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Questo blog parla delle minoranze linguistiche del Friuli:SLOVENA,FRIULANA eTEDESCA,articoli dei giornali della minoranza slovena,degli usi,costumi,eventi e tanto altro.Buona lettura.OLga

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1 set 2020

Giorni di scuola e di vacanza, l’Italia detiene due primati in Europa. Tutti i numeri Di Andrea Carlino

immagine del web

Quanto lavorano i docenti italiani? Davvero sono quelli che lavorano di più in Europa? Scopriamolo con i numeri forniti dall’organizzazione europea Eurydice.
Giovedì sera, nel corso della trasmissione “In Onda”, la ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, in merito alla riapertura delle scuole ha detto che il calendario scolastico italiano è quello con il numero maggiore di giorni di lezione e che gli altri paesi hanno giorni di sospensione spalmati nel corso dell’anno scolastico. Da ricordare inoltre che i mesi di vacanza per gli insegnanti non sono 3. Chi è impegnato negli esami di Stato ha terminato da pochi giorni e avrà circa 33 giorni di ferie.
Ogni anno, praticamente, in questo periodo, chi propone di aprire le scuole anche d’estate scatena le polemiche di docenti e studenti.
Come è distribuito il calendario scolastico? Come è organizzata la pausa estiva?
Calendario scolastico 2020/21: data inizio e termine lezioni in ogni regione, quanti giorni di “ponte”

Cosa succede in Italia e negli altri paesi d’Europa

I paesi europei differiscono notevolmente per quanto riguarda l’articolazione dei calendari scolastici.
In tutti i sistemi scolastici è previsto che i docenti debbano svolgere molti altri compiti al di là delle ore di insegnamento, comprese le attività di carattere burocratico-amministrativo, di organizzazione e pianificazione della didattica, di valutazione degli allievi e i rapporti scuola-famiglia.
Questi risvolti dell’attività dei docenti non sempre sono dettagliate nei contratti di lavoro, ma sono spesso basate su un tacito accordo riguardo ciò che ci si aspetta dagli insegnanti come parte integrante della loro attività.
Il totale settimanale cambia considerevolmente da paese a paese, variando da un minimo di 14 ore in Croazia, Polonia, Finlandia e Turchia, a un massimo di 28 ore in Germania.
Scopriamo, con i dati Eurydice, che il numero di giorni di scuola varia dai 156 giorni in Albania e i 200 giorni in Danimarca e Italia. In circa la metà dei paesi l’anno scolastico conta 170/180 giorni; in 17, il numero varia tra 181 e 190 giorni.
Oltre alla pausa estiva, ci sono altri quattro periodi principali di vacanze scolastiche in tutta Europa: le vacanze autunnali, Natale e Capodanno, inverno/feste di Carnevale e la primavera/Pasqua. C’è da precisare, inoltre, che i periodi e le date delle vacanze scolastiche possono variare anche all’interno di un paese, come accade in Italia, dove le singole regioni adottano un proprio calendario.
Ad esempio in Francia, le vacanze estive durano 8 settimane, ma tra ottobre-novembre e a carnevale le scuole sono chiuse complessivamente per 4 settimane.
La maggior parte dei paesi a giugno chiude le scuole. Quindi le vacanze estive sono concentrate tra giugno e fine agosto. Fanno eccezione paesi come la Germania, l’Islanda, la Norvegia e la Scozia. L’inizio del loro anno scolastico è compreso tra il 1° agosto e 23 agosto per ovvi motivi climatici.
La differente organizzazione delle pause influisce sulla durata delle vacanze estive. Si va da un minimo di 6 a un massimo di 12-13. Le vacanze estive vanno dalle 6-8 settimane (Francia, Germania, Liechtenstein, Regno Unito, Norvegia…) alle 10-12 (Finlandia Grecia, Islanda, Portogallo, Spagna, Ungheria…). La Lettonia, l’Italia chiudono l’elenco con 13 settimane.
L’Italia, dunque, detiene il primato sia dei giorni di lezione sia di quelli di vacanza: solo che sono quasi tutti concentrati nel periodo più caldo dell’anno.

https://www.orizzontescuola.it/giorni-di-scuola-e-di-vacanza-litalia-detiene-due-primati-in-europa-tutti-i-numeri/

ForEst consiglia

immagine da wikipedia
Ecco un esempio di comportamento da NON adottare in montagna.
Probabilmente legato ad ignoranza, più che a cattiveria, con questo comportamento sono stati messi in pericolo sia il cane (che per fortuna era al guinzaglio, a dimostrazione di un minimo di buon senso da parte del padrone) che lo stambecco.
Come comportarsi in occasioni come questa di incontro con un animale selvatico?
Partiamo dal presupposto che già all'inizio del video l'uomo era troppo vicino allo stambecco. È vero che sono animali molto confidenti e curiosi e, come in questo caso, a volte sono loro ad avvicinarsi. Tuttavia bisognerebbe sempre cercare di evitare questa vicinanza, ancora di più se con un cane (tra l'altro di grandi dimensioni come questo), che per istinto è anche lui curioso e potenzialmente aggressivo nei confronti di animali selvatici.
Si dovrebbe quindi tentare di allontanarsi indietreggiando con calma, magari iniziando a parlare con voce tranquilla (di modo che l'animale percepisca costantemente la vostra presenza o nel caso non si sia accorto ancora di voi).
Questo comportamento lo si sarebbe dovuto adottare ancora più chiaramente dopo i primi segni di nervosismo e ostilità dell'animale e palesemente dopo la prima aggressione, invece di restare lì.
Di certo è sbagliata l'idea di lanciare sassi o tentare di spaventare l'animale. Non solo per eventuali stress e ferite che si potrebbero provocare, ma anche per il rischio di risposte aggressive di difesa.

fonte https://www.facebook.com/ilaniniv/posts/1390655904466254

Parco Prealpi Giulie






ALLA SCOPERTA DELLA RISERVA DELLA VAL ALBA 💢
𝗘𝘀𝗰𝘂𝗿𝘀𝗶𝗼𝗻𝗶 𝗴𝘂𝗶𝗱𝗮𝘁𝗲 • Domenica 6 settembre
3 Escursioni #gratuite all'interno della più grande Riserva naturale regionale che si estende per quasi 3000 ettari interamente nel comune di Moggio Udinese.
Una straordinaria opportunità per scoprire le caratteristiche che rendono speciale quest'area protetta.
1️⃣ ESCURSIONE AL BIVACCO “G. BIANCHI”
Il Bivacco, presente sin dal 1973, è stato recentemente ristrutturato ed inaugurato nel 2018. Situato nella conca del Cjavâlz a quota 1712 m, è una struttura di appoggio per escursionisti ed alpinisti, sito nel cuore della Riserva, subito sotto le cime del Çuc dal Bôr e del monte Cjavâlz e lungo l'Alta Via del CAI di Moggio.
Dal parcheggio del Vuâlt, a circa 1050 m di quota si prosegue imboccando un sentiero sulla destra sino ad attraversare il torrente Alba. Si sale il costone in sinistra orografica del t. Alba attraversando un bel bosco di faggi e abeti sino ad incontrare la mulattiera che conduce al bivacco "G. Bianchi". Quest'ultima s'inerpica dapprima su un ripido pendio boscoso, il "Pàcol dai Çocs", poi, con tornanti, sale sino al "Clàp dal Cjavâlz". La mulattiera supera un breve tratto esposto, con un caratteristico scavo nella roccia ed in breve conduce all'aprica conca del Cjavâlz ove è posto il bivacco "G. Bianchi”.
• Itinerario: dal parcheggio a monte del bivio Masereit lungo i sentieri CAI n. 450, n. 450/A e n. 428 fino al bivacco G. Bianchi, poi rientro lungo il sentiero CAI n. 428 passando per il Rifugio Vuâlt.
• Ritrovo: bivio Masereit (a monte bivio per Virgulins) alle ore 7.30
• Durata: 4 ore
• Dislivello in salita: 750 mt
• Difficoltà: E (escursionistica)
• Quota: gratuita
• Guida: Andrea Sittaro
2️⃣ DA DORDOLLA AL RIFUGIO VUÂLT
Lasciate le auto nella piazzetta di Dordolla ci si inoltra nel caratteristico borgo che ha conservato ancora le caratteristiche originarie, con le abitazioni separate da stretti viottoli, percorribili solo a piedi. Superati gli stavoli de “La Frate” si prosegue in destra orografica nel vallone del rio di Val sino ad attraversare il rio. Il percorso segue in traverso il boscoso versante occidentale sotto le “Pàlis d’arint” sino a raggiungere la forcella Vuâlt a quota 1282 m. L’ampia sella testimonia l’antica origine glaciale e dà accesso alla Riserva naturale regionale della Val Alba. La mulattiera porta al ricovero montano del Vuâlt attraversando una bella faggeta montana, con alcuni scorci panoramici sulla conca e le cime del Cjavâlz e Çuc dal Bôr.
• Itinerario: da Dordolla al rifugio Vuâlt (sentiero CAI n. 425) e rientro
• Ritrovo: in piazza a Dordolla alle ore 8.00
• Durata: 3 ore
• Dislivello: 700 mt
• Difficoltà: E (escursionistica)
• Quota: gratuita
• Guida: Kaspar Nickles
3️⃣ SENTIERO DEL BOSCO DEL VUÂLT
Semplice escursione immersi nel bosco fino al Ricovero montano del Vuâlt, tappa obbligata per quanti vogliono conoscere l'autentica essenza della Riserva Naturale. L’edificio sorge a quota 1168 m alle pendici del monte Vuâlt ed offre un’ampia panoramica sulle principali cime della Riserva naturale: Cjavâlz, Çuc dal Bôr, Pisimoni, sino ad estendere la visuale sulle Prealpi Giulie, sui monti Lavara e Plauris. L’itinerario si sviluppa ad anello nella conca del Vuâlt e porta alla scoperta degli alberi e dei boschi, delle acque e delle principali caratteristiche geomorfologiche della Riserva Naturale.
• Itinerario: dal parcheggio a monte del bivio Masereit al ricovero montano del Vuâlt (sentieri CAI n. 450 e n. 450/A) e rientro
• Ritrovo: bivio Masereit (a monte bivio per Virgulins) alle ore 8.30
• Durata: 2 ore
• Dislivello: 150 mt
• Difficoltà: T (turistica)
• Quota: gratuita
• Guida: Laura Fagioli
⭕️ PER TUTTE LE ESCURSIONI:
In caso di maltempo le escursioni verranno rimandate a domenica 13 settembre.
Presso il rifugio Vuâlt ai partecipanti verrà offerto un cestino pranzo con prodotti locali a km 0, escluse le bevande che dovranno essere portate da casa, evitando il più possibile uso di plastiche monouso.
Equipaggiamento: Scarpe da trekking o scarponi obbligatori; Vestiti adatti alla stagione. Una giacca antipioggia in base al meteo; Bastoncini da trekking consigliati.
🛑 PRENOTAZIONI entro le ore 16.00 di venerdì 4 settembre – fino a esaurimento posti - telefonando al numero 0433 53534 oppure scrivendo a info@parcoprealpigiulie.it (all’atto della prenotazione indicare il nome, cognome, provenienza e recapito telefonico)
POSTI LIMITATI
Per tutte le info aggiuntive scrivere a: info@parcoprealpigiulie.it

31 ago 2020

Blog

Sono ritornata ai vecchi temi di blogger,perchè i miei lettori avevano problemi a commentare e leggere i post.Speriamo che ora vada meglio,se riscontrate problemi mi scrivete un commento in un post.Grazie OLga

Slovenia, tra api e miele



Turismo e benessere nel segno del miele e delle api: questo è l’apiturismo, nuova tendenza di viaggio che sempre più sta prendendo piede in tutto il mondo, ma le cui origini sono radicate nel “cuore verde” dell’Europa, la Slovenia
Nel piccolo Stato ex jugoslavo ci sono oggi circa 10 mila apicoltori, uno ogni duecento abitanti, la media più alta in tutto il continente. Accudiscono circa 200 mila colonie di alveari e producono oltre 2.500 tonnellate di miele ogni anno, di altissima qualità.
Le api hanno avuto, fin dall’Alto Medioevo, un ruolo chiave nell’agricoltura e nella cultura slovena, ma la svolta legata all’apiturismo è arrivata negli ultimi anni, con un fiorire di attività basate sul mondo degli alveari: dal rilassante massaggio al miele all’inalazione dell’aria di alveare fino al pernottamento nel proprio favo privato, oltre a diverse esperienze legate all’apicoltura e ai prodotti dell’attività delle api.

Slovenia, terra di api e di mieli

La Slovenia  è la patria dell’ape carnica (Apis mellifera carnica) o Kranjska sivka, una varietà autoctona allevata in queste terre da prima dell’anno Mille e molto apprezzata in tutto il mondo per la sua docilità, il suo eccellente senso dell’orientamento, la resistenza al freddo e alle malattie e la grande produttività. Non a caso, infatti, c’è un proverbio sloveno che dice “lavorare sodo come un’ape” (“priden kot čebela“).
Fin dall’antichità, gli apicoltori dell’attuale Slovenia hanno fornito miele  in ogni angolo d’Europa. Nel XVIII secolo, l’imperatrice asburgica Maria Teresa ha dato vita alla prima scuola di apicoltura al mondo, mettendone alla guida lo sloveno Anton Janša. I suoi insegnamenti, raccolti in due libri, hanno favorito lo sviluppo del moderno modo di fare apicoltura.
Oggi il miele della Slovenia è tutelato dalla certificazione di Indicazione Geografica, nelle varietà acacia, millefiori, tiglio, castagno, abete rosso, abete bianco, grano saraceno e melata di bosco, tutte tipiche del paese.
Il miele della foresta vergine di Kočevje e il miele del Carso, prodotto in un’area ricca di erbe medicinali, sono protetti anche a livello europeo.
Gli sloveni vantano inoltre anche altri prodotti di alta qualità legati alle api: dal polline alla pappa reale  , fino alla propoli  , antibiotico naturale che le api preparano raccogliendo sostanze resinose dalle piante.
Senza dimenticare la cera, utilizzata tanto in cucina quanto nella fabbricazione di candele.

Dalla Giornata mondiale delle api all’apiturismo

Sono stati gli apicoltori della Slovenia a proporre alle Nazioni Unite di dichiarare il 20 maggio come Giornata mondiale delle api  . Si tratta, infatti, della data di nascita di Anton Janša, ma corrisponde anche al più grande accumulo primaverile di colonie di api, al più grande bisogno di impollinazione nell’emisfero nord e al momento della raccolta dei prodotti dell’alveare nell’emisfero sud.
Non poteva quindi che nascere qui anche l’apiturismo, insieme di attività legate al viaggio, allo svago e al relax unite da un comun denominatore: le api. Oggi questa forma di turismo svolge un ruolo importante nell’offerta che la Slovenia fa ai suoi visitatori.
Oltre a percorsi per escursioni in bici e trekking a tema, vengono offerte esperienze uniche, come incontrare un apicoltore locale, conoscere da vicino il mondo delle api, degustare i prodotti a base di miele (molto usato nella cucina locale) o andare alla scoperta degli alveari dipinti, vera e propria galleria d’arte popolare all’aperto, con immagini affascinanti che sono entrate a far parte del patrimonio culturale intangibile sloveno.
I prodotti delle api sono quindi considerati un toccasana per il corpo e la mente. Diversi metodi di apiterapia vengono proposti ai turisti per rilassarsi e migliorare la propria salute: dall’inalazione degli aromi a massaggi e impacchi di miele, fino ai bagni nel miele e al riposo “coccolati” dal ronzio delle api.
La Slovenia è il primo paese ad aver deciso di controllare sistematicamente l’organizzazione turistica collegata all’apicoltura. I fornitori di servizi di apiturismo vengono infatti oggi classificati secondo criteri rigorosi e sono identificati da un marchio, contenente una, due o tre api, a seconda del livello qualitativo offerto.

Le azioni a tutela delle api in Slovenia

Oltre ad aver sviluppato il settore dell’apiturismo, la Slovenia è anche all’avanguardia nella tutela delle api, uno degli insetti più importanti per la sopravvivenza degli ecosistemi e della vita sulla Terra, contribuendo tramite l’impollinazione alla produzione di tre quarti del cibo mondiale.
Fin dal 2002, infatti, il governo sloveno ha dichiarato protetta la specie autoctona, l’ape carnica, vietando l’introduzione di altre specie provenienti dall’estero e istituendo un team di ispettori specializzati.
In parallelo, da allora, è stata incoraggiata la diffusione in tutto il paese di alveari sui tetti e nei giardini, con corsi gratuiti per la popolazione e in circa 200 scuole, oltre a prevedere la distribuzione gratuita di farmaci per combattere eventuali malattie delle api.
Per favorire l’apicoltura nelle città, a partire dalla capitale Lubiana, i residenti sono inoltre invitati a coltivare solo piante quali castagni, girasoli o altre erbe e fiori utilizzati per produrre nettare.
Quindi, al fine di evitare le stragi di insetti dovute all’uso di pesticidi e i fitofarmaci in agricoltura, dal 2011 sono stati dichiarati fuorilegge diversi prodotti ritenuti nocivi per le api, a partire dai neonicotinoidi.
Le erbe infestanti, nelle città, sono estirpate meccanicamente, senza ricorrere a prodotti chimici.
Dal 2007, ogni terzo venerdì di novembre, viene anche organizzata una campagna denominata “Colazione tradizionale slovena” nelle scuole materne ed elementari di tutto il paese, servendo miele locale, pane nero, burro fatto in casa e mele per la prima colazione dei bambini.

Il decalogo dell’apiturismo in Slovenia

Questi i consigli dell’Ente nazionale del Turismo per chi voglia fare un’esperienza di apiturismo in Slovenia.
  1. Fate un tour di apiturismo a 360 gradi: andate a conoscere tutti gli effetti curativi (e non solo) dell’antica tradizione apistica slovena.
  2. Pernottate in un alveare: nella verde valle della Savinja, potete trasformarvi in un’ape e vivere in capanne a forma di favo, nel Villaggio del Miele.
  3. Viziate i vostri sensi con il miele: alle terme Topolšica potete sperimentare gli effetti calmanti del miele o trascorrere del tempo in compagnia delle api, lasciando che il loro ronzio lenitivo vi faccia rilassare, magari durante un massaggio.
  4. Partecipate al Festival internazionale dei fiori selvatici di Bohinj: prendete parte al primo appuntamento europeo dedicato ai fiori selvatici, che ogni anno celebra anche le api con un ricco programma di eventi a tema.
  5. Degustate le “forme del miele”: assaggiate il vino spumante a base di miele di castagno a Maribor e il tradizionale Lectarstvo, un dolce pan di zenzero a base di pasta di miele, che viene cotto in stampi di latta dalle varie forme e decorato.
  6. Inalate l’aria sana dell’alveare: coccolate il vostro sistema respiratorio e respirate l’aria calmante degli apiari di Selo pri Bledu o nella tenuta Pule in Dolenjska, facendo vostri i benefici delle particelle volatili provenienti dagli alveari.
  7. Fate un salto a Radovljica, la città più dolce della Slovenia: sede del museo dell’apicoltura e di 600 arnie dipinte a mano, è il luogo ideale per conoscere a fondo la ricca tradizione apicola slovena.
  8. Seguite la vostra voglia di conoscenza: iscrivetevi a un laboratorio di apicoltura, imparate a dipingere a mano i pannelli delle arnie o a fare candele di cera d’api.
  9. Visitate il Centro nazionale di apicoltura, nel villaggio di Lukovica: fondato nel 1873, presenta la storia dell’apicoltura slovena e offre svariati percorsi naturalistici, oltre alla possibilità di degustare i tradizionali liquori al miele.
  10. Esplorate i paesaggi della Slovenia  , anche in bici: scoprite la flora autoctona che fa della Slovenia un paradiso per le api.

Breve itinerario di apiturismo in Slovenia

L’Ente ha anche messo a punto un itinerario di quattro giorni, consigliato soprattutto in primavera, per chi vuole andare alla scoperta dei vari aspetti legati all’apiturismo in Slovenia.
Si parte da Lubiana, la piccola capitale slovena che è anche una delle città più bee-friendly al mondo, con svariate esperienze di apicoltura urbana e la possibilità di pernottare al B&B Ljubljana Park, struttura eco-sostenibile che ospita alcuni alveari sul tetto.
Quindi, il giorno successivo, ci si sposta a Bled  dove, oltre ad ammirare il lago, si può essere accompagnati da un apicoltore locale alla scoperta dei tradizionali alveari dipinti nonché assaggiare prodotti a base di miele.
Si va poi a Radovljica: qui le tappe d’obbligo di ogni api-turista sono il Museo dell’apicoltura e la visita alle 600 facciate di alveari dipinti, con scene raffiguranti la vita e le credenze della popolazione locale di un tempo, tratto distintivo dell’etnografia slovena. Non può mancare, inoltre, un assaggio di Lectarstvo.
La giornata si conclude a Žirovnica, sede dell’apiario commemorativo di Anton Janša, pioniere dell’apicoltura moderna.
Il terzo giorno ci si dirige verso la Stiria, facendo una rilassante sosta al centro benessere Skok di Mozirje, i cui eleganti chalet, con saune e vasche idromassaggio, presentano un design a nido d’ape.
Nelle aziende di apicoltura vicino a Maribor è quindi possibile scoprire le tante piante “a misura d’ape” coltivate per la produzione di miele e le loro proprietà erboristiche.
Una deviazione fino al villaggio di Pernice, quasi al confine con l’Austria, consente quindi di affittare una stanza le cui pareti di legno assorbono le vibrazioni provenienti da oltre 20 alveari.
Nella giornata conclusiva del tour, si fa rotta verso il confine italiano. L’apicoltura Skubin Beekeeping, nel villaggio di Hlevnik a Goriška Brda, offre un’esperienza di apiterapia accompagnata dal ronzio delle api.
Ultima tappa è la valle dell’Isonzo (Soča): a Bovec c’è la Casa delle api “Bee Happy Bee House”, per conoscere ogni dettaglio sull’Apis melifera carnica.

La bussola del direttore


LA FOTO DEL GIORNO
Forte l’ondata di maltempo che ha investito il Friuli provocando difficoltà e danni in diversi comuni.  La foto è stata scattata ad Arta terme
Fino a questa sera sarà allerta gialla. Non è ancora una emergenza, tuttavia in alcuni punti il nostro territorio sta soffrendo molto. La zona più danneggiata è la montagna, sulla quale si sono scaricati torrenti e fiumi in  piena


L’estate sta finendo? No. Le previsioni segnalano un abbassamento della temperatura ma non l’arrivo dell’autunno. Già domani dovrebbe andare meglio, meno piogge e temperature in linea


LE GUERRE TRA SLAVI E LONGOBARDI: GENESI DI UN DUALISMO CULTURALE (PARTE PRIMA)

 

INTRODUZIONE

Una delle peculiarità etnico-linguistiche del Friuli è senza dubbio data dalla presenza secolare, per non dire millenaria, di insediamenti slavi lungo la fascia di confine orientale, quasi senza soluzione di continuità; fascia che può essere poi suddivisa nelle varie aree del Carso (o Carsia), del Collio, della Slavia Friulana (o Benecia), della Val Resia (volendo, includibile nella precedente) e della Val Canale. Certamente la migrazione più nota ed emblematica, e che ha in effetti consolidato permanentemente la presenza slava in terra friulana, fu quella favorita dai patriarchi per ripopolare la pianura a cavallo della linea delle Risorgive, resa desolata dalle ferocissime invasioni ungare tra l’898 e il 954. Ma la storia conta due imponenti flussi migratori slavi, o meglio, due stagioni di spostamento di questo popolo; questa era solo la seconda. La prima si realizzò seguitamente all’ingresso longobardo in Friuli e in Italia, ma, mentre il secondo flusso non causò disordini e si sviluppò in maniera pacifica, il primo ebbe come risultato quello di aver fatto scaturire un periodo di forti dissidi tra Slavi e Longobardi, con non pochi episodi di aperto conflitto. Gli esiti degli scontri non lesinarono disastri da ambo le parti, anche se alla fine l’azione longobarda riuscì a confinare gli Slavi ai limiti della Patria del Friuli.

Proprio per questa cruciale importanza che ebbe la difesa e la reazione longobarda nel preservare l’integrità appena costituita del territorio friulano, vale la pena ben approfondire, al pari di altre invasioni più note, le vicende che interessarono questo primo e violento contatto tra queste genti dell’Est e i nuovi padroni del Friuli: un confronto tra una civiltà slava e una germanica in territorio latino. Un mix etnico-storico che il Friuli, per la sua natura geografica, ha permesso di produrre. Buona lettura!

 

ALLE PORTE DEL FRIULI

Diacono

Paul Warnefried, nome di battesimo dello storico longobardo Paolo Diacono, originario di Cividale. Le sue cronache rappresentano un tesoro di informazioni sul Friuli longobardo e su questo popolo in generale. Qui in un codice della Biblioteca Medicea Laurenziana, Firenze.

Lo storico udinese Francesco Prospero Antonini (1809-1884) nel suo libro “Del Friuli ed in particolare dei trattati da cui ebbe origine la dualitá di questa regione” ci racconta che nel 545 il popolo dei Vindi, antenato degli Sloveni e dominato crudelmente dagli Avari, calò dalle terre a est del Danubio nel Norico Mediterraneo, dunque alle porte della Patria, incendiando chiese ed abbazie. Altre fonti indicano invece il termine “Vendi” (presumibilmente un sinonimo) come il nome che i Tedeschi davano agli Sloveni della Carinzia. Ad ogni modo essi nel 548 occuparono la Carniola, quindi la Carinzia, venendo poi però bloccati e ricacciati indietro quando nel Tirolo Orientale si scontrarono coi Bavari del Re Tassilo, circa nel 596, che così impedirono che si compissero scorrerie slave sino in Rezia, l’antica regione a cavallo tra Alpi Centrali e Orientali. In effetti questi flussi, anche violenti, furono solo una conseguenza della volontà di questi proto-Sloveni di liberarsi finalmente dall’opprimente morsa avara. Scesi nel frattempo, seguendo l’ingresso in Italia del Re longobardo Alboino del 568, si insediarono infine, tra il 580 e il 590, nel territorio bagnato dai fiumi Drava, Sava e Mura, quindi grossomodo nel cuore dell’attuale Slovenia, ma anche nella Valle del Gail (detta anche Valle Giulia) e nell’Alto e Medio Isonzo. Ma mancavano ancora le terre sul Golfo di Trieste, quindi Carso e Istria settentrionale, che infatti cominciarono ad essere popolate da Sloveni dopo l’emanazione dell’editto del 619, col quale l’Imperatore d’Oriente Eraclio consentiva la nascita di colonie slave in territori bizantini. Questa nuova e bellicosa popolazione si era ormai stabilita presso i confini del neonato Ducato del Friuli. Tuttavia lo storico cividalese dei Longobardi Paolo Diacono (720-799), noto intellettuale presso la corte di Carlo Magno, non sembra aver fatto cenno in nessuna sua opera alla vicinanza degli Slavi a Cividale, nonostante lo storico bujese Gian Domenico Guerra (1703-1779), posteriore di mille anni, nel suo “Otium forojuliense”, opera che raccoglie trascrizioni di documenti pubblici e privati sulla storia friulana, faccia riferimento a un’antica relazione cividalese che dice: “il monte che occupa il Settentrione, ed il Levante (del territorio di Cividale) é abitato dai Schiavi, così chiamati fino da Paolo Diacono, de’ Schiavi o Illirici di Dalmazia”. “Schiavi” altro non era che l’arcaico nome attribuito agli Slavi. Un importante indizio certamente vero è la lettera (del 598) che Papa Gregorio Magno (540-604) inviò al clero dell’Istria in merito alle incursioni degli Sloveni anche in quella regione. Il riferimento alla loro imminente calata in Italia, e quindi in Friuli, è evidente: “affligor in his, quoniam in vobis patior; conturbor, quia per Istriæ aditum jam in Italiam intrare coeperunt”. C’è infatti da ribadire che queste violente razzie, nonostante non avessero ancora investito il fiero Friuli longobardo, non furono contrassegnate affatto da incontri amichevoli tra le civiltà. Anzi il paganesimo slavo produsse vere e proprie devastazioni in molte località a danno delle testimonianze cristiane, tanto che per due secoli, ove regnarono gli Slavi, non ve ne saranno.

valli

Nelle Valli del Natisone si stanziarono genti slave già nelle prime fasi della dominazione longobarda. Non rappresentarono sempre il confine orientale del Ducato, che in alcuni periodi si estendeva anche più a est, ma erano vitali per bloccare eventuali minacce verso Cividale, capitale del Ducato.

Parrebbe dunque che le genti slave insediatesi sino ai confini della Friuli provenissero dalla vicina Carinzia e Carniola, ma un paio di elementi compromette almeno in parte questa che sembrava una verità ovvia. Già secondo la tradizione radicata proprio nelle terre slave del Friuli, queste genti discenderebbero da Slavi originari della Dalmazia o della Bosnia-Erzegovina, piuttosto che della Carinzia e della Carniola (un tempo detta anche Cragno). E siccome le tradizioni non sono mai campate in aria, ecco subito un riscontro linguistico: un addolcimento nella pronuncia. Gli slavi a nord-est del Friuli dicono latte mleco e fiume reka, mentre quelli del Centro Adriatico fanno mlieco e rieka. Quest’ultimo termine, poi, è facilmente individuabile a livello toponomastico proprio nella regione di cui ci stiamo occupando. “Rieka”, che letteralmente vuol dire “fiume” (vedi per esempio la famosa città, oggi croata, sul Golfo del Quarnaro), nelle Valli del Natisone indica nello specifico proprio tre corsi d’acqua; per cui è come se questi letteralmente si chiamassero “Fiume Fiume” (anche se in realtà si tratta di torrenti e nulla più), una tautologia in pratica, e uno di questi, il più occidentale, dopo essere nato in località Bocchetta di Calla, si inserisce nel Chiarò esattamente nel punto in cui sorgono, non a caso, i Casali Rieca, in Comune di Torreano. Altra similitudine con gli slavi più del sud è la terminazione in “-ac” e in “-ar” di alcune parole, anziché in “-ec” e in “-er”. Lo storico cividalese Carlo Podrecca (1839-1916) ci racconta che alcuni montanari della Benecia, in seguito all’annessione asburgica della Bosnia-Erzegovina (1908), nel recarvisi per adempiere ai loro commerci, notavano la presenza di nomi, nelle famiglie e nei paesi, identici ad alcuni delle loro terre, cosa che non avevano riscontrato nella molto più vicina Carinzia, per esempio. Uno di questi era “Gabrovizza”, toponimo di una certa frequenza se pensiamo che oltre al nostro paese, nei pressi di Cepletischis, esiste una località col medesimo nome anche in Comune di Sgonico, sul Carso triestino, ma anche nel Carso sloveno in Comune di Comeno e in quello di Capodistria. Ma è proprio possibile che le nostre genti di origine slava siano tutte derivate da popoli provenienti da regioni a centinaia di chilometri a sud-est? Rimanendo concentrati sulle Valli, in realtà deve esserci stata una combinazione di due migrazioni, l’una effettivamente irradiatasi dalla Dalmazia, dalla Bosnia e dall’Erzegovina, e l’altra dalle confinanti Carinzia e Carniola. A dimostrarlo ci sarebbero differenze etniche tra la valle di San Pietro e quella di San Leonardo, che suggerirebbero che presso la prima fossero giunti gli Slavi cragnolini, mentre presso la seconda e nel territorio di Prepotto, già Val Judrio, quelli dalmato-bosniaci...continua qui https://forumjuliiblog.wordpress.com/2017/11/18/le-guerre-tra-slavi-e-longobardi/

FVG una regione autonoma, ma chi se ne è accorto?

 


La Regione del Friuli- Venezia Giulia, e già qui sul nome, con o senza trattino, si apre un dibattito che non finisce più, è stata istituita nel 1963 come regione autonoma. A Statuto speciale grazie al suo plurilinguismo. Identità plurisecolare latina, germanica e slava, anche se nel '900 c'è stato l'avvento della supremazia di quella latina, con l'italianizzazione forzata ante fascismo e durante il fascismo e anche un pò post,che ha cercato di spezzare e spazzare via le radici considerate scomode di questa terra di confine. Terra di mescolanza, che per quanto speciale a livello statuario a dire il vero, tolte quelle tutele che più o meno vengono in modo non sempre pieno garantite alle minoranze linguistiche, ha fatto veramente poco nel corso di questi ultimi anni per far emergere il proprio essere speciale. Se in Italia racconti che il FVG è una regione a statuto speciale ti diranno, davvero? Davvero. Sinceramente è difficile far capire da cosa la nostra regione si distingua dalle altre ordinarie. Le province? Abrogate, sostituite dalle UTI, ora dagli EDR. Non è proprio una cosa di cui essere orgogliosi e nessuno ci ha capito una beata mazza. Sigle e siglette, ma siamo sempre alle solite. Sanità? In cosa consiste l'autonomia? Lavoro? Istruzione? Ambiente? La tessera della benzina, ma è una questione di confine più che di autonomia. Avevo presentato una petizione alla Regione FVG  assegnata alla competente Commissione  con la quale proponevo di istituire un modello di suddivisione territoriale similare a quello del Trentino-Alto Adige.  In FVG l'autonomia è veramente soft, ed in questi ultimi anni c'è stato un vero appiattimento sul centralismo statale come non mai. Ed ora, con il taglio dei parlamentari, rischierà di sparire pure la rappresentanza della minoranza slovena nel nostro Parlamento. È evidente che qualcosa non funziona e che una riflessione andrebbe fatta su come rendere più incisivo il sistema dell'autonomia in FVG perchè se si continua su questa strada arriverà presto il momento in cui si metterà sul tavolo istituzionale di Roma in discussione l'autonomia della nostra regione, perchè rischia di essere inutile.

mb

http://xcolpevolex.blogspot.com/

30 ago 2020

Il tempo meteorologico

Oggi ha piovuto a tratti tutto il giorno con lampi,tuoni e fulmini.E' mancata anche la luce e di conseguenza anche l'acqua.Il cielo era plumbeo già dal mattino,poi tornava il sole.Nel cielo è apparso un grandissimo arcobaleno.In Benečija e in Carnia ha fatto danni:allagamenti,frane e smottamenti. Domani le previsioni prevedono un po' meglio di oggi.La temperatura si è abbassata di qualche grado e io spero che rimanga così,non sopporto il caldo.

Proverbio sloveno delle Valli del Natisone/Nediške doline


 Ogni giorno d' autunno sarà come l'ultimo giorno di agosto
dal giornale Dom


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