Il riso in Friuli Venezia Giulia
di Adriano Del Fabro
Ci fu un periodo in cui, veramente, il riso abbondava sulla bocca dei friulani. Alla fine degli anni Venti, infatti, contro un consumo nazionale medio pro capite di 24 chili, i friulani ne consumavano ben 50. Ma andiamo per ordine.
Giuseppina Perusini Antonini segnala un inventario scritto del 1446 in cui, il notaio Janis di Cividale, elenca pure un sacchetto sigillato di riso, sicuramente di provenienza non locale. Potrebbe essere questa, comunque, la prima notizia documentata del consumo di riso in Friuli.
Nel 1500, il senese Pietro Mattioli che fu medico anche a Gorizia, parla del riso sia come alimento che come medicamento, avendo azione astringente.
Dati d’archivio precisi, riferisce Valerio Rossitti, li abbiamo dopo il 1500 nella zona di Fraforeano. I Badoer, nel 1600-1700, compirono le prime sistemazioni irrigue nella zona. Fin dal Settecento, anche altre zone del Friuli furono interessate da tale coltivazione: nel monfalconese, a Cassegliano, a Titiano, a Paradiso e ad Aquileia. Qui si ha notizia di coltivazioni iniziate certamente nel Settecento, durate per tutto l’Ottocento e abbandonate nei primi decenni del ‘Novecento. A probabile testimonianza di tutto ciò, ancora nei pressi di San Lorenzo di Fiumicello vi è il toponimo “risera”.
Sempre a Fraforeano, nel 1752, il fittavolo Antonio Gaspari, diede grande sviluppo alla coltura del riso, introducendo la prima risaia a vicenda. Successivamente, nel 1876, un gruppo di industriali di Lodi, introdusse la sistemazione delle marcite lombarde. Ma è il conte Vittorio de Asarta, a partire dal 1883, a dare alla tenuta il massimo splendore con risaie che si estendono su 600 ettari e occupano oltre 500 persone (le mondine, in particolare, giungono qui pure da fuori regione).
Dalla parte del Friuli imperiale, si segnala come il Governo del Litorale, nel 1836, dettasse regole stringenti in merito alla coltivazione del riso. Il 22 febbraio 1844, venne pubblicata sull’Osservatore Triestino, una memoria intitolata “Esito delle risaje nel territorio di Monfalcone” con cui l’abate-botanico Leonardo Brumati riferiva su un esperimento mal riuscito di coltivazione del riso. Sempre nello stesso anno, però, il Brumati scrivendo di riso (mutico) afferma che: “se coltivato in buon terreno e brillato a dovere non cede in bontà all’altro (riso irrigabile, ndr)”. Va ricordato inoltre che, in alternativa alla coltivazione tradizionale, nel 1829 furono effettuate nella Contea Principesca di Gorizia e Gradisca, a cura di Carlo Cattinelli e del conte Giuseppe Strassoldo, sperimentazioni con il riso a secco. In quei territori, tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento, il riso fu coltivato a: Duino, Staranzano, San Canziano, Isola Morosini, Turriaco, Fogliano, Fiumicello, Terzo (210 ettari), Aquileia, Ruda, Torviscosa (510 ettari), Bagnaria Arsa (380 ettari), Pocenia, Codroipo e Latisana.
Ciao Olga. Buon inizio di settimana. Molto interessante quello che dici sul consumo di riso nella regione, si commenta sempre articoli di interesse.
RispondiEliminaUn abbraccio.