DETTO FRIULANO

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25 ago 2020

Etnotour delle valli del Torre – In bus (gratuito) alla scoperta delle valli del Torre

 Venerdì 5 settembre, partenza di  un minibus alle ore 9:00 da Piazza Primo Maggio (Udine). Ritorno a Udine, sempre in Piazza Primo Maggio, previsto intorno alle 20:00. L'evento è promosso dal Museo etnografico di Lusevera (a settembre aperto sabato e domenica, dalle ore 10:30 alle 17:30) nell'ambito del progetto "Etnofestival / Festa degli ex emigranti", cofinanziato dalla Regione autonoma Friuli Venezia Gulia


L'escursione in minibus gratuito del 5 settembre prevede un insolito itinerario con partenza da Udine, piazza Primo maggio. Leonardo Cerno vi guiderà alla scoperta della cultura, dell'ambiente e dell'attività dei borghi di montagna di  Attimis/Ahten, Porzus/Porčinj, Prossenicco/Prosnid, Platischis/Plestišča e Lusevera/Bardo.

E' possibile prenotare il pranzo per 15 euro (compreso acqua e vino) che si terrà all'agristursimo Brez mej di Prossenicco e un apertivo con chili, nell'ultima tappa di Lusevera, per 10 euro. Ognuno pagherà la quota direttamente ai gestori dei locali.

E' obbligatora la prenotazione compilando il format sottostante! Si potrà prenotare per al massimo 2 persone. Le prenotazioni si chiuderanno ad esaurimento posti.

http://www.museoluseverabardo.it/event/bus-valli-torre-lusevera-5-09-2020/?event_date=2020-09-05%2Fwww.museoluseverabardo.it%2Fevent%2Fbus-valli-torre-lusevera-5-09-2020%2F%3Fevent_date%3D2020-09-05&fbclid=IwAR0zvR6U7Zl0J2eAbfvw69ObN-3dPHGGzkHnfzd221swgizJsrBW0xtBO2I


Una ventina i Comuni in FVG premiati con il premio Città che legge. Ci sono tutti i capoluoghi delle ex province

 

Su 215 comuni in Friuli-Venezia Giulia ben 23 in totale in questo 2020/21 sono quelli che possono usare il titolo Città che legge. Sono sempre di più e di questo passo, in una regione che è sempre ai primissimi posti in Italia per l'amore che c'è verso il libro non dovrebbe stupire se tutti i comuni prima o poi avranno questo titolo nella nostra regione che di fatto è la regione che legge di più in Italia I comuni in FVG di questa edizione Città che legge sono:   

Attimis, Bagnaria Arsa, Faedis, Torviscosa, Cervignano, Cividale, Cormons, Duino Aurisina, Fagagna, Latisana, Maniago, Povoletto, Ronchi, San Canzian, San Daniele, San Giorgio di Nogaro, Gorizia, Monfalcone, Porcia, Sacile, Pordenone, Udine, Trieste
Ci sono dunque tutte le città capoluogo delle ex province. Questa iniziativa nasce d’intesa con l’ANCI, ed intende promuovere e valorizzare con la qualifica di Città che legge” l’Amministrazione comunale che si impegni a svolgere con continuità politiche pubbliche di promozione della lettura sul proprio territorio. Attraverso la qualifica di “Città che legge” si intende riconoscere e sostenere la crescita socio-culturale delle comunità urbane attraverso la diffusione della lettura come valore riconosciuto e condiviso, in grado di influenzare positivamente la qualità della vita individuale e collettiva. Tra i requisiti da possedere per diventare Città che legge ci sono:

*   la presenza di una o più biblioteche di pubblica lettura regolarmente aperta/e e funzionante/i;

*   la presenza di una o più librerie/punti vendita di libri sul territorio;

*   la partecipazione dell’Amministrazione comunale e/o di scuole/biblioteche/librerie/associazioni gravanti sul territorio comunale ad uno dei progetti nazionali del Centro per il libro e la lettura (Libriamoci e Maggio dei libri);

*   l’esistenza di un festival, una rassegna o una fiera attinenti al libro, alla lettura e/o all’editoria, nonché l’esistenza di iniziative congiunte di promozione della lettura tra biblioteche, scuole, librerie, associazioni.

 

mb

http://xcolpevolex.blogspot.com/2020/08/una-ventina-i-comuni-in-fvg-premiati.html

24 ago 2020

I vantaggi del bilinguismo


Più creatività, flessibilità, maggiore capacità di concentrazione, perfino più fiducia in sé stessi: sono diversi i vantaggi che regala il bilinguismo, specie se acquisito fin da piccoli. Padroneggiare una seconda lingua il più precocemente possibile consente di avere una marcia in più in diversi campi, culturali e cognitivi. E anche di riuscire a capire più velocemente degli altri qual è la scelta giusta in una situazione di conflitto. Lo sostiene una nuova ricerca che attribuisce ai bilingui anche questo plus: essere più rapidi nel prendere decisioni critiche in tempi brevi, impiegando al tempo stesso meno risorse. Una ricerca dell’università “Vita  San Raffaele” di Milano sostiene che il cervello di chi parla due lingue riesce a scegliere in situazioni conflittuali in modo più veloce e con meno sforzo, rispetto a chi ne usa una sola. Lo studio su “Cerebral Cortex 1” è stato coordinato dal dottor Jubin Abutalebi, docente di neuropsicologia.

PARCO NATURALE PREALPI GIULIE

 Perdersi nel bosco e incontrare la luce

Parco naturale delle Prealpi Giulie
foto di ForEst

Antonella Bukovac poetessa delle Valli del Natisone

 Siedo da anni nell’ansa

dove curvano i pensieri
si congiungono e riavviano
mi infilo nello spazio tra uno e l’altro
allargo le gambe – divarico il tempo
tra la fine e il principio
della pausa prendo l’impronta.[…]

Come i suoi compagni di collana, al Limite (Le Lettere, collana Fuori Formato, pp. 120, con DVD, euro 32) è una perla luminosa. Ne registro la sfericità vibrante nel panorama della recente poesia in lingua italiana con parecchio ritardo (il libro è infatti uscito nel 2011), ma non credo ci sia un time to market troppo stringente da rispettare in poesia. Per questa poesia. Antonella Bukovaz ha qui concentrato lo sforzo di una geografia poetica e di un percorso vocale tra i più avvincenti (da sempre infatti sperimenta la multimedialità, come nel DVD allegato realizzato assieme a Paolo Comuzzi e con le composizioni musicali di Antonio Della Marina). Attiva in quell’area (aria?) di confine tra Italia e Slovenia, in quel paese di Topolò (Topolove) salito agli onori della cronaca per uno dei più intelligenti festival artistici d’Italia (Stazione di Topolò/Postaja Topolove), poeta di intervalli e pendolare di valli (quelle del Natisone), tra San Pietro e Cividale, Antonella Bukovaz offre oggi una delle più aperte letture del paesaggio post-Zanzotto. Andrea Cortellessa, curatore della collana, parla giustamente di poesia site-specific, rimandando al parallelo con la prosa del paesologo Franco Arminio, autore di una bellissima nota conclusiva di cui riporto alcuni stralci importanti:

“C’è un solo punto del corpo da cui non si vede il cielo. Questo punto è la geografia tatuata sulla pianta dei piedi. Il contatto con la terra è la prima regola della nostra postura, ma è come se fosse in corso una rimozione del punto d’appoggio. La terra è la base, è come vivere in un vaso: a pensarci bene ogni passo è fioritura, è un andare e vedere dove siamo, dove possiamo andare.Io ho sempre letto i versi di Antonella Bukovaz cercando in essi il luogo da cui provenivano. Ogni corpo è un luogo di confine tra la terra e la carne e noi abitiamo sempre un bordo, un borgo minacciato di estinzione […] In ogni caso io amo la scrittura che mi dice dove si trova chi scrive, che vento e che nuvole e che macchine vede intorno a sé lo scrittore. […] La poesia è un po’ come la colatura di alici. […] 
Il luogo funziona come da spremiagrumi. Quando si rimane a lungo nel posto in cui si è nati, quasi sempre ci si spegne lentamente per inalazione di dosi minime e continue di ossido di carbonio. Perché la combustione avviene al chiuso, perché bisogna bruciare se stessi per darsi calore e luce. […] Con lei (con Antonella Bukovaz, ndr) siamo sui monti, siamo al confine, sospesi tra un’identiqua e un’identilà. E siamo ad Oriente. È come portare Saba ad alta quota, dalle galline alle poiane. […]”

Poesia site-specific quindi, ma poesia sulla fissità e sulla sparizione del luogo, dello spiraliforme mutare di natura, di simmetrie, delle invarianti del pendolo che ha come estremi la stanzialità del corpo e il nomadismo di ciò che è più perduto, il saluto di un verso quindi, di una poesia immersa in uno dei più lacerati “problemi della lingua” conosciuti nel secolo scorso, come giustamente ricorda Moreno Miorelli nella sua nota sugli indissolubili aspetti storico-geografici di quest’area: “La situazione ha mille sfumature e complessità che è impossibile qui approfondire, ciò che rimane è un “problema della lingua”, per chi l’ha difesa e per chi l’ha rifiutata, che si trasforma in un caso eccezionale, unico, come se in un bicchiere d’acqua si fossero radunate pronte allo scontro tutte le tensioni e le contraddizioni di secoli di storia, simboleggiate e concentrate in una parlata, in un dialetto che il solo nominarlo, praticarlo o studiarlo ha creato, soprattutto nella seconda metà del secolo scorso, asti e irremovibili sensi di colpa o di rivalsa o di rifiuto e questo per la più naturale delle espressioni umane, il parlare. Quella che richiederebbe, per non venire fraintesa, per dare forme chiare al pensiero, la più grande quiete.”

 Davvero una delle più belle letture (e visioni) degli ultimi mesi (cercatela anche su Youtube).



CAMERARDENTE

Nello sciame quantico
quanti siamo? Affondiamo
sempre più nella lingua
deglutiti da boschi d’alfabeti
si emerge a cercare calma
ci tiene a galla
un confine mai divelto.
Una corruzione inesorabile accompagna la crescita
e la parola
confine tra uomo e uomo
da questo abisso
risalire sarà una guerra
fino alla conchiglia delle mani
a scoprire una perla dal brillio del latte
pronta a esplodere o, nel peggiore dei casi
a perdere splendore
fino a ingrigire e spegnere
anche la luce intorno.
Dicono che sono caduti – i confini
ma com’è possibile? Erano tutt’uno
con le carni dei vicini e le ansie
da finitudine imperfetta
e la materia della lontananza!
Si è vissuti in un coagulo eroso
dal protendersi di opposti versanti
dalla notte delle strategie
da un misurato marasma.
Si è sopravissuti in sanguinaccio di identità.
E ora questa notizia!
……
Quindi ciò che sento è la presenza
di un arto fantasma?
Alla luce del desiderio del desiderio
sono evidenti le storture dello sguardo
i crampi alla percezione del reale
mentre il rimpianto dei confini
– poggiati su cuscini – di raso
è un’ode di cinque o sei versi
lungo i quali so schiantarmi e ricompormi
alla penombra della loro camera ardente.
Ho tenuto tra le mani il mio osso
ora non posso più respingermi
ma rischio di lasciarmi annegare
in questo che è il mio riflesso
e sembra mare.

(E se volete approfondire, troverete un’altra bellissima poesia, più lunga, in questo PDF scaricabile dal sito della casa editrice Le Lettere, dove l’epigrafe pasoliniana dice moltissimo del “problema della lingua”). 
Infine, data la natura del libro e dato il frequente ricorso al lavoro multimediale da parte dell’autrice, (con Sandro Carta, Marco Mossutto, Hanna Preuss, Antonio Della Marina e l’instancabile Teho Teardo), credo sia opportuno rimandarvi a questo video, le cui immagini stanno ai versi come le foglie ai rami, un lavoro che poi, tra l’altro, mi sembra così congeniale (consustanziale?) alla squisita irrequietezza che contraddistingue quest’artista.tratto interamente da:http://librobreve.blogspot.it/2012/05/da-al-limite-di-antonella-bukovaz.html


23 ago 2020

PROVERBI FRIULANI

 

artigianato friulano
Sui bêz nol tampieste


Sui soldi non tempesta

L’eterna esperienza di chi ha soldi e di chi non ne ha: se ne hai puoi risparmiarti la paura della grandine come quella della siccità, tanto le carte da mille mantengono il loro valore.
E’ chi non ne ha che deve preoccuparsi di ogni soffio di vento e di ogni variazione meteorologica, perchè una grandinata o un’estate senz’acqua bruciano i raccolti e le carte da mille non crescono e non calano, perchè non ci sono.
Magro, ma anche giusto compenso resta il fatto che se sui soldi non grandina, non ci sono soldi a sufficienza ce vi salvino dal male, dal dolore e dalla morte.
I soldi hanno valore se accompagnati dalla salute: purtroppo, per chi non ne ha, la salute può essere battuta sempre dalla grandine.

* * *

Galantòms si nàs… no si devente

Galantuomini si nasce… non si diventa

L’affermazione, a prima vista, può sembrare pessimista, quasi volesse dire che non c’è rimedio ad un nascere buoni o cattivi: come se fosse la natura a fare gli uomini così come sono.
In realtà, c’è qualcosa di più sottile: non il determinismo come teoria ma l’acuta osservazione che ogni uomo si porta dietro un bagaglio che è tutto suo e difficilmente, durante la sua esistenza, cambierà radicalmente se stesso.
Conta che ci si renda coscienti di un fatto: il carattere può anche cambiare di qualche cosa o può subire modificazioni di comportamento, ma resta sempre, nel fondo quello che madre natura ha dato.
Questo non toglie che l’educazione e la volontà possano molto: ma è sempre un sacrificio.
E l’opinione comune spesso non ci crede a questi cambiamenti.

* * *

Puare che suris che à une sole buse

Povero quel topo a cui rimane una sola uscita

Evidentemente si riferisce ad un buco o ad una uscita utilizzabile per scappare: che se un povero topolino si trova a dover passare obbligatoriamente per quell’unico pertugio, può dirsi già finito.
Ma non ci vuol molto per adattare questa situazione anche alla vita, forse sarà meglio dire all’esistenza dell’uomo: le difficoltà ci sono sempre e non possono costituire mai una sorpresa, perché i giorni, se hanno qualcosa di buono, lo offrono sempre accompagnato da ostacoli che bisogna superare in continuazione.
Ma per uscirne, senza pagare troppo caro il prezzo di sopravvivenza, è necessario prevedere soluzioni alternative.
Non ci si può fidare e tanto meno adattarsi ad un solo rimedio quando capita un male: per aver probabilità di successo è obbligatoria un’alternativa, una strada diversa da quella prevista o creduta fin troppo facile.
Una sola uscita è un rischio troppo alto per contare su un’ipotesi di salvezza.


Tiglio/Lipa

  

                                       Lipov lies

                                                u je lahan
                                                anu mehan
                                                anu bieu anu
                                                    u diši .
                                                 U re liepo
                                                 za dielati
                                                       kola
                                               anu košišča.



                                                Il legno di tiglio                   
                                                      è leggero
                                                      è tenero
                                                      è bianco
                                                  è profumato.
                                                    E' adatto
                                                per fare ruote
                                                  e porta koti.


                                        Proverbio della Terska dolina

                                  Gladak ku lipa/Liscio come il tiglio


È noto che questo fosse l’albero sacro per gli antenati dei vicini sloveni, come in effetti è stato. Tuttavia, se ampliamo il nostro orizzonte, possiamo vedere che il tiglio fu l’albero sacro per tutti i popoli slavi, presso i quali il suo nome è sempre il medesimo, lipa, quasi a confermare la radice comune dell’antichissima credenza. Una credenza forse sopravvissuta a lungo in zone a noi familiari: potrebbe essere stato, infatti, un tiglio l’albero adorato dagli slavi di Caporetto e bruciato per idolatria nel 1331 da alcuni nobili cividalesi, dopo una sorta di crociata predicata dal frate minorita Francesco da Chioggia, inquisitore per il Friuli.

Sacro a tutti gli slavi era l'albero della giustizia per i popoli germanici,il protettore dei villaggi per gli scandinavi e sotto il quale si riunivano le vicinie del mondo della Benečija.

Una persona anziana di Villanova delle grotte/Zavarh mi ha raccontato che negli anni '40 furono piantati 4 tigli davanti alla chiesa ,due furono tagliati perchè davano fastidio.Uno di questi si spezzò a causa di un temporale (1956-1957 ca) così è rimasto solo quello attuale.

22 ago 2020

Citazione di Tolstoj

 Tutti pensano a cambiare il mondo, ma nessuno pensa a cambiar se stesso.

(Lev Tolstoj)

Suns Europe,un mese di eventi dedicati alle lingue di minoranza

 


Da sabato 22 agosto al 19 settembre concerti, film e incontri letterari in sei comuni. Tra gli ospiti la cantante ladina Martina Iori e la giornalista catalana Nùria Cadenes

Un mese di suoni, visioni, parole, storie, persone, che sono espressione di un’Europa unita e plurale, la quale rivendica con la creatività il diritto alla lingua e alla diversità.

È quanto propone per quest'anno Suns Europe, il festival europeo delle arti nelle lingue di minoranza, organizzato da Informazione Friulana / Radio Onde Furlane con il contributo finanziario della Regione e dell'ARLeF (Agjenzie Regjonâl pe Lenghe Furlane) e con il sostegno del Comune di Udine e dell’Etxepare Euskal Institutua del Paese Basco, che si inaugura domani, sabato 22 agosto, e si sviluppa sino al prossimo 19 settembre, alternando serate musicali, film e incontri letterari, tra Udine, Moruzzo, Lavariano, Pozzuolo del Friuli, Romans d'Isonzo e Trava.

La nuova edizione della rassegna che dal 2015 porta l'Europa in Friuli e il Friuli in Europa, promuove valori e diritti fondamentali ed è un osservatorio privilegiato delle esperienze artistiche e creative, caratterizzate dall'utilizzo delle lingue minorizzate nei settori della musica, della letteratura e dell'audiovisivo, è stata presentata ufficialmente ieri mattina nella sede di Udine della Regione.

Intervenendo all'incontro, l'assessore regionale alle finanze, Barbara Zilli, l'assessore comunale alla cultura, Fabrizio Cigolot, e il presidente dell'ARLeF, Eros Cisilino, hanno sottolineato l'importanza dell'iniziativa, la sua qualità e varietà sul piano artistico, il suo respiro internazionale e i profondi legami tra le specificità linguistiche e culturali del territorio e le peculiarità di Suns Europe: un festival speciale in una regione speciale, caratterizzata in particolare dalla presenza di quattro lingue (friulano, sloveno, tedesco e italiano).

Le peculiarità della rassegna sono state illustrate da Carli Pup, presidente della cooperativa Informazione Friulana e caporedattore di Onde Furlane, che ha esordito ricordando le molte adesioni all'appello ai giovani volontari, da coinvogere nei diversi eventi, lanciato qualche settimana fa dagli organizzatori, e le consolidate relazioni con i diversi partner locali e internazionali.

Suns Europe 2020 si configura come un festival particolarmente giovane e femminile, basti pensare alla cantante ladina Martina Iori, alla rapper basca La Basu, alle rockers gallesi Adwaith o alla giornalista e scrittrice catalana Nùria Cadenes. Si conferma altresì come una kermesse attenta alla storia e all'attualità, incrociando passato e presente di Friuli, Navarra, Occitania e Paesi Catalani.

Tra le “perle” del cartellone figura “O que arde”, il film in galiziano di Oliver Laxe vincitore del premio della critica nella sezione “Un certain regard” dell'edizione 2019 del festival di Cannes, mentre la musica sarà protagonista in più occasioni. La serata clou è prevista domenica 30 nel piazzale del Castello di Udine, è affidata alla conduzione di Doro Gjat e vi partecipano anche i sardi Bujumannu & Jumbo ed il progetto friulano da esportazione di Laura Giavon & Drumlando.

Domani, invece, si comincia con Suns Friûl, vetrina delle musiche e delle identità linguistiche nostrane: dalle 21, sul palco di Piazza Venerio, si esibiscono Corte di Lunas, Alvise Nodale, Ostajki, Dissociative TV e Brût & Madone.

I due appuntamenti musicali udinesi sono particolarmente attesi: per prendervi parte, allo scopo di garantire le neccessarie condizioni di sicurezza per il Covid, è necessario prenotarsi utilizzando il sito web www.sunseurope.com.

https://messaggeroveneto.gelocal.it/tempo-libero/2020/08/21/news/suns-europe-un-mese-di-eventi-dedicati-alle-lingue-di-minoranza-1.39215322

Le proprietà miracolose dell’olio di San Giovanni

 


ALL’IPERICO
 si ricava un unguento curativo per i problemi legati all’apparato cardiocircolatorio, le scottature, le infiammozioni e le ferite

Dall’iperico, o fiore di San Giovanni, Šentjanževka in sloveno, si ricava un olio a dir poco miracoloso e curativo per tutta una serie di disturbi. Il fiore è giallo, da non confondere con il ranuncolo, giallo anch’esso (pur se di aspetto completamente diverso), dal quale l’iperico si distingue per la presenza sui suoi petali di vescicole visibili in modo chiaro in riflesso con il sole. Sono proprio queste vescicole che secernono il liquido rosso benefico che macchia le mani se si stropicciano i petali e colora l’olio extravergine d’oliva se i fiori vi vengono messi a macerare per dieci giorni al sole.
Per la «Teoria della signatura» o «Signatura rerum» elaborata da Paracelso, medico e alchimista svizzero vissuto a cavallo tra ‘400 e ‘500,su ogni elemento del Creato sarebbe stato lasciato un segno, le piante recherebbero già nel loro aspetto l’indicazione degli organi umani a cui giovano: per esempio la sezione di una carota ricorda l’occhio umano e in effetti il betacarotene, contenuto in questo ortaggio, è una vitamina molto utile alla vista; le noci ricordano l’encefalo, con tanto di emisferi destro e sinistro, le rughe richiamano la corteccia cerebrale, infatti la scienza ha scoperto che questi frutti aiutano lo sviluppo dei neurotrasmettitori, sono ricchi di nutrienti per il Dna e le cellule nervose.
«Similia similibus curantur»: i simili si curino con i simili. Il liquido rosso che secerne l’iperico, secondo la teoria di Paracelso, ricorderebbe il sangue, potrà giovare quindi a questo e a tutti i problemi legati all’apparato cardiocircolatorio; ma anche alle scottature, alle infiammazioni e alle ferite. L’olio di San Giovanni è ottimo per l’apparato cutaneo e, se massaggiato, dona flessibilità alla pelle,costituendo quindi un alleato anche nelle cure di bellezza. È però fotosintetico, è meglio evitare di esporsi al sole avendolo addosso.
La pianta era detta anche Scacciadiavoli: pare che la tisana preparata con i fiori essiccati abbia proprietà rilassanti e calmanti; un mazzetto contenente l’iperico e altre erbe si trovava in ogni casa: serviva a scacciare tutto ciò che poteva minacciare il focolare. Il nome “fiore di San Giovanni” ha due spiegazioni: la prima è legata al liquido rosso che secernono i petali che ricorderebbe la morte violenta e il sangue di San Giovanni Battista decapitato, di cui ha dato vivida raffigurazione il Caravaggio in due suoi celebri quadri: “Salomè con la testa del Battista” e “La decollazione di San Giovanni Battista”. La seconda è collegata al momento migliore per la raccolta che, secondo la tradizione, cadrebbe proprio la vigilia della festa di San Giovanni (23 giugno) nelle ore calde della giornata.
Veronica Galli

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Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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