UNA VOLTA...


 Muschi e presepi

di Angelo Floramo
Si usciva di casa prima che facesse buio. Il tempo più propizio era quello della domenica, dopo la funzione del mattino. I protagonisti non potevano che essere i bambini. La ricerca del muschio aveva in sé qualcosa di epico e di misterioso. I boschi e le fratte che circondavano i campi, ormai intirizziti dal gelo, rappresentavano una riserva inesauribile di tutto quello che poteva servire a mettere insieme il Presepe, la cui tradizione francescana compie in questi giorni i suoi ottocento anni di vita. Qualcuno se ne sarà ricordato? La casa contadina non poteva prepararsi meglio durante le settimane dell’Avvento, se non ricostruendo un piccolo microcosmo a sua immagine e somiglianza in cui raccontare il prodigio della nascita di un dio fattosi uomo dentro alla cornice consueta e povera della propria quotidianità, con le sue pecore e le sue galline, le vacche e i profili delle piccole case dal tetto di legno, lo stagno e la stalla, il lavoro dei pastori e dei contadini, l’anima umile e operosa delle botteghe. “Gjesubambin”, pronunciato così, come se fosse una parola sola, un’entità prodigiosa e incantata, incarnava, al di là di ogni interpretazione liturgica e teologica, il senso dell’attesa così connaturato alla civiltà contadina da rappresentarne l’anima stessa, quella più sacrale e profonda, precristiana, intimamente pagana, e dunque campagnola, perché proprio questo vuole dire il termine “pagano”. L’attesa della luce, il lento giro dell’anno, la danza delle stagioni, il rinnovamento del tempo. Le bande di ragazzini sguinzagliati ben oltre il portone del cortile rientravano dopo qualche ora. Ciascuno di loro aveva il suo posto segreto, gelosamente custodito, al quale attingere quel tappeto profumato e verde che avrebbe accolto le rozze statuine di gesso. Nel sacco ci stava anca qualche corteccia, radici contorte e rami di pungitopo, che sotto la guida sapiente dei più grandi avrebbero regalato un lampo di vero al teatro della natività. Per allestire il tutto bisognava che fossero già passati gli spiriti prodigiosi che introducevano il tempo del Natale: San Nicolò o Sante Lussie (Santa Lucia) a seconda della geografia e della tradizione. Ad opera compiuta bisognava tenere a bada i piccolini, che difficilmente resistevano alla tentazione di giocare con i protagonisti, sfalsando equilibri e prospettive. Gjesubambin era l’unica statuina ad essere esclusa dalla scena. Va da sé, l’avrebbe presa tutta solo alla fine. Quando finalmente il tempo dell’attesa si sarebbe compiuto.
da Vita nei campi Angelo Floramo

dal web

La nascita del presepe

Il primo ad istituire il presepe fu, infatti, San Francesco d’Assisi nel 1233: desideroso di celebrare al meglio la nascita di Gesù, decise di raffigurarla con una rappresentazione dal vivo, utilizzando attori e canti.

L’idea del santo fu talmente ben accolta che, fra il 1290 ed il 1292, Arnolfo di Cambio, artista toscano, scolpì un presepe a tutto tondo, cosa che spinse molti altri scultori a cimentarsi in opere simili.

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