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23 dic 2021

Cosa si mangiava per Natale un Val Torre negli anni 50/60

 

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cartolina del famoso pittore sloveno Maksim Gaspari

Una persona anziana mi ha raccontato come si festeggiava una volta  il Natale e le altre feste a casa sua. La sua mamma era molto impegnata nella stalla, tanti figli e parenti ai quali pensare.Quello che ha impresso chiaramente sono tutte le messe alle quali doveva partecipare,anche a fare il chierichetto.Il giorno di Natale /Božič sul spolert c'era sempre il brodo di gallina ,la mamma apriva qualche vaso di verdure messe sotto aceto,preparava la "paača" un pane di mais cotto sotto alla cenere e i grandi bevevano un bicchiere di vino nero "american".Sua sorella, che era la maggiore, se il papà portava dal bosco un abete/brina o qualche pianta di ginepro lo addobbava con mele,caramelle,biscotti,mandarini,ma non durava integro fino a Natale.Non c'era usanza di fare regali ai bambini,al massimo noci-kulini ,nocciole-liešniki.

Kaj smo jedli dan bot za Božič / Cosa si mangiava un tempo per Natale

Dan bot po majši polnočni ,smo jedli tripe bokinove ali od ovce tou kropu za se ogrieti,ker tou cjerkui ni bluo horkuo.
Un tempo,dopo la messa di mezzanotte,si mangiava le trippe di manzo o di pecora in brodo per scaldarsi,perchè in chiesa faceva freddo.
Le trippe (mulice) di nonna Maria
Ingredienti:
500 gr di trippe,sajin(strutto)1 cipolla (čebula),1 strok di luk (spicchio di aglio),1 carota (koranj),sedano,formaggio vecchio grattugiato,brodo (krop),sale e pepe.
Preparazione:
lessare le trippe per 4 ore se di manzo,tagliarle a listarelle,preparare un soffritto con  strutto, cipolla,sedano e carota tagliata a pezzettini e l'aglio.Soffriggere le trippe mescolandole accuratamente per circa 10 minuti,aggiungere il brodo e far bollire a fuoco lento fino a completa cottura di tutti gli ingredienti,alla fine aggiungere il formaggio grattugiato.



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trippe

La paača di nonna Maria
La paača è un cibo povero della Terska dolina ormai dimenticato e si cucinava sotto la brace.Era dolce o salato e poteva avere anche un ripieno a seconda della stagione.
Per Natale lo si faceva dolce col ripieno di noci(kulini),nocciole (liešniki) e castagne (kostanji).
Ricetta 
Fare un impasto con 400 gr di farina di mais e di frumento,miele o zucchero,burro o strutto,latte tiepido o panna (smetana) ,2 uova,sale e lievito.
Fare una sfoglia di 4sottile,mettere il ripieno di noci o nocciole o castagne lessate tritate,1 uovo,grappa e zucchero.Arrotolare come un salsicciotto e spennellarlo con l'uovo sbattuto.
Nonna Maria quando lo cucinava sotto alla brace lo avvolgeva nelle foglie di castagno.
Infornare a 190° e cuocere per 50 minuti.
E' ottima per colazione.

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spolert

spolert costruito con i mattoni si trovava in ogni cucina
 http://ilfogolar.blogspot.it/2011/11/polenta-di-lidia.html

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Per Natale tiravano il collo a una vecchia gallina e facevano il brodo.La carne si mangiava raramente,solo per le feste religiose, per la sagra e per le partorienti.
Le verdure erano le solite invernali,patate,fagioli,rape,carote e verze.
I bambini mangiavano noci,nocciole,castagne secche e mele,chi aveva soldi comprava mandarini.

20 dic 2021

Gubana Gubanza friuli venezia giulia RICETTA

Ripropongo il video e la ricetta della gubana,dolce ttpico della Benecia.

Gubanza/Gubana preparata da Romilda Filipig di Topolò Preparazione e ricetta del dolce tradizionale delle Valli del Natisone di Stefano Morandini. La parola gubana deriva dallo sloveno "gubati" cioè arrotolare, infatti questo dolce ha la forma di chiocciola. E' un dolce che si faceva per Natale, Pasqua, matrimoni e per la fine della fienagione. Traduzione dal dialetto sloveno. Ingredienti: Impasto per 2 gubane Mezzo chilo di farina, 3/4 uova, sale, la buccia di un limone grattugiato, 2 cubetti di lievito, due cucchiai tra burro sciolto ed olio,zucchero, una fiala di vanillina. Ripieno: 250 g di noci macinate, 100 g di amaretti sbriciolati, un cucchiaio di zucchero, un panino raffermo, un po' di burro,30 g di pinoli,100 g di uvetta ammollata nel marsala, mezzo bicchiere di grappa, qualche cucchiaio di cacao. Preparazione La pasta deve lievitare due volte. Mettere la farina sul tavolo ed aggiungere il lievito precedentemente sciolto in un po' di latte tiepido, zucchero e una presa di sale. La pasta deve essere piuttosto molle, altrimenti stenta ad alzarsi. Lavorare bene il composto. Coprire con un panno caldo e lasciar lievitare (deve raddoppiare) Nel frattempo rosolare nel burro i pinoli, poi il panino raffermo sminuzzato, sbriciolare gli amaretti che ci serviranno per il ripieno. Quando è ben lievitato si prepara per la seconda lievitazione. Scaldare il latte e metterci dentro il lievito sciolto nel latte e un po' alla volta il burro sciolto e le uova precedentemente sbattute. L'impasto deve essere morbido, se necessario aggiungere un po' di farina. La pasta deve essere lavorata per un quarto d'ora. Si copre con un panno e si aspetta che lieviti nuovamente (minimo un'ora) Mettere in una terrina tutti i componenti del ripieno. Quando è ben lievitato spianare col mattarello una sfoglia di 1 cm e mezzo, mettere sopra il ripieno con qualche fiocchetto di burro. Fare un rotolo, pressare livemente per chiuderlo ed arrotolarlo a chiocciola. Prendere una teglia imburrata,spennellare la gubana con la chiara d'uovo sbattuta e mettere nel forno preriscaldato. Cuocere a per circa un'ora e un quarto a 170°.

19 ott 2021

LA BROVADA

 

Minestra di brovada


La brovada (rape inacidite) è un tipico prodotto del Friuli  che si mangia in autunno/ inverno.Si può acquistare in sacchetti appositi (ottima) o in scatola.Quella in scatola della Zuccato è buona.

Ricetta della minestra di brovada e fagioli come la faceva la mia nonna Rosa

Ingredienti
  • 300 g di fagioli borlotti dell'Alta val Torre preferibilmente "Fiorina" di Bardo/Lusevera
  • 2 carote e una costa di sedano
  • una bella cipolla dorata tritata
  • un battuto di aglio e lardo fresco
  • olio extra vergine di oliva (nonna Rosa usava le morchie del burro fuso)
  • sale e pepe 
  • 300 g di brovada
  • qualche cucchiaiata di farina di polenta
Preparazione
  • mettere in ammollo i fagioli per una notte
  • fare il soffritto con l'olio, il battuto di lardo,sedano,carota tagliate a rotelline e fagioli.
  • nella casseruola mettere acqua bollente ,far bollire a fuoco basso i fagioli per 2 ore (devono essere ben cotti)
  • con un mestolo togliere un po' di fagioli e metterli in parte,frullate quelli rimasti con il liquido o passateli allo scolino
  • unire il passato ai fagioli messi a parte
  • dare un bollo in acqua e sale per alcuni minuti alla brovada
  • scolare la brovada , aggiungerla al minestrone e cuocere per 15 minuti
  • in un pentolino tostare per qualche minuto la farina di polenta,aggiungerla alla minestra e cuocere per 10 minuti
  • Aggiungere il sale se è insipida
  • servire molto calda

    La brovada (brovade) è un piatto tipico della cucina friulana, usato per accompagnare carni arrosto o bollite, abbinabile con il vino. Dal 2011 è anche riconosciuto marchio DOP.
    Si ottiene tagliando in piccole fettine (circa come i crauti)  delle rape a colletto viola.
    immagini dal web

29 set 2021

Šelinka, una tradizionale e antica minestra … afrodisiaca di Roberto Zottar

 


Diffuso in tutto il Mediterraneo, da secoli il sedano è utilizzato sia come pianta medicinale sia in cucina e le varietà più impiegate sono il “sedano da costa”, l’Apium graveolens dulce, di cui si utilizzano i piccioli fogliari lunghi e carnosi, e il “sedano rapa” o sedano di Verona o Apium graveolens rapaceum, di cui si consuma la radice rotonda a polpa bianca. Un tempo si riteneva che il sedano avesse ‘mille’ proprietà ed era apprezzato per il suo intenso aroma che ne ha determinato anche la denominazione scientifica di graveolens, “molto odoroso”. Un antico proverbio recita “Se il contadino sapesse il valore del sedano, allora ne riempirebbe tutto il giardino”. La radice e il succo del sedano, per le proprietà digestive, stimolanti e antireumatiche, figuravano tra i rimedi dell’antica farmacopea. Ippocrate affermava: “Per i nervi sconvolti, il sedano sia il vostro alimento e rimedio”. Achille nell’Odissea lo usa per far guarire il suo cavallo gravemente malato. Selinunte, antica città greca in Sicilia, deve il suo nome di Selinus al sedano selvatico presente nella sua piana e poi anche sull’immagine delle sue monete. Nel Medioevo la badessa e Santa Ildegarda di Bingen lo considerava una panacea contro ogni male, afrodisiaco per eccitare i sensi e allontanare la malinconia. Le sue qualità afrodisiache erano ricordate anche da Michele Savonarola che metteva in guardia le donne caste dal mangiarlo. Nel ‘700 in Francia divenne di gran moda come stimolante erotico, crudo o cotto in un potage cremoso ideato da Madame de Pompadur contro la sua frigidità e per sensibilizzare i sensi. All’inizio dell’Ottocento il famoso gastronomo Grimod de la Reynière scriveva: “Pur perdendo, quando è cotto, una parte delle sue qualità, non si può tuttavia nascondere che il sedano sia una pianta ricca di aromi: corroborante, stimolante, eccitante e di conseguenza fortemente afrodisiaca”. Sarà forse per questo che i conigli ne sono ghiotti?

Per la ricetta che vi oggi propongo quindi è una tradizionale minestra a base di sedano, la sope di sèlino o Šelinka, da ‘šelin’ – ‘sedano’ in Sloveno. Questo minestrone è presente, con ricette anche molto diverse tra loro, nelle Valli del Vipacco, del Natisone, sul Carso e sul Collio. Per realizzarla, secondo una nota Trattoria di San Michele del Carso, ammollate 250 g di fagioli secchi e sbollentate un osso di prosciutto crudo a pezzi. In un pentolone mettete 2 kg di patate, sbucciate e a tocchetti, ½ kg di sedano in foglie, i fagioli e l’osso, una crosta di formaggio, sale e peperoncino. Coprite d’acqua e fate cuocere per almeno 6 ore.
Buon Appetito!



24 set 2021

DOLCI TIPICI DELLA COMUNITA' SLOVENA PROV.UDINE

 


>> LANDAR (PODBUNIESAC)

>> v saboto, 25. šetemberja, ob 17.
bojo par gostilni Gastaldia d’Antro predstavili bukva v katerih so zbrani recepti tipičnih slaščic slovenske skupnosti Videnske provinče, ki jih je papravla zveza Slovenci po svetu. Guorili bojo Graziella Bianco Coren, Valeria Domenis in Enzo Driussi.

>> ANTRO (PULFERO)
>> sabato, 25 settembre, alle 17
si terrà alla Gastaldia d’Antro la presentazione del libro in cui sono state raccolte le ricette di dolci tipici della comunità slovena della provincia di Udine curato dall’unione Slovenci po svetu. Interverranno Graziella Bianco Coren, Valeria Domenis e Enzo Driussi.

26 lug 2021

Accostamento di formaggi e marmellate: la marmellata di cipolle e i peperoni caramellati


 L’inopinato accostamento di formaggi e marmellate: la marmellata di cipolle e i peperoni caramellati di Roberto ZottarIl professor Testolin che qui ci parla di frutticultura mi ha chiamato in causa per la sua marmellata di arance amare, ma su questo punto propongo di aspettare gennaio quando troveremo uno ‘spacciatore’ di arance amare per aprire la sfida tra le nostre ricette! Invece a proposito di marmellate d’arancia ricordo che un abbinamento classico, dato il loro sapore piuttosto acre, è con i formaggi. Il formaggio e la marmellata, nonostante si possa a prima vista pensare che abbiano poco a che fare l’uno con l’altro, sono in realtà due alimenti che, presi singolarmente hanno un gusto a sé, ma abbinati in tavola fanno esplodere i sapori in un modo tutto inopinato. Il motivo è prettamente chimico: i formaggi sono cibi praticamente privi di zuccheri che trovano nelle marmellate e nelle confetture il loro alimento complementare creando equilibrio nel gusto al palato. Per l’abbinamento dovremmo poi considerare il tipo di latte usato, vaccino, caprino, di pecora e anche analizzare sia la stagionatura, sia la consistenza della pasta: fresca, morbida, stagionata, semidura… Tendenzialmente più il formaggio è molle e dolce e più si andrà a sposare con gusti di confetture tendenti all’acidulo. Di contro più il formaggio ha un gusto deciso, forte, stagionato e piccante più la controparte da abbinare dovrà tendere al dolce. Approfitto quindi oggi per parlarvi di due confetture particolari che realizzo a casa.Per una confettura di cipolle, sì sì proprio cipolle che vi faranno piangere nel tagliarle, ma poi gioire all’assaggio, affettate un kilo di cipolle, rosse o anche bianche, e mescolatele con 600 g di zucchero semolato, 2 cucchiaini di sale, 2 foglie di alloro, un paio di cucchiai di aceto, qualche granello di pepe, qualche bacca di ginepro e lasciate macerare per 3 ore. Cuocete quindi a fuoco lentissimo fino a quando il composto avrà la consistenza di una marmellata. Invasate a caldo, togliendo prima foglie e spezie. Un’altra confettura da abbinare a formaggi sono i peperoni caramellati. Prendete un kilo di peperoni rossi e gialli, lavateli, togliete semi e filamenti e tagliateli a striscioline. Metteteli in una casseruola con 600 g di buon miele, quello di acacia va benissimo, e il succo di due limoni. Fate cuocere a calore moderato per un’ora e tre quarti e invasate subito a caldo in vasetti di vetro. Questi peperoni caramellati daranno il meglio sé abbinati a del formaggio pecorino, sia fresco che stagionato piccante. D’estate queste confetture accompagnano formaggi, ma d’inverno, si accompagneranno anche molto bene ad un piatto di bollito misto con una grattata di cren fresco.Buon Appetito!

6 lug 2021

CUCINA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA: TRA INNOVAZIONE E TRADIZIONE

 

Al via la seconda edizione de La Nuova Cucina, progetto promosso dal consorzio FVG Via dei Sapori


Dieci serate – dal 29 giugno al 29 luglio – in altrettanti ristoranti, quattro chef per ogni cena e un menù di sei portate con cinque vini in abbinamento in aggiunta ai distillati che accompagneranno i dolci: questi i numeri del II capitolo della Nuova Cucina, idea nata dal consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori. Scoprite tutti i dettagli ed il calendario nell’articolo e se avete qualche curiosità o domanda, potete farla nei commenti in fondo.

Le serate si terranno il martedì e il giovedì e i menù completamente inediti saranno pensati da due chef del consorzio e due dei locali amici. La cucina sarà sì contemporanea ma rileggerà un piatto o un prodotto della tradizione del Friuli Venezia Giulia; le ricette proposte saranno più equilibrate rispetto all’edizione dell’anno scorso. La prima portata consisterà in un benvenuto con “pan e formadi” ovvero pane e formaggio con protagonista il Montasio. Seguiranno quattro portate e il dolce finale. I ristoranti La Subida e il Vitello d’Oro faranno i dolci autonomamente mentre gli altri chef si avvarranno degli artigiani del gusto, ovvero delle pasticcerie Cocambo di Aquileia e Maritani di Monfalcone. Alla fine ci sarà anche un omaggio: una gubanina o dei cioccolatini a suggellare la serata. In abbinamento i vini dei 21 vignaioli partners, i distillati di Nonino e il caffé di Oro Caffé.

Come prenotare, costo e scopo dell’iniziativa

Per prenotare la vostra serata speciale, dovete chiamare direttamente il ristorante che avete scelto. I menù – che non si possono modificare – e ulteriori informazioni le potete trovare consultando il sito www.fvg-lanuovacucina.it o telefonando allo 0432 530052. Il costo per una cena è fisso ed è di 80 euro. Lo spirito della Nuova Cucina è continuare a stimolare gli chef e dar loro un aiuto psicologico in un periodo così prolungato di fermo attività. Il consorzio Friuli Venezia Giulia Via dei Sapori vuole sostenere ed appoggiare giovani talenti e vuole far partecipare anche i “nuovi amici” per far loro sperimentare e provare nuove ricette. I prodotti usati durante queste cene saranno quasi tutti regionali proprio perché lo scopo è far assaggiare e conoscere i produttori d’eccellenza del territorio. Un’anticipazione: il III capitolo sarà dedicato alla sostenibilità sia per quanto riguarda la filiera che la regione.

IL CALENDARIO

6 luglio – La Taverna (Colloredo di Montalbano)

assieme agli chef di: La Torre, Antica Ghiacceretta, Osteria Dvor
8 luglio – Al Grop (Tavagnacco)
assieme agli chef di: Tavernetta All’Androna, Caffetteria Torinese, Alla Casasola
13 luglio – Vitello d’Oro (Udine)
assieme agli chef di: Mondschein, Enoteca di Buttrio, Hostaria la Tavernetta

15 luglio – Ai Tre Merli (Trieste)
assieme agli chef di: Al Gallo, La Buteghe di Pierute, San Michele
20 luglio – Al Paradiso (Pocenia)
assieme agli chef di: Ristorante Ilija, La Pigna, La Luna
22 luglio – Costantini (Collalto di Tarcento)
assieme agli chef di: Al Ponte, 1883 Restaurant&Rooms, Il Piron dal Re
27 luglio – La Subida (Cormons)
assieme agli chef di: La Torre, Barcaneta, Da Alvise
29 luglio – Ristorante Ilija (Tarvisio)
assieme agli chef di: Da Toni, Sal de Mar, Valeria 1904

Affrettatevi a prenotare perché qualche serata ha già registrato il tutto esaurito! Non mi resta che augurarvi buon appetito con questa Nuova Cucina del Friuli Venezia Giulia.https://www.torzeando.com/friuli-venezia-giulia/cucina-del-friuli-venezia-giulia/

Gnocchi alla Nuova Cucina del Friuli

4 mag 2021

Sope o šnite

 

Ricette delle Valli del Natisone



Frittelle di pane imbevuto con latte e tuorlo

4 Fette di pane vecchio
latte 100 ml
2 uova
Sale un pizzico
Un cucchiaino di grappa

Procedimento:
Preparare le uova sbattute con il latte, sale e grappa; bagnare il pane immergendolo nel liquido e poi friggerle direttamente nell’olio di arachidi bollente fino a doratura.Ricetta di Stulin Liliana di Tribil Superiore di Stregna.

da https://www.facebook.com/notes/antica-valle-del-natisone-quotidiano-storico-1899-1999/ricette-dalle-valli-del-natisone/584074182094576/

25 apr 2021

La Torta Glacé dell’antica Pasticceria Paulin di Gorizia




 La Torta Glacé dell’antica Pasticceria Paulin di Gorizia

di Roberto Zottar
Oggi vi racconto di una splendida torta dell’antica pasticceria Paulin di Gorizia, purtroppo chiusa molti anni fa. Il fondatore Francesco Paulin aprì la sua offelleria nel 1884 e le sue creazioni dolci divennero presto così famose che ottenne il titolo di «Fornitore Ufficiale della Real Casa d’Austria» e impresse sugli stampi questo prestigioso riconoscimento. Tra i suoi dolci era molto rinomata la torta glacé, realizzata con un fondo di pasta frolla, una bavarese alla crema e ricoperta da pasta sfoglia.
Il termine ‘bavarese’ è curiosamente caratterizzato da una alternanza di genere. Il bavarois, cioè ‘il’ bavarese, è un dessert francese, maschile perché il termine sottinteso è ‘budino’ o ‘formaggio’, dolce conosciuto poi in Italia anche come ‘la’ crema bavarese. Oggi ci siamo dimenticati del termine ‘crema’ e da maschile il dolce lo chiamiamo al femminile, ‘la’ bavarese. ‘La’ bavarese in origine però era una bevanda tedesca, composta da tè, latte e liquore, inventata agli inizi del ‘700 dai cuochi francesi dei principi Wittelsbach, casa regnante di Baviera. Nell’Ottocento in Francia, nacque il bavarois, ispirato appunto alla bevanda. La versione originale del dolce prevedeva una crema inglese addensata con gelatina, panna montata e vaniglia con l'eventuale aggiunta di uno strato di pan di Spagna inzuppato con uno sciroppo alcolico. Alla crema si potevano aggiungere cioccolato, caffè o frutta fresca o candita o confettura. La ricetta è codificata nell’Ottocento dal famoso chef francese Marie-Antoine Carême sotto il nome di fromage bavarois, formaggio bavarese, per il suo aspetto simile ad un formaggio fresco.
La ricetta della torta glacè di Paulin è ancora gelosamente custodita dagli eredi, ma ho ritrovato una sua versione nel ricettario manoscritto di Margherita Culot, classe 1903, che lavorò nella pasticceria dal 1919: è in pratica una baverese di crema inglese con gelatina e panna montata
Per due torte da 26 cm, sbattete 6 tuorli con 3 etti di zucchero, aromatizzate con due cucchiai di marsala secco, stemperate con 1 litro di latte caldo e fate addensare la crema sul fuoco senza superare 83° gradi. Aggiungete alla crema 5 fogli di colla di pesce reidratata in acqua. Quando il composto raggiunge i 30° aggiungete delicatamente ½ litro di panna montata e versate in una tortiera sul cui fondo avete messo un disco di pasta frolla cotta. Fate consolidare in frigorifero per almeno 6 ore. Nella pasticceria Paulin la torta era rifinita sopra con un disco di pasta sfoglia e zucchero a velo.
Buon appetito!
da vita nei campi

21 apr 2021

Più latte per la madre e il neonato

 


La pietanza tradizionale che veniva preparata alla puerpera subito dopo il parto affinchè avesse tanto latte era detta, in resianoLotawanski kröp. Nel racconto Götra vëja pubblicato, in resiano, nel catalogo della mostra è riportata anche la ricetta per la sua preparazione che qui riproponiamo in italiano: “Fare bollire del latte con del burro. Aggiungere del pane raffermo precedentemente grattugiato. Mescolare continuamente il composto, continuando a farlo bollire. In parte sbattere un tuorlo di uovo aggiungendovi della polvere di noce moscata. Aggiungere l’uovo al composto mescolando bene il tutto e servire senza cucinarlo

.https://www.dom.it/vec-mleka-za-mater-in-dojencka_piu-latte-per-la-madre-e-il-neonato/?fbclid=IwAR13klNehX2JWs9gUTsMlKy8SytB4n5aH1GCO-wp7HkEP47ujoSgprik7MU

8 apr 2021

Il pane ripieno di zia Gigia per un delizioso pic-nic di Roberto Zottar

 Il pane ripieno di zia Gigia per un delizioso pic-nic

di Roberto Zottar
Picnic è uno vocabolo che ci è giunto dall’inglese, ma la parola d’origine era francese, “pique-nique”, dove il verbo piquer significa prendere, stuzzicare e nique indica ‘una piccola cosa’. Il termine si diffuse alla fine del 1600 e indicava un pasto frugale, fuori dalle formalità, durante le pause di caccia dei nobili a base di alcuni cibi semplici “sottratti” dalla cucina. Diventò presto una sorta di “trasgressione” molto diffusa tra i nobili, un costume sociale apprezzato, tanto che la stessa regina Maria Antonietta divenne famosa per le sue “scampagnate” nei prati di Versailles.
Nel secolo successivo, la pratica del picnic, non più solo riservata alla nobiltà, assunse una connotazione più “romantica”, associata al momento della consumazione di un pasto rilassato su un prato, magari in riva a un fiume, o su una spiaggia. Ne è un esempio, il famoso dipinto di Manet “Le déjeuner sur l’herbe”.
La ricetta di oggi è di zia Gigia, zia di mio papà, per un pane ripieno da affettare e mangiare senza posate. Prendete un filone di pane al latte e svuotatelo completamente della mollica. Per facilitare l’operazione il filone può essere inciso dal lato lungo. Frullate poi 150 g di tonno con 60 g di acciughe tutti sott’olio, 4 tuorli sodi e la metà della mollica estratta. Amalgamate il tutto con delicatezza a 150 g di burro montato spumoso con le fruste, 4 albumi sodi tritati, 200 g di prosciutto cotto tritato a piccolissimi dadini, aggiungete un cucchiaio di capperi e alcuni cetriolini sottaceto tutti tritati. Profumate con due cucchiai di cognac e una grattugiata di scorza di limone per dare freschezza, pepate e correggete di sale. Farcite bene il filone, ricomponetelo, richiudetelo con pellicola e lasciatelo consolidare in frigorifero. In alternativa si possono usare fette di pane da tramezzino, sia farcite una sull’altra e tagliate a quadrotti sia farcite con una sac-a-poche e poi arrotolate. Si serve a fette ed è adatto anche ad un antipasto in piedi a casa. È ottimo e si può surgelare finito!
Buon appetito
da Vita nei campi fb

ANTICO PAN DI SORC

 


Dalla zona arancione della zucca, passiamo oggi in zona gialla della farina di polenta!La polenta in regione è condita in ogni modo e fantasia, fino ad arrivare ai vari toç, di burro cotto o strutto o lardo elaborati con farina di mais e latte o vegetali: emblema di povertà, ma invenzione geniale il condire la polenta con un sugo di polenta! Pur essendo un alimento americano foresto, il mais, in ogni sua forma, è diventato nel tempo parte del tutto integrante dell’essere carnico. Con poco zucchero e chicchi di mais, ma anche con quelli di grano saraceno, si facevano, lis sioris o sclopets, che oggi, forse, conosciamo solo con il nome americano di ‘popcorn’! Gianni Cosetti ricordava che la nonna di Quìnis gli riempiva le tasche di ‘pestadice’ cioè delle giuggiolette fatte con chicchi di granoturco saltati in padella e poi caldi pestati in un mortaio con lo zucchero. Un tempo la farina di mais veniva usata anche per cuocere il burro e farlo conservare più a lungo. Per un kg di burro si usavano due etti di farina di polenta: il burro era cotto quando la farina diventava color oro antico. Dopo la cottura il tutto veniva fatto raffreddare: la parte liquida, l’“ont” che oggi chiameremmo burro chiarificato, veniva messo nell’apposito contenitore, la piere da l’ont, mentre la farina, abbrustolita e un po’ così arricchita, in un sistema assolutamente autoctono di elaborazione dei componenti alimentari dove nulla veniva sprecato, diventava un importante ingrediente per una torta, la “pete di sorc”. L’arcaica peta, nome che probabilmente deriva da ‘petà’, cioè ‘schiacciare’, in origine era una schiacciata di farina di sola segala, poi di farine di granoturco e grano miscelate, mai lievitata, magari anche con fettine di lops, cioè mele selvatiche, fichi secchi o qualche cicciola di maiale e uvette. Veniva avvolta in foglie di verza e cotta sotto la cenere. Questa versione indubbiamente poteva risultare un po’ pesante tanto che Piero Adami ricordava che “bisognave vè stomi fuart per digjerile” (bisognava avere uno stomaco forte per digerirla).Gianni Cosetti ci ha lasciato la ricetta di una “pete di sorc” cotta al forno. Per realizzarla dobbiamo partire da 200 g di farina di mais cotta nel burro e raffreddata. A questa si uniscono poi 150 g di farina di mais cruda e 150 di farina 00. Mescolando, unite un uovo, 150 g di zucchero, un pizzico di sale, un bicchiere di latte tiepido e la scorza grattugiata di un limone. Amalgamate fino ad ottenere un composto morbido e omogeno. Versate in una tortiera imburrata da 26 cm, cospargete con 50 g di pangrattato mescolato con un cucchiaio di zucchero e cuocete per 40’ in forno a 150°. Si serve fredda.

Ringrazio Michela Urbano per le foto

Buon appetito!

5 apr 2021

LA COLOMBA PASQUALE


 Con colomba pasquale si indica comunemente il dolce inventato a Milano negli anni trenta del '900 dalla Motta[2][3] e poi diventata quella commercialmente più diffusa in tutta Italia.Fu Dino Villani, direttore pubblicità della ditta milanese Motta, già celebre per i suoi panettoni natalizi, che, negli anni trenta del '900, per sfruttare gli stessi macchinari e la stessa pasta, ideò un dolce simile al panettone, ma destinato alle solennità della Pasqua. La ricetta poi venne ripresa da Angelo Vergani che nel 1944 fondò la Vergani srl, azienda di Milano che ancora oggi produce colombe.

Da allora la colomba pasquale si diffuse sulle tavole di tutti gli italiani, e anche ben oltre i confini dell'Italia. L'impasto originale, a base di farinaburrouovazucchero e buccia d'arancia candita, con una ricca glassatura alle mandorle, ha successivamente assunto varie forme e varianti.

Leggende sul dolce in Lombardia

Vi sono leggende che vorrebbero far risalire questo dolce pasquale in epoca longobarda, addirittura al re longobardo Alboino che durante l'assedio di Pavia (metà VI secolo) si vide offrire, in segno di pace, un pan dolce a forma di colomba. Un'altra leggenda vuole la colomba pasquale legata alla regina longobarda Teodolinda ed il santo abate irlandese San Colombano[4]. La leggenda vuole che San Colombano al suo arrivo in città, attorno al 612 venisse ricevuto dai sovrani longobardi e invitato con i suoi monaci ad un sontuoso pranzo. Gli furono servite numerose vivande con molta selvaggina rosolata, ma Colombano ed i suoi, benché non fosse di venerdì, rifiutarono quelle carni troppo ricche servite in un periodo di penitenza quale quello quaresimale. La regina Teodolinda si offese non capendo, ma l'abate superò con diplomazia l'incresciosa situazione affermando che essi avrebbero consumato le carni solo dopo averle benedette. Colombano alzò la mano destra in segno di croce e le pietanze si trasformarono in candide colombe di pane, bianche come le loro tuniche monastiche. Il prodigio colpì molto la regina che comprese la santità dell'abate e decise di donare il territorio di Bobbio dove nacque l'Abbazia di San Colombano. La colomba bianca è anche il simbolo iconografico del Santo ed è sempre raffigurata sulla sua spalla.

da wikipedia

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Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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Proverbio friulano

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