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6 mag 2021

Terremoto del Friuli in diretta (1976)


Ricordo benissimo,fu una notte terribile,avevamo parcheggiato la macchina nel prato di fronte a casa Tutta la notte si sentivano elicotteri ,ambulanze e il mio cane che ululava.Fu un'esperienza terribile che non auguro a nessuno.

5 mag 2021

POESIA DI PREVERT

 


Tante foreste strappate alla Terra

e massacrate
distrutte
rotativizzate.
Tante foreste sacrificate per la pasta da carta
ai miliardi di giornali che attirano annualmente
l'attenzione dei lettori
sui pericoli del disboscamento
delle selve e delle foreste.

JACQUES PREVERT

Storia della chiesa di San Floriano Martire

 

VILLANOVA DELLE GROTTE/ZAVARH L’edificio sacro, risalente al 1592, costruito ex novo dopo  il terremoto del 1976
Chiesa di San Floriano attuale

prima del terremoto
Chiese ieri e oggi. Come sono cambiate dopo il terremoto del 6 maggio del 1976? Nell’anniversario del sisma che di fatto ha ridisegnato i paesi colpiti dalle scosse, non solo sotto il profilo architettonico e urbanistico ma anche e soprattutto sociale, raccontiamo la storia della chiesa di San Floriano Martire di Villanova delle Grotte, in Alta Val del Torre.
L’edificio sacro che vediamo oggi è stato eretto ex novo dopo il terremoto. Quello precedente aveva un’elegante facciata sormontata da un timpano ed era scandita in tre parti da un arco sopra il portale di ingresso. Guardava sempre alla piazza, tra i più bei punti panoramici della zona.
Cosa sappiamo dell’antica chiesa? Secondo le ricerche di Giacomo Baldissera, che nel 1933 curò un volume sulla storia delle chiese delle Valli del Torre e della Pedemontana, «La Pieve di Tarcento. Memorie storiche », quella di San Floriano di Villanova fu eretta non oltre il 1592, mentre al 1598 risulta che ebbe principio la sepoltura delle salme nell’annesso cimitero. Fu restaurata più volte: nel 1600 e nel 1700. Poi, nel 1874, fu ricostruita integralmente, ottenendo la consacrazione nel 1912.
È molto probabile che in questo punto di Villanova esistesse in origine una cappella ancora più antica, come tramanda la tradizione orale. Quella edificata alla fine dell’Ottocento aveva tre altari: quello maggiore era dedicato a San Mauro, quello di sinistra all’Assunzione della Vergine, quella di destra al Redentore.
Nel narrare la storia di questo edificio sacro, Baldissera ricorda uno screzio religioso avvenuto nel corso del 1800, per causa «di qualche individuo ostile alle pratiche del culto – scrive –; ma ben presto, senza scandalo, fu pienamente soffocato». La serie dei cappellani festivi comincia verso il 1739 e registra, nei primi tempi, un servizio cumulativo e alternato con la borgata limitrofa di Chialminis, dipendente dalla Pieve di Nimis. Questo durò fino al 1839. Dal 1840, invece, anche San Floriano ha il privilegio dei Sacramenti e l’assistenza spirituale stabile, senza comuni obblighi con alcuno. «Vi funzionava il rettore della Matrice alla ricorrenza del titolare, il 5 maggio, e il 15 agosto, festa dell’Assunta », si legge. La festa dell’Assunta è stata mantenuta negli anni e anche oggi è un giorno importante per la comunità, riunita anche per la sagra organizzata dal Gelgv.
Al tempo il vicario residenziale godeva di una comoda abitazione che era stata costruita espressamente per lui dai frazionisti. La furia del terremoto del 1976 ha richiesto la sua ricostruzione in forme completamente diverse, caratterizzata da ampie vetrate, di altezza contenuta e con coperture a tetto meno spiovente, quasi a “capanna”. Non è stato così per il vicino campanile in pietra, che si è salvato e cui sono state apportate solo poche modifiche, come l’inserimento di un orologio. Anche la piazza era molto diversa: non c’era l’edificio che oggi ospita il bar, e dietro alla chiesa si ergeva una grande costruzione poi abbattuta.
P. T. 
fonte: Dom del 30 aprile 2017

Settimana della Cultura Friulana, laboratori e racconti per tutti

 


La manifestazione della Società Filologica quest’anno si svolgerà dal 6 al 16 maggio

Gran fermento per l’avvicinarsi della Setemane de Culture Furlane, manifestazione ormai collaudata della Società Filologica Friulana, che quest’anno si svolgerà dal 6 al 16 maggio.

Nella Bassa Friulana, la tradizionale “Maratona di lettura”, a cura delle biblioteche e dello Sportello Associato per la Lingua Friulana dei Comuni di Carlino, Gonars, Muzzana del Turgnano, Porpetto, Precenicco e San Giorgio di Nogaro, si trasforma nei “Racconti della buonasera”, appuntamento che si ripeterà ogni sera alle ore 20.00 sulla pagina facebook dello Sportello, con tante storie per bambini e famiglie, da scoprire grazie ai lettori volontari e agli insegnanti del territorio.

Per gli amanti della scrittura, invece, è in partenza il laboratorio “Anatomie di une conte”, curato da Raffaele Serafini, oste dell’osteria letteraria Contecurte e vincitore per tre volte del premio letterario “San Simon”. Il workshop si svolgerà on-line, il 6 e il 10 maggio, alle ore 20.30.


Per i ragazzi, inoltre, sono aperte le iscrizioni per il progetto “Populpop”, percorso dal songwriting alla produzione musicale in studio a cura di Michele Polo e Leo Virgili, a cui sarà possibile partecipare sia in presenza, presso l’edificio Liberty della biblioteca Villa Dora a San Giorgio di Nogaro, sia on-line, a seconda delle preferenze degli iscritti. Gli incontri si svolgeranno il 7 e il 14 maggio, dalle 16.00 alle 18.00.

Per informazioni e per iscrizioni ai due laboratori è possibile chiamare la biblioteca Villa Dora al numero 0431 620281 oppure mandare una mail a sportel.furlan@bassefurlane.eu.

https://www.ilfriuli.it/articolo/cultura/settimana-della-cultura-friulana-laboratori-e-racconti-per-tutti/6/240926

5 Mai Bicentenaire de la mort de Napoléon 5 Maggio 1821, 17,49 morte di...

ROSA DI MAGGIO

 


Rosa di maggio

(Alda Merini)

L’alba si è fatta
profumo di rose.
Rosa di maggio,
abbarbicata sul muro vetusto;
affresco di vita
corroso dagli scherni del tempo.
Tappeto di petali bianchi
sul selciato di dolci primavere.
Fra gli agrumi imbiancati dai fiori,
mano nella mano di mio padre,
stretta, stretta,
al richiamo del cuore di mamma,
ansioso, protettivo.
Diventeranno frutti copiosi,
allieteranno tavole imbandite
tra gli amici dell’allegria,
svaniti nei rivoli
del più salubre inganno.
In fondo, oltre la siepe,
scorgere i ceppi temprati dagli anni;
offrono ancora nuova vegetazione,
nuove foglie, tenere e indifese,
al soffio di vento.

dal web

4 mag 2021

Una carta archeologica per Resia

 

Tra le numerose attività che il Museo della Gente della Val Resia persegue, dal 2017 vi è anche quella archeologica. I risultati delle attività di sondaggio archeologico e di ricerca scientifica in località Monte Castello/ta-na Rado, vicino a Stolvizza/Solbica, saranno presentati a breve in un’apposita mostra, che sarà corredata anche da un catalogo. Dopo le ricerche è stata avviata l’inventariazione di tutti i reperti ritrovati a Resia, conservati dalle autorità competenti in materia.

Sulla scia di questo lavoro, di recente sul sito del Museo è stata pubblicata la prima carta archeologica di Resia che contiene tutti i ritrovamenti archeologici sul territorio comunale e non solo, segnalati al Museo e alla Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio del Friuli-Venezia Giulia.

Grazie al nuovo strumento si possono approfondire vari aspetti legati alle attività archeologiche intraprese. È possibile consultare le schede, con le relative immagini, dei reperti inventariati e depositati e di quelli segnalati ma non depositati. Con una semplice descrizione, di questi ultimi si danno solo le informazioni acquisite dagli informatori, senza successivi approfondimenti o integrazioni.

Nella sezione dedicata alle località sono riportati, invece, il nome di luogo in dialetto sloveno resiano e il posto in cui è stato ritrovato l’oggetto o riferita la segnalazione. Per ogni località è indicato il riferimento dei tre volumi Aspetti di cultura resiana nei nomi di luogo del prof. Roberto Dapit. Lì è possibile approfondire il significato dei toponimi.

Infine, sono stati individuati e brevemente descritti alcuni luoghi d’interesse archeologico che sono o saranno oggetto di studio e approfondimento. La nuova pagina del sito web del Museo è stata curata da Federico Lonardi, studente di Conservazione dei beni culturali all’Università degli studi di Udine e tirocinante presso il Museo nell’ambito del progetto Pipol gestito dalla cooperativa Cramârs. L’elenco dei reperti ritrovati sarà aggiornato di pari passo coi nuovi dati archeologici.

Questo lavoro è stato svolto con lo scopo di ridare vita a quegli oggetti che, per un motivo o per l’altro, avevano subito una condanna all’oblio e che ora possono essere fruiti da tutti. (Sandro Quaglia)

dal Dom del  30 aprile 2021

Sope o šnite

 

Ricette delle Valli del Natisone



Frittelle di pane imbevuto con latte e tuorlo

4 Fette di pane vecchio
latte 100 ml
2 uova
Sale un pizzico
Un cucchiaino di grappa

Procedimento:
Preparare le uova sbattute con il latte, sale e grappa; bagnare il pane immergendolo nel liquido e poi friggerle direttamente nell’olio di arachidi bollente fino a doratura.Ricetta di Stulin Liliana di Tribil Superiore di Stregna.

da https://www.facebook.com/notes/antica-valle-del-natisone-quotidiano-storico-1899-1999/ricette-dalle-valli-del-natisone/584074182094576/

proverbio friulano

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“San Florian cul mastel in man” ovvero per A San Floriano, il 4 maggio, serve avere a portata di mano il mastello” sarà forse per la pioggia?.

IL CAPPELLANO MARTIN CEDERMAC DI FRANCE BEVK

 


il romanzo dello scrittore sloveno France Bevk sulla proibizione della lingua slovena nelle chiese dell’arcidiocesi di Udine, in italiano e a fumetti (con testo nel dialetto sloveno delle Valli del Natisone). La traduzione è di Ezio De Martin, le illustrazioni di Moreno Tomasetig e la prefazione dello scrittore Boris Pahor.

La pubblicazione in italiano e la traduzione in fumetto del celebre romanzo dedicato alla drammatica situazione dei sacerdoti sloveni della Benecìa, è una scelta indovinata per far conoscere ad un pubblico più vasto il comportamento, per certi versi eroico, comunque di grande valore umano, da essi sostenuto per la difesa della dignità umana. Che questa si sia espressa nel campo specifico della fede cristiana, non fa altro che illuminare ulteriormente il valore di questa condotta.
Il romanzo ci offre uno spaccato preziosissimo della vita in una cappellania sulla sponda destra del Natisone, con il complesso intreccio di vita quotidiana, di celebrazioni liturgiche, di timori e paure, di persone coraggiose, di altre impaurite, opportuniste che sfruttano la situazione. In una parola, la vita concreta nella varietà delle sue forme, ma il tutto visto alla luce di quella dignità umana che dà sapore alle cose ed anche la forza di affrontare difficoltà non comuni. In una lunga carrellata passano in rassegna i protagonisti, che possiamo così elencare: il protagonista cappellano Martin, la sua collaboratrice domestica, la comunità ecclesiale, i vari rappresentanti della politica dal prefetto all’appuntato, i responsabili della Chiesa Udinese dal vescovo fino ai cappellani delle sperdute comunità montane, il tutto nella commistione di potere politico e religioso fra ipocrisia, astuzia, compromessi e silenzi.
Cedermac stripIl cappellano Martin, ricalcato artisticamente sulla figura di don Antonio Cuffolo, con qualche ritocco anche di don Giuseppe Cramaro, suo vicino di chiesa, è la figura dell’idealista che sposa la difficile realtà in cui si trova a vivere, convinto com’è della indivisibile unità tra Vangelo e dignità umana, espressa dalla esistenza concreta delle persone e della terra in cui vivono. È la linea della incarnazione, cioè di un inserimento dell’eterno e dell’invisibile nella nostra quotidianità, che non è mai banale per chi la vive con dignità. Martin vive per la sua gente e per il suo bene integrale, unendo due aspetti importanti della stessa realtà: le persone e la parola scritta, in questo caso il Catechismo. Non c’è crescita umana senza cultura e senza la sua immagine scritta; una parola che diventa documento e storia. Da ciò la difesa commovente dei libri sloveni, con l’aiuto della fedele collaboratrice. Non l’ideale falso di un popolo ignorante e fedele, ma quello di persone consapevoli e capaci di prendere posizione, perché coscienti di sé. Martin è il campanello che tiene desta la loro coscienza.
Accanto a lui e con lui, la fedele collaboratrice, che si cura della casa, della chiesa e delle faccende quotidiane, ma anche di avvenimenti straordinari, come il salvataggio dei libri sloveni e la sopportazione degli scatti d’umore del cappellano. Il tutto vissuto nella discrezione, nel silenzio, tipico di un mondo che non c’è più e suggerito da un rispetto religioso, che dà un’aura quasi mistica a tutta l’esistenza. E con lei la comunità cristiana, quella che si riunisce in chiesa la domenica, nell’ascolto del Vangelo e della sua spiegazione. A questi cristiani, nell’agosto del 1933 viene tolta anche la possibilità di un nutrimento di cui ha doppiamente bisogno, come cristiani e come cittadini, portatori di una cultura millenaria, nello scrigno della lingua. Viene loro tolta la dignità della propria appartenenza nazionale e linguistica, che viene sganciata dalla professione di fede, quasi che si trattasse di due pezzi di un gioco d’incastro, interscambiabili a piacere. Questo popolo reagisce compostamente e con tristezza. Una reazione non violenta, silenziosa, che alla fine risulta anche vincente, perché non si assoggetta all’imposizione e attende, con il cappellano, una possibile liberazione.
Ci si aspetterebbe a questo punto, un intervento forte, deciso, sicuro da parte dell’autorità ecclesiastica. Nulla purtroppo, se non l’invito all’obbedienza ed allo studio della lingua italiana, in modo da realizzare quel programma politico che vuole tutto livellare, perché come ai tempi degli assolutismi, tutti parlino una sola lingua ed obbediscano ad un solo padrone. Non si chiede certo che il Vescovo si voti al martirio cruento, visti i momenti, ma che non abbandoni il suo gregge ed i pastori che lo aiutano. Una minima opposizione e resistenza da parte del Vescovo ci poteva essere, come testimoniano esempi luminosi di quegli anni, anche se rari, bisogna ammetterlo. E così, si ebbero esempi di cedimento da parte di qualche sacerdote, allettato dai vantaggi politici che questo comportava. E non sono mancate medaglie al merito contrario, per certi squallidi protagonisti, anche questi pochi, per fortuna, ma che potevano fregiarsi di qualche cavalierato di metallo scadente, sul piano dei valori umani.
L’apparato del regime fascista svolgeva il suo compito, alternando carota e bastone, per raggiungere il suo scopo di assimilazione forzata delle popolazioni della Slavia. Erano passati gli anni dell’impero asburgico, che un pluralismo culturale l’aveva sviluppato, e che permetteva ai diversi popoli di non perdere la propria identità. Queste cose, magari, furono scoperte dopo, visti i disastri del dopo. Certo che gli anni ’30 del secolo scorso, furono estremamente negativi per la Benecìa, tanto che i suoi effetti deleteri li sentiamo e viviamo ancora oggi. Hanno preso una piega subdola, che alla fine, continua l’opera devastatrice del fascismo. Infatti, è intervenuta la scoperta sensazionale che noi delle Valli, siamo di ascendenza slava. Un evento probabilmente unico nella storia dei popoli, ma che coltiva l’obiettivo della negazione. L’unica cosa che interessa è la cancellazione del sostantivo ed aggettivo ‘sloveno’. Ottenuto questo, tutto va bene, salvo lasciar perdere ciò che resta del dialetto sloveno, nei gorghi e nelle piene del Natisone.
E così la storia di Martin Čedermac continua, in tempi diversi, ma con gli stessi problemi, non di pressione politica, ma di contrapposizione pseudo linguistica. Alla fine resta paradigmatico il discorso finale del cappellano, una perorazione religiosa e civile, perché le due cose non vanno divise; una perorazione che invita ogni uomo – non più solo noi della Benecìa – a non svendere mai la sua identità, perché è l’unica carta della sua dignità e del valore assoluto della persona umana. Sempre e dovunque. (Marino Qualizza)

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