama Ves.
Era un bel giorno di primavera e un gallo se ne stava tranquillo al sole su una palizzata.
Di li passò una volpe ed era molto affamata. Guardò verso il gallo e gli disse: “Perché stai lassù da solo, viene giù!”.
Stava già pensando come poterselo mangiare.
Il gallo le rispose: “No, io resto qui, perché so che potresti mangiarmi!”
E la volpe gli disse: “Oh, come! Mangiarti! Ma assolutamente no! Non sai che abbiamo fatto un contratto tra noi animali con il quale ci impegniamo a non mangiarci più tra di noi!?!”
Il gallo rispose alla volpe: “No, non so nulla di questo contratto!”
E la volpe: “Ma si, è stato fatto proprio poco tempo fa!”
In quel momento entrambi  videro il lupo che stava scendendo dal monte vicino. Anche lui era molto affamato.
Quando la volpe vide che il lupo si stava avvicinando sempre di più a loro si impaurì.
E il gallo le chiese meravigliato: “Ma come, hai paura? E di che cosa?”
E la volpe rispose: “Ho paura che mi possa mangiare!”
E il gallo: “Ma come, non hai appena detto che è stato fatto un contratto con il quale tra gli noi animali non ci mangeremo più!?!”
“Si – rispose – ma il contratto non è stato ancora firmato!”
E scappò via veloce.

17 ago 2020

Affresco con invocazione in sloveno a Canalutto/Skrìla in comune di Torreano-Tavorjana

 

foto di LucaPb

*MARIA DEI*      * GLORIA IN EXCELSIS DEO *

O SANTO ANTONIO TU CHE DEGNO SEI
PREGA GESU' - MARIA PER I TUOI FEDELI
II.X.1906


Torreano (Toreàn in friulanoTavorjana in sloveno), è un comune italiano, di 2.270 abitanti della provincia di Udine in Friuli-Venezia Giulia.
Peculiarità del territorio di Torreano è di trovarsi a cavallo tra l'area linguistica friulana (della quale fa parte la maggioranza dei locutori) e quella slava della Benecia, in cui è ancora diffuso un dialetto legato al sistema linguistico sloveno. Nelle frazioni della parte alta del comune (Costa/Podgrad, Canalutto/Skrìla, Masarolis/Mažeruola, Reant/Derjan, Tamoris/Tamora) è tuttora parlato il locale dialetto sloveno, tutelato ai sensi della Legge 38/2001.

Questo affresco su una casa rurale di CANALUTTO/SKRILA è la dimostrazione che nel secolo scorso anche qui si pregava e parlava in sloveno.

Oggi è una zona italianizzata e friulanizzata,senza tabelle con toponimi in sloveno.

 Affresco su una casa rurale a Canalutto/Skrìla con diciture in latino-italiano-sloveno .

Opera probabilmente anche se rimaneggiata di Jacum Pitor /Giacomo Meneghini  di Cergneu-Cerneja


OJ MARIJA OD VEČNO POMOČ
 POMAJ SINOVE  TVOJE
 VSMILISE CES NAS
 
traduzione letterale
o Maria ausiliatrice aiuta i tuoi figli
abbi pietà di noi

Jacun Pitôr-Giacomo Meneghini
 uno dei più popolari artisti näif attivi nella nostra regione
 tra ‘800 e ‘900


Personaggio vagabondo e solitario, unico nel suo genere, Jacun Pitôr è stato
 uno dei più popolari artisti näif che hanno vissuto e lavorato nella nostra regione
 a cavallo tra ’800 e ‘900. Durante i suoi spostamenti ha lasciato diverse
 testimonianze della sua eclettica arte in osterie, chiesette di campagna, 
casolari e case nobili in cambio di ospitalità e di modesti compensi.
Nelle sue opere si respira la tipicità della cultura popolare: i temi pittorici trattati,
 con armonia e semplicità, spaziano dal sacro al profano, accompagnati
 molte volte da autentiche perle di saggezza rurale friulana, intrise di sottile ironia.
continua a leggere : http://www.jacunpitor.it/




15 ago 2020

Un po' di storia

 


Il 15 agosto 1933 il Prefetto di Udine emanò il divieto dell'uso della lingua slovena nelle chiese della Benečija e l'arcivescovo di Udine, Giuseppe Nogara, confermò che sarebbero state evitate conseguenze ancora più gravi. Dopo questa data, la lingua slovena non fu più usata nelle chiese. Allo stesso tempo, i catechismi sloveni furono sequestrati nelle chiese. Questa misura ha avuto conseguenze molto gravi per la conservazione della lingua slovena in Beneč
ija, poiché la chiesa era il luogo in cui la lingua e il canto sloveno venivano coltivati ​​in pubblico.

tradotto da fb

14 ago 2020

Paesi delle Valli del Natisone/Nediške doline

 

Maria Vošnica/Madone di Grazie



Mati

mojega življenja

dajmi roko

ko te kličem v solzah

preboden z žalostjo

in ne znam izprati

boli in sjence rjeha.

Odeni me,

Mati,

s svetim jutrom,

ko ubožac trosim

v soncu mladost,

ki zahaja.

Ti si ljubezen,

ki gre do smarti.

Ti seješ nasmjeh

tej parva dišna roža,

ti si sarce dobrote,

ki odvzameš kruh

od ust,

da mi napouniš roke

veselja sredi ubitosti.

Ko vidiš

moje hodjenje razmetano,

preraščeno s krono tarnov,

razsvetliš mojo misel,

me umiješ z vodo

odpuščanja.

Tvoj pogled

je jutro.

Mati,

ti si pot!

Ovij me v tvoj sončen dan,

ko zlomljena veja

zastokam sam.


prof.Viljem Černo

poesia in dialetto sloveno dell'Alta Val Torre-Tersko narečje

Chiesa di San Floriano a Villanova delle grotte
benedizione delle croci


Traduzione

Madre

della mia vita, 

porgimi la mano

quando ti chiamo in lacrime

trafitto di tristezza

e non so cancellare

i mali e le ombre del peccato.

Ricomponimi,

Madre,

con l'ave santo del mattino,

quando misero disperdo 

nel sole la gioventù,

che tramonta.

Tu sei l'amore

che va fino alla morte.

Tu semini il sorriso,

come il primo fiore profumato,

tu sei il cuore di bontà,

che togli il pan

dalla bocca

per colmarmi le mani

di felicità nell'angoscia.

Come vedi

il mio cammino buttato,

siepato con una corona di spine,

fai splendere il mio pensiero,

mi lavi con l'acqua

del perdono.

Il tuo sguardo

è mattino.

Madre,

tu sei la strada!

Avvolgimi nel tuo giorno di sole

quando ramo spezzato

gemo solo.

dal foglio interparrocchiale " Med Nami" del 2000



13 ago 2020

I sacerdoti della Benečija

 


Mio padre con monsignor Trinko a Tercimonte/Trcmun in occasione del suo 90 compleanno

Pubblico spesso le biografie di sacerdoti,perchè un tempo erano le uniche persone di cultura in Benečija,si sono battuti per la salvaguardia della lingua slovena in queste terre e per questo motivo sono stati perseguitati.I più importanti sono monsignor Ivan Trinko, don Cuffolo,don Angelo Cracina,don Natale Zuanella,don Arturo Blasutto,don Renzo Calligaro parroco di Villanova delle grotte/Zavarh e tanti altri.

Lo scrittore sloveno France Bevk si ispirò a don Antonio Cuffolo nel romanzo "Kaplan Martin Cedermac" .

Il romanzo ci offre uno spaccato preziosissimo della vita in una cappellania sulla sponda destra del Natisone, con il complesso intreccio di vita quotidiana, di celebrazioni liturgiche, di timori e paure, di persone coraggiose, di altre impaurite, opportuniste che sfruttano la situazione. In una parola, la vita concreta nella varietà delle sue forme, ma il tutto visto alla luce di quella dignità umana che dà sapore alle cose ed anche la forza di affrontare difficoltà non comuni. In una lunga carrellata passano in rassegna i protagonisti, che possiamo così elencare: il protagonista cappellano Martin, la sua collaboratrice domestica, la comunità ecclesiale, i vari rappresentanti della politica dal prefetto all’appuntato, i responsabili della Chiesa Udinese dal vescovo fino ai cappellani delle sperdute comunità montane, il tutto nella commistione di potere politico e religioso fra ipocrisia, astuzia, compromessi e silenzi.
Cedermac stripIl cappellano Martin, ricalcato artisticamente sulla figura di don Antonio Cuffolo, con qualche ritocco anche di don Giuseppe Cramaro, suo vicino di chiesa, è la figura dell’idealista che sposa la difficile realtà in cui si trova a vivere, convinto com’è della indivisibile unità tra Vangelo e dignità umana, espressa dalla esistenza concreta delle persone e della terra in cui vivono. È la linea della incarnazione, cioè di un inserimento dell’eterno e dell’invisibile nella nostra quotidianità, che non è mai banale per chi la vive con dignità. Martin vive per la sua gente e per il suo bene integrale, unendo due aspetti importanti della stessa realtà: le persone e la parola scritta, in questo caso il Catechismo. Non c’è crescita umana senza cultura e senza la sua immagine scritta; una parola che diventa documento e storia. Da ciò la difesa commovente dei libri sloveni, con l’aiuto della fedele collaboratrice. Non l’ideale falso di un popolo ignorante e fedele, ma quello di persone consapevoli e capaci di prendere posizione, perché coscienti di sé. Martin è il campanello che tiene desta la loro coscienza.
Accanto a lui e con lui, la fedele collaboratrice, che si cura della casa, della chiesa e delle faccende quotidiane, ma anche di avvenimenti straordinari, come il salvataggio dei libri sloveni e la sopportazione degli scatti d’umore del cappellano. Il tutto vissuto nella discrezione, nel silenzio, tipico di un mondo che non c’è più e suggerito da un rispetto religioso, che dà un’aura quasi mistica a tutta l’esistenza. E con lei la comunità cristiana, quella che si riunisce in chiesa la domenica, nell’ascolto del Vangelo e della sua spiegazione. A questi cristiani, nell’agosto del 1933 viene tolta anche la possibilità di un nutrimento di cui ha doppiamente bisogno, come cristiani e come cittadini, portatori di una cultura millenaria, nello scrigno della lingua. Viene loro tolta la dignità della propria appartenenza nazionale e linguistica, che viene sganciata dalla professione di fede, quasi che si trattasse di due pezzi di un gioco d’incastro, interscambiabili a piacere. Questo popolo reagisce compostamente e con tristezza. Una reazione non violenta, silenziosa, che alla fine risulta anche vincente, perché non si assoggetta all’imposizione e attende, con il cappellano, una possibile liberazione.
Ci si aspetterebbe a questo punto, un intervento forte, deciso, sicuro da parte dell’autorità ecclesiastica. Nulla purtroppo, se non l’invito all’obbedienza ed allo studio della lingua italiana, in modo da realizzare quel programma politico che vuole tutto livellare, perché come ai tempi degli assolutismi, tutti parlino una sola lingua ed obbediscano ad un solo padrone. Non si chiede certo che il Vescovo si voti al martirio cruento, visti i momenti, ma che non abbandoni il suo gregge ed i pastori che lo aiutano. Una minima opposizione e resistenza da parte del Vescovo ci poteva essere, come testimoniano esempi luminosi di quegli anni, anche se rari, bisogna ammetterlo. E così, si ebbero esempi di cedimento da parte di qualche sacerdote, allettato dai vantaggi politici che questo comportava. E non sono mancate medaglie al merito contrario, per certi squallidi protagonisti, anche questi pochi, per fortuna, ma che potevano fregiarsi di qualche cavalierato di metallo scadente, sul piano dei valori umani.
L’apparato del regime fascista svolgeva il suo compito, alternando carota e bastone, per raggiungere il suo scopo di assimilazione forzata delle popolazioni della Slavia. Erano passati gli anni dell’impero asburgico, che un pluralismo culturale l’aveva sviluppato, e che permetteva ai diversi popoli di non perdere la propria identità. Queste cose, magari, furono scoperte dopo, visti i disastri del dopo. Certo che gli anni ’30 del secolo scorso, furono estremamente negativi per la Benecìa, tanto che i suoi effetti deleteri li sentiamo e viviamo ancora oggi. Hanno preso una piega subdola, che alla fine, continua l’opera devastatrice del fascismo. Infatti, è intervenuta la scoperta sensazionale che noi delle Valli, siamo di ascendenza slava. Un evento probabilmente unico nella storia dei popoli, ma che coltiva l’obiettivo della negazione. L’unica cosa che interessa è la cancellazione del sostantivo ed aggettivo ‘sloveno’. Ottenuto questo, tutto va bene, salvo lasciar perdere ciò che resta del dialetto sloveno, nei gorghi e nelle piene del Natisone.
E così la storia di Martin Čedermac continua, in tempi diversi, ma con gli stessi problemi, non di pressione politica, ma di contrapposizione pseudo linguistica. Alla fine resta paradigmatico il discorso finale del cappellano, una perorazione religiosa e civile, perché le due cose non vanno divise; una perorazione che invita ogni uomo – non più solo noi della Benecìa – a non svendere mai la sua identità, perché è l’unica carta della sua dignità e del valore assoluto della persona umana. Sempre e dovunque. (Marino Qualizza) archivio del Dom

Grazie a questi sacerdoti/hvala.

12 ago 2020

LA GERLA (poesia)

 
Un tempo questa era la vita delle donne della Slavia friulana-Benečija!!!


                                   Koš                              

Zjutra kar ustanim
muoj koš me že čaka
od njea se ne ubranim
fin zvèčar do mraka.
Za per nas morjèti živiti
s polentu an nu mar skute,
ja koš muoram nositi
anu spati u senu brez plahute...
                            
dna Vizuojščica

scritto in dialetto sloveno di Vizont di 50 anni fa(oggi quasi scomparso)
dal mio archivio personale

La gerla

Al mattino quando mi alzo/mi aspetta la mia gerla/non me ne libero fino al tramonto./Per poter vivere da noi/con polenta e un po' di ricotta/devo portare la gerla e dormire senza lenzuola.

una donna di Chialminis

 Chialminis /Vizont è una piccola località del comune di Nimis, costituita da 4 borghi: borgo Tamar, borgo Uas, borgo Chiesa e borgo Vigant, sita a 682 m di altezza sul monte Bernadia, lungo la strada che collega Ramandolo a Villanova delle Grotte, località entrambe conosciute , l’una per la produzione vinicola l’altra per le grotte. Chialminis invece poco nota nonostante il suo contesto panoramico e paesaggistico, per i quali è definita da qualcuno come un “balcone aperto sulla pianura friulana”. E’ altresì un’oasi di pace, in un ambiente montano, rapidamente raggiungibile in quanto dista da Udine soli 28 km.


notizie e panorama di Chialminis da https://www.natisone.it/0_archivio_messe/messe2006/messe341.htm
[caption id="attachment_19581" align="alignnone" width="1466"] dal mio archivio personale[/caption]

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"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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