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da wikipedia |
L'asino
di Angelo Floramo
Bestia da soma e dunque somaro. L’asino ha rivestito un ruolo estremamente importante nella storia dell’agricoltura friulana, almeno fino al secondo dopoguerra. Fu proprio quello il tempo in cui il “mus” venne sostituito dal meno recalcitrante trattore, più efficace, forse, ma sicuramente meno capace di empatia e difficilmente eleggibile a figura degna dell’immaginario collettivo. Per secoli questa bestia “dolce e docile”, come amava definirla Ippolito Nievo, venne impiegata per gravarne il basto di ogni peso malagevole da trasportare a spalla d’uomo o a dorso di donna. Carico di sacchi di granaglie, percorreva i sentieri che dai borghi rurali conducevano ai mulini, rientrando poi a casa con la farina; oppure risaliva in silenzio i tratturi di montagna, portando nelle bisacce di cuoio che gli scendevano dai fianchi gli strumenti utili a boscaioli, carbonari e minatori. Ma anche ai fabbri o ai falegnami delle tante officine e segherie disseminate lungo le pendici delle vallate alpine. Formidabile nel trascinare i tronchi fino agli scivoli di legno che li avrebbero fatti scendere a valle, spesso veniva impiegato nelle viscere della terra per tirare i pesanti vagoni nelle gallerie dove si estraevano il piombo o lo zinco. Sicuramente metteva allegria quando entrava in città, agghindato a festa con tanto di collane di fiori o cappelli di paglia, trainando in pariglia carretti pieni di frutta e verdura per il mercato. E di questo esiste ancora memoria a Udine. Viene ingiustamente associato all’ostinazione e alla stupidità nei proverbi che la tradizione popolare utilizzava per trasmettere una sapienza spicciola, e tuttavia ispirata al buon senso (A lavà il cjâf al mus si bute vie la aghe e si infastidìs le bestie: nel lavare la testa all’asino si butta l’acqua e si infastidisce la bestia), Indicato dalle maestre più severe come un esempio da non seguire, le sue lunghe orecchie hanno incoronato più di qualche zucca vuota dietro alla lavagna come marchio vergognoso d’infamia. Eppure la notte di Natale, almeno fino agli inizi del secolo XIII, era consuetudine che i presbiteri, anche nelle nostre pievi, intonassero il Kyrie Eleyson Asini con una voce che nel canto gregoriano imitava l’asprezza del raglio. Un asino campeggia tra i mosaici dell’Aula Nord della Basilica di Aquileia. E negli affreschi di Valvasone un Asino ammaestra un Lupo. D’altronde Cristo nacque in una mangiatoia riscaldata da un mus. E per entrare in Gerusalemme non scelse certo la sella di un destriero
Cara Olga,
RispondiEliminaBuona sera,
Abbracci,
Mariette
Vero! Una creatura utilizzata per secoli da quelle parti.
RispondiEliminaSo che alcune specie di asini sono protette adesso per il rischio di estinsione.
Il commento appena sopra non è anonimo.
RispondiEliminaCiao,
Giorgio