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20 ott 2021

 


Quello di Canalaz è il castagno più grande del Friuli Venezia Giulia.


Fu la Madonna a portare il castagno nella Slavia. Già in tempi remoti la castanicoltura fu un asse importante dell’economia. Nei primi anni del ‘900 si raccoglievano quasi 40mila quintali di castagne di oltre venti varietà. I bacchiatori portavano a benedire le loro «late»

Giorgio Banchig

In un racconto dal titolo Marija v Landarski jami / Maria nella Grotta d’Antro (con illustrazioni di Tone Kralj) lo scrittore sloveno France Bevk (1890-1970) è ricorso alla leggenda per spiegare l’origine del castagno / kostanj nelle Valli del Natisone chiamando in causa nientemeno che la Madonna.

Inseguita dagli sgherri di re Erode, che avevano l’ordine di uccidere Gesù, Maria si è trovata raminga in Val Natisone, dove incontrò una povera donna che la accompagnò nella Grotta d’Antro. Qui trovò rifugio salvando la vita del suo piccolo. «Maria guardò la povera terra sulle pendici del Mia e del Matajur, dove i bambini non potevano dormire per la fame e sorrise dolcemente. Si mise una mano in grembo e diede alla donna una castagna. “Eccoti la ricompensa divina. – Disse. – Piantala, perché cresca il cibo per i bambini e un manto verde copra questi pendii spogli”. La povera donna, che aveva solo una capra, piantò la castagna e la annaffiò portando l’acqua del Natisone nei palmi delle mani. Crebbe un albero frondoso che diede molti frutti. I bambini li raccoglievano, li arrostivano sulla brace e se li gustavano» (Bevk 1937/38: 128-129).

Non so se lo scrittore abbia inventato del tutto la leggenda o l’abbia attinta da qualche racconto popolare sentito in Benecia, che in quegli anni frequentava spesso, in particolare la canonica di don Antonio Cuffolo a Lasiz. Ma il solo fatto che si sia occupato del castagno e ne abbia descritto le leggendarie origini dimostra quanto la coltura di questo prezioso frutto sia stata importante nella storia e nell’economia delle nostre valli, quanto abbia inciso sui ritmi della vita della comunità e abbia fatto conoscere in terre vicine e lontane la nostra Benecia che ancor oggi esibisce con orgoglio numerosi castagni secolari, a volte monumentali per la loro grandezza e magnificenza.

Dalla leggenda alla storia, all’economia, alla vita e alle tradizioni delle nostre comunità. Nel 1559 il provveditore di Cividale Alvise Marcello nella relazione, redatta al termine del suo mandato, scrive che nella Schiavonia la gente si nutre di carne degli animali che alleva, «di latticini vari e formaggi, ma anche di castagne, noci e altri frutti che producono in quantità per la maggior parte dell’anno» (Relazioni 1976: 40). La castanicoltura, dunque, come un asse importante dell’economia locale, non solo per i frutti consumati daparsone e maiali in autunno e in inverno, venduti sul mercato di Cividale e barattati nei paesi friulani, ma anche per il legname usato per la costruzione di abitazioni, stalle e kazoni e, in seguito, venduto alla fabbrica di tannino di Cividale.

Se ci fermiamo alla quantità del frutto raccolto, vediamo che all’inizio del XX secolo la produzione delle castagne nella Slavia sfiorava i 40mila quintali divisi nelle seguenti varietà: objaki 20mila quintali, marroni 8mila, altre 20mila (Dorigo 1909: 14). I limiti altimetrici del castagno variano da luogo a luogo, alzandosi o abbassandosi secondo il predominio del sole o dell’ombra. La quota più alta, 848 mslm, è stata registrata sul versante meridionale del monte Hum (Stregna); l’area più intensamente coltivata era tra i 700 e gli 800 mslm (Musoni 1912: 190).

Numerosissime erano le varietà di castagni. Božo Zuanella ne ha contate ben 19 nel solo comune di Savogna: barški, ranac pečanski, marujac, bogatec, grivnjak, sivac, gorjupar, kobilca, čufa o muronica, muron, objak, melivnjak, debejak, kitar, lužarca, čajh, purčinac (Zuanella 1981: 4); in altre aree erano conosciuti: rezijan, maron, golac… – quindi oltre venti varietà di castagni (alcune sono andate definitivamente perse), ciascuna delle quali produceva frutti con particolari forme, grandezza, qualità organolettiche e tempi di maturazione.

Due erano i metodi di raccolta delle castagne, che iniziava all’inizio di ottobre e proseguiva fino ai primi di novembre. Il primo consisteva nella raccolta dei frutti caduti spontaneamente dai rami o ancora nei ricci, dai quali venivano cavati con speciali kliešče / tenaglie di legno. Il secondo metodo era quello della «ricciaia» che comportava la bacchiatura dei ricci ancora chiusi con lunghe late / aste di legno, generalmente di frassino. I ricci caduti venivano rastrellati ed ammucchiati in cumuli alti 50-60 cm a ridosso del tronco del castagno e venivano coperti con uno strato di foglie e di terriccio dello spessore di 10-12 cm. Durante i 12-14 giorni in cui rimaneva nell’interno del cumulo il riccio perdeva consistenza consentendo la facile estrazione dei frutti, mentre nelle castagne si verificava una lenta fermentazione, con sviluppo di acido lattico ed anidride carbonica, che consentivano la loro conservazione per un tempo più lungo.

Il lavoro della bacchiatura / klatenje era faticoso e pericoloso: arrampicarsi sui tronchi e i rami del castagno ed agitare le lunghe aste comportava un grande sforzo fisico e una capacità di equilibrio non comune. Non erano rari i casi di cadute rovinose anche con conseguenze nefaste. Per implorare la protezione divina i klatiči, nella festa di San Michele (29 settembre), si recavano nelle chiese a lui dedicate di Pechinie e di Topolò per partecipare alla messa ed essere benedetti assieme alle loro lunghe late (Primorski dnevnik 13.10.1966: 5); a Spignon la cerimonia si svolgeva nella seconda domenica di ottobre, festa della Madonna detta Kostanjovca.

Lungo, faticoso e spesse volte umiliante era il baratto delle castagne in cambio di granoturco nei paesi della pianuta friulana. Tante persone hanno raccontato a voce e per iscritto questa attività che ha caratterizzato un’epoca della nostra storia, in particolare del secondo dopoguerra.Proprio a quel periodo risale un articolo del Matajur (28.11.1950) che descrive il gravoso peregrinare da un paese all’altro del Friuli e anche del Veneto. Angelo Clignon – Kurinu di Pegliano, classe 1905, mi ha raccontato di essersi spinto con il suo carico «not’ do Štintina», vale a dire fino a San Stino di Livenza (VE).

Il baratto delle castagne, leggiamo nel Matajur, iniziava di solito verso fine del mese di ottobre, cioè prima della festa di tutti i Santi. Il primo faticoso lavoro degli uomini era portare sulla schiena i sacchi di castagne nel fondovalle; il giorno seguente, di primo mattino, partivano da casa. Solitamente si mettevano insieme due uomini di famiglie diverse: uno di loro afferrava le stanghe della burela / carretto a due ruote, e la tirava, il secondo la spingeva da dietro. La fatica di condurre la burela era rappresentata, oltre che dal peso delle castagne, dalle strade dissestate e dalle salite. Quando arrivavano in pianura il cammino era più agevole, ma lì iniziava l’ancora più gravoso pellegrinaggio di paese in paese, di casa in casa per offrire le castagne in cambio di granoturco. Alla sera andavano a dormire nelle stalle e nei fienili. Il giorno dopo riprendevano il baratto fino all’esaurimento delle scorte. Allora aveva inizio il cammino di ritorno trainando e spingendo il carretto altrettanto pesante come all’andata, ma questa volta carico di granoturco che veniva macinato e nelle fredde sere invernali si trasformava in profumata polenta.

Luciano Chiabudini – Ponediščak, forte delle sua esperienza personale all’età di 12-13 anni, aggiunge altri particolari a questa radicata tradizione autunnale. Nell’andare a barattare «portavano sempre con loro un bambino/ a perché imparasse la strada e il modo di offrire le castagne, ma anche per impietosire la gente in quanto andare di casa in casa era come chiedere la carità. Tutti mi volevano portare con sé perché ero magro come il baccalà, tanto da far pena alla gente». Il gruppo partì da Cicigolis e si fermò a Firmano e Oleis senza tanta fortuna, perché altri l’aveva preceduto; da lì si spinse verso Manzano e Percoto, ma anche lì con scarsi risultati. Alla fine entrò a Clauiano, paese fuori dalle principali vie del baratto. «Lì non siamo dovuti andare noi di casa in casa, ma era la gente a venire a chiedere le castagne con cesti pieni di granoturco. In brevissimo tempo finimmo le scorte e tornammo a casa col nostro carro carico del dorato granoturco» (Chiabudini 1987: 2).

(40 – continua)

Bevk F. (1937-38), Marija v Landarski jami. Naš rod, 127129.

Birtig V., Zuanella B. (1981), Kostanj in njegov pomen za Nediške doline. Dom 10, 4) Dorigo D (1909), La frutticoltura del Mandamento di Cividale e il vivaio di fruttiferi di S. Pietro al Natisone. Bullettino dell’Associazione Agraria friulana, serie V, vol. XXVI, 11-20.

Chiabudini L. (1987), Baretanje. Dom 18, 2.

https://dom-ita.newsmemory.com/

2 commenti:

⚠️Gradisco commenti e critiche per la crescita del blog.
Generalmente rispondo ai commenti,ma seguendo parecchi blog non sempre ci riesco.
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