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8 gen 2021
Korütu - Coritis canta Rino Chinese
A difesa dell’insegnamento plurilingue
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Gennaio di Roberto Piumini

dal web
Poesia di Roberto Piumini
Gennaio
Gennaio è un mese
freddo e scortese
porta una sciarpa
di neve e fango,
non suona l'arpa
non balla il tango
batte fra i denti
la pipa spenta,
grida lamenti
poi s'addormenta.

Gennaio
freddo e scortese
porta una sciarpa
di neve e fango,
non suona l'arpa
non balla il tango
batte fra i denti
la pipa spenta,
grida lamenti
poi s'addormenta.
Nel 1978 ha pubblicato il primo libro: Il giovane che entrava nel palazzo, con le Nuove Edizioni Romane, che vince il Premio Cento nel 1979, la cui giuria è presieduta da Gianni Rodari.[1] Per bambini e ragazzi ha pubblicato, presso più di 80 editori, fiabe, filastrocche, poesie, poemi, racconti, romanzi, testi teatrali, testi di canzoni, e opere musicali, soggetti, sceneggiature, traduzioni e riscritture di mitologia. Ha pubblicato testi di poesia, prosa e teatro su riviste per bambini. Ha pubblicato testi su riviste educative e libri scolastici.
Per adulti ha pubblicato, presso più di 30 editori, racconti, romanzi, raccolte di poesie, poemi, testi di poesia e prosa su illustrazioni e fotografie. Ha pubblicato prose e poesie su riviste letterarie e giornali. Molti suoi libri per bambini e ragazzi, e alcuni di quelli per adulti, sono tradotti in una ventina di lingue. Ha scritto una ventina di libri a quattro mani con altri Autori, per bambini, ragazzi e adulti.
Ha fatto numerosissimi incontri in scuole, biblioteche, centri culturali, in ogni regione d'Italia e stati europei ed extraeuropei...https://it.wikipedia.org/wiki/Roberto_Piumini
https://www.poesie.reportonline.it/poesie-di-gennaio/poesie-su-gennaio-roberto-piumini-gennaio.html
Poesia di Carlo Michelstaedter
![]() |
| autoritratto da wikipedia |
CARLO MICHELSTAEDTER
ONDA PER ONDA BATTE SULLO SCOGLIO
Onda per onda batte sullo scoglio
- passan le vele bianche all'orizzonte;
monta rimonta, or dolce or tempestosa
l'agitata marea senza riposo.
Ma onda e sole e vento e vele e scogli,
questa è la terra, quello l'orizzonte
del mar lontano, il mar senza confini.
Non è il libero mare senza sponde,
il mare dove l'onda non arriva,
il mare che da sé genera il vento,
manda la luce e in seno la riprende,
il mar che di sua vita mille vite
suscita e cresce in una sola vita.
Ahi, non c'è mare cui presso o lontano
varia sponda non gravi, e vario vento
non tolga dalla solitaria pace,
mare non è che non sia un dei mari.
Anche il mare è un deserto senza vita,
arido triste fermo affaticato.
Ed il giro dei giorni e delle lune,
il variar dei venti e delle coste,
il vario giogo sì lo lega e preme
- il mar che non è mare s'anche è mare.
Ritrova il vento l'onda affaticata,
e la mia chiglia solca il vecchio solco.
E se fra il vento e il mare la mia mano
regge il timone e dirizza la vela,
non è più la mia mano che la mano
di quel vento e quell'onda che non posa…
Ché senza posa come batte l'onda
ché senza posa come vola il nembo,
sì la travaglia l'anima solitaria
a varcar nuove onde, e senza fine
nuovi confini sotto nuove stelle
fingere all'occhio fisso all'orizzonte,
dove per tramontar pur sorga il sole.
Al mio sole, al mio mar per queste strade
della terra o del mar mi volgo invano,
vana è la pena e vana la speranza,
tutta è la vita arida e deserta,
finché in un punto si raccolga in porto,
di sé stessa in un punto faccia fiamma.
(Pirano, agosto 1910)
.
Di Carlo Michelstaedter e della sua travagliata vita conclusa da un colpo di rivoltella a soli ventitré anni si è già detto. Questa è una delle ultime poesie che scrisse, due mesi prima del gesto definitivo. Appare chiaro che l’impossibilità di dire l’inesprimibile lo tormenta: ne risulta un discorso che veleggia tra il tragico e il mistico e si dipana di fronte al mare di Pirano, dove il giovane poeta e filosofo si era ritirato dopo la tesi e dopo aver comunicato al padre che non sarebbe stato professore ma che si sarebbe ritirato al mare.
Quella strofa finale racchiude in sé tutto il dolore di Michelstaedter, basta a spiegare perché vivere gli sia parso insostenibile fino a diventare “fiamma” – e del resto sulla tesi di laurea aveva disegnato una lucerna e la parola greca απεσβησθεν, “io mi spensi”. Alla sorella Paula aveva indirizzato una poesia che rappresentava una specie di biglietto d’addio: le diceva “Lasciami andare, Paula, nella notte / a crearmi la luce da me stesso, / lasciami andar oltre il deserto, al mare / perch'io ti porti il dono luminoso / … molto più che non credi mi sei cara .
Carlo Raimondo Michelstaedter (anche Michelstädter) (Gorizia, 3 giugno 1887 – Gorizia, 17 ottobre 1910) è stato uno scrittore, filosofo e letterato italiano.
https://cantosirene.blogspot.com/search?updated-max=2010-01-06T08:04:00%2B01:00&max-results=7
7 gen 2021
Con la enne maiuscola / Božič z veliko začetnico
Il Natale! Natale in famiglia. Un’occasione ancora per fomentare diatribe politiche, discussioni, pareri discordi, invettive, indignazioni,progettazioni di alternative ai divieti e quant’altro. Non voglio entrare anch’io in questo bailamme, tuttaviami sia permessa qualche riflessione. La prima questione che mi pongo è: di quale Natale parliamo? Quello con la N maiuscola è uno solo: commemorazione della nascita di Gesù, il bambino che gli angeli proclamano figlio di Dio e che nasce in una stalla da una donna. Lei non si è fatta i capelli dalla parrucchiera, non ha l’abito firmato, non ha collane d’oro e diamanti. E il bambino? Non fa in tempo ad attaccarsi al seno che già deve scappare in Egitto per non finire vittima innocente in una strage programmata dal potere costituito. E meno male che gli angeli cantavano in coro: «Pace in terra agli uomini che Egli ama».
Che gli uomini abbiano bisogno di pace nell’amore reciproco rimane ancora il messaggio, più valido che mai, dopo oltre due millenni da quel canto sopra Betlemme. Se si potesse parlare e riflettere su questo vero Natale, allora tutte le diatribe, il fracasso, le esplosioni verbali dei social che stanno ribollendo per questa ricorrenza – che dovrebbe essere di natura spirituale, di silenzio, di meditazione, di presa di coscienza – non avrebbero senso.
Mi ha colpito il commento al vangelo della seconda domenica d’Avvento incentrato sulle parole: «Nel deserto preparate le vie del Signore». Il celebrante, magari evitando l’interpunzione, ha voluto unire la frase sottolineando il valore semantico del deserto come atteggiamento in attesa della venuta di Gesù e di preparazione a qualcosa di coinvolgente, come lo è il messaggio di un uomo, che, creduto o meno Dio, indica comunque l’unica strada percorribile dall’umanità in cerca di pace e salvezza.
Oggi è lo stesso messaggio, ben diverso, che proviene dall’interno degli ospedali e dalle case dei malati, e dice in altro modo, in modo sofferto, che non c’è salvezza all’infuori della solidarietà, della condivisione, della presa di coscienza del fatto che solo l’amore porta da qualche parte, non certo l’odio, l’egoismo, l’affare, il consumo sfrenato ed il guadagno come fine ultimo.
E qui entriamo appunto nel secondo modo di intendere il Natale, quello dominante e pervasivo che ha surclassato il primo. Oggettivamente c’è da chiedersi che abbiano a che fare Babbo natale o Dedek mraz,spese forsennate, mania dei regali, corsa alla soddisfazione di ogni futile desiderio represso?
Al giorno d’oggi delle grandi festività cristiane rimane un simulacro che sbeffeggia il trascendente, lo spirituale, l’anima, per creare un madornale falso da baraccone. Intendiamoci, non sono certo contrario alla festa, al raduno famigliare, al pranzo o al cenone delle grandi occasioni; non dimentico affatto che il primo miracolo di Gesù avvenne ad un pranzo di nozze.
Quanta confusione di fronte alle prese di posizione da parte delle autorità costituite nel tentativo sacrosanto di frenare il coronavirus. Quante contraddizioni proprio laddove dovrebbe prevalere
la responsabilità ed il buon senso di fronte ad una tragedia immane, peggiore della guerra, perché qui il nemico non sta su un fronte opposto, ma addirittura dentro di noi.
Quest’anno il Natale, per la situazione oggettiva in cui si trova l’umanità, dovrebbe essere invece un richiamo a qualcosa che va al di là del contingente, del puramente materiale, del denaro, del godimento momentaneo, in vista di maggior bene comune. Sarebbe opportuno un po’ di «deserto», non certo fame e sete, bensì deserto come atteggiamento mentale per impostare nel silenzio una profonda riflessione sul senso della vita, dal momento che mai in tale ampiezza e profondità la vita stessa si sta mettendo in forse a dimensione globale per la pandemia.
Chiedersi il senso di quest’esistenza divenuta incerta, effimera, incontrollabile così come lo è il virus che la insidia. Lo so, sembrerebbe un insulto per benpensanti, agnostici, atei, indifferenti e superficiali, proporre loro un richiamo al significato del deserto; quello del vangelo. È un luogo simbolico, il deserto. Che non è solo quello fisico, ma quello a cui magari siamo costretti dalle quarantene. Deserto che non dovrebbe essere aridità e dispersione, ma riflessione, una fermata nell’attesa di un bene da costruire, sostituendo il furore consumistico con un rientro nella parte spirituale di noi stessi. «Nel silenzio del deserto – anche simbolico – si costruisce, pur nella fatica e nell’aridità che avvolge la nostra esistenza, il ritorno alla propria terra, cioè il ritorno al bene – diceva il celebrante – al proprio essere se stessi, all’impegno di dare il meglio di sé, ascoltando nel silenzio di sé la voce del fratello». Ed il fratello ci chiede responsabilità, ci chiede l’enorme sacrificio di salvaguardarlo dal pericolo incombente dovunque. Con la coscienza che nel mentre salvaguardiamo la salute della persona che ci sta accanto, salvaguardiamo la nostra.
Anche se pochi lo pensano, il Natale, quello vero, porta il senso della nascita e rinascita della speranza, valore da coltivare tutti insieme. Tutto ciò è profondamente cristiano. E profondamente umano.
Riccardo Ruttar
https://www.dom.it/con-la-enne-maiuscola_bozic-z-veliko-zacetnico/
Alla bilingue vorrebbero aprire la sezione primavera-Na dvojezični šoli bi radi odprli “pomladni” oddelek /
Ivan Trinko
evidenzia
MAGGIOLATA DI GIOSUè CARDUCCI
Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori; porta le ortiche e i fiori, i serpi e l’usignol. Schiamazzano i fanciulli in terra, e i...


