" Il calice di una rosa è colmo di rugiada..."
Blog che parla del Friuli: in particolare delle minoranze linguistiche slovena,friulana e tedesca e non solo. ❤️ Sono figlia di madre slovena (Ljubljana) e di padre appartenente alla minoranza slovena della provincia di Udine (Benecia).Conosco abbastanza bene la lingua slovena.Sono orgogliosa delle mie origini.OLga❤️
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SREČKO KOSOVEL
" Il calice di una rosa è colmo di rugiada..."
29 edizione di Dedica Festival
Un unicum che da ventinove anni caratterizza il vivace panorama delle rassegne letterarie italiane: questo è il festival Dedica. Grazie alla sua originale formula che si concentra in un’intensa settimana di teatro, conversazioni, musica, arte, libri, la manifestazione si traduce in una vera immersione nel mondo dell’autore protagonista, attorno al quale ogni edizione costruisce uno specifico itinerario. Dedica offre dunque al pubblico l’occasione per condividere una riflessione sulla figura dell’ospite scelto come dedicatario, cosicché dal fulcro della sua produzione letteraria si possa spaziare sul pensiero, sui contesti culturali, sulle varie forme artistiche che i più diversi mezzi espressivi sanno far emergere dalla sua opera.
La XXIXa edizione di Dedica Festival avrà per protagonista la scrittrice francese Maylis de Kerangal.
Autrice di grande e profonda sensibilità, viene considerata uno dei nomi più rilevanti della letteratura contemporanea. I suoi romanzi spaziano in ambiti e contesti diversi e hanno sempre forti agganci con la realtà. La sua personalissima scrittura ha un ritmo incalzante e si avvale di un linguaggio ampio, frutto di una ricerca accurata dove le componenti specialistiche finiscono per alimentare la narrazione, stimolare riflessioni e arricchire una conoscenza non solo tecnica, ma anche e soprattutto emozionale.
Ideato e curato da Thesis Associazione Culturale, il progetto Dedica è sostenuto da istituzioni ed enti pubblici – in particolare dalla Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia, dal Comune di Pordenone, dalla Fondazione Friuli – e realizzato con il sostegno di importanti soggetti privati: lo special partner Servizi CGN, COOP Alleanza 3.0, UnipolSai – AssiLab Previdenza e Servizi Pordenone, BCC Pordenonese e Monsile.
L’edizione 2023 del festival ha inoltre ottenuto il Patrocinio del Ministero della Cultura, dell’Ambasciata di Francia in Italia e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, dell’Università degli Studi di Udine e dell’Alpen-Adria Universität di Klagenfurt.
Curatore del Festival è Claudio Cattaruzza.
PADRE, SE ANCHE TU NON FOSSI IL MIO
Padre, se anche tu non fossi il miopadre, se anche fossi a me un estraneo,
per te stesso, egualmente t'amerei.
Ché mi ricordo d'un mattin d'inverno
che la prima viola sull'opposto
muro scopristi dalla tua finestra
e ce ne desti la novella allegro.
Poi la scala di legno tolta in spalla
di casa uscisti e l'appoggiasti al muro.
Noi piccoli stavamo alla finestra.
E di quell'altra volta mi ricordo
che la sorella, mia piccola ancora,
per la casa inseguivi minacciando.
(la caparbia avea fatto non so che)
Ma raggiuntala che strillava forte
dalla paura, ti mancava il cuore:
chè avevi visto te inseguir la tua
piccola figlia e, tutta spaventata,
tu vacillante l'attiravi al petto
e con carezze dentro le tue braccia
avviluppavi come per difenderla
da quel cattivo ch'era il tu di prima.
Padre, se anche tu non fossi il mio
padre, se anche fossi a me un estraneo,
fra tutti quanti gli uomini già tanto
pel tuo cuore fanciullo t’amerei.
CAMILLO SBARBARO, "Pianissimo", 1914
MARZO
Marzo si diverte ad aprire flaconi di profumo, mescolare essenze, inventare nuovi colori, poi fa scivolare qualcuno dei suoi fiori più luminosi dalla tasca profonda del suo grembiule e lo sparge sul mondo.
(Fabrizio Caramagna)IL BLOG DI UBER: MATTONCINO DOPO MATTONCINO...
Citazione della Montalcini
Benecia presto paradiso dei ciclisti?
Se fosse una corsa ciclistica, la situazione si potrebbe sintetizzare dicendo che non sappiamo ancora se il traguardo che si intravede all’orizzonte è la fine della corsa o l’ennesimo “Gran premio della montagna” che prelude ad altre impegnative salite. In realtà, non stiamo parlando di ciclismo, anche se le due ruote centrano tantissimo, ma del rapporto tra sviluppo economico della Slavia Friulana e burocrazia. La Comunità di montagna del Natisone e Torre è infatti in attesa di importanti notizie da Venezia. L’Autorità di bacino della città lagunare (che ha competenza anche sul regime idraulico del bacino del Natisone) deve decidere se il progetto di pista ciclabile che dal valico di Stupizza porterà a Ponte San Quirino rispetta le normative vigenti. Non si tratta di un’opera a sé stante, ma del fondamentale tassello del progetto “Bimobis” che a regime porterà i cicloturisti da Kobarid a Cividale e di qui verso il mare Adriatico, a Grado, oppure verso le montagne del Tarvisiano passando da Tarcento. Non a caso l’opera è anche al centro delle attenzioni del progetto strategico di sviluppo «Benecia 2028» promosso dall’Istituto per la Cultura Slovena che punta molto anche sullo sviluppo del cicloturismo.
Per capire quanto potrebbe essere importante quest’opera, si può prendere ad esempio Palmanova. Prima che venisse realizzata la bella pista ciclabile che dalla Città Stellata porta a Grado, utilizzando da Cervignano in giù l’antico sedime della ferrovia commerciale che ai primi del ‘900 portava fino a Belvedere, di turisti nella Fortezza se ne vedevano davvero pochi e in modo molto discontinuo. Ora con la pista ciclabile, la presenza di visitatori, spesso parlanti lingue straniere, in sella alla loro bici, è pressoché continua dalla primavera all’autunno, con benefici effetti sul tessuto economico ma soprattutto per le nuove prospettive di investimenti nel turismo e nell’abbellimento e ristrutturazione della città. E’ vero che non è tutto merito delle due ruote, perché contemporaneamente Palmanova è diventata sito Unesco patrimonio dell’umanità, ma anche le Valli del Natisone possono giocare la carta della vicinanza a Cividale, anch’essa Patrimonio dell’umanità Unesco e importante tappa della pista ciclabile, unendo le attrattive naturalistiche a quelle storico-monumentali.
«Siamo ad un bivio cruciale – spiega Antonio Comugnaro, sindaco di San Leonardo e membro del comitato esecutivo della Comunità di montagna Natisone e Torre (nella foto a sinistra) – per il decollo dell’opera. In pratica ci manca una sola autorizzazione, l’ultima di una lunga serie già ottenute». L’Autorità di bacino deve certificare che il progetto presentato rispetti le dinamiche idrauliche del Natisone anche in situazione di piena secolare e risulti compatibile con l’habitat naturale fluviale. «Ci hanno detto che l’istituzione veneziana generalmente è efficiente e siamo fiduciosi in un via libera rapido», spiega Comugnaro.
Le attenzioni sono, naturalmente tutte puntate sulla gola di Stupizza che non solo è il tratto più bello ed emozionante della pista ciclabile, ma anche quello tecnicamente più difficile da progettare. «Nei punti più stretti la larghezza della gola è così esigua che la progettazione ha dovuto trovare soluzioni innovative – evidenzia Comugnaro –. Salendo verso Caporetto correrà dapprima parallela alla statale e prima della galleria si sposterà sul versante opposto con un ponte ciclabile. In quel tratto si è dovuta elevare parecchio la quota del tracciato sul greto del fiume per evitare problemi con le piene. D’altra parte l’Anas ha detto che non si poteva utilizzare neanche un centimetro dell’attuale sede stradale e purtroppo, per problemi di caduta massi, non si è potuto utilizzare in quel tratto (come invece è avvenuto in altri tratti) nemmeno il tracciato della vecchia ferrovia Cividale- Caporetto costruita durante la prima guerra mondiale». I progettisti sono riusciti a risolvere il rebus con un solo ponte ciclabile sul Natisone e a realizzare un tracciato che ha già avuto il via libera dall’Ente tutela pesca (sotto il profilo della protezione della fauna ittica), del servizio geologico regionale e di quello ambientale (anche per il tema della nidificazione di alcune specie di uccelli che era stato a suo tempo sollevato da Legambiente).
«Sono fiducioso che le soluzioni tecniche che abbiamo trovato supereranno il vaglio delle autorità, così presto passeremo alla fase realizzativa – conclude Comugnaro –. E con la realizzazione dell’opera cominceremo anche a lavorare con gli esercenti e gli imprenditori del territorio per vedere come fare di questa pista ciclabile un volano di sviluppo e di reddito per le Valli del Natisone». (Roberto Pensa)
dal Dom
proverbio friulano
Il proverbio friulano della settimana
CARANTANIA
Il Principato di Carantania o di Carentania (in sloveno Karantanija, in tedesco Karantanien, in latino medievale Caranthania, in paleoslavo *Korǫtanъ), fu un'entità statale slava formatasi nella seconda metà del VII secolo nel territorio delle attuali Austria meridionale e Slovenia nordoccidentale. Fu lo stato predecessore della Marca di Carinzia, creata nell'889 nell'ambito dell'Impero carolingio.Il nome Carantania è di origine protoslava. Paolo Diacono menziona degli "Slavi a Carnunto, che è erroneamente chiamata Carantano" (Carnuntum, quod corrupte vocitant Carantanum).[1]
Una possibile spiegazione etimologica è che possa essere formato da una base toponimica carant-, risalente in ultima istanza dalla radice preindoeuropea *karra che significa "roccia", oppure che sia di origine celtica e che derivi da *karant-, che significa "amico, alleato". Il nome slavo korǫtanъ sarebbe stato adattato dal latino *carantanum. Si sostiene che anche Il toponimo Carinzia (in sloveno Koroška, dal protoslavo *korǫt’ьsko) vi sia collegato etimologicamente, derivando dal pre-slavo *carantia.[2]
Il nome, come la maggioranza dei toponimi che iniziano con *Kar(n)- in quest'area dell'Europa, è a sua volta molto probabilmente legato alla tribù preromana dei Carni che un tempo popolava le Alpi orientali.[senza fonte]
Territorio
La capitale della Carantania era molto probabilmente Karnburg (in sloveno Krnski grad) nello Zollfeld (in sloveno Gosposvetsko polje), a nord dell'attuale città di Klagenfurt (in sloveno Celovec). Il principto era centrato sull'area dell'attuale Carinzia, e comprendeva territori delle attuali Stiria, la maggior parte del Tirolo Orientale e della val Pusteria, le regioni del Lungau e dell'Ennspongau nel Salisburghese e le parti meridionali dell'Alta e della Bassa Austria. Molto probabilmente comprendeva anche il territorio della provincia storica slovena della Carinzia. Le poche fonti storiche esistenti distinguono tra due distinti principati nell'area alpina orientale: la Carantania e la Carniola. Quest'ultima, che compare nelle registrazioni storiche dalla parte finale dell'VIII secolo, era situata nella parte centrale dell'attuale Slovenia, e fu (almeno nel name) lo stato predecessore del successivo Ducato di Carniola.
I confini del successivo stato di Carantania, sotto la sovranità feudale dei Carolingi, e dei suo successori (la Marca di Carinzia dall'889 e il Ducato di Carinzia del 976), non coincidevano con quelli della Carantania storica.
Storia
Dopo la caduta del Regno ostrogoto nel 553, il popolo germanico dei Longobardi invase l'Italia passando attraverso il Friuli e fondandovi un proprio regno. Nel 568, praticamente tutti i Longobardi erano migrati nell'Italia settentrionale. Successivamente, negli ultimi decenni del VI secolo, gli Slavi si stabilirono nel territorio spopolato con l'aiuto dei loro dominatori Avari. Nel 588 raggiunsero l'alto corso della Sava e nel 591 quello della Drava, dove ben presto dovettero combattere i Bavari condotti dal duca Tassilone I. Nel 592 vinsero i Bavari, ma nel 595 la sorte arrise all'armata slavo-avara, che così consolidò il confine tra i territori dei Franchi e quelli degli Avari.[3] Da quel momento in poi gli attuali territori del Tirolo Orientale e della Carinzia furono indicati nelle fonti storiche come Provincia Sclaborum (paese degli Slavi).[4][5]
Tra il IX e il X secolo, gli Slavi delle Alpi, ritenuti essere tra gli antenati degli attuali Sloveni, si stabilirono nella parte orientale montuosa del Friuli, che sarebbe divenuta nota come Slavia friulana, oltre che sull'altopiano del Carso e nella zona a nord e a sud di Gorizia.
L'insediamento degli Slavi nelle Alpi orientali è messo in connessione col collasso di diocesi locali nel tardo VI secolo, con cambiamenti nella popolazione e nella cultura materiale e, più significativamente, nell'imposizione di una lingua slava nella zona. Il territorio in cui si erano stabiliti rimase comunque abitato dai resti delle popolazioni indigene romanizzate, che continuarono a professare la religione cristiana.
Si ritiene che gli Slavi fossero inizialmente sudditi di sovrani avari (khaghan) sia nelle Alpi orientali che nella regione pannonica. Dopo l'indebolimento del potere avaro attorno al 610, si formò nella Carinzia meridionale una marca degli Slavi (marca Vinedorum) relativamente indipendente, governata da un duca. Le fonti storiche citano Valuk come duca degli Slavi (Wallux dux Winedorum).
Nell'anno 626 terminò il dominio avaro sugli Slavi, a causa della sconfitta degli Avari a Costantinopoli.[6] Nel 658 morì Samo e la sua federazione tribale si disintegrò. Una piccola parte della marca degli Slavi originale, a nord dell'attuale Klagenfurt, conservò la sua indipendenza e divenne nota come Carantania, nome che inizia ad apparire nelle fonti storiche poco dopo il 660. La prima indicazione chiara di un'identità etnica specifica e di un'organizzazione politica può essere riconosciuta nel termine geografico Carantanum usato da Paolo Diacono riferendosi all'anno 664, collegandosi al quale citò anche uno specifico popolo slavo (gens Sclavorum) che vi viveva.[4]
Quando attorno al 740 il principe Boruth chiese aiuto al duca dei Bavari Odilone contro il pericolo imminente portato dalle tribù avare dell'est, la Carantania perse la sua indipendenza. I successori di Boruth dovettero accettare la sovranità dei Bavari e del semifeudale Regno dei Franchi, retto da Carlo Magno tra il 768 e l'814. Carlo Magno pose anche fine alle invasioni degli Avari, che tra il 745 e il 795 avevano riconquistato la parte orientale della Carantania.
Nell'828, la Carantania divenne infine una marca dell'Impero carolingio. I signori locali furono deposti per aver appoggiato la ribellione antifranca di Ljudevit Posavski, il principe degli Slavi di Pannonia, e furono sostituita da altri di stirpe Germanica, (principalmente bavara. Per effetto del Trattato di Verdun dell'843, passò nelle mani di Ludovico II il Germanico (804-876) che, secondo gli Annales Fuldenses (863), diede il titolo di "prefetto dei Carantani" (praelatus Carantanis) al suo figlio maggiore Carlomanno.[7] Nell'887 Arnolfo di Carinzia (850-899), nipote di Ludovico il Germanico, assunse il titolo di re dei Franchi Orientali e divenne il primo duca di Carinzia.
L'inaugurazione ducale
Nel principato di Carantania era particolarmente interessante l'antico rito d'insediamento dei duchi (o principi; entrambi i termini sono delle traduzioni approssimative del termine slavo Knez/Knjaz, in tedesco Fürst), una pratica continuata anche dopo l'incorporazione nel Ducato di Carinzia. Fu eseguita per l'ultima volta nel 1414, quando Ernesto I d'Asburgo vi s'insedio come duca di Carinzia. Il rito si svolgeva sulla Pietra del Principe (in sloveno Knežji kamen, in tedesco Fürstenstein), un antico capitello di colonna romano presso Krnski grad (ora in tedessco Karnburg) ed era tenuto in lingua slovena da un contadino libero che, scelto dai suoi pari grado, in nome del popolo chiedeva conto al nuovo principe della sua integrità e gli ricordava i suoi doveri. Successivamente, quando il Ducato di Carinzia entrò nei domini asburgici, l'idea che il duca di Carinzia ricevesse la sua legittimazione dal popolo divenne la base della dignità arciducale rivestita unicamente dagli Asburgo.
L'incoronazione dei duchi di Carinzia consisteva di tre parti: prima, il rito eseguito in sloveno alla Pietra del Principe, poi una messa officiata alla cattedrale di Maria Saal e infine una cerimonia che si svolgeva al Trono Ducale (in sloveno Vojvodski stol, in tedesco Herzogsstuhl), dove il nuovo duca prestava giuramento in tedesco e dove riceveva gli omaggi dei vassalli. Il Trono Ducale si trovava nella valle dello Zollfeld, a nord di Klagenfurt.[8]
La cerimonia fu descritta per la prima volta dal cronachista Giovanni di Viktring in occasione dell'incoronazione di Mainardo II di Tirolo-Gorizia nel 1286. Fu citata anche nei Sei libri dello Stato di Jean Bodin nel 1576.
CONTINUA QUI https://it.wikipedia.org/wiki/Carantania
Naufragio di Cutro
Nel team di legali incaricati da alcune famiglie delle vittime del naufragio di Cutro c’è anche un nome noto in Friuli: si tratta di Mitja Gialuz, avvocato, patron della Barcolana e compagno dell’ex presidente del Fvg e capogruppo del Pd alla Camera, Debora Serracchiani.
Il professionista, interpellato dall’agenzia Adnkronos, ha spiegato che “la politica non c’entra niente”. “Non potevo rimanere indifferente di fronte alla tragedia di Cutro – ha scritto sui social -, da uomo di mare e da avvocato. Per questo assieme a un gruppo di colleghi, abbiamo istituito un collegio difensivo che assisterà le vittime”.
Il pool di professionisti, che assisterà gratuitamente le famiglie delle vittime in tutti i procedimenti giudiziari aperti dalla Procura di Crotone, è composto, oltre che da Gialuz (ordinario di Diritto processuale penale) anche dagli avvocati Luigi Li Gotti, ex sottosegretario alla Giustizia; e Vincenzo Cardone e Francesco Verri, cassazionisti esperti di Diritto penale internazionale.