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9 giu 2022

MERSINO (SL. LOC. MARSIN) i luoghi del giovedì

 

Tipo percorso: escursione veloce lineare

Tappe: borghi ed edifici di culto

Taglio album: descrittivo

Finalità principale: presentare la località in autunno verso il tramonto

Area linguistica toponimi: italiano e sloveno

Data: 31/10/2021

Numero foto: 51


MARSEU (MARSIELI)

–CONTINUA  Mersino (sl. loc. Marsin) – ottobre 2021 – Forum Julii Project(si apre in una nuova scheda) forumjuliiblog.wordpress.com/2022/06/07/mersino-sl-loc-marsin-ottobre-2021/

7 ott 2021

Come la lotta contro Covid-19 cambierà la stagione dell'influenza


Priorità ai vaccini per non sovraccaricare gli ospedali e tenere a disposizione risorse per affrontare la pandemia. Ecco cosa si prevede per l'autunno

influenzaÈ cominciato tutto alla fine del 2019, lo sappiamo. A conti fatti, dunque, quello che sta per iniziare sarà il terzo inverno con Covid-19. E inverno, da queste parti (ma anche autunno e parte della primavera), è sinonimo anche di stagione influenzale. Come sarà quella che sta per cominciare? Cosa dovremmo aspettarci mentre siamo ancora in piena pandemia? Quali sono le raccomandazioni per la campagna vaccinale contro l’influenza?

Meno restrizioni, più casi

Chiederselo non è semplicemente tornare a farsi le stesse domande, perché la situazione pandemica è cambiata. Non solo a livello epidemiologico, anche con la diffusione di nuovi varianti, ma anche e sopratutto per l’avvento dei vaccini – almeno in alcune parti del mondo, considerando che la loro distribuzione è stata finora tutt’altro che equa – e per un generale rilassamento delle misure di contenimento al virus che lasciano immaginare una circolazione virale diversa da quella che abbiamo avuto lo scorso anno, più sostenuta. Tanto che – pur ricordando che fare previsioni è azzardato, gli statunitensi Centers for Disease Control and Prevention (Cdc) – ammettono che è possibile proprio in virtù di questo rilassamento attendersi una stagione influenzale più sostenuta rispetto allo scorso anno.Stagione, quella passata del tutto eccezionale, d’altronde. Insolita, per usare le parole dei nostri European Centre for Disease Prevention and Control (Ecdc). Perché è chiaro: restrizioni nei viaggi, smartworking, scuole chiuse, eventi pubblici vietati, mascherine, misure igieniche mai spinte così al massimo adottate per arginare la soffusione del coronavirus non potevano che non avere effetto anche per altri virus respiratori, come l’influenza appunto, scrive.E il risultato si è visto: in Europa non ci sono state ospedalizzazioni o morti per influenza nella scorsa stagione influenzale. Trend analoghi, con epidemie influenzali ridotte, stesse parole (oltreoceano si parla di un’ “attività influenzale insolitamente bassa”) anche negli Stati Uniti e altrove. Per gli stessi motivi: insolite misure di prevenzione, unite a sostenute campagne di vaccinazione influenzale. Anche gli stessi monitoraggi, campionamenti dei virus circolanti sono stati bassi rispetto al solito – scrive l’Oms nel documento in cui rende note le raccomandazioni sulla composizioni dei vaccini – il che ha reso particolarmente incerte le previsioni su quelli che saranno i virus influenzali più problematici nella prossima stagione.

https://www.wired.it/lifestyle/salute/2021/10/04/influenza-covid-vaccini/

28 set 2021

Prosecco e Prošek, di cosa stiamo parlando?

 

© Lenti Hill/Shutterstock

Prosecco e Prošek sono due vini molto differenti con una storia però in comune. Ed alla luce di questo il trambusto mediatico e politico, seguito all'intenzione dell'Ue di dare protezione di prodotto tradizionale al vino croato, rischia d'essere pretestuoso

17/09/2021 -  Giovanni Vale Zagabria

A giudicare dai fiumi di inchiostro sui giornali e dalle dichiarazioni martellanti alla televisione, il tema della settimana, per quanto riguarda i Balcani, non è stata l’ultima visita di Angela Merkel nella regione e il relativo bilancio quasi ventennale, né la legge sul cirillico approvata mercoledì a Belgrado e a Banja Luka, e tantomeno l’aggravarsi della situazione epidemiologica, ma lo scontro – tanto roboante quanto poco credibile – tra il Prosecco e il Prošek. Sul tema sono intervenuti tutti, ministri e sindaci, editorialisti ed eurodeputati, produttori ed associazioni di categoria. La stampa ha parlato della «levata di scudi» e delle «barricate» promesse dai politici e soprattutto della decisione «vergognosa» e «folle» della Commissione europea, anche se alla fine è emerso che quella decisione non è ancora stata presa.

Di cosa stiamo parlando? Cos’è il Prošek e cosa sta succedendo in Croazia? Un elemento che è mancato, in questa settimana di subbuglio mediatico, è infatti la spiegazione di cosa sia quel vino croato che «minaccia» il Prosecco. Si è detto che ha un nome simile a quello dello spumante e che è un chiaro esempio di «Italian sounding» – quel fenomeno che consiste nel dare ad un prodotto alimentare straniero tutte le apparenze (visive e terminologiche) di un prodotto italiano per venderlo con più facilità – ma si è spesso taciuto sul fatto che il Prošek non è in realtà uno spumante che vuole rivaleggiare col Prosecco e che la storia dei due vini è molto intrecciata.

Una storia intrecciata

Siamo a fine Cinquecento, la Repubblica di Venezia vive il suo momento di massimo splendore. Tra i vini che vanno più di moda c’è anche il Prosecco, un vino liquoroso, che si beve sia in accompagnamento a piatti salati che dolci. Quel vino deve il suo nome ad una località, Prosecco (la traduzione italiana del toponimo sloveno Prosek, che significa «zona disboscata»), che si trova vicino a Trieste e che oggi fa parte del comune. La Serenissima controlla allora la Dalmazia e il Prosecco viaggia raggiungendo anche quelle terre. Vi è menzionato per la prima volta, in forma scritta, nel 1774, quando l’abate padovano Alberto Fortis lo menziona nel suo celebre «Viaggio in Dalmazia», dopo averlo provato nei dintorni di Almissa (oggi Omiš, a sud di Spalato). Bisogna aspettare ancora qualche decennio perché appaia anche la traduzione croata del nome, ovvero Prošek, menzionato per la prima volta nel 1867.

Fino a qui, il Prosecco di cui parliamo è quasi un liquore, una sorta di vin santo. La moda dell’epoca è d’altra parte questa: i vini devono poter viaggiare per molte settimane per mare e l’alta gradazione permette loro di sopravvivere al viaggio. Basti pensare alla Malvasia, che deve il suo nome alla località greca di Monemvasia (allora un hub commerciale di primo piano, soprattutto per i vini detti «viaggiati»): anch’essa era nel Rinascimento un vino liquoroso e non il bianco fermo o frizzante che conosciamo oggi. Quando avviene allora la trasformazione del Prosecco in spumante?

"Nel 1821 un viticultore francese fa a Trieste l’esperimento della spumantizzazione del Prosecco", racconta lo storico Fulvio Colombo, autore di numerosi libri sul tema. "In città c’è una nutrita comunità francese che conosce la tradizione dello Champagne e la moda è cambiata: il mercato chiede altri vini, meno dolci e più effervescenti". Ad inizio Ottocento, dunque, nasce il Prosecco moderno, che si diffonde in tutto il Triveneto. Cosa succede al Prosecco dalmata, col tempo detto Prošek? «"Rimane un vino dolce, non “evolve”, diciamo, in spumante»", risponde Colombo, secondo cui "il Prošek è una sorta di fossile enologico".

Il punto di vista croato

Oltre Adriatico, il Prošek è un vino di nicchia, che compare in alcune ricette (ad esempio in quella della pašticada, altro ponte tra il Veneto e la Dalmazia) e che si beve raramente. "È una di quelle che cose che si tengono sempre in casa – Spiega Leo Gracin, il presidente del Consorzio del vino della Dalmazia – Lo si produce e lo si mette da parte quando nasce un figlio, per berlo al suo diciottesimo compleanno, lo si sorseggia quando si è ammalati, lo si usa per cucinare…". Ambrato e dolce, il Prošek è prodotto lasciando appassire i grappoli sui rami oltre il periodo di maturazione. Ha dunque delle rese molto basse e tempi lunghi ed è infatti prodotto in poche migliaia di bottiglie ogni anno. A titolo di paragone, il Prosecco ha venduto nel 2020 più di 500 milioni di bottiglie in tutto il mondo. Inutile dire che le esportazione del Prošek sono pari a zero.

Leo Gracin è accomodante e assicura che "con i produttori di Prosecco troveremo un accordo", dato che "gli italiani sono i nostri vicini di casa", ma gli esponenti politici croati sono più fermi. Per Tonino Picula, eurodeputato del Partito socialdemocratico, "la protezione dei prodotti tradizionali è una procedura comune e standardizzata avviata prima a livello nazionale e poi a livello dell'Unione […] non si tratta di un processo insolito". E la Croazia ha avviato quel processo (già nel 2013) anche per il Prošek, perché «"consente ai produttori di tutelare la proprietà intellettuale, la qualità e la reputazione [del prodotto], difendendosi dalle imitazioni. Inoltre, consente di ottenere prezzi migliori".

E se i consumatori dovessero confondersi in futuro tra Prosecco e Prošek? "Sono convinto che non ci sia spazio per la confusione. Il Prošek è un vino da dessert tradizionale che viene prodotto nella Dalmazia centrale e meridionale dalle uve appassite delle nostre varietà tradizionali bogdanuša, maraština e vugava. Non ha alcun legame nel gusto, nei tipi di uva o nella tecnologia di produzione con il Prosecco italiano", risponde Picula. Dello stesso avviso anche l’eurodeputato istriano Valter Flego, che spiega "come abbiamo protetto il nostro olio d’oliva, il Teran istriano e il prosciutto, così vogliamo fare per il Prošek". E aggiunge, battagliero: "Abbiamo vinto sul Teran e credo che il risultato sarà lo stesso anche questa volta".

Tutto da rifare

Mentre già si scaldano le cartelle degli avvocati, la polemica sul Prosecco si è però sgonfiata a pochi giorni dal suo inizio, entrando, almeno per il momento, in stand-by. Giovedì, la Commissione europea è infatti intervenuta per calmare un po’ gli animi e raddrizzare il tiro. "Non abbiamo ancora autorizzato il Prošek. Aspetteremo le vostre osservazioni. Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche", ha detto il Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski in trasferta a Firenze.

"Non c'è ancora la parola fine", anche se dalle analisi dell’esecutivo europeo "è emerso che non ci sono motivi per rifiutare la richiesta croata". Una cosa però è ammettere la domanda, l’altra è rispondere nel merito della menzione tradizionale che andrebbe introdotta. "Ho ascoltato molte considerazioni da parte dell'Italia, del ministro [dell’Agricoltura, ndr.] Patuanelli e delle Regioni. La questione del Prosecco è molto specifica e seria. Considererò in modo molto serio le obiezioni dell'Italia", ha concluso Wojciechowski.

Lo scontro, insomma, è per il momento rimandato.

https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Prosecco-e-Prosek-di-cosa-stiamo-parlando-212961

30 nov 2020

A distanza non è didattica


Se c’è un problema di difficilissima soluzione originato dalla pandemia da Covid è quello della scuola, nel senso che non è da sottovalutare la questione palliativa della fantomatica «Didattica a distanza», ormai ridotta ad una sigla, la Dad. Per come la vedo io, questa Dad, in quanto «a distanza», contraddice il primo termine, lo svuota dei suoi significati più radicali e lo stesso termine «didattica» è estremamente riduttivo nei confronti del concetto e della funzione educativa della scuola. Perché la scuola, per la sua funzione sociale, di «compagni, di maestri, di confronto, di emulazione, di impegno, collaborazione, rapporti reciproci, è ben altro che la sola didattica ». Purtroppo la «distanza» ne elimina la parte più importante.

Ho fatto il maestro, ho insegnato proprio ai bambini delle scuole elementari nel loro periodo di vita più intenso, più fecondo, più aperto ad ogni esperienza mutuata dall’opera educativa degli adulti, nel raffronto costante con il gruppo dei pari. La scuola non può essere intesa come operazione unidirezionale di insegnamento a saper leggere, scrivere e far di conto, ma è molto, molto di più. Imparano, appunto, ad entrare nella società, interferire con gli altri.

L’esperienza diretta dei fenomeni della crescita di un bambino, a partire dalla culla, è ben altro che studiarla sui libri, ed io, ad esempio, rimango folgorato nell’osservare l’evoluzione del nipotino nel suo primo anno e mezzo di vita. Incredibile quanto ogni giorno si sviluppi in lui ogni capacità, l’interazione con chi si cura di lui, dai genitori ai nonni, dal cuginetto ai compagni d’asilo, dall’ambiente e dalle suggestioni che lo stimolano. Vedo che è tutto questione di interazione. Lo osservo, il piccolo, e mi accorgo quanto egli sia costantemente collegato, come una cinepresa a 360 gradi, alle persone ed all’ambiente che lo circonda. Scopro come sia veloce ad imparare, a collegare la mia parola all’oggetto che gli indico ben prima che abbia imparato a dire «Ciao nonno». Ma lo faguardandomi; mi guarda, segue il mio sguardo e la mano che lo indica e prima ancora che lo sappia pronunciare associa l’oggetto al suo nome.Succederebbe la stessa cosa, imparerebbe il nome di un oggetto se la parola

provenisse da un altoparlante, quindi senza l’interazione con chi cerca di insegnargliela? No, il bambino farebbe fatica a memorizzarla.

La scuola con l’insegnante presente ha questa funzione, di favorire, di stimolare l’attenzione del bambino con la modulazione della voce, con la stessa mimica facciale, con i gesti, con la trasmissione diretta di emozioni. La persona viva… tutt’altro che un’immagine fotografica o filmica, con una voce che proviene da una macchina. Al mio nipotino di 18 mesi piacciono dei brevi filmati, in particolare Coco, un piccolo brano del capolavoro diDisney-Pixar. Nulla di nuovo, in ciò, ma il comportamento che ha avuto alla presenza anche dei nonni, quando una sera dopo cena, in preparazione della visione ha preso per un dito me e mi ha condotto e fatto sedere sul divano accanto al suo papà, ha fatto lo stesso di seguito con la nonna e la mamma ho capito cosa per lui, e per me, vuol dire famiglia. Lui in mezzo a noi ha voluto compartecipare il suo divertimento. Lo so, è una banalità, ma che per il nonno ha un significato di tutt’altra natura. Lo lascio intuire a chi non lo ha provato, ma il fatto fa riflettere.

Crescerà il nipotino, ma troverà accanto a sè persone con cui condividere? Da cui apprendere non solo nozioni, ma emozioni, valori, modi di comportamento direttamente dall’esempio di persone vive, di cui avvertire il calore fisico, ascoltare voci vere, guardare negli occhi ed avvertire quel raggio che scocca tra sguardi non vuoti e assenti dello schermo. Cosa possiamo aspettarci da una qualsiasi Dad? A me fa paura per l’assenza o la sostanziale limitazione del coinvolgimento attivo nell’apprendimento.

Quale dimensione sociale dello studio è possibile, se lo è, con la Dad? Facciamolo questo sforzo solidale, tutti, per il bene dei nostri figli e nipoti, per il nostro e loro futuro! Quello di bloccare ‘sto maledetto Covid 19, rispettando le regole, draconiane o meno che siano! Basta che ne usciamo, a qualsiasi costo materiale.

https://www.dom.it/a-distanza-non-e-didattica/

27 nov 2020

L’ Avvento ci prepara al vero Natale


 ll periodo dei preparativi spirituali e devozionali al Natale inizia con la prima domenica d’Avvento, quest’anno il 29 novembre, e si conclude nella settimana successiva alla quarta domenica d’Avvento, nella Vigilia di Natale, il 24 dicembre. Col periodo d’Avvento la Chiesa cattolica inizia un nuovo anno liturgico e a prepararsi al Natale. Il termine latino adventus significa venuta. Il Signore è giunto due volte. La prima nel mondo come essere umano, nato dalla Vergine Maria; la seconda è attesa nel giorno del giudizio. I cristiani credono nella venuta invisibile del Signore nel cuore dell’uomo per opera dello Spirito Santo ovvero nella presenza segreta di Dio nel cuore di ogni uomo. Il periodo d’Avvento ha un duplice carattere: è tempo di preparazione alla Natività di Gesù, il 25 dicembre; al tempo stesso ci ricorda l’attesa della seconda venuta di Cristo, alla fine dei tempi. Un segno esteriore della preparazione al Natale è la corona dell’Avvento. Da noi è tradizione prepararne per le case e le chiese, con quattro candele. L’aumentare della luce simbolifica l’aumentare del bene nella vita. Fissate su una corona di elementi vegetali, le quattro candele richiamano le quattro domeniche d’Avvento. L’uso è mutuato dai popoli germanici. In Slovenia ha preso piede negli anni ’80 del XX secolo. Nelle chiese è sistemato nei presbiteri, in posizione visibile. La sua forma rotonda richiama la perfezione e l’eternità. I rami sempreverdi ci parlano della vita, di Gesù Cristo che giunge tra noi. Il colore viola rappresenta la speranza che l’oscurità sarà vinta. Le quattro candele, solo di colore viola o bianco, rappresentano quattro momenti salienti (la creazione, la venuta come uomo, la redenzione e la fine del mondo); i quattro punti cardinali  (nord, sud, est e ovest), che ci parlano dell’universalità di Cristo fatto uomo per il mondo e tutto il genere umano; rappresentano le quattro stagioni, rimandando all’importanza della nascità del Cristo per tutte le ere della storia; rappresentano la vita umana; la candela accesa (alla nascita) si fa sempre più piccola, ricordandoci l’avvicinarsi della fine della vita e la caducità terrena. Avvicinandoci alla nascita di Gesù c’è sempre più luce; allo stesso modo, anche avvicinandoci sempre più a Dio.

https://www.dom.it/advent-nas-pripravlja-na-pravi-bozic_lavvento-ci-prepara-al-vero-natale/

26 nov 2020

Fino al Papa per la messa in sloveno

 


Dopo la vasta eco della conferenza stampa organizzata a Ugovizza dall’associazione «don Mario Cernet» per richiamare l’attenzione sull’assenza di servizio pastorale in lingua slovena in Valcanale, la questione della presenza delle lingue locali nelle parrocchie di Benecia, Resia e Valcanale è arrivata nelle sedi istituzionali. Della vicenda si è occupato il consiglio permante della Conferenza episcopale slovena nella riunione del 23 novembre. Nei giorni precedenti, su iniziativa della ministra per gli Sloveni d’oltreconfine e nel mondo, Helena Jaklitsch, il vescovo di Murska Sobota e delegato per le minoranze slovene e la diaspora, mons. Peter Štumpf, aveva voluto fare il punto della situazione direttamente con alcuni rappresentanti delle associazioni di ispirazione cattolica degli sloveni della provincia di Udine. Ne è emerso che nell’Arcidiocesi ormai sono presenti solo due sacerdoti di lingua slovena, ai quali vanno aggiunti alcuni sacerdoti e religiosi di lingua friulana e italiana che hanno davvero a cuore le sorti dei fedeli di lingua slovena e si sforzano di usare anche la loro lingua nelle celebrazioni. Si tratta, in ogni caso, di iniziative sporadiche e lasciate alla buona volontà dei singoli, in quanto non c’è un impegno organico della Chiesa Udinese a favore delle lingue locali – anche per il friulano e il tedesco –, seppure tale sollecitudine sia contemplata dalle Costituzioni sinodali. Il caso limite è proprio la Valcanale, dove un religioso sloveno, dopo un anno di proficuo servio pastorale, non è stato confermato. «Tutte le richieste rivolte ai responsabili ecclesiastici e politici non hanno dato frutto, perché gli attuali vertici della Chiesa locale non sono favorevoli alle minoranze linguistiche », si legge nel comunicato emesso dall’Ufficio governativo per gli sloveni d’oltreconfine e nel mondo. Pertanto, ora la Conferenza episcopale slovena attiverà i canali che riterrà più adatti per dare una risposta alle esigenze che salgano dalle comunità. Già nella conferenza stampa di Ugovizza era stata prospettata l’eventaulità di rivolgersi direttamente alla Santa Sede e allo stesso Papa che, come confermato anche da mons. Štumpf, è molto attento ai diritti delle minoranze.

https://www.dom.it/

17 nov 2020

Metereologia in pillole

 



Capitolo I
NUVOLE: QUESTE (S)CONOSCIUTE! 🌬⛅

Intendiamoci, aprire l'argomento "nuvole" e "fisica dell'atmosfera" richiederebbe un trattato scientifico. In giro c'è dell'ottima e approfondita letteratura a riguardo e se volete possiamo fornirvi qualche buon titolo 🤓
Scopo di queste brevi puntate di meteorologia è semplicemente quello di abituarci ad alzare gli occhi. Uscire di casa al mattino (o quando volete), sollevare lo sguardo e osservare qualcosa che vediamo ogni santo giorno, il cielo, ma con occhi diversi 👀
E' un esercizio facilissimo, e, ve lo posso garantire: Funziona! Il cielo vi sembrerà più vivo di sempre 🤩

Forza, non perdiamo altro tempo: iniziamo!

🆕👉 https://www.studioforest.it/rubrica-meteorologia.../

Web sul blog: Scegli il tuo film preferito di Carlo Verdone

Web sul blog: Scegli il tuo film preferito di Carlo Verdone: Domani, Carlo Verdone compirà 70 anni. I suoi film hanno accompagnato diverse generazioni, con una galleria di personaggi indimenticabili e ...

11 nov 2020

“Göra ta ćanïnawa”, il canto tradizionale resiano sul web

 https://novimatajur.it/cultura/gora-ta-caninawa-il-canto-tradizionale-resiano-sul-web.html


Su YouTube e sulla pagina FB dell’Ecomuseo Val Resia è stato pubblicato il videoclip promozionale del canto tradizionale resiano “Göra ta Ćanïnawa”, realizzato da Christian Madotto e prodotto dal coro spontaneo del Gruppo Folkloristico Val Resia con il Museo della Gente della Val Resia e patrocinato dall’Ecomuseo Val Resia, nell’ambito del progetto “Tradizione viva – Žïwa nawada”, finanziato dalla Regione FVG. Il coro spontaneo femminile proprio in questi giorni avrebbe dovuto partecipare al “Festival Campana Paterna” di Vilnius (Lituania), in programma dall’11 al 15 novembre.

8 nov 2020

Lavorando insieme arrivano risultati



Da un mese è partito anche l’Invito pranzo che proseguirà fino all’8 dicembre. «Le prime due settimane sono state un po’ in sordina, forse anche a causa del brutto tempo – racconta la presidente dell’associazione Invito a pranzo, Tiziana Strazzolini –. Nell’ultimo periodo, invece, l’afflusso è stato buono. So che la settimana del Burnjak, quella del 18 ottobre, quasi tutti avevano esaurito i posti. Molte sono state le prenotazioni anche per questa ultima settimana». Quest’anno si può rilevare che mancano forse i gruppi degli altri anni, vi è maggiore presenza di famiglie o di coppie. «Molti da tutta la Regione hanno richiesto i libretti di Invito a pranzo», spiega la presidente di Invito che si chiede se forse non si sia iniziato tardi a distribuirli. Sicuramente l’attuale clima di incertezza non aiuta nessuno. In generale i locali che partecipano a Invito a pranzo si sono detti soddisfatti di come sta procedendo l’edizione autunnale dell’iniziativa, ci sono tantissime richieste per il pranzo domenicale, alcune non si riescono a soddisfare, procede bene anche il sabato. I locali dove si può prenotare sono l’agriturismo La casa delle rondini, la trattoria Alla cascata, la trattoria Ai colli di Spessa, l’osteria Al Colovrat, la trattoria Da Walter, l’Osteria di delizie e curiosità, la trattoria Gastaldia d’Antro, la trattoria Al Giro di boa, l’agriturismo Monte del re, la trattoria Da Na.Ti., l’agriturismo Pestrofa, il Rifugio Pelizzo e la trattoria Vartacia.

Sapori nelle Valli, invece, ha organizzato un’iniziativa che ha coperto l’intero mese di ottobre, ogni fine settimana ha avuto il proprio protagonista: la prima, quella del 3 e del 4 ottobre, è stata caratterizzata dalla gubana, la seconda, del 10 e dell’11 ottobre, dalla castagna, quella del 17 e del 18 ottobre, dalle mele; l’ultimo appuntamento, del 24 e del 25 ottobre, dedicato all’innovazione, è purtroppo saltato nell’incertezza provocata dalle ultime misure di contenimento della Covid-19.

Come ci ha spiegato Mauro Pierich, l’iniziativa è stata un vero e proprio successone, con numeri molto importanti, nonostante il tempo non sia stato sempre clemente. Di sicuro è stata premiata anche

la buona volontà di riprendere un’iniziativa – quella della castagnata su quattro domeniche che si svolgeva proprio nello stesso stabile della zona industriale utilizzato da Sapori nelle Valli – che era molto amata dalla gente del luogo e di fuori e di cui si sentiva la mancanza. «I numeri sono molto importanti – ci ha detto Pierich. La prima fine settimana abbiamo registrato 680 ingressi, registrando un numero di telefono per gruppo, la seconda fine settimana ha visto 510 ingressi il sabato, un centinaio la domenica; il vero successo è stata la terza fine settimana, anche se abbiamo comunque avuto una giornata di brutto tempo: il sabato, nonostante la pioggia, abbiamo avuto 300 ingressi e la domenica oltre millecento».

Non hanno partecipato tutte le aziende dell’associazione Sapori nelle Valli, quelle presenti erano: l’azienda agricola Valnatisone (Pulfero), l’azienda agricola La Seuka (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Tropina, l’agriturismo Pestrofa (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Floram (Pegliano), la Corte delle Lumache (San Pietro al Natisone), Birra Gjulia (San Pietro al Natisone), Gubane Dorbolò (San Pietro al Natisone), Apicoltura Cedarmas (San Pietro al Natisone), Giuditta Teresa Gubane (San Pietro al Natisone), Antico Molino Pussini (San Pietro al Natisone), Ajo& Ojo (San Pietro al Natisone) e Gubana Cedarmas (Pulfero).

«Abbiamo abbinato questa iniziativa con Invito a pranzo, i ristoratori proponevano nelle giornate a tema il tema della nostra manifestazione. Sono state organizzate camminate da parte della Pro loco Nediške doline e da Forest-Studio naturalistico», spiega Pierich, il quale aggiunge che: «c’è stata sinergia fra più associazioni, che dimostra che lavorando assieme per il bene comune delle Valli i risultati vengono fuori per tutti».

dal Dom del 31 ottobre 2020


Parole sagge, che vanno recepite

 


Avere oggi 80 anni di vita ha una qualche particolare valenza, in particolare se questa considerevole somma di anni, mesi, giorni e ore di vita è stata vissuta all’insegna di una missione, di una vocazione tesa al servizio degli altri, del prossimo e del lontano, del buono e del cattivo, del bello e del brutto. Quella sacerdotale non è una professione, è, o dovrebbe essere, un modo di vita che, ben piantato nel concreto e nel presente, si spinge nel trascendente, in «ciò che è superiore ad ogni altro, in ciò che è al di sopra dell’esperienza sensibile e della percezione fisica umana, in ciò che porta al Divino». Una premessa per richiamare l’attenzione all’ottantesimo compleanno di mons. Marino Qualizza. I suoi studi, il suo insegnamento, la sua opera pastorale, il suo servizio religioso hanno lasciato segni tangibili; il suo impegno nel riaffermare i valori religiosi, culturali e linguistici del mondo fisico, culturale e sociale a cui appartiene, divengono un patrimonio cui ognuno può attingere. Anche rileggendo gli scritti raccolti nel libro appena pubblicato, «Benečija naš dom», un volume antologico dei suoi contributi al periodico Dom di cui è direttore responsabile.Giustamente il suo ottantesimo compleanno è stato una celebrazione eucaristica tra la sua gente, la comunità slovena della Benečija, ed è stata la mensa eucaristica, nella chiesa di Špietar-S. Pietro al Natisone, a simboleggiare il pranzo di gala. Non mi dilungherei nel riproporre i diversi interventi tesi a ribadire il senso di riconoscenza al festeggiato. Va dato un certo risalto alle considerazioni espresse da Dejan Valentinčič, segretario di Stato del ministero per gli Sloveni d’oltreconfine e nel mondo. Le sue parole indicano quanto e come il governo sloveno segua ed interpreti le condizioni delle popolazioni etnicamente contermini. «Mi sento onorato – ha detto il viceministro – di portare gli auguri e il grazie da parte della Repubblica di Slovenia a mons. Marino Qualizza, per tutto il lavoro fatto. Egli è un’autentica autorità, apprezzato, rispettato non solo dal punto di vista religioso ma anche per la sua profonda conoscenza della storia della Benečija e per la sua saggezza. Le popolazioni della Benečija, del Posočje (Isontino) – luogo da cui io stesso provengo – e di Lubiana sono della stessa lingua, delle stesse radici, quindi della medesima anima. Oggi in Benečija c’è meno gente che parla lo sloveno, tuttavia coloro che hanno a cuore la lingua slovena sono, per citare il Vangelo, lievito e sale di queste valli. Non riesco a immaginarmi la Benečija priva della parlata slovena, perché perderebbe la propria fisionomia. Mons. Gujon scrisse tempo fa che la scuola bilingue ha sostituito l’opera dei sacerdoti per la lingua e la cultura locale, tuttavia rivestono un ruolo importante sia la messa che la catechesi nel mantenimento e nello sviluppo degli stessi valori. Scuola, messa e catechismo sono una necessità in solido. D’altronde è evidente, oltre a ciò, l’importanza dell’economia. La gente rimarrà qui solo se potrà guadagnarsi il pane dove vive. Affinché ciò possa avvenire è lavoro imprescindibile sia per noi, della Repubblica di Slovenia, che ci curiamo degli sloveni confinanti, sia delle autorità in Italia. D’altronde abbiamo molti esempi di località poste ai confini, che si sono ravvivate, divenute economicamente più forti proprio per le loro caratteristiche plurilinguistiche e multiculturali radicate sul territorio. Dobbiamo lavorare affinché questo risveglio possa attuarsi anche qui in Benečija attraverso una forte collaborazione col vicino territorio isontino-Posočje». Ho voluto tradurre quanto più fedelmente possibile il breve intervento del rappresentante del governo sloveno, affinché possa essere conosciuto anche da coloro che non hanno particolare dimestichezza con lo sloveno. Evidenti appaiono le parole chiave di questo saluto, come a corollario e riconoscimento dell’esempio di mons. Qualizza. Non è il solo. La scuola bilingue ha un ruolo fondamentale, ma altrettanto fondamentali per il recupero dell’identità individuale e di gruppo sono l’insegnamento della fede dei padri e la relativa pratica religiosa. Ancora una volta si ribadisce questa necessità della compenetrazione di lingua e fede. Dal punto di vista economico si vuole prospettare la valorizzazione proprio dell’identità culturale e linguistica come strumento di promozione globale della gente in sé e del territorio come entità geograficamente definita. Non ci potrà essere vero sviluppo senza una forte coesione nell’identità di gruppo. Questo è il messaggio. E, a quanto pare, la presenza dei sindaci alla celebrazione dell’ottantesimo di mons. Qualizza, appare come un primo passo, promettente, in questa direzione. 

Riccardo Ruttar (Dom, 31. 10. 2020)

 da Slovit del 31 ottobre

4 nov 2020

Jota ‘continua’, una minestra… divisiva.

 


DA VITA NEI CAMPI FB

di Roberto Zottar
La jota è uno dei piatti tipici della regione ed è anche terreno di scontro della competizione ‘culturale’ tra friulani e triestini che ne reclamano la paternità. Sto parlando di una minestra oggi principalmente a base di fagioli e patate che a seconda delle località si declina con l’aggiunta di capuzi garbi, cioè crauti a Trieste, o con l’impiego di brovada in Friuli, o anche con erbe o zucca in Carnia, o con farina di polenta o orzo, e viene insaporita con musèt, cotechino, o costine, cotenna o altra carne di maiale, affumicata e non, semi di kümmel. Dal sapiente diverso equilibrio tra tutti questi ingredienti nascono quindi le numerose varianti di jota carnica, della val Pesarina, goriziana, carsolina, bisiaca, triestina.
‘fa uno buino iottho’ è la prima citazione di jota in Friuli che risale al 1432 nei quaderni dei Battuti di Cividale e il termine jota potrebbe derivare dal tardo latino jutta “brodaglia, beverone”, forse di origine celtica. La ricerca della paternità della vera jota può essere fuorviante, rispetto al valore di un patrimonio culinario che attraversa la storia e le tradizioni delle tante culture che arricchiscono il mosaico di lingue e di popoli costituito dalla nostra regione. Direi che tutte le jote sono ‘vere’ e al giorno d’oggi quasi tutte prevedono fagioli e patate e magari farina di mais anche se nel medioevo, come affermava Piero Adami, erano probabilmente a base di fave. E se la jota triestina “classica” non è diversa da quella istriana, sempre con fagioli, patate, capuzi garbi e costine di maiale, la jota goriziana è simile a certe jote carniche con repa, cioè brovada.
In Friuli la jota è sempre stata considerata una pietanza di ripiego tanto che si diceva Se à di vanzâ, che vanzi la jote, cioè se deve avanzare qualcosa che avanzi jota. E le ragazze carniche cantavano simpri jote, simpri jote e mai polente e lat, simpri jerbis, simpri jerbis e mai un biel fantat (sempre jota sempre jota e mai polenta e latte, sempre erbe sempre erbe e mai un bel giovanotto). A Trieste invece questa minestra è uno dei simboli culinari e identitari della città. C’è perfino un curioso ricettario triestino dal titolo “Jota continua”. E forse per evitare di schierarsi tra triestini e friulani, gli autori hanno pubblicato anche un altro ricettario dal titolo “Frichissimo”!.
Per realizzare una jota triestina, fate cuocere in acqua 250g di fagioli, 250 g di patate, costine di maiale o un osso di prosciutto, sale e pepe. Passate poi metà dei fagioli e patate per dare cremosità alla minestra. A parte fate cuocete in acqua 250 g di crauti e una volta cotti aggiungeteli alla minestra insieme ad un soffritto bruno di farina.
Buon Appetito!

3 nov 2020

Un autunno meno difficile del previsto


La situazione odierna non è delle migliori e, in particolare, per alcune aree ai margini come la Benecia le difficoltà attuali si inseriscono in un contesto di partenza non facile. Gli operatori e le realtà associative delle Valli del Natisone, però, ce la mettono tutta e stupiscono per l’inventiva che sanno tirare fuori anche in periodi duri come quello che viviamo oggi. Ecco che iniziative come «Marajna» nell’ambito del tradizionale Burnjak di Tribil – che quest’anno si è svolto domenica, 18 ottobre, sotto una nuova veste – Invito a pranzo e quella organizzata da Sapori nelle Valli alla zona industriale di San Pietro al Natisone ogni fine settimana di ottobre (l’ultima è saltata causa misure relative al contenimento della Covid-19) riescono ad attirare numerose persone anche da fuori.

«È andata meglio di quello che pensavo – racconta Francesco Chiabai della Kmečka zveza di Cividale che, assieme a Michela e a Stefano Predan, ha organizzato l’iniziativa «Marajna» –. Le persone cercano questo adesso, ossia conoscere le aziende agricole operanti sul territorio che, devo dire, lavorano molto bene e non hanno paura di aprire le proprie porte». Le aziende agricole che hanno preso parte a «Marajna» sono state una decina: l’azienda agricola Giuseppe Specogna s.s. (Pulfero), l’azienda agricola Manig (San Pietro al Natisone), Gubana della nonna (San Pietro al Natisone), L’oro della Benečija (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Zore (Taipana), Pra’ de Fontana (Torreano), l’azienda agricola Angolo di Paradiso (San Leonardo), l’agriturismo La Casa delle Rondini (Stregna), la Corte delle Lumache (San Pietro al Natisone) e La casa del tempo (San Leonardo). «Siamo soddisfatti dei numeri, non abbiamo avuto tantissima gente ma meglio così, perché come prima esperienza è andata bene con all’incirca 60/70 presenze. Si potrebbe anche pensare di ripetere questa iniziativa», aggiunge Francesco Chiabai che sottolinea anche quanto sia importante che le persone di fuori vengano in Benecia e vedano con i propri occhi dove lavorano le nostre aziende e quali sono le difficoltà che si trovano a dover fronteggiare.

Domenica, 25 ottobre, si è svolto un evento molto simile a «Marajna », organizzato da Marino Visentini, segretario del circolo di Udine di Legambiente, con visita all’Oro della Benečija di Angela Venturini e all’azienda agricola Manig di Elisa Manig. All’iniziativa «Marajna» hanno collaborato anche i giovani, Katja Canalaz, Fanika Coren e Biagio Tomasetig, che Francesco Chiabai ci ha tenuto a ringraziare. (Veronica Galli)

Canebola respira nella sua lingua

 

Canebola/Čenijebola

Anche se una volta contava oltre settecento abitanti, oggi Canebola di Faedis/Čenijebola conta una settantina di residenti. Gli abitanti al momento sono sempre meno, ma di giovani ce ne sono ancora e la comunità cerca di restare unita attorno alle proprie usanze e tradizioni.

Ricordiamo che sul territorio del comune di Faedis (come a Nimis, Attimis, Torreano e Prepotto) si parlano tre lingue: accanto all’italiano, anche le locali varianti di friulano e sloveno, entrambe tutelate dalle leggi statali e regionali. A Canebola, accanto all’italiano e al friulano, la lingua tradizionale del paese è il locale dialetto sloveno. La signora Iva Zoder spiega: «A casa nostra abbiamo sempre parlato nel nostro dialetto. Parliamo anche friulano e italiano, ma a Canebola si parla nel nostro dialetto».

Il cartello in italiano, friulano e sloveno/Tabla v italijanščini, furlanščini in slovenščini

La parlata di Canebola rappresenta, quindi, ancora un elemento importante nella vita di una comunità che nei decenni passati ha subito le stesse dinamiche di spopolamento che hanno interessato molti altri paesi della Slavia. «La modernità ha un po’ svuotato i nostri paesi, con la nostra gente che tende a disperdersi », nota Claudio Petrigh, anche se alcuni, dopo qualche anno all’estero, hanno fatto ritorno.

La chiesa di S. Giovanni Battista/Cerkev Sv. Janeza Krstnika

Un punto di riferimento importante per la cultura del paese, come in molte altre località, è la chiesa, intitolata a San Giovanni Battista. Le prime notizie della sua esistenza risalgono al XV secolo. È stata ricostruita nel XVIII e nel XIX secolo; dopo il terremoto del 1976 è stata ristrutturata per i forti danni subiti. I tempi in cui a prestare servizio erano sacerdoti che conoscevano la lingua locale, tra cui don Emilio Cencig, ormai sono un ricordo; ora i sacerdoti che conoscono lo sloveno sono pochi – e le celebrazioni sono, così, officiate in italiano. Ma la cultura locale è ancora presente attraverso il canto, ad esempio con Lepa si o Ti, o Marija, nonché altri canti religiosi intonati in occasione delle festività centrali nell’anno liturgico.

Nei plessi scolastici del comune, giù in pianura, l’insegnamento dello sloveno non è stato attivato. E pensare che un tempo, nelle frazioni montane di Faedis, il catechismo era insegnato in sloveno locale.

Anche se la chiesa del paese è intitolata a San Giovanni Battista, il momento centrale per eccellenza nella vita della comunità continua a restare la festa di Sveta Marija Bandimica («Madonna della Vendemmia»), che ogni anno cade in una delle domeniche prossime alla ricorrenza della Natività della Beata Vergine Maria, celebrata l’8 settembre. Rino Petrigh, che a Canebola aiuta in chiesa, nota come il nome della festa in dialetto sloveno sia legato al periodo della vendemmia, con le attività agricole espletate in quel periodo. (Luciano Lister)

https://www.dom.it/cenijebola-se-diha-v-svojem-jeziku_canebola-respira-nella-sua-lingua/

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Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

Nuove ricerche e strade per lo strok, l’aglio di Resia

  Radicato nella tradizione agricola della vallata, l’aglio di Resia/Rozajanski strok è, oggi, il prodotto agricolo locale maggiormente cono...

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