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Architettura delle Valli del Natisone/Nediške doline

La chiesa di Topolò è di recente costruzione, iniziata nel 1841 e consacrata, nel 1847, a S. Michele Arcangelo patrono del paese. E’ costituita da un’aula rettangolare a soffitto piano, con due altari secondari a fianco dell’arco trionfale a tutto sesto che immette nel presbiterio. Il presbiterio quadrato è concluso con quattro archi a tutto sesto che delimitano il soffitto voltato. L’altare maggiore, posto al centro dell’arco di fondo, è isolato dal muro esterno mediante un deambulatorio. L’interno e l’altare maggiore sono in stile tardo barocco, con lesene, finte colonne e cornici chiaroscurate dalla luce di quattro finestre laterali e dalla lunetta della facciata principale. Adiacente alla facciata principale si alza il campanile a pianta quadrata, con basamento, angoli, e segnapiano in pietra lavorata e squadrata, che termina con la cella campanaria con quattro bifore e copertura a padiglione. Poco distante dalla chiesa, nel luogo di conclusione della processione campestre di S. Marco, si trova una piccola cappella con nicchia ora occupata dalla statua di 5. Giuseppe.

La stufa è di solito costituita da un semplice parallelepipedo in muratura intonacata,ma talvolta è decorata con piastrelle di maiolica

Topolò (Grimacco) stufa decorata con maioliche







tipica casa con ballatoio di legno
dal web

Abitazioni alquanto caratteristiche, sempre più rare del resto, sono solo nei villaggi più discosti dalle strade. Dalla facciata principale di ogni casa, sporgono poggiuoli, talvolta doppiamente sovrapposti, spesso lavorati con pretese d'arte, che servono da essiccatoi; vicino alle case in montagna, specialmente nella zona di Drenchia, vi sono le kaste, appositi edifizi, specie di guardarobe, in cui ripongono di ogni cosa; e in quel di Savogna le supe, dove raccolgono foraggi e foglie secche. La casa primitiva ha un solo ambiente, con due piani, è quasi scomparsa: se ne conservano ancora degli esemplari, ma ordinariamente servono da stalle o fienili. Nelle izbe (sale da mangiare) di buona parte della montagna, specie nel distretto di S. Pietro, sono caratteristici forni-stufe (pec) che nella stagione invernale durante la notte vengono convertite in lettiere, distendendovi sopra le coltri. A Montefosca, ad Erbezzo, a Mersino ho notato molti passaggi a galleria sotto le case, e nel primo dei detti villaggi danno assai nell'occhio numerosi pozzi-cisterne, in cui si raccoglie l'acqua piovana che scola dai tetti, resi necessari dalla scarsezza delle acque di sorgente. Finalmente dappertutto richiamano l'attenzione i cortili, intorno ai quali vi sono le abitazioni di parecchie famiglie, di solito aventi lo stesso cognome, assai probabilmente originate da un'unica famiglia primitiva divisasi in più parti. Un tempo il maggior numero dei tetti erano coperti di paglia: oggi lo sono sempre meno, sia a causa d'incendi onde spesso furono bruciati interi villaggi, come Cepletischis, Drenchia superiore, Lombai; sia perchè realmente un notevole progresso edilizio si è fatto strada dovunque. Tali tetti sono ancora abbastanza frequenti in quel di Drenchia dove c'è una relativamente copiosa produzione di frumento; rarissimi nelle parti più elevate di alcuni altri comuni, come: Savogna, Rodda, Platischis. In questo ultimo, nel villaggio di Monteaperta, parecchie case hanno il tetto ancora coperto di lastre di pietra e circa 30 anni fa lo avevano tutte.
testo tratto dalla guida delle Prealpi Giulie di Olinto Marinelli  del 1912
fonte https://www.liberliber.it/mediateca/libri/m/marinelli/guida_delle_prealpi_giulie/pdf/marinelli_guida_delle_prealpi_giulie.pdf

LIBRO DEGLI OSPITI

Oggi ho inserito il libro degli ospiti che trovate a destra della schermata.E' un rettangolo blu :se cliccate si apre un modello per lasciare il vostro messaggio.Potete scrivermi per problemi nella visione della pagina(come successo ieri) ,per un semplice saluto o altro.Statemi bene.
                                                                                                                                            OLga

Antonio Gentilini (1908/1977) pittore-affreschista



https://www.arteitaliana.org/gentilin... Antonio Gentilini, nato a Moimacco (Udine) nel 1908, è mancato nel 1977 a Cividale del Friuli (Udine). Pittore, restauratore, decoratore, affreschista. Nel 1972 è stato insignito dell'Onorificenza di Cavaliere della Repubblica Italiana. Sin dalla tenera età Antonio Gentilini affronta la pittura svelando una spiccata attitudine al disegno, e si cimenta con la sua creatività nella pittura a cavalletto per poi maturare la sua formazione artistica sotto la guida del maestro De Vecchi (esponente dell'Alta Scuola Veneta). Importante è la testimonianza artistica che lascia al mondo dell’arte contemporanea, e le sue opere continuano ancor oggi ad essere esposte in diverse esposizioni guidate dall’attenta osservazione del figlio Sergio, poeta e scrittore per passione, e con grande attitudine per le attività sociali e le relazioni umane. L’operato artistico di Antonio Gentilini lascia un segno profondo all’arte contemporanea in quanto le sue opere presentano caratteristiche di notevole rilievo in campo figurativo, un genere pittorico che negli ultimi lavori è diventato essenziale fino a giungere ad una forma più astratta, interessata non alla forma geometrica ma all’atmosfera che si crea attorno al soggetto protagonista dove il colore continua e rimane essere elemento di primaria importanza. Antonio Gentilini è artista poliedrico e nel suo percorso artistico dimostra una magistrale capacità tecnica anche nella decorazione di dipinti religiosi: diversi cicli di affreschi si trovano in molte chiese friulane. All’età di 22 anni dipinge la sua prima grande opera a carattere religioso: una Risurrezione a soffitto, di ben sette metri per tre e mezzo: inizia così la sua strada nella decorazione di chiese (con affreschi e restauri), dapprima suggerito e poi raccomandato dalla Commissione d'arte sacra della Curia udinese. Antonio Gentilini è registrato da Wikipedia, l'enciclopedia libera on-line oltre ad essere presente in diversi portali d’arte. https://www.arteitaliana.org/gentilin... Il portale dell'Archivio Monografico dell'Arte Italiana è una galleria internazionale, in cui gli artisti catalogati espongono le proprie opere e verificano l'apprezzamento e l'interesse da parte del pubblico di amatori e collezionisti italiani e stranieri. Tutte le opere sono pezzi unici e corredate da certificato di garanzia. E' possibile contattare l'Archivio Monografico per visionare senza impegno le opere degli artisti catalogati.

Affrescò molte chiese della Benečija.
  • Antro/Landar cappella della grotta
  • Ciseriis di Tarcento
  • Castelmonte/Stara gora Santuario
  • Cepletischis
  • Coritiis Oseacco di Resia/Osojane
  • Cividale /Čedat Chiesa di san Domenico, Chiesa di san Martino, restauro pale del Duomo, Istituto Orsoline, pianta topografica della città;
  • Cravero/Kravar, la statua della Madonna;
  • Liessa
  • Purgessimo
  • San Pietro al Natisone/Špeter
  • Tercimonte/Tarčmun



viaggio virtuale a TOPOLO'


     

Di it:user:Sacrabolt - Wikipedia IT, CC0, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=18940527


TOPOLO'-Topolovo è un paesino delle Valli del Natisone/Nediške è la frazione più popolosa del comune di Grimacco/Grmek.
Il paese si trova nell'estrema parte orientale della provincia di Udine, a poca distanza dal confine con la repubblica di Slovenia. 
E' nominato per la prima volta in un documento del 1275 come facente parte dei fondi di Conone e Volrico di Mumigliano.

Topolò in una cartolina degli inizi del Novecento


La frazione è costruita su un ripido pendio a 580 metri s.l.m. ed è situata tra i monti San Martino e Colovrat; nei suoi pressi scorrono i torrenti Za Velin Čelan, Patok e Za Traunim che, nel corso dei millenni, hanno scavato la valle del Codariana. Il paese era collegato con il fondovalle solo con sentieri e mulattiere fino al 1953, quando venne inaugurata l'attuale strada comunale che lo mette in comunicazione con il capoluogo di Clodig e quindi con la provinciale che conduce alla pianura friulana. I vecchi sentieri fanno attualmente parte integrante del Sentiero Italia identificato con il segnavia CAI numero 746 (che procede verso il comune di Drenchia) e del sentiero A.V. Valli del Natisone numero 745.

Il toponimo di Topoluove deriva da "pioppo" (topol in sloveno e tapù in dialetto sloveno locale) ed indica un terreno ricco di alberi di pioppo/pioppeto.

L'abitato di Topolò ha subìto, come gli altri paesi delle Valli del Natisone, un forte processo di spopolamento, iniziato verso la fine dell'Ottocento e proseguito con intensità maggiore dopo la metà del XX secolo, dovuto in parte a motivi comuni a tutte le zone montuose italiane, ed in parte a motivi particolari legati alla durezza di vita conseguente alla vicina cortina di ferro (il confine italo-jugoslavo). 

La popolazione maschile cominciò ad emigrare in massa dapprima verso l'estero ed in particolare verso la Germania, il Belgio, l'Australia e le Americhe e, successivamente, verso le altre Regioni italiane e la pianura friulana che offrivano migliori prospettive di lavoro. Le ragazze si sparsero per l'Europa dove lavorarono come collaboratrici familiari (dikle in dialetto locale). Gli abitanti nel 1891 erano composti da 490 unità, scese a 243 nel 1900, a 296 nel 1908, a 264 nel 1961 e ridotte, infine, a 36 (16 maschi e 20 femmine) nel dicembre del 2007.

  • È oltremodo interessante visitare il paese stesso in quanto caratterizzato dalle costruzioni in pietra tipiche dell'architettura spontanea della Slavia veneta. Passeggiando per le stradine lastricate in acciottolato si possono ammirare le case realizzate con pianta rettangolare e contraddistinte da ballatoi in legno e scale esterne. Il pianoterra consiste generalmente in una cucina (anticamente chiamata "stanza del fumo" in quanto priva di camino) ed in un tinello (izba) riscaldato dal forno (peč). Al primo piano sono realizzate le camere, raggiungibili tramite la scala esterna ed il ballatoio utilizzato, anticamente, anche per far essiccare i legumi ed il mais prodotti dalla famiglia. Molte case sono state recentemente restaurate grazie a finanziamenti dell'Unione europea e costituiscono un modello di "albergo diffuso". Tra gli edifici rurali sono ancora visibili diverse costruzioni, in pietre e legno, chiamate "kozolec", che erano adibite alla custodia degli attrezzi impiegati per la coltivazione dei campi ed all'essiccazione del fieno e dei prodotti agricoli.
    Il paese di Topolò è stato segnalato dal periodico tedesco dedicato al turismo GEO Saison come uno dei dieci borghi più belli d'Italia.
  • Interessante è la chiesa di San Michele realizzata nel 1847 dagli abitanti del paese senza alcun contributo esterno, impiegando materiale lapideo estratto da cave locali. Sulla facciata si può ammirare un mosaico raffigurante San Cristoforo; all'interno sono ubicati tre altari dedicati, il maggiore, a San Michele ed i due laterali rispettivamente a San Giuseppe ed alla Santa Vergine. Sulla parete sinistra, una grande pala in terracotta raffigurante la Natività, opera realizzata nel 2006 dallo scultore Isidoro Dal Col. Affreschi della chiesa eseguiti dal pittore friulano Antonio Gentilini.
  • Di interesse è anche il sentiero che conduce al vicino paese sloveno di Livek (Luico) che per molti anni è stato sbarrato dalla frontiera e che oggi è un percorso d'arte grazie a dodici installazioni espressamente realizzate da artisti di diverse nazionalità.
  • Faticosa, ma attraente, è anche la passeggiata lungo il torrente Codariana, dove scorrono acque purissime e ricche di trote. Lungo il percorso si incontra la forra del "Velik Suopota", contraddistinta da due cascate di notevole bellezza e dalle altissime pareti verticali scavate nella roccia dalla corrente del ruscello. Al termine del canalone si può osservare la cascata, di minori dimensioni, denominata "Mali Suopota". Più a monte, lungo la riva sinistra, sono inoltre visibili i resti, ancora discretamente conservati nelle murature, di un vecchio mulino e della relativa casa padronale. Il complesso, in funzione fino al 1956, ha subito notevoli danni a causa del terremoto che colpì il Friuli nel 1976.
  • archivio Novi Matajur
    MANIFESTAZIONI
  • Le prime tre settimane di luglio tutto il paese è coinvolto nella manifestazione "Stazione di Topolò/Postaja Topolove". La rassegna d'arte è organizzata dall'Associazione Topolò/Topoluove e consiste in recite, incontri, spettacoli, concerti, proiezioni video e cinematografiche e mostre di artisti internazionali.
  • Non è un festival la Stazione/Postaja. Non è un contenitore di spettacoli itineranti. Vengono realizzati sul posto progetti ispirati direttamente dal contatto, dalla conoscenza del luogo, che diventa così il motore e non lo scenario passivo degli accadimenti: la sperimentazione che si innesta sulla tradizione. Gli incontri avvengono nelle piazzette, nei vicoli, nei fienili, nei boschi che assediano il paese, senza palchi, senza quinte, senza separazione tra abitanti, artisti e pubblico tanto da ricavarne un’impressione di quotidianità e di partecipazione corale. E tutto è gratuito. Gli orari sono “verso sera”, “dopo il tramonto”, “nel pomeriggio”, “con il buio”, “fino all’alba”.
  • dal Novi Matajur
  • A luglio-agosto si svolge la camminata transfrontaliera Topolò-Luico/Livek. È organizzata dal Circolo Culturale Rečan e si snoda lungo un vecchio sentiero, adornato da opere d'arte appositamente realizzate, per incontrare la comunità della vicina Slovenia. Prima della caduta del confine la passeggiata era contraddistinta dal titolo "Al di là della linea immaginaria/pohod čez namišljeno črto".
  • A fine settembre ha luogo la festa patronale in onore di San Michele. Consiste in una caratteristica sagra paesana con riti religiosi e degustazione di dolci tipici. testo da wikipedia e altre fonti

IVAN TRINKO padre della Benečija

 
"O ti zemlja rodna,zemlja bedna,ki te milost božja,meni v last je dala"
"O terra natia,terra misera che la grazia divina,mi ha donato" Ivan Trinko 

(sulla sua epigrafe )

Tutti i dialetti sloveni hanno caratteristiche comuni

cartina linguistica
viola sloveno-rosso friulano

A Udine il congresso del Circolo slavistico di Slovenia Col titolo «La slovenistica e la slavistica oltreconfine: Udine 2018» («Slovenistika in slavistika v zamejstvu: Viden 2018») si è svolto a Udine il congresso dello Slavistično društvo Slovenije, il Circolo slavistico di Slovenia. Si tratta della principale e più numerosa organizzazione di esperti nel campo della lingua slovena –insegnanti, ricercatori, lettori, traduttori e altri ancora. Gran parte del congresso è stata riservata alla presentazione e analisi della situazione dello sloveno e della più ampia situazione linguistica in provincia di Udine. Particolari sezioni sono state, così, dedicate allo sloveno e al patrimonio orale sloveno in provincia di Udine, alle lingue e letterature slave all’Università di Udine e all’insegnamento dello sloveno nelle scuole del Friuli Venezia Giulia. L’ultima giornata del congresso è stata riservata a un’escursione a Resia, dove i partecipanti, guidati da Luigia Negro e Matej Šekli, hanno potuto conoscere la locale realtà linguistica e culturale. Un plauso agli organizzatori va anche per l’appropriata inclusione del friulano, una lingua che già da molti secoli convive a contatto con lo sloveno, ma che molti abitanti della Slovenia non conoscono abbastanza. In una particolare sezione i ricercatori dell’Istituto per la lingua slovena Inštitut za slovenski jezik Frana Ramovša ZRC SAZU hanno presentato i dialetti dello sloveno parlati in provincia di Udine – Nataša Gliha Komac ha parlato del dialetto zegliano della Valcanale, Janoš Ježovnik del dialetto sloveno delle Valli del Torre, Danila Zuljan Kumar del dialetto sloveno delle Valli del Natisone; il dialetto sloveno resiano è stato presentato da Matej Šekli durante la già menzionata escursione. I relatori hanno, tra l’altro, toccato le circostanze storiche e sociali che fanno da sfondo all’attuale situazione dello sloveno in provincia di Udine, alla sua realtà linguistica contemporanea e alla sua vitalità. Hanno trattato, inoltre, le principali proprietà linguistiche dei singoli dialetti. Malgrado numerose differenze, tutti i dialetti elencati sono uniti da caratteristiche comuni: caratteristica di tutti sono ad esempio, i suoni «ie» e «uo» in parole come «lies» e «nuos». Così sono pronunciate anche dai parlanti di alcuni altri dialetti sloveni, per esempio nella valle dell’Isonzo e sul Carso, nonché nella Carinzia austriaca. In alcuni luoghi, ad esempio a Resia-Rezija, a Suetschach-Sveče e a Cerkno, «ie» e «uo» si sono evoluti in «i» e «u» – «lis», «nus». Per la maggior parte dei dialetti presentati è caratteristico un indebolimento della pronuncia del suono «g», cui si giunge in gran parte dello sloveno, dal momento che si parla così addirittura nei dintorni di Ljubljana! In alcune località il suono può sparire del tutto – a Stolvizza-Solbica o Lusevera-Bardo, ad esempio, si pronuncia «ora», a San Pietro-Špietar, Nova Gorica e Postojna «hora», a Ljubljana e Maribor, invece, «gora». Per la maggior parte dei dialetti sloveni del Natisone, del Torre e della Val Resia, similmente alle parlate slovene d’Istria, è caratteristica la «ć» morbida (ad esempio nelle parole «peć», «reći», «tić»), che la lingua slovena letteraria non conosce. Su tutti i dialetti un’impronta importante è stata lasciata anche dal contatto prolungato con altre lingue: il dialetto della Valcanale ha mutuato molte parole e caratteristiche dal tedesco, i dialetti di Resia, delle Valli del Torre e del Natisone, invece, dal friulano e dall’italiano. Le prospettive per il futuro dello sloveno sono, di certo, diverse: se nelle Valli del Natisone non sono così negative – il che è in gran parte merito della scuola bilingue di San Pietro al Natisone – e se in Valcanale si presentano prodromi d’insegnamento plurilingue, purtroppo sono ben lungi dall’essere sicure. Gli esperti sono stati concordi nel ritenere come, a riguardo, sia particolarmente importante un finanziamento stabile dell’insegnamento dello sloveno. All’assemblea generale i membri del circolo hanno votato quale nuovo presidente Matej Šekli, che nelle proprie ricerche si dedica, tra l’altro, al dialetto di Resia e delle Valli del Natisone. Nella parte ufficiale del congresso sono stati consegnati i riconoscimenti del Circolo slavistico di Slovenia per particolari risultati. A riceverli sono stati Viviana Gruden, per molti anni direttrice della scuola bilingue di San Pietro al Natisone; Bruna Balloch, maestra e raccoglitrice di storie in dialetto sloveno delle Valli del Torre; Marija Bidovec, professoressa e ricercatrice di letteratura slovena all’Università di Udine, e Roberto Dapit, ricercatore del patrimonio orale e dei dialetti sloveni di Resia e della Slavia Veneta, anche lui professore all’Università di Udine.
Janoš Ježovnik (Dom, 15. 10. 2018)
pubblicato su SLOVIT

Stanko Vraz primo studioso della musica resiana

1810- 1851

Stanko Vraz  è stato Il primo studioso che ha trascritto le canzoni in  dialetto resiano .E'stato amico e contemporaneo di Prešeren .
Stanko Vraz.nato a Ljutomer ( ora Slovenia)si trasferì a Zagabria,dove trovò la sua seconda patria.
Nella primavera del 1841 si recò nella Val Resia.Testimonianza delle sue visite sono le 4  sue lettere a Vukotinovič che sono state pubblicate nel 1841 nel n° 29 della rivista Ilirska  Danica a pag 118,sotto il titolo "Dopis prijateljski Mletačkog ".Le lettere sono molto interessanti ,perchè sono un tentativo di grammatica resiana.Questo testo  è stato tradotto  per la prima volta dal croato in sloveno nel Quaderno "Del Stanka Vraza" che è stato edito nel 1877 . 




ballo resiano
foto da http://www.mismotu.it/2009/11


Canzone resiana
" Lipa dežela Rezija !
Koj nutar h njej sowa paršlà :
Ne cpaše nu na snuwaše  ..." ecc



Il 5° dialetto musicale sloveno si trova nella valle di Resia (in sloveno: Rezija) . Secondo alcuni ricercatori (come Julijan Strajnar e Marko Terseglav) la posizione geografica isolata di Resia  ha svolto un ruolo fondamentale nella conservazione di un folklore particolarmente vecchio. Altri esperti su Resia sono d'accordo con questa teoria. Secondo loro la valle è sempre stata aperta a varie influenze.  Tuttavia, la musica caratteristica di Resia rimane ancora piuttosto autentica.
La prima ricerca etno-musicologica sistematica su Resia è stato condotta nel 1962 sia  da ricercatori  sloveni che  italiani . La musica folk di  Resia è stata studiata anche da Alan Lomax, Diego Carpitella, Roberto Leydi e Pavle Merkù, uno sloveno etnologo  italiano,studioso slavista e  compositore che ha ricercato la tradizione culturale slovena in Italia (Merkù 1976, 1981).
 I canti tradizionali di Resia sono notevolmente distintivi da altre canzoni slovene. Nel corso del 1960 i ricercatori dell'Istituto di Etnomusicologia hanno studiato deviazioni dal temperamento equabile sulla base della percezione uditiva (Vodušek 2003: 245).
Studi recenti portano alla conclusione che il  canto  di Resia è ruvido e tagliente. I cantanti producono suoni con la gola ben chiusa. Tutte le canzoni sono cantate allo stesso modo, vale a dire a voce molto alta e senza gradazione dinamica (Kugy 1925: 87, Strajnar 1988: 82).
L'esame di inizio di ogni brano dimostra che l'intonazione è guidata dalla parte principale, che è sintonizzata secondo una sensazione interna per il passo corretto.  La voce drone è presente in quasi ogni canzone. In alcuni casi non è strettamente legata a un tono particolare e si muove liberamente. Alcuni intervalli sono abbastanza tipici, come secondi instabili e terzi e  quarti . Le melodie sono oligotoniche / le gamme delle melodie sono strette, di solito composte da pochi toni. La performance si conclude di solito con un grido.

Gruppo folcloristico Val Resia

gruppo folcloristico
dal mio archivio
Il Gruppo Folkloristico “Val Resia” è sorto ufficialmente nel 1838, quando un gruppo organizzato di suonatori e danzerini si recò a Udine, in occasione della visita dell’imperatore d’Austria Ferdinando I e della sua consorte, per testimoniare, insieme ad altri gruppi, la ricchezza della tradizione musicale popolare locale. La sua particolarità consta nel fatto che, oltre a presentare musiche, danze e costumi propri della comunità della Val Resia, testimonia una realtà culturale tuttora esistente. Infatti, la Val Resia si accende di musiche e danze, nella quale è coinvolta tutta la comunità, in molte occasioni d’incontro durante l’anno: in occasione del tradizionale püst / carnevale resiano, delle feste paesane, delle coscrizioni, dei matrimoni, … In queste occasioni la gente danza tramandando la secolare tradizione di generazione in generazione.
I costumi utilizzati dal gruppo sono la fedele riproduzione degli abiti da festa indossati in Val Resia alla fine del 1700 fino ai primi anni del 1800 e caratterizzano le seguenti figure: la giovane in cerca di marito, la donna spostata, la vedova, il giovane celibe ed il signore facoltoso. Sono particolarissimi i costumi delle lipe bile maškire / le belle maschere bianche. Queste maschere vengono utilizzate in valle durante il periodo di carnevale, sono costituite da gonne bianche sovrapposte, nastri colorati e campanelle. Sul capo portano un pesante cappello realizzato con centinaia di fiori di carta colorata.
Le musiche e le danze sono molto antiche e probabilmente sono giunte in valle con i primi insediamenti della comunità resiana nel VI secolo d. C. La piccola orchestra consta di soli due strumenti: il violino chiamato “cïtira” in dialetto resiano ed il violoncello detto “bünkula”. I due strumenti vengono opportunamente modificati per rendere il suono simile e quello di una cornamusa, chiamatadudy, utilizzata in valle prima dell’avvento di questi strumenti a corda. Il battito del piede, che accompagna la musica è il fondamentale “terzo strumento” utilizzato per assicurare il ritmo. A Resia non ci sono scuole di musica popolare, i giovani imparano a suonare “ad orecchio” ascoltando i più anziani.
Il programma proposto dal Gruppo Folkloristico “Val Resia” comprende molte danze e tra queste le più caratteristiche sono: Lipa ma Marica / Oh mia bella Maria, l’inno di tutti i resiani; Ta püstawa la danza del carnevale resiano; Ta Zagatina, la danza di Zagata una località d’alpeggio che si trova sopra l’abitato di Prato di Resia; Čärni potök / Rio nero, Ta Solbaška la danza di Stolvizza; Potï me döpo Lïpjë / Strade mie giù per Lipje; Kölu la danza in cerchio e Ta Kuškrïtawa la danza del coscritto.
Gruppo Folkloristico “Val Resia”
Comitato per la conservazione del folklore resiano
Via Varcota, 1 – 33010 Resia/Rezija (Udine)
Tel. 0039 0433 53428
E-mail: rozajanskidum@libero.it 

Resia/Rezija

Resia – Veduta
Stolvizza/Solbica


Resia (Resije in resianoRezija in slovenoRèsie in friulano[3][4]) è un comune italiano di 964 abitanti in Friuli-Venezia Giulia, provincia di Udine. Si tratta di un comune sparso con sede comunale nella frazione di Prato.

Geografia fisica

La Val Resia è situata nella parte nord-orientale della regione Friuli-Venezia Giulia. È una valle pre-alpina che si estende in direzione ovest-est per 20 km. Ad est la valle è chiusa da un massiccio montuoso, del quale il Monte Canin (2587 m) rappresenta il punto più alto. Tale massiccio segna il confine fra l'Italia e la Slovenia. La valle si raggiunge seguendo la SS13 Pontebbana in direzione di Tarvisio oppure dal casello Carnia-Tolmezzo dell'autostrada A23 in direzione di Tarvisio arrivando dopo 10 km circa a Resiutta e seguendo il bivio per la Val Resia.

La valle è suddivisa in 5 principali frazioni che sono, da ovest a est, San Giorgio, Prato, Gniva, Oseacco e Stolvizza; vi sono inoltre le borgate di Lipovaz, Crisaze, Gost, Lischiaze, Coritis e in una adiacente valle più a sud, Uccea.

L'aspetto più importante della valle, oltre all'indiscussa importanza linguistico-culturale, è il profilo naturalistico. Immersa com'è in una conca verde su cui vegliano i picchi del Canin, innevati per buona parte dell'anno; merita una visita sia per un contatto diretto con la popolazione dei borghi, sia per le piacevoli escursioni in una delle più suggestive vallate alpine. Vi è ubicata la stazione meteorologica di Resia.

Storia

Le origini di Resia sono legate all'insediamento della sua popolazione nella vallata, che si fa risalire al VII secolo. I resiani sono i discendenti di quelle popolazioni di ceppo slavo che giunsero in Italia al seguito degli Avari e dei Longobardi e che, abbandonando il nomadismo, qui presero dimora. Un tempo isolata tra i monti Musi a sud e l'imponente massiccio del Canin ad est e a nord, Resia rappresenta per la cultura un'isola linguistica e di tradizioni estremamente importante. La singolare Lingua, il Resiano riconosciuta dall'Unesco che vi si parla è stato ed è tuttora oggetto di molti studi, si custodiscono così e si tramandano tradizioni (costumi, canti, balli, cerimonie) di grande interesse.

La comunità di Resia è oggi in gran parte raggruppata nelle frazioni di Prato, San Giorgio, Oseacco, Gniva, Lischiazze, Stolvizza e Uccea. Dal punto di vista storico, essendo stata soggetta alla giurisdizione dell'Abbazia di Moggio, ne seguì le vicende nel corso dei secoli. Rivestì una certa importanza sotto il dominio veneziano per la difesa delle selle di Carnizza e di Guarda che permettono di raggiungere la valle dall'Isonzo in Slovenia. A questo scopo vi fu nella vallata la presenza di una guarnigione militare con fortificazioni a Stolvizza e a San Giorgio.

Nel 1976 il comune fu devastato dal terremoto del Friuli, che provocò enormi crolli e danni.


I resiani

I resiani sono una popolazione appartenente al gruppo linguistico slavofono. Mancano reperti archeologici certi, o d'altra natura, tali da offrire un'indicazione sulla datazione dell'insediamento slavo nella valle. Resia è citata nel testamento del conte Cacellino che verso l'XI secolo lasciava a Federico, Patriarca di Aquileia, i beni allodiali del Friuli e della Carinzia, nei cui confini era compreso anche il sartum montem. Al riguardo, è stato osservato come il significato medievale di mons si riferisca ad una malga esistente sul Monte Sart e quindi della possibilità che esistesse a fondo valle un insediamento di carattere stabile. È quindi accettato il VI secolo-VII secolo anche per i Resiani quale riferimento più generale agli stanziamenti di quelle popolazioni appartenenti al ramo meridionale degli Slavi nell'arco Alpino e Prealpino Orientale.

Invece, rinvenimenti archeologici romani e preromani nella vicina Resiutta vi testimoniano la presenza di un insediamento antecedente al VI secolo, mentre si fa menzione di un documento secondo il quale a Prato, nel 1098, esisteva una cappella dedicata alla Madonna. Dopo il loro insediamento, i Resiani seguirono le vicende storiche legate al Friuli, fino ai nostri giorni.

I Resiani, secondo il linguista polacco Baudouin de Courtenay, che li studiò a fondo nella seconda metà dell'800, "dovevano provenire da diverse tribù con diversi dialetti" e offriva la seguente classificazione dei principali, sottolineando l'importanza di questo fatto anche sotto il profilo etnografico: 1) di Lipovaz - San Giorgio; 2) di Gniva; 3) di Stolvizza; 4) di Oseacco 5) di Uccea. Resta d'indubbio interesse, sotto il profilo demografico e antropologico, la tipologia della popolazione resiana suggerita dalle varietà delle parlate e che, comunque, testimoniano per Resia la presenza di una situazione di accentuato isolamento e di forti localismi interni. Tale situazione di isolamento è stata confermata, fino a tempi recentissimi, dalle recenti indagini storico-demografiche eseguite sui registri di matrimonio per il periodo 1745 - 1905 (G. Rotta, 1987, 1988).

Si hanno ancora notizie su una suddivisione nei quattro territori di Gniva, Oseacco, San Giorgio e Stolvizza, definiti vuoi ora come pertinenze vuoi come ville o come comuni. Il Loschi cita il documento nel quale si elencano i quattro vassalli di Resia che nel 1336 prestarono giuramento di fedeltà all'Abate Ghiberto della vicina Moggio Udinese. Tale distinzione la ritroviamo nella descrizione della carta geografica del 1672 nella quale il Cancelliere di Moggio, Bernardino Nodaro, dava una descrizione dei confini delle quattro pertinenze. Quattro Comuni le ritroviamo aggregate a quella di San Giorgio, indicata nella descrizione della carta viaria di Resia del 1808 come capo-luogo. Da quadri d'insieme del Catasto del 1851, rileviamo ancora una suddivisione in territori. L'espansione degli insediamenti e delle aree di pertinenza resiane all'interno della valle fu caratterizzata da numerose liti che scoppiarono non solo fra gli stessi Comuni resiani, ma anche con gli abitanti della vicina Resiutta che vantavano diritti di pascolo sulle pendici del Monte Canin e in Planinizza, a ridosso dei Monti Musi, di cui si hanno notizie fin dalla seconda metà del XIV secolo.

Recenti indagini antropologico fisiche eseguite sulle popolazioni resiane (Corrain e Capitanio, 1987) hanno consentito, attraverso l'esame della distribuzione di diversi fenotipi ematologici, di accertare le caratteristiche genetiche delle quattro popolazioni anche attraverso confronti con le altre popolazioni, in particolare quelle dell'Europa centro orientale che risultarono negativi. Dai risultati dell'indagine è invece emerso come un'inattesa omogeneità interna consente di considerare valida la proposta di un comportamento medio della valle agli effetti dei vari confronti con l'esterno. Per questi confronti gli abitanti della valle vanno a costituire un isolato genetico quasi da manuale. Ciò non toglie che si verifichino, all'interno della valle, diversità distributive anche significative: a conferma d'una divisione in 4 gruppi di località su basi storiche e demografiche. I due autori, rilevavano inoltre di come "si fanno tuttora sentire gli effetti delle poche famiglie iniziali fondatrici...". Grazie all'interdisciplinarità dell'osservazione della realtà resiana, lo scenario oggi più verosimile sull'origine dello stanziamento è quello di poche famiglie iniziali, forse una ventina, alcune, probabilmente, già fra loro imparentate, che si distribuirono nei vari villaggi della valle. L'isolamento successivo ha mantenuto nei secoli il patrimonio genetico dei fondatori. Si tratta di una situazione genetica ormai rarissima a trovarsi in Europa. Resia, come si è accennato, molto probabilmente nel VI secolo-VII secolo era già abitata. In tal senso, un forte indizio ce lo offre ancora una volta la genetica; la presenza solo nella popolazione di Oseacco del raro complesso, in Europa, ccDee. Un'elevata incidenza di tale complesso è stata rilevata anche nella vicina Resiutta. Al riguardo, suggeriscono gli autori: "quasi tutta la gente è venuta da là o là si è fermata, se pure non si tratti di un più antico substrato".

La lingua

Cartello stradale in resiano.

Grazie alle leggi 482/99 e 38/01 approvate dal Parlamento italiano e ratificate dell'allora Presidente della Repubblica Italiana Carlo Azeglio Ciampi, sulla tutela delle lingue minoritarie, oggi è possibile insegnare a scrivere e leggere in resiano nelle scuole dell'obbligo, permettendo così di mantenere le scuole a Resia, altrimenti sarebbero state trasferite a Moggio Udinese. Programmi Interreg 2007-2013 (finanziati dalla comunità Europea), prevedono, al di qua e al di là del confine (Slovenia-Italia), progetti transfrontalieri che stanno incidendo in maniera significativa nello sviluppo della Val di Resia. Volendo attuare progetti comuni con gli enti oltre confine, si è sentita la necessità che gli operatori del Parco delle Prealpi Giulie e delle associazioni che operano in valle imparassero anche la lingua slovena.




https://it.wikipedia.org/wiki/Resia


val Resia/Rezija

L'aglio di Resia-Rezija

aglio di Resia/Rezija
immagine dal web


L'aglio-strok di Resia/Rezija è di piccole dimensioni e si trova nel comune di Resia/Rezija.L'isolamento geografico ha facilitato la conservazione dell'aglio-strok di Rezija.
Il bulbo (testa:glaua o laua dallo sloveno glava) è di  piccole dimensioni , i bulbilli cioè gli spicchi (noize-noghize)  variano da 6 a 8,ed è privo di spicchi centrali..Ha un caratteristico colore rossastro  di solito dal secondo strato delle tuniche che rivestono il bulbo,gli spicchi invece sono bianchi .Presenta delle caratteristiche di odore e sapore più accentuate dell'aglio in commercio.
Viene coltivato in fazzoletti di terreno sparsi a ridosso delle frazioni,fino all'altezza di 1000 m.I bulbi vengono interrati a circa 3 cm di profondità,dopo una lavorazione fatta a mano.Gli spicchi vengono messi  con l'apice rivolto in alto ad una distanza di  25 - 30 cm tra le file.La piantagione viene fatta nel mese di novembre con i primi geli o in marzo dopo il disgelo.La concimazione è fatta con il letame bovino.Quando il germoglio ha raggiunto i 3 cm ,viene cimato cioè vengono tolte le "uorè" che bollite e condite  vengono mangiate in insalata.La sarchiatura( smutikat) è fatta in primavera ,le erbacce vengono tolte a mano .Non ha bisogno di essere innaffiato essendo la zona molto piovosa.Viene raccolto in agosto,le piante vengono collocate su graticci o marciapiedi (scialisc),di rado estirpate e lasciate sul terreno per 2 o 3 giorni .Poi i bulbi vengono privati delle tuniche esterne e delle radici che si tagliano.Le teste migliori vengono conservate per la semina dell'anno successivo.I bulbi sono intrecciati in trecce (kitte dallo sloveno kite) e messi nei fienili o sotto la tettoia per essere vendute.Oggi lo strok è confezionato in mazzetti da 4-5 bulbi e si conserva per un anno.La liliacea resiana è rientrata tra i Presidi di Slow Food,progetti che tutelano piccole produzioni di qualità da salvaguardare,realizzate secondo pratiche tradizionali.www.presidislowfood.it
L'inizio della coltivazione di questo aglio è molto antica ,non ci sono documentazioni.
Giovanni Clemente,scrittore resiano ,nel libro Torna al suo paesello - Memorie di vita resiana dice che già dai tempi passati  era un rimedio contro i vermi intestinali (glìsti dallo sloveno gliste).Venivano fatte delle collane con gli spicchi.Queste collane erano messe  di notte attorno al collo dei bambini che erano affetti da verminosi,un' usanza comune in tutta la Terska Dolina (Val Torre).
In un negozio del paese e durante la festa dell'aglio è possibile acquistarlo.

riadattamento dell'articolo di:

http://www.ersa.fvg.it/divulgativa/prodotti-tradizionali/vegetali-naturali-o-trasformati/aglio-di-resia
e da altre fonti reperite sul web.

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