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L'asino
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M'affaccio alla finestra, e vedo il mare:
vanno le stelle, tremolano l'onde.
Vedo stelle passare, onde passare:
un guizzo chiama, un palpito risponde.
Ecco sospira l'acqua, alita il vento:
sul mare è apparso un bel ponte d'argento.
Ponte gettato sui laghi sereni,
per chi dunque sei fatto e dove meni?
(da Myricae, Giusti, 1891)
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Una breve vacanza mi ha portato in Romagna, sull’Adriatico, negli immediati dintorni di San Mauro, la località dove Giovanni Pascoli nacque e visse per anni e che dal 1932 ha aggiunto al suo nome quello del poeta. La mia stanza d’hotel aveva la vista su quel mare e sono andato a cercarmi questa poesia di cui ricordavo solo il primo verso. Come sempre, in Pascoli, il sentimento, il moto dell’anima, si comunica alle cose: il mare e le stelle della prima quartina vanno a chiamare quel ponte invisibile formato dal riflesso della luna sull’acqua.
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https://www.ilfriuli.it/articolo/cronaca/e--morto-boris-pahor-memoria-storica-del-novecento/2/266917
Si è spento, a 108 anni, Boris Pahor, scrittore triestino di lingua slovena. Con lui se ne va un testimone diretto delle principali pagine di storia del Novecento.
Pahor era sopravvissuto alla Spagnola, che invece uccise l'amata sorella, alle persecuzioni fasciste, alla guerra in Libia, a cinque di lager e al sanatorio francese dove trascorse un anno e mezzo, perché malato di tubercolosi.
Aveva vissuto una vita piena, difficile, contrassegnata dalla violenza e dai contrasti del ‘Secolo breve’, ma anche ricca di successi internazionali, grazie alle sue opere che testimoniano il suo vissuto.
Nato nel 1913 a Trieste, allora porto principale dell'impero asburgico, quando governava Francesco Giuseppe, con la sua vita e i suoi racconti ha attraversato tutto il ‘900: dalle prime persecuzioni della minoranza slovena, allo squadrismo fascista, fino alle Guerre Mondiali e ai campi di sterminio nazisti, dove fu deportato.
Pahor era stato testimone dell'incendio del Narodni Dom - sede centrale delle organizzazioni della comunità slovena -, il 13 luglio 1920 a Trieste, evento che lo aveva profondamente segnato e che aveva poi descritto nella raccolta di novelle "Il rogo nel porto".
Testimone fin da bambino delle discriminazioni verso la sua minoranza, quella slovena, nel 1940 venne arruolato nell'esercito italiano e mandato sul fronte in Libia. Poi nel '43, dopo l'armistizio dell'8 settembre torna a Trieste, ormai sotto occupazione tedesca dove decide di unirsi alle truppe partigiane slovene che operavano nella Venezia Giulia, aderendo alla Resistenza (nel 1955 descriverà quei giorni decisivi nel famoso romanzo Mesto v zalivu ("Città nel golfo"), col quale diventerà celebre nella vicina Slovenia) e nel '44 fu consegnato ai nazisti e internato in vari campi di concentramento in Francia e in Germania (Natzweiler-Struthof, Dachau e Bergen-Belsen). La deportazione durante la Seconda Guerra Mondiale è narrata nel suo capolavoro autobiografico "Necropoli".
Finita la guerra, tornò nella città natale, aderendo a numerose imprese culturali dell'associazionismo cattolico e non-comunista sloveno. Negli Anni '50, diventa il redattore principale della rivista triestina Zaliv (Golfo) che si occupa, oltre a temi strettamente letterari, anche di questioni di attualità. In quel periodo, Pahor continua a mantenere stretti rapporti con Edvard Kocbek, ormai diventato un dissidente nel regime comunista jugoslavo. I due sono legati con uno stretto rapporto di amicizia. Nel 1975 Pahor pubblica, assieme all'amico triestino Alojz Rebula, il libro "Edvard Kocbek: testimone della nostra epoca".
Nel libro-intervista, pubblicato a Trieste, il poeta sloveno denuncia il massacro di 12.000 prigionieri di guerra, appartenenti alla milizia anti-comunista slovena (domobranci), e i crimini delle foibe perpetrati dal regime comunista jugoslavo nel maggio del 1945.
Il libro provoca durissime reazioni da parte del governo jugoslavo. Le opere di Pahor vengono proibite nella Repubblica Socialista di Slovenia e a Pahor viene vietato l'ingresso in Jugoslavia. Grazie alla sua postura morale e estetica, Pahor diventa uno dei più importanti punti di riferimento per la giovane generazione di letterati sloveni, a cominciare da Drago Jancar. Le sue opere, scritte in sloveno, sono tradotte in francese, tedesco, serbo-croato, ungherese, inglese, spagnolo, italiano, catalano e finlandese.
Nel novembre 2008 gli era stato conferito il Premio Resistenza per il libro Necropoli. Il 18 dicembre 2008 Necropoli è stato eletto Libro dell'Anno da una giuria di oltre tremila ascoltatori del programma di Radio 3, dedicato ai libri, Fahreneit.
Membro dell'Accademia slovena delle scienze e arti, Pahor è stato insignito di importanti premi e onorificenze, anche a livello internazionale: fra gli altri, nel 1992 ha ricevuto il Premio Prešeren, massimo riconoscimento per i risultati ottenuti in campo artistico in Slovenia, mentre nel 2007 gli è stata attribuita la Legion d'Onore da parte del Presidente della Repubblica Francese. Più volte candidato al Premio Nobel per la letteratura, ha iniziato la sua vasta produzione, che comprende romanzi e saggi tradotti in una decina di lingue, nel 1948 con i racconti dal titolo Moj traški naslov (Il mio indirizzo triestino).
Il 13 luglio 2020, in occasione della storica visita del Presidente Sergio Mattarella e del suo omologo sloveno Borut Pahor, era stato premiato con la doppia massima onorificenza, italiana e slovena.
Istituito nel 1909 su idea dei giornalisti Tullo Morgagni, Eugenio Camillo Costamagna e Armando Cougnet, è una delle tre corse a tappe più importanti del calendario ciclistico, insieme al Tour de France e la Vuelta a España, ed è inserito dall'Unione Ciclistica Internazionale nel circuito professionistico del World Tour; storicamente è da ritenersi la seconda corsa a tappe più prestigiosa dopo quella francese[1], anche se, a cavallo tra gli anni quaranta e gli anni cinquanta e durante gli anni settanta, il prestigio e il numero di grandi ciclisti iscritti portarono il Giro ad avere un'importanza pari a quella del Tour.
A partire dalla prima edizione si è sempre disputato, salvo che per le interruzioni dovute alla prima e alla seconda guerra mondiale, nell'arco di tre settimane tra i mesi di maggio e giugno, fatta eccezione per il 1946, quando si corse tra giugno e luglio, e il 2020, anno in cui, a causa della pandemia di COVID-19, viene rinviato a ottobre[2]. La corsa si svolge sul territorio italiano, ma occasionalmente il percorso può interessare località al di fuori dai confini italiani (sconfinamenti, arrivi o partenze di tappa, prime tappe). Mentre il luogo di partenza è in genere ogni volta diverso, l'arrivo è il più delle volte posto a Milano, città sede de La Gazzetta dello Sport, il quotidiano sportivo che organizza la corsa sin dalla sua istituzione. Proprio il colore delle pagine della Gazzetta, il rosa, caratterizza dal 1931 la maglia del ciclista primo in classifica; anche per questo motivo il Giro è noto come "Corsa rosa".
Il record di vittorie al Giro è condiviso da tre ciclisti, ognuno con cinque vittorie: gli italiani Alfredo Binda, vincitore tra il 1925 e il 1933, e Fausto Coppi, vincitore tra il 1940 e il 1953, e il belga Eddy Merckx, che vinse tra il 1968 e il 1974. Per quel che riguarda le vittorie di tappa, il record appartiene al velocista italiano Mario Cipollini, che nell'edizione del 2003 riuscì a superare il record di 41 vittorie che dagli anni trenta apparteneva ad Alfredo Binda; a quest'ultimo rimangono i record di vittorie di tappa in una stessa edizione, 12 tappe su 15 nel 1927, e di vittorie di tappa consecutive, ben 8 nel 1929. Parallelamente ogni anno è organizzato anche il Giro Baby riservato alla categoria Under-23 uomini e il Giro Donne riservato alla categoria professionistica femminile.
La nascita del Giro venne formalizzata con un annuncio sulla Gazzetta dello Sport il 24 agosto 1908, con la promessa di 25 000 lire di premio al vincitore e la volontà di organizzare «una delle prove più ambite e maggiori del ciclismo internazionale». Nell'organizzazione del Giro la Gazzetta dello Sport anticipò di poco il Corriere della Sera, che stava per dare il via a un'iniziativa ciclistica nazionale sulla scorta dell'analogo Giro automobilistico d'Italia lanciato qualche anno prima.[3] Il primo Giro d'Italia partì il 13 maggio 1909 alle 2:53 da Piazzale Loreto, a Milano, con 127 ciclisti al via.[3] La prima tappa di sempre fu vinta da Dario Beni sul traguardo di Bologna dopo 397 km a 28,090 di media oraria. Fra il 13 e il 30 maggio si corsero otto tappe, per complessivi 2.447 chilometri, che videro affrontarsi i migliori ciclisti dell'epoca: tra essi Giovanni Gerbi, Giovanni Rossignoli, Luigi Ganna (cui andò la vittoria finale), Carlo Galetti, Eberardo Pavesi e Giovanni Cuniolo.[4] La classifica fu stilata a punti, sulla base dei piazzamenti nelle tappe, e il montepremi effettivo fu di 18 900 lire, di cui 5 325 per il vincitore.[4]
Le due seguenti edizioni videro imporsi Carlo Galetti, sempre con un sistema di graduatoria a punti. Da segnalare negli annali è il quarto Giro, quello del 1912, in cui venne stilata la sola classifica per squadre: la vittoria andò così ufficialmente all'Atala (formata da Ganna, Galetti, Pavesi e Micheletto), e solo in via ufficiosa, a livello individuale, a Carlo Galetti. Dopo un Giro 1913 in cui si tornò alla classifica individuale a punti, vinto da Carlo Oriani, nel 1914 fu introdotta la classifica generale a tempo, tutt'ora in vigore, che sostituiva quella a punti: si impose Alfonso Calzolari, nonostante una penalizzazione di tre ore comminatagli dalla Gazzetta e l'iniziale squalifica da parte dell'Unione velocipedistica italiana, revocatagli solo nel 1915 dal Tribunale di Milano, per essersi attaccato a un'autovettura sulla Salita delle Svolte, in Abruzzo.[5] Quel Giro 1914, considerato il più duro di sempre, fu portato al termine da soli otto ciclisti su 81 partiti; si ebbero anche la tappa più lunga di sempre, 430,3 km da Lucca a Roma, e la media oraria di percorrenza più bassa di sempre, 23,347 km/h.[6][5]
La partenza della corsa nelle prime edizioni del Giro fu sempre a Milano, tranne che nel 1911, quando si partì da Roma per celebrare il cinquantenario dell'Unità d'Italia;[4][7] l'arrivo fu invece posto a Milano nel 1909, 1910, 1913 e 1914, mentre nel 1911 fu ancora a Roma e nel 1912 fu spostato da Milano a Bergamo con l'aggiunta di un'ulteriore tappa in sostituzione della frazione Pescara-Roma annullata per lo straripamento di un torrente.[8][4] Dal 1915 al 1918 la corsa dovette quindi fermarsi per l'ingresso dell'Italia nella Prima guerra mondiale.
continua ...https://draft.blogger.com/blog/post/edit/2963768517500394620/1575995704887181417
Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori; porta le ortiche e i fiori, i serpi e l’usignol. Schiamazzano i fanciulli in terra, e i...