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23 feb 2021

VALCANALE – KANALSKA DOLINA «Fede e cultura sono profondamente legate e si amplificano a vicenda»

 Santuario di Lussari


ll parroco della Collaborazione pastorale di Tarvisio, don Alan Iacoponi, ha scritto in risposta alle domande del quindicinale «Dom» sul rapporto tra fede e lingue locali È passato circa un anno da quando don Alan William Gueijman Iacoponi è giunto in Valcanale come nuovo responsabile dell’intera Collaborazione pastorale di Tarvisio. Il nuovo parroco, che ha 43 anni, è nato a Cochabamba in Bolivia ed ha fatto il proprio ingresso nella chiesa del capoluogo della Valcanale a novembre 2019. Negli anni ha potuto conoscere diverse realtà. «Anche se i miei avi sono di origine italiana, sono nato in Bolivia», spiega Iacoponi. «Nei miei diciassette anni di sacerdozio ho approfondito per un periodo gli studi ed ho svolto diversi impegni pastorali anche in terra di missione. Francamente, però, non ho mai amato elencarli perché, come dice il Vangelo “Siamo servi inutili. Abbiamo fatto quanto dovevamo fare” Lc 17,10». È giunto a Tarvisio da parroco a novembre 2019. Che bilancio traccia di questo anno in Valcanale? «Già, è passato un anno da quando sono arrivato nelle parrocchie della Valcanale. Tracciare ora un bilancio sarebbe azzardato e prematuro: il primo anno di presenza in una comunità nuova deve essere vissuto soprattutto con l’umiltà derivante dal saper riconoscere che esiste un tessuto culturale che è importante e che deve essere rispettato e valorizzato, non raso al suolo ed eliminato. Quindi, prima di tutto, occorre osservare per imparare e poi, con il tempo, si può tentare di offrire il proprio contributo attraverso i propri doni e talenti: questo è quello che tento di fare in mezzo alle grosse difficoltà storiche che stiamo affrontando, anche in riferimento alla pandemia di Covid-19». Che rapporto ha instaurato con le comunità? «Una volta il parroco di Tarvisio pensava solo ad accompagnare la comunità di Tarvisio e ogni parroco aveva soltanto una parrocchia da seguire. Attualmente tutto è diventato più complesso, perché nel mio caso devo seguire la vita di sei parrocchie (Cave del Predil con Fusine, Tarvisio con Coccau, Ugovizza con Valbruna, Camporosso con il Santuario del Lussari, Malborghetto con Bagni di Lusnizza) e da Cave fino a Bagni ci sono all’incirca trenta chilometri di distanza, dove in più esistono lingue, culture e tradizioni molto diverse che rendono la Valcanale un posto straordinariamente unico nella sua diversità. Con questa premessa posso dire che in quest’anno ho cercato, Covid permettendo, di conoscere al meglio le persone che formano parte della vita delle diverse parrocchie e, appoggiandomi a loro, ho cercato di essere il più vicino possibile per rispondere nel migliore dei modi a tutte le necessità che continuamente si presentano. Sembra un’area semplice, ma non lo è; nell’immaginario collettivo si pensa che il sacerdote venga, celebri la sua messa e poi non faccia più nulla… Invito chi la pensa così a fare l’esperienza di “un giorno con il mio parroco” e garantisco che cambierebbe idea! Nella mole di responsabilità che ho come parroco, mi considero fortunato perché dal punto di vista sacerdotale sono coadiuvato dai vicari parrocchiali: don Gabriel Cimpoesu, che proviene dalla Romania e abita a Camporosso, padre Gabriel Gaspar Msuya, che proviene dalla Tanzania e abita a Valbruna e padre Peter Lah, che proviene dalla Slovenia e si occupa del Santuario del Lussari nei periodi in cui non è impegnato dall’insegnamento all’Università Gregoriana di Roma. Guai se non avessi loro: sicuramente avrei già perso totalmente il lume della ragione!» Come e forse più che in altre zone della diocesi di Udine, in Valcanale la fede è radicata anche nelle lingue e culture locali, nello sloveno, ma anche nel tedesco e nel friulano, presenti accanto all’italiano. Come si approccia alla tematica? «Il tedesco ho avuto occasione di sentirlo in altre circostanze della mia vita, invece lo sloveno l’ho sentito per la prima volta un anno fa quando sono arrivato a Tarvisio. Serve tempo per prendere dimestichezza con qualunque lingua e sicuramente con il passare del tempo svilupperò l’orecchio necessario per non sentirmi impacciato – come attualmente mi sento – quando devo leggere qualcosa in sloveno o tedesco. Per fortuna, durante le Messe o altre celebrazioni, ho alcuni “angeli custodi laici” che mi aiutano con le letture e le preghiere in sloveno, in modo che possiamo svolgere una liturgia bilingue, venendo contemporaneamente incontro anche alle persone che, come me, non hanno radici slovene e hanno piacere e diritto di partecipare a una celebrazione comprensibile nella loro parrocchia di appartenenza». E in riferimento alle Costituzioni sinodali? «Visto il calo significativo delle vocazioni sacerdotali in Europa, ogni giorno mi convinco di più che per mantenere viva la cultura e la tradizione di un posto oggigiorno sia necessario il contributo a 360 gradi di tutta la comunità piuttosto chela fatica di un unico sacerdote. Mi spiego meglio: il sacerdote ha il dovere di stare a fianco della sua comunità e contribuire con tutte le sue energie affinché quest’ultima possa vivere le sue tradizioni e la sua cultura, ma non basta una Messa celebrata totalmente in tedesco, sloveno o friulano perché questo avvenga; sarebbe importante rendere vive queste lingue anche in altri contesti di vita, come possono essere le scuole o la vita in famiglia e attraverso i libri, la musica, la poesia, ecc. Il fatto che io possa ancora fare fatica a pronunciare alcune lingue non deve farvi dubitare che sarò il primo a difenderle, poiché conoscerle è un patrimonio dal valore inestimabile e insegnarle ai ragazzi è tra i migliori investimenti da fare per il futuro loro e della comunità intera». Aveva già avuto modo di approcciarsi al rapporto tra fede e culture locali nelle comunità in cui aveva prestato servizio in precedenza? «Fede e cultura sono profondamente legate, non si possono scindere, più sono unite e più si amplificano a vicenda. Un sacerdote o religioso che non riconosce questo legame ha fallito in partenza, ma è altrettanto vero che anche un missionario o un sacerdote porta con sé la sua cultura e il modo in cui sa vivere la sua fede, per questo è importante che le culture imparino a dialogare tra di loro senza pregiudizi e senza chiusure, sapendo ascoltarsi e confrontarsi per crescere reciprocamente». Fino a pochi anni fa in Valcanale prestavano servizio due sacerdoti bilingui, don Mario Gariup e mons. Dionisio Mateucig. Negli ultimi anni è stata, più volte e in più sedi, espressa dal territorio la richiesta di almeno un sacerdote residente che curi il servizio religioso anche nelle lingue locali, soprattutto in sloveno. Quali possibilità vede a riguardo? «Riguardo le possibilità di avere un ulteriore sacerdote bilingue in zona, questa non è una decisione che compete a me, ma ritengo non si debba perdere di vista il tempo storico in cui stiamo vivendo, che ci impone non certo di abbandonare le tradizioni di un luogo, ma di aggiornarle perché risultino in linea con i tempi in cui ci troviamo. Infine, non va trascurata l’attuale presenza in zona di un sacerdote di lingua slovena, padre Peter, che siamo già molto fortunati ad avere, perché lui è sempre disponibile – nella misura delle sue possibilità – a servire la comunità non soltanto presso il santuario del Monte Lussari, ma anche nelle altre parrocchie della Valcanale». Luciano Lister

 (Dom, 31. 1. 2021)  

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Generalmente rispondo ai commenti,ma seguendo parecchi blog non sempre ci riesco.
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