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Questo blog parla delle minoranze linguistiche del Friuli:SLOVENA,FRIULANA eTEDESCA,articoli dei giornali della minoranza slovena,degli usi,costumi,eventi e tanto altro.Buona lettura.OLga

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15 gen 2022

Siamo nel 2022. È ora di una svolta/Smo v letu 2022. Čas je za preobrat


La questua dei Re Magi il 6 gennaio a Valbruna/Koledovanje Svetih treh kraljev 6. januarja v Ovčji vasi



Al di là degli imprevedibili sviluppi della pandemia, per Benecia, Resia e Valcanale nell’anno nuovo si presentano nuove opportunità che, se colte e sfruttate al meglio, potrebbero segnare la tanto attesa inversione di rotta verso un futuro migliore.

Il consigliere regionale Giuseppe Sibau si attende molto dall’inserimento delle valli del Natisone e del Torre nella Strategia nazionale per le aree interne. «L’ok di Roma dovrebbe giungere in breve, è questione di qualche mese. Almeno questa è la sensazione trasmessami dall’assessore Stefano Zannier», riferisce. Poi spiega: «L’Europa prevede ogni anno finanziamenti per aree interne montane, ma se ne può usufruire solo se si rientra nei territori che vi sono inseriti. Nella scorsa legislatura erano previsti ogni anno 7,8 milioni di euro per le aree interne del Friuli Venezia Giulia, ma noi non ci rientravamo. Debora Serracchiani ci diceva che avrebbe compensato la Regione, ma poi arrivavano fondi per un decimo rispetto a quanto sarebbe potuto arrivare. Adesso la situazione cambierà e non è poca cosa. Aree interne sono considerate zone marginali e con un forte calo demografico, nelle quali è necessario mantenere un presidio umano, per cui beneficeremo di tutte le nuove iniziative».

È restata nel cassetto, invece, la proposta di legge per la montagna predisposta un anno fa da Sibau e dal collega Emanuele Zanon. «L’assessore Zannier ha ritenuto che con l’avvio delle Comunità di montagna ci siano tutti gli strumenti per intervenire efficacemente e non sia necessaria una nuova legge, che graverebbe sull’aspetto burocratico», fa sapere Sibau.

Il consigliere regionale di Iesizza vede rosa anche perché «oggi la Regione dispone di una sufficiente riserva economica, di conseguenza si potranno realizzare nelle nostre valli diversi interventi di sviluppo turistico e promozione del territorio, proseguendo in un impegno già iniziato. In questo e nel prossimo mese sono già in programma riunioni per mettere a punto progetti di rilancio. Ad esempio, potranno arrivare a traguardo dei progetti di valorizzazione del Natisone».

Anche Alan Cecutti, sindaco di Taipana, guarda all’anno nuovo con ottimismo.

«Nel calendario transfrontaliero, ho formulato l’augurio che il 2022 ci porti felicità nel riprendere i rapporti tra persone e le amministrazioni dei territori, senza dimenticare questo periodo difficile che ha colpito tutti, ma che ci deve far riflettere, nel ridare a ognuno di noi la forza e l’amore per ripartire tutti insieme con nuove collaborazioni, verso lo sviluppo di nuovi progetti, ripartendo con le tradizioni paesane tra festività culturali e gastronomiche, dove l’unione tra natura e sport porterà cambiamenti positivi nelle nostre splendide valli», dice.

«Nell’anno nuovo – prosegue – siamo entrati con notizie positive dalla politica regionale, che ci fanno guardare al futuro con maggiore ottimismo. Mi riferisco al consistente aumento dei fondi per lo sviluppo economico e sociale della fascia confinaria da Tarvisio a Prepotto e per questo va un doveroso ringraziamento all’assessore regionale Pierpaolo Roberti che ha compreso il senso della richiesta giunta dai nostri territori, l’ha accolta e sostenuta fino all’approvazione in Consiglio regionale. E a questo va aggiunto il forte impegno della Giunta regionale, in primo luogo dell’assessore Zannier, affinché anche le valli del Torre e del Natisone entrino nella Strategia nazionale per le aree interne, dalla quale erano state inspiegabilmente escluse dalla precedente amministrazione regionale Serracchiani, ottenendo fondi indispensabili per eliminare le criticità che ne provocano la marginalizzazione».

Il Comune di Taipana in questo 2022 andrà al voto per rinnovare l’amministrazione, così pure quello di Savogna, il cui sindaco, Germano Cendou, evidenzia i problemi che attendono risposta. Uno grosso è il perdurare della chiusura del pronto soccorso dell’ospedale di Cividale. «Va riaperto immediatamente e come amministrazione abbiamo sollecitato la Regione con un apposito documento. Non è possibile che dalle Valli del Natisone si debba andare a Udine per fare otto, dieci ore di attesa per essere curati», afferma.

Sul piano politico, Cendou evidenzia come la Comunità di montagna del Torre e Natisone sia ancora ferma ai nastri di partenza. «Ora come ora è partito solo lo Sportello unico delle attività produttive e il direttore generale non è ancora pienamente operativo, prestando servizio anche in diversi comuni. Noi piccoli Comuni abbiamo bisogno di mettere in comune i servizi di ragioneria, edilizia privata, polizia locale e altri. La Comunità dovrebbe anche predisporre un progetto generale per il nostro territorio nell’ambito del Piano nazionale di ripresa e resilienza. Auspico anche una stretta collaborazione con la Comunità del Friuli Orientale, magari attraverso un direttore generale in condivisione, che possa avere una visione d’assieme del territorio».

Il sindaco di Savogna tra i probemi locali evidenzia l’urgenza di un intervento sulla viabilità che porta in Slovenia attraverso l’ex valico di Polava-Livek. «La carreggiata è in condizioni disastrose e andrebbe anche ampliata per permettere il passaggio di autobus e favorire così il flusso turistico dalla valle dell’Isonzo».

Cendou è soddisfatto dell’aumento dei contributi per lo sviluppo di Benecia, Resia e Valcanale nell’ambito della legge di tutela. «Ora bisogna lavorare perché quei fondi siano spesi bene, per interventi specifici per la comunità slovena con l’obiettivo di far restare la popolazione sul territorio e richiamare i giovani a vivere e lavorare qui». (Ezio Gosgnach)

continua in sloveno https://www.dom.it/smo-v-letu-2022-cas-je-za-preobrat_siamo-nel-2022-e-ora-di-una-svolta/

15 nov 2020

Impegno vero per i dialetti

 


EDITORIALE

Marino Qualizza

Mi ha fatto un gran piacere vedere il telegiornale Rai in lingua slovena delle 20.30, quando ha mostrato come a Codromaz, Canebola e Masarolis fosse viva la nostra lingua, chiaramente nella versione dialettale, ma pur sempre appartenente alla grande quercia della lingua slovena, come dichiarano da anni, inascoltati, gli slavisti italiani. Che si sia conservata e che i superstiti dello spopolamento l’abbiano mantenuta viva, fa grande piacere.

Vedo ora che la Giunta regionale ha approvato un «Regolamento per la concessione di finanziamenti in favore del resiano e delle varianti linguistiche delle Valli del Natisone, del Torre e della Val Canale». Si potrebbe dire, tanto tuonò che piovve. L’insistenza dei promotori per questi finanziamenti,dopo l’approvazione della legge statale in difesa dello sloveno, nel 2001, ha trovato udienza in Regione. Si sa che le decisioni politiche non sono dichiarazioni scientifiche né si fondano su studi di glottologia, ma rispondono ad una esigenza funzionale.Ciò che ci interessa particolarmente in questo caso, è l’uso dei finanziamenti. Dopo il 2001 è sorto un interesse mai visto per i dialetti. Potremmo dire che è il primo effetto positivo della legge di tutela, ma esso ha due esiti non coincidenti. Se questi finanziamenti vanno veramente per la promozione di queste varianti, siamo i primi a esultare. Da sempre sosteniamo i nostri dialetti e li consideriamo come base per la conoscenza anche della lingua corrente. Le due cose vanno bene e convivono in tutto il mondo, con buona pace di chi teme la scomparsa dei dialetti.Questi in realtà stanno scomparendo perché pochi li parlano, a partire da coloro che ora si affidano alla Regione. Dobbiamo affidarci a noi, altrimenti non succede proprio nulla. E allora ci sorge il sospetto che anche questo aiuto regionale sia una maschera per nascondere tutto e impedire quanto si vuole promuovere. Soprattutto se si vuole affermare che queste varianti fanno parte di una lingua slava scomparsa. Sarebbe veramente deplorevole e una presa in giro, che questi finanziamenti servissero ad altri scopi. Ma visto che l’astuzia umana ha mille risorse, dovremo fare attenzione per il buon uso di un bene comune.

dal Dom del 15/11/2020

8 nov 2020

Lavorando insieme arrivano risultati



Da un mese è partito anche l’Invito pranzo che proseguirà fino all’8 dicembre. «Le prime due settimane sono state un po’ in sordina, forse anche a causa del brutto tempo – racconta la presidente dell’associazione Invito a pranzo, Tiziana Strazzolini –. Nell’ultimo periodo, invece, l’afflusso è stato buono. So che la settimana del Burnjak, quella del 18 ottobre, quasi tutti avevano esaurito i posti. Molte sono state le prenotazioni anche per questa ultima settimana». Quest’anno si può rilevare che mancano forse i gruppi degli altri anni, vi è maggiore presenza di famiglie o di coppie. «Molti da tutta la Regione hanno richiesto i libretti di Invito a pranzo», spiega la presidente di Invito che si chiede se forse non si sia iniziato tardi a distribuirli. Sicuramente l’attuale clima di incertezza non aiuta nessuno. In generale i locali che partecipano a Invito a pranzo si sono detti soddisfatti di come sta procedendo l’edizione autunnale dell’iniziativa, ci sono tantissime richieste per il pranzo domenicale, alcune non si riescono a soddisfare, procede bene anche il sabato. I locali dove si può prenotare sono l’agriturismo La casa delle rondini, la trattoria Alla cascata, la trattoria Ai colli di Spessa, l’osteria Al Colovrat, la trattoria Da Walter, l’Osteria di delizie e curiosità, la trattoria Gastaldia d’Antro, la trattoria Al Giro di boa, l’agriturismo Monte del re, la trattoria Da Na.Ti., l’agriturismo Pestrofa, il Rifugio Pelizzo e la trattoria Vartacia.

Sapori nelle Valli, invece, ha organizzato un’iniziativa che ha coperto l’intero mese di ottobre, ogni fine settimana ha avuto il proprio protagonista: la prima, quella del 3 e del 4 ottobre, è stata caratterizzata dalla gubana, la seconda, del 10 e dell’11 ottobre, dalla castagna, quella del 17 e del 18 ottobre, dalle mele; l’ultimo appuntamento, del 24 e del 25 ottobre, dedicato all’innovazione, è purtroppo saltato nell’incertezza provocata dalle ultime misure di contenimento della Covid-19.

Come ci ha spiegato Mauro Pierich, l’iniziativa è stata un vero e proprio successone, con numeri molto importanti, nonostante il tempo non sia stato sempre clemente. Di sicuro è stata premiata anche

la buona volontà di riprendere un’iniziativa – quella della castagnata su quattro domeniche che si svolgeva proprio nello stesso stabile della zona industriale utilizzato da Sapori nelle Valli – che era molto amata dalla gente del luogo e di fuori e di cui si sentiva la mancanza. «I numeri sono molto importanti – ci ha detto Pierich. La prima fine settimana abbiamo registrato 680 ingressi, registrando un numero di telefono per gruppo, la seconda fine settimana ha visto 510 ingressi il sabato, un centinaio la domenica; il vero successo è stata la terza fine settimana, anche se abbiamo comunque avuto una giornata di brutto tempo: il sabato, nonostante la pioggia, abbiamo avuto 300 ingressi e la domenica oltre millecento».

Non hanno partecipato tutte le aziende dell’associazione Sapori nelle Valli, quelle presenti erano: l’azienda agricola Valnatisone (Pulfero), l’azienda agricola La Seuka (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Tropina, l’agriturismo Pestrofa (San Pietro al Natisone), l’azienda agricola Floram (Pegliano), la Corte delle Lumache (San Pietro al Natisone), Birra Gjulia (San Pietro al Natisone), Gubane Dorbolò (San Pietro al Natisone), Apicoltura Cedarmas (San Pietro al Natisone), Giuditta Teresa Gubane (San Pietro al Natisone), Antico Molino Pussini (San Pietro al Natisone), Ajo& Ojo (San Pietro al Natisone) e Gubana Cedarmas (Pulfero).

«Abbiamo abbinato questa iniziativa con Invito a pranzo, i ristoratori proponevano nelle giornate a tema il tema della nostra manifestazione. Sono state organizzate camminate da parte della Pro loco Nediške doline e da Forest-Studio naturalistico», spiega Pierich, il quale aggiunge che: «c’è stata sinergia fra più associazioni, che dimostra che lavorando assieme per il bene comune delle Valli i risultati vengono fuori per tutti».

dal Dom del 31 ottobre 2020


4 nov 2020

«Vahti» e «Verne duše», finestre sul Paradiso e sul Purgatorio

 La nostra gente viveva nel raccoglimento e nella preghiera le ricorrenze del 1° e 2 novembre. Alla sera, recitava il rosario, eseguiva canti adatti alla circostanza e i vecchi raccontavano episodi sulla morte che terrorizzavano i bambini… Per i Celti erano i giorni in cui i morti entravano in comunicazione con i vivi

Giorgio Banchig

In questa vigilia della festa di Tutti i santi e della Commemorazione dei defunti facciamo un rapido passaggio dal medievale britof, luogo del ballo, del mercato e del giudizio, che si svolgevano durante la festa dell’opasilo, dove regnava la «pace di fiera», all’odierno britof dove riposano in pace i nostri morti e dove ci rechiamo nei primi due giorni di novembre.

Nello sloveno della Benecia e di altre regioni slovene (Primorska e Notranjska) la festa dei Santi è chiamata

Vahti (la dicitura ufficiale è Vsi sveti/ Tutti i santi), mentre la ricorrenza del giorno seguente è denominata Vernih duš dan/

Giorno delle anime fedeli o semplicemente Verne duše/ Anime fedeli. Vahti si fa derivare dal verbo tedesco

wachen = vegliare, stare svegli (da cui anche il verbo (v)ahtati = vegliare, vigilare, sorvegliare). In sloveno il termine vahta significa guardia, sentinella, sorvegliante derivato dal tedesco wahte/waht con lo stesso significato che poi si è sviluppato nell’attuale Wacht (Snoj M., Slovenski etimološki slovar ³, www. fran.si, 17. 10. 2020).

Marko Snoj ribalta questa radicata convinzione e ipotizza che Vahti derivi dal tedesco Weihtag, con significato di festa, composto da weihen = santificare, consacrare, e Tag = giorno. La festa di Tutti i santi in tedesco è detta Allerheiligen (= tutti i santi) Weihtag (= festa); Vahti si sarebbe affermato nello sloveno dopo che nella

lingua corrente tedesca sarebbe stato eliminato il primo termine Allerheiligen (Snoj M., Slovenski etimološki slovar ³, www.fran.si, 17. 10. 2020). Ma lo stesso Snoj usa il condizionale nel proporre la sua teoria, perciò lascio agli studiosi di questa complicata materia il compito di illuminarci ulteriormente sull’etimologia di Vahti e vado a trattare dell’origine e del significato di queste ricorrenze religiose.

Il 1° novembre si onorano le persone canonizzate e beatificate dalla Chiesa, ma anche quelle che hanno già raggiunto la piena gioia del Paradiso, mentre il giorno seguente si prega in suffragio delle anime che si trovano in Purgatorio per purificarsi e ottenere la santità necessaria per essere ammesse alla visione di Dio. Nella prassi odierna le due festività si sono fuse in una sola: quasi dappertutto alla santa messa del 1° novembre segue la visita al cimitero per un momento di preghiera sulle tombe dei defunti.

Ma la liturgia della Chiesa distingue nettamente le due ricorrenze come avveniva nelle nostra Benecia fino a qualche decennio fa, quando tutte le parrocchie erano provviste di sacerdoti e il 2 novembre era un giorno semifestivo. Il 1° novembre, in mattinata, veniva celebrata la messa solenne di Tutti i santi; la funzione pomeridiana, invece, era divisa in due tempi: all’inizio venivano cantati i vesperi della festa dei Santi e impartita la benedizione eucaristica; seguiva una pausa, durante la quale veniva allestito il catafalco dei defunti e l’addobbo degli altari con drappi neri, poi venivano cantati o recitati i primi vesperi dei Defunti. Al termine i fedeli si disponevano alla processione verso il cimitero (dove questo era distante dalla chiesa) con un ordine prestabilito: dietro la croce affiancata dalle lanterne nere si allineavano gli uomini ai due lati della strada, seguiva il parroco con la teoria dei chierichetti e i cantori, le donne chiudevano il corteo in ordine sparso. Durante il percorso, accompagnato dai rintocchi delle campane a morto, si cantava il Miserere e il De profundis. Il giorno seguente i sacerdoti avevano la facoltà di celebrare tre sante messen suffragio dei defunti; al termine della terza veniva ripetuta la processione in cimitero. Questa divisione delle due ricorrenze ubbidiva alla tradizione liturgica della Chiesa secondo la quale le solennità religiose iniziano con i primi vesperi, dopo il tramonto della vigilia, e terminano con i secondi vesperi, al tramonto del giorno di festa.

Oltre a partecipare alle funzioni liturgiche, la nostra gente viveva nel raccoglimento e nella preghiera le due ricorrenze: alla sera si recitava il rosario, tutto intero, si eseguivano canti adatti alla circostanza, si ricordavano i defunti della famiglia; i vecchi raccontavano episodi sulla morte, sull’apparizione dei defunti o sull’aldilà, che terrorizzavano i bambini… Durante tutta la serata, in qualche paese fino a mezzanotte, suonavano ininterrottamente le campane: in tono di festa il 31 ottobre, da morto il 1° novembre.

Le feste cristiane del 1° e 2 novembre hanno origini antiche e si sono innestate su precedenti tradizioni pagane. Esistono testimonianze certe che fanno risalire al II secolo in Oriente e al III in Occidente la commemorazione dei santi martiri nell’anniversario della loro morte. Sant’Efrem Siro colloca nel 373 l’inizio di una festa in onore dei martiri che veniva celebrata il 13 maggio. Questa data coincise poi con la festa romana per l’anniversario della dedicazione del Pantheon alla Madonna e a tutti i martiri fatta da papa Bonifacio IV nel 610. La festa di Tutti i santi, come la conosciamo oggi, ebbe origine in Francia e fu istituita per cristianizzare le feste celtiche che si celebravano in quei giorni. Alla sua diffusione contribuì soprattutto il filosofo e teologo Alcuino di York, prestigioso esponente della Scuola palatina di Carlo Magno. Qualche decennio dopo la festa fu allargata a tutto il regno franco e in altre aree europee, ma solo nel 1475 papa Sisto IV la estese a tutta la Chiesa cattolica (Cfr. Turnšek 1946: 66; Kuret II 1989: 92; Cattabiani 1988: 311-312).

L’idea di commemorare tutti i defunti nacque, invece, su ispirazione di un rito bizantino che celebrava la memoria di tutti i morti in un periodo compreso tra la fine di gennaio e il mese di febbraio. Nella Chiesa latina l’inizio della tradizione viene fatto risalire al 998 su iniziativa dell’abate benedettino Sant’Odilone di Cluny. Con la riforma dell’ordine monastico cluniacense l’abate «ordinò a tutti i cenobi dipendenti dall’abazia francese di far risuonare le campane con i tradizionali rintocchi funebri dopo i vespri solenni del 1° novembre, annunciando ai monaci che dovevano celebrare in coro l’Ufficio dei defunti». Il giorno dopo i sacerdoti dovevano celebrare l’eucaristia pro requie omnium defunctorum. Successivamente la liturgia entrò nei rituali diocesani fino ad arrivare a Roma nel XIV secolo, quando fu estesa a tutta la Chiesa cattolica (Cfr. Turnšek 1946: 66; Kuret II 1989: 101; Cattabiani 1988: 311-312).

Ma, come abbiamo visto per altre feste, anche le ricorrenze religiose dei primi di novembre, in particolare la Commemorazione dei defunti, si sono sovrapposte preesistenti tradizioni, credenze e riti pagani.

Molti etnologi fanno risalire l’origine dei riti in suffragio dei morti nientemeno che ai Celti, un popolo che, nel periodo della sua massima espansione (V-III sec. a. C.), era presente in una vastissima area che andava dall’Irlanda e dalle isole britanniche alla Spagna, dalla Francia all’Italia settentrionale (anche in Benecia), dalla Pannonia all’Asia Minore. L’inizio di novembre era il capodanno dei Celti: in Irlanda lo si chiamava « Samuin ed era preceduto dalla notte conosciuta ancora oggi in Scozia come Nos Galan-gaeaf, notte delle Calende d’Inverno, durante la quale i morti entravano in comunicazione con i vivi in un generale rimescolamento cosmico» (Cattabiani 1988: 311).

(20 – continua)

dal dom del 31 ottobre 2020

28 ago 2020

Riapre al culto la chiesetta di San Nicolò

 JAJNICH/JAGNJED Domenica, 30 agosto, alle 16 la santa messa nel sacro edificio dopo i lavori di restauro

Domenica, 30 agosto, alle ore 16 si riapre al culto la chiesetta di San Nicolò, appartenente alla parrocchia di San Leonardo, lungo la strada che da Castelmonte conduce a Tribil Superiore, sopra il paese di Janich.

I lavori di restauro si riassumono nel rifacimento del manto di copertura dell’atrio antistante, parte della copertura dell’aula della chiesa; rinforzo e stabilizzazione della bifora delle campane; demolizione degli intonaci esterni assai ammalorati; sabbiatura delle pietre e pulizie delle loro fughe. Si è voluto rimettere in luce le originali pietre lasciandole in vista. La tinteggiatura dell’interno ha concluso l’opera. Tutto l’intervento è stato effettuato dai volontari della parrocchia e dal gruppo Ana di San Leonardo, che porta nel suo logo distintivo la chiesa di San Nicolò.

La sua costruzione è antichissima (XIII sec.). Era il 27 febbraio del 1294 quando il patriarca di Aquileia diede licenza per edificare una cappella in onore di San Nicolò. L’edificio subì numerose modifiche, soprattutto

a causa dei sismi del 1511. La costruzione attuale risale al primo Cinquecento. Una nuova consacrazione avvenne nel 1525, come è testimoniato dalla data incisa sull’arco della porta. All’interno l’altare è opera recente, creazione degli artisti cividalesi Leo e Pio Morandini e del pittore Giacomo Bront, e risale al 1959.

La chiesa è consacrata a San Nicolò di Bari, protettore dei naviganti ma anche invocato nelle alluvioni. Proprio in questo luogo ha avuto origine la devozione verso questo santo. Dietro la chiesa c’era in antico un lago che durante un terribile acquazzone straripò. L’acqua scese lungo il pendio invadendo l’abitato sottostante e abbattendo le abitazioni ricoperte di paglia. La gente si votò a San Nicolò e il temporale cessò immediatamente.

Per volere dell’arcivescovo Giuseppe Luigi Travisanato la festa della dedicazione fu trasferita alla seconda domenica di ottobre. Si creò così un momento per ricordare un avvenimento storico, la “battaglia

di Jainich” (28.10.1917) nel luogo di un sanguinoso scontro armato fra truppe tedesche e reparti italiani. In memoria di questo avvenimento venne posta una lapide sopra la porta della chiesetta. I corpi dei caduti furono sepolti nel prato intorno alla chiesa.

Un altro prezioso reperto di storia delle Valli riacquista il suo originale aspetto.

don Michele Molaro


8 ago 2020

La festa della «Rožinca» è nostra, ma è molto antica e arriva da lontano

 BENECIA, RESIA E VALCANALE

Il progetto dell’associazione don Eugenio Blanchini «Tradizioni comuni e particolari degli sloveni in Italia»

La tradizione più nota della festa dell’Assunta è la benedizione dei fiori e delle erbe medicinali. In questo antico rito sembrano essere confluiti due filoni distinti: la tradizione secondo la quale la tomba di Maria fu trovata ripiena di fiori dopo la sua Assunzione e la sapienza popolare circa il potere curativo delle piante

Giorgio Banchig

«La Rožinca è nostra, nel senso che solo nella chiesa di Maria Vergine nel comune di Drenchia abbiamo una festa così particolare che altrove non puoi trovare. Tra le tante che ci sono in Benecia, per quel che so, solamente la sagra di Drenchia è così partecipata e onorata che in quel giorno, quanti possono, ritornano a casa. Siamo rimasti in pochi, ma per la Rožinca dentro e fuori della chiesa si raccoglie tanta di quella gente che per un istante ti fa pensare che i nostri paesi e le nostre case sono tornati alla vita» (Trusgnach 2007: 3). Con questa istantanea sulla festa più grande di Drenchia, mons. Marino Qualizza introduce la bella pubblicazione dal titolo Rožinca je naša – Festa dell’Assunzione a Drenchia nella quale Lucia Trusgnach – Škejcova di Oznebrida, emigrata in giovane età a Milano, ha svuotato il suo bagaglio di ricordi, emozioni, sentimenti, riflessioni e impressioni sulla Rožinca che ha vissuto da bambina sui fianchi del Kolovrat e poi ritornandovi ogni volta che le era possibile o soffrendo il «mal di Rožinca» anche nei posti più belli e ambiti delle vacanze.

Per l’autrice e per i suoi compaesani la festa dell’Assunta fa parte di un vissuto irripetibile, unico, incomparabile che sa di impaziente attesa, di intensi preparativi, di odore di gubane, di vestiti nuovi, di raccolta dei fiori «maleodoranti» da portare a benedire, di scampanottio di campane, di messa cantata, di una solenne processione, di un pranzo sontuoso e infine di ballo. Da come lo ha descritto Lucia Trusgnach, valeva la pena aspettare un lungo anno per vivere quel giorno ed emozionarsi ancora. E ogni anno è un imperativo parteciparvi. Tornerò sulla pubblicazione Rožinca je naša per trarne alcuni dati e consuetudini legati alla festa di cui parleremo in questa e nella prossima puntata. «Per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Con questo solenne enunciato il 1° novembre 1950, nella Basilica di San Pietro, papa Pio XII proclamò il dogma dell’Assunzione della Madonna. Ma quell’atto formale mise semplicemente il sigillo ufficiale dell’autorità della Chiesa a un lungo processo di riflessione teologica sulla salita al Cielo in anima e corpo di Maria, che si tradusse lungo i secoli in una fede vissuta, praticata e manifestata in tutta la Chiesa e concretizzata nell’erezione di basiliche (la chiesa madre di Aquileia è dedicata all’Assunta, così pure il duomo di Cividale, entrambi sedi del Patriarcato aquileiese), chiese e santuari, nella realizzazione di innumerevoli opere d’arte. E si tradusse in una profonda pietà popolare, in tradizioni e usi che sono arrivati fino a noi, magari a brandelli e chissà da dove, che costituiscono parte del nostro patrimonio religioso e culturale e sono capaci ancora di emozionare e coinvolgere la nostra gente.

La tradizione della festa dell’Assunta più nota e praticata, purtroppo sempre meno, nella nostra Benecia è la benedizione dei fiori e delle erbe medicinali. Cerchiamo di capire quali sono la sua origine, l’area di diffusione e il suo significato. Dalle ricerche che ho fatto, emerge l’ipotesi che in questo antico rito, di cui si hanno testimonianze a partire dal secolo X, siano confluiti due filoni distinti di tradizioni e di usanze: da una parte alcune narrazioni che riguardano la dormizione e l’assunzione della Madonna, dall’altra la sapienza e le credenze popolari

dal Dom del 31 luglio 2020

circa il potere curativo e scaramantico delle piante.

«Intanto, nel cielo apparvero delle nubi, che avevano trasportato da ogni dove tutti gli Apostoli, tranne Tommaso, che arrivò solo tre giorni dopo, e li posarono davanti alla casa di Giovanni nel Getsemani, ove abitava anche Maria. La Chiesa tutta, da tutte le parti del Mondo, si riunì nella città di Davide attorno alla sua Santa Madre. Lei li consolò, li benedisse, pregò per la pace nel mondo, e morì. Gli apostoli la seppellirono nel Getsemani. Dopo tre giorni, all’arrivo di Tommaso, questi volle vedere la tomba di Maria, per venerarne il corpo, ma una volta aperto il sepolcro vi trovarono soltanto dei fiori» (//www. reginamundi; cfr. Turnšek 1946: 52; Chiarapini 2007: 168).

In questa narrazione riecheggiano tratti di scritti apocrifi, in particolare il testo greco Dormizione di Maria, classificato come Transito R, sorto a partire dal secolo V e attribuito a «san Giovanni teologo ed evangelista ». Il racconto rientra nel genere dei Transiti (se ne conoscono circa una ventina in varie lingue), che si sono sviluppati in corrispondenza con lo sviluppo del culto mariano dopo il Concilio di Efeso (413). In esso, tra l’altro, si legge: «Il corpo della beata Maria era simile ai fiori del giglio e da esso emanava un profumo così soave che era impossibile trovarne un altro uguale» (www.giovannigiorgi. it/dwn/apocrifi, 30.6.2020).

Quel racconto evoca le parole dei Padri della Chiesa, in particolare l’ode ottava nella quale San Giovanni Damasceno (dopo 650 – 750), fervido sostenitore dell’Assunzione della Madonna, scrive: «Quasi come il giardino della tomba vuota di Cristo, anche la tomba di Maria diventa un nuovo paradiso: “Oh, le meraviglie della sempre vergine e Madre di Dio! Ha reso paradiso la tomba che ha abitata, e noi oggi attorniandola cantiamo gioiosi”» (Nin 2013).

«Più e più volte nei suoi Sermones in dormitionem Mariae Giovanni di Damasco († 750) presenta la sacralità della tomba della Madonna, le profumate fiorite grazie che le sacre spoglie vi hanno lasciato nel momento in cui l’hanno abbandonata, e che saranno dispensate a chiunque vi si accosterà con fede. […] Uno dei motivi che acquista popolarità sempre maggiore in pittura a partire dalla fine del Quattrocento è proprio la raffigurazione del sarcofago vuoto o pieno di fiori, su cui alcuni apostoli si chinano interdetti a cercare il corpo della Madonna, mentre gli altri ancor più attoniti la guardano librarsi in cielo trasportata dagli angeli » (Pasti 2011: 40). Tra i tanti pittori che hanno raffigurato l’Assunzione e la tomba fiorita cito la Pala degli Oddi di Raffaello, la Madonna di Monteluce di Giulio Romano e Pierfrancesco Penni, entrambe nei Musei Vaticani, e poi Luca Signorelli (Museo di Cortona), Andrea della Robbia (La Verna)… Particolarmente espressiva appare la cosiddetta Assunzione Bonassoni di Annibale Caracci nella Pinacoteca di Bologna: un apostolo con aria stupita solleva la mano ricolma di petali di fiori dalla tomba della Madonna, mentre un altro alza il suo bianco sudario.

(15 – continua)

Trusgnach L.-Š (2007): Rožinca je naša – Festa dell’Assunzione a Drenchia, Cividale, Coop. Most.

Chiarapini M. (2007): Suggestioni di parole, Milano, ed. Paoline.

Icona della Dormizione: www.reginamundi.info/icone/ dormizione.asp, 13.06.2020 Nin E. (2013): Giovanni Damasceno per la Dormizione della Madre di Dio. Tomba e morte non l’hanno trattenuta,

collegiogreco.blogspot.com/2013/08/giovanni-damasceno, 14.06.2020. Pasti S. (2011): Giovanni Damasceno e l’iconografia del sepolcro vuoto nell’Assunzione, in Dal Razionalismo al Rinascimento, a cura di Aurigemma M.G., Roma, Campisano editore, 40-46. .

Nella foto: la «Pala degli Oddi» dipinta da Raffaello.


4 ago 2020

Mantenere identità con lingua e anima

I partecipanti all’incontro nel municipio di Resia con la sindaca Anna Micelli


Nell’ambito di una visita di due giorni alla comunità slovena della provincia di Udine, lunedì, 27 luglio, una delegazione dell’Ufficio della Repubblica di Slovenia per le minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo si è recata in visita in Valcanale. A presiederla è intervenuta la stessa ministra per le minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo, Helena Jaklitsch, accompagnata dal segretario di stato, Dejan Valentinčič. Al mattino la ministra si è recata a Valbruna/Ovčja vas, dove ha dapprima fatto visita alla lapide che ricorda il defunto parroco paesano Jurij Prešeren, fratello del celebre poeta sloveno France. Subito dopo, nella vicina sede, ha incontrato i rappresentanti dell’Associazione/Združenje Don Mario Cernet. Oltre a diversi membri del sodalizio e alla presidente Anna Wedam, che è anche presidente della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso per la provincia di Udine, hanno partecipato all’incontro le presidenti regionale  e provinciale dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, Ksenija Dobrila e Luigia Negro, e il presidente regionale della Sso, Walter Bandelj.

La presidente Wedam ha illustrato gli sforzi messi da diversi anni in campo dall’Associazione Cernet in favore dell’insegnamento dello sloveno entro un modello scolastico plurilingue attivo in seno alle scuole statali, nonché il contributo dei soci al mantenimento delle tradizioni locali. I membri dell’Associazione Cernet sono aperti alla collaborazione con tutti; particolare soddisfazione è stata espressa per le buone relazioni intrattenute con le altre comunità linguistiche della valle. La presidente Anna Wedam ha dato particolare risalto, inoltre, al forte bisogno di vedere stabilmente presenti in Valcanale anche sacerdoti che parlino sia italiano sia sloveno.

In seguito la delegazione si è recata al Centro culturale sloveno Planika di Ugovizza/Ukve, che ha organizzato un laboratorio linguistico estivo per bambini. A incontrare la delegazione dell’Ufficio per le minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo sono stati la presidente del Planika, Nataša Gliha Komac, e il vicepresidente, Rodolfo Bartaloth. L’incontro si è svolto a porte chiuse e non è dato sapere quali tematiche siano state portate all’attenzione degli ospiti di Lubiana.

Successivamente i rappresentanti dei circoli sloveni della Valcanale e dell’Ufficio hanno partecipato a un incontro coi sindaci dei Comuni di Malborghetto-Valbruna e Tarvisio, Boris Preschern e Renzo Zanette. Oggetto del dibattito, che si è svolto al municipio di Malborghetto/Naborjet, è stato l’insegnamento dello sloveno in Valcanale (a riguardo di più a pag. 11). Nel pomeriggio la delegazione dell’Ufficio per le minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo e i rappresentanti della comunità slovena in Italia hanno proseguito la visita a Resia. A Prato/Ravanca hanno incontrato la sindaca, Anna Micelli, e il vicesindaco, Giuliano Fiorini. Con loro si è parlato di collaborazione, anche a livello europeo, del bisogno di migliori collegamenti stradali e del ruolo dei circoli sloveni nella conservazione del dialetto resiano. Nella vicina chiesa sono stati accolti anche dal parroco, Alberto Zanier. 

Nel tardo pomeriggio i partecipanti alla visita si sono recati anche a Stolvizza/Solbica, per visitare il Museo della gente della Val Resia e il Museo dell’arrotino. Luigia Negro, Sandro Quaglia e Dino Valente hanno rilevato come il flusso turistico proveniente dalla Slovenia sia in crescita costante.

Sempre guidata dalla ministra Helena Jaklitsch, martedì, 28 luglio, la delegazione dell’Ufficio per le minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo ha concluso la visita nelle Valli del Torre e del Natisone, dove ha proseguito gli incontri coi rappresentanti dei circoli sloveni locali e delle amministrazioni comunali.

continua in lngua sovena

https://www.dom.it/za-ohranjanje-zavesti-z-besedo-in-duso_mantenere-identita-con-lingua-e-anima/

1 ago 2020

Table pravijo, da smo živi - I cartelli stradali mostrano che siamo vivi



Qualche giorno fa lungo la strada st. 54, che da Cividale porta a Stupizza/Štupca, sono stati installati indicatori di direzione bilingui, in italiano e sloveno. Finora il bilinguismo italiano-sloveno era presente solo sui cartelli toponomastici all’inizio e alla fine di località e territori comunali e sulle strade comunali e provinciali. A sette anni dal decreto del presidente della Regione Friuli-Venezia Giulia di dicembre 2013, quindi, anche Anas si è adeguata alle normative di tutela della minoranza slovena.
I toponimi riportati da Anas sui cartelli, però, non corrispondono a quelli sui cartelli installati in precedenza. Anas, infatti, ha scelto i toponimi in lingua standard, e non in dialetto sloveno locale e la questione non è banale. Oltre vent’anni fa, quando si è iniziato a installare cartelli bilingui a seguito dell’approvazione delle leggi di tutela, con una decisione congiunta da parte di Comuni interessati, provincia di Udine e organizzazione slovene è stato scelto di riportare sui cartelli i toponimi in dialetto sloveno.
Balza all’occhio, inoltre, che come versione slovena di «Udine» sia riportato «Videm», invece del toponimo corretto «Viden». Nelle zone di Trieste, Gorizia e in Slovenia questo errore è onnipresente da tempo. Ma già nel 1999, nel manuale Slovenska krajevna imena v Italiji, l’esperto di toponomastica slovena in Italia Pavle Merkù spiegava che la versione corretta di «Udine» in sloveno è «Viden».
La toponomastica bilingue, trilingue o quadrilingue (a seconda del comune considerato) non è ancora stata installata a Drenchia, Torreano, Attimis, Nimis, Malborghetto-Valbruna e Tarvisio. I cartelli mostrano che lo sloveno e le nostre lingue sono vive, e noi con loro. Sta a noi indurre i nostri amministratori ad adempiere alle leggi dello Stato.

Pred kratkin so tudi na daržavni ciesti štv. 54 iz Čedada do Štupce nastavili smerokaze, ciestne tabele, na katerin so imena kraju napisane po italijansko in po slovensko. Do sada so ble tabele v obieh jezikah samuo tiste na začetku in koncu vasi in na kamunskih ter provincialnih ciestah. Se pravi, de se je slabih sedam liet po dekretu predsednika dežele Furlanije Julijske krajine iz dičemberja 2013 tudi ANAS prilagodila zakonam, ki varjejo slovenski jezik in kulturo. Ries liepa novica.
Daje pa na uoč, de slovenska imena, ki so napisane na novih tabelah, se na ujemajo s tistimi, ki so na te drugimi tablami. ANAS je namreč zbrau imena v literarnem jeziku, ki jih za naše kraje nucajo v Trstu, Gorici in Sloveniji in ne domače imena, s katerimi Benečani vič ku tavžint liet kličejo svoje vasi. De na tabele se napišejo imena po domače so bli kajšnih dvejst liet odtuod kupe določili kamuni, videnska provinca in slovenske organizacije, kàr so začeli postavljati dvojezične table po sparjetju zaščitnega zakona, sa’ Špietar nie biu nikoli Špeter, Podbuniesac nikoli Podbonesec in takuo naprej.
Tudi na smerokazih za glavno furlansko miesto beremo ime Videm, namesto te pravega Viden. Tle pa na gre za izbiero med domačim in literarnim jezikam, ampa za napako, ki se na Taržaškem, Goriškem in v Sloveniji pojavlja že puno liet. Sa’ je Prešernov nagrajenec in narguorš strokovnjak za slovensko toponomastiko v Italiji Pavle Merkù, že lieta 1999 v priročniku Slovenska krajevna imena v Italiji podčartu: »Videm je učena spačenka s hiperkorekturo izglasnega nosnika. Zgodovinsko in etimološko nima ime kaj opraviti z Vidmi znotraj meja slovenske države. « Telo razlago so pred lieti sparjeli v Terski dolini, kjer so pravilno napisali Viden, in tudi v Reziji.
V kamunah Dreka, Tavorjana, Ahten, Neme, Naborjet-Ovčja vas in Tarbiž, razen na smerokazih državnih, regionalnih in provincialnih ciest pa nie še tabel s slovenskim imenam vasi.
Gre za kamune, v katerih je priznana slovenska manjšina, na konfinu s Slovenijo in tudi sosednje občine na italijanski strani imajo tabele po slovensko. Nedopustno je. Vsakemu obiskovalcu se daje zgrešeno kulturno podobo tistih vasi. »Tle žive’ samuo Italijani, okuole in okuole so Slovenci«, lahko misli, kduor nie domačin in na pozna tistih kraju.
Se na more mučati nad telo karvico, ki se jo diela domačim ljudem, ki so veseli svoje kulturne podobe. Trieba je partiskati na administratorije, de izpunijo, kar predvidevajo zakoni. Šindiki, ašešorji in kamunski možje na morejo biti Slovenci, kàr gre za vzdigniti kontribute in potlé pozabiti na jezik in kulturo. Cajt je na glas, jasno in močnuo zahtevati, kar nam pripada. Nie nobednega razloga za kakaršenkoli strah. Muoremo vsi – politiki, kulturni dieluci, navadni ljudje – imieti radi svojo podobo, svoj jezik, svojo kulturo. Se pravi same sebe. Ciestne tabele po slovensko jasno kažejo kaduo smo in de čemo obdaržati te pravo podobo. (M. K.)

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