Un impianto autorizzato, unico in Italia, di trasformazione della lana di pecora in fertilizzante organico (pellet) con una capacità di produzione di circa 30-40 chilogrammi all’ora. Un macchinario destinato agli allevatori di ovini del Friuli Venezia Giulia, prevalentemente dell’area montana, nell’ottica dell’economia circolare. È uno dei primi risultati del progetto “Agrilana in pellet”, nato nell’ambito di una più ampia collaborazione tra l’Università di Udine e l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale (Asufc), sostenuta dalla Fondazione Friuli.
Obiettivo della collaborazione è contribuire a sostenere le imprese locali per lo sviluppo e la valorizzazione della multifunzionalità nel settore dell’agricoltura sociale, per attività e ricerche nell’ambito agroecologico e delle filiere zootecniche di piccola scala. In questo senso, l’Ateneo è impegnato con il Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali (Di4a) e l’Azienda agraria universitaria “Antonio Servadei” (Azia).
Attività e sperimentazioni della partnership sono stati presentati oggi nella sede di Pagnacco dell’Azienda agraria dell’Ateneo friulano. All’incontro hanno partecipato, fra gli altri: il rettore, Roberto Pinton; il direttore generale dell’Asufc, Denis Caporale; il presidente della Fondazione, Giuseppe Morandini; e i direttori del Dipartimento, Edi Piasentier, e dell’Azienda agraria, Piergiorgio Comuzzo.
Oltre al progetto “Agrilana”, la collaborazione tra Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali e Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, nata nel 2018, prevede altre tre attività mirate.
Azioni di sostegno alle imprese locali: per identificare le potenzialità di sviluppo della multifunzionalità aziendale, soprattutto nel campo dell’agricoltura sociale e del benessere in natura.
Programmazione di attività formative: rivolte a produttori, studenti e persone svantaggiate indicate dai servizi sociosanitari. Nel 2021 all’Azienda agraria “Servadei” è stata riconosciuta la qualifica di “Fattoria Sociale” e, con essa, quella di operatore dell’agricoltura sociale.
Una scuola estiva (field school): indirizzata a progettare e sperimentare nuovi modelli di sviluppo nell’interdipendenza uomo-animale-ambiente, ponendo attenzione alla agroecologia, alla inclusione sociale, al territorio e alla comunità. La scuola si terrà nel mese di settembre, in due tempi: il primo, dal 1° al 4 settembre, nella Val Tramontina; il secondo, dal 15 al 18 settembre, avrà come centro la sede di Pagnacco dell’Azienda agraria dell’Università di Udine.
Nato tre anni fa dalle ricerche dell’Ateneo friulano, il progetto, sostenuto dalla Fondazione Friuli, punta a dar corpo a una realtà aziendale, la startup Agrivello, che ha concorso a realizzare e gestirà l’impianto di trasformazione in collaborazione con l’Università. Il fine è quello di produrre fertilizzante organico su scala regionale, almeno inizialmente. La responsabile di Agrivello è Chiara Spigarelli, dottore di ricerca in Scienze e biotecnologie agrarie dell’Ateno udinese. Attualmente è in fase di brevettazione la filiera produttiva.
Trasforma il 100 per cento della lana con un rapporto uno a uno, cioè un chilogrammo di lana viene convertito in uno di pellet. La produzione oraria può variare per la disomogeneità della lana, proveniente da razze diverse e da contesti diversi. Questa non standardizzazione è un fattore positivo in quanto permette di recuperare qualsiasi tipo di lana.
L’impiego nel settore agricolo costituisce una innovativa alternativa rispetto alle classiche destinazioni della lana, perché è in grado di valorizzare al meglio le sue molteplici proprietà. La lana, trasformata in pellet, può essere utilizzata come fertilizzante organico, perché è una sostanza ammendante, a lento rilascio di elementi nutritivi per le piante, con forti capacità di imbibizione e ritenzione dell’acqua. Il pellet può essere utilizzato su vaso o terreno libero, per qualsiasi tipo di piante: orticole, da frutto o da balcone. Si presenta come un concime organico che rilascia gradualmente azoto (N 9-10%) e migliora la qualità del terreno. Sono inoltre in corso delle attività sperimentali volte alla valorizzazione della lana come fertilizzante in pellet. Vi collaborano le docenti Luisa Dalla Costa, Maria De Nobili e Lucia Piani, con le loro competenze, rispettivamente, in orticoltura, chimica del suolo ed economia agraria.
Le aziende con pecore in Friuli Venezia Giulia continuano a essere numerose: oltre 650 allevamenti con circa 20 mila capi. Questa condizione favorisce la permanenza della popolazione, soprattutto in area montana. Oggi il ruolo chiave della pastorizia non è più solo quello di produrre alimenti di qualità, ma anche quello di generare servizi eco-sistemici a favore delle comunità locali, assicurando la diversità biologica, la conservazione di prati e pascoli e la tutela del paesaggio. Tuttavia, queste funzioni del settore primario, specie nei territori montani, oggi sono scarsamente riconosciute e vanno recuperare e rivalorizzate per sostenere le piccole produzioni, ancora oggi significative per il “paesaggio” e per la sua potenzialità inclusiva. Il mestiere di tosatore come quello di pastore, ad esempio, sono attività sempre meno praticate, con conseguente difficoltà di trasmissione generazionale delle competenze.
"La collaborazione tra il nostro Ateneo e l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale – ha affermato il rettore Roberto Pinton – naturalmente incentrata sui temi della sanità è molto proficua anche per quanto riguarda attività di ricerca, formazione interdisciplinare e sperimentazione in ambito agroecologico e sistemico-relazionale. L’obiettivo comune è sviluppare strategie di valorizzazione del settore agro-zootecnico e di risoluzione delle criticità con il coinvolgimento delle comunità locali, con particolare attenzione all’inclusione sociale in un’ottica di welfare generativo".
"Questo è un progetto di punta che unisce le nostre tre istituzioni – ha detto il direttore generale dell’Asufc, Denis Caporale –. Grazie all’Università di Udine, alla quale ci lega un rapporto costante di collaborazione, e alla Fondazione Friuli che vi ha creduto fortemente, abbiamo pensato in maniera univoca a questa iniziativa di One Welfare. Un progetto che racchiude una parte importante di integrazione sociosanitaria alla quale lavorano tutti i dipartimenti dell’Azienda con, fra gli altri, assistenti sociali, psicologi e veterinari".
Il presidente della Fondazione Friuli, Giuseppe Morandini, ha sottolineato come "l’intensa e gratificante collaborazione progettuale con l’Università, si arricchisce, grazie alla startup Agrivello, di un’ulteriore innovativa esperienza che oltre a mettere a sistema le competenze necessarie, realizza un intervento di economia circolare e welfare generativo di grande interesse non solo per il comparto agricolo".
La lana è una fibra nobile. Tuttavia, le pecore non sono tutte uguali e i tipi genetici più diffusi in Italia non sono specializzati nella produzione di lana per uso tessile industriale. Per essi si devono prevedere forme di utilizzo alternative. Perché tutte le pecore devono essere tosate regolarmente, almeno una volta all’anno, per garantire il benessere animale. Questa esigenza può determinare, e nei fatti frequentemente determina, un problema ambientale connesso allo smaltimento della lana che, quando non ha un suo canale di utilizzo, si configura come materiale di scarto, che dovrebbe essere raccolto da ditte specializzate nella gestione dei sottoprodotti di origine animale.
I processi di tosatura e di smaltimento della lana costituiscono in questo caso un costo significativo per gli allevatori, pari a circa 6 euro/capo/anno. La lana oggi si può quindi presentare non come una risorsa, ma come un problema serio, soprattutto per l’allevatore di piccole dimensioni. Questo tipo di allevatore, infatti, anche se vuole sostenere i costi di tosatura e trasporto, non ha, di fatto, né la possibilità di conferire la fibra naturale all’industria tessile, edile o per altri impieghi, né un facile accesso al servizio di smaltimento della lana di scarto. Ne deriva il conseguente rischio di una dispersione incontrollata nell’ambiente per interramento, pratica inquinante, o insacchettamento improprio per l’invio in discarica o, peggio, l’abbandono in discariche abusive.
Il riutilizzo del sottoprodotto lana per produrre fertilizzante organico in forma di pellet è un progetto di economia circolare per la valorizzazione della lana. Allo stesso tempo però costituisce un esempio concreto di organizzazione e riorganizzazione delle poche risorse produttive del territorio delle aree interne. In particolare di quello montano e pedemontano, al quale è prioritariamente rivolto, secondo una visione multi-attoriale e multifunzionale capace di creare nuovo valore economico e sociale, attraverso la costruzione di sistemi a rete nei quali siano inclusi non solo i produttori, ma anche gli stessi residenti. Una rete che prende le mosse dal settore primario ma che ha una visione intersettoriale, che si propone di integrare agricoltura, turismo, innovazione, servizi alla persona, filiere produttive fortemente collegate al territorio. Una rete per gestire il paesaggio, riattivare la simbolica dei luoghi, proporre turismo esperienziale, custodire i saperi locali, porre attenzione alla genuinità del prodotto e al benessere delle persone, condividere e cooperare.
Il rapporto con l'animale e l'ambiente, i ritmi non incalzanti dell’attività agricola, la partecipazione alla produzione di un bene o di un servizio di indubbio valore – quali il cibo o la trasformazione di un prodotto naturale come la lana – possono rappresentare, invece, un’interessante opportunità formativa e inclusiva per giovani, anche con fragilità, se adeguatamente formati e supportati. Molteplici gli esempi che testimoniano il ritorno alla pastorizia, che avviene in forme nuove e che è sostenuta soprattutto dai giovani, spesso laureati.