" Di queste case non è rimasto che qualche brandello di muro..."
Giuseppe Ungaretti visita San Martino del Carso e il San Michele. 20 maggio 1966
"I colpi del bastone sulle rocce bianche erano l’unico rumore che accompagnava i passi incerti di Giuseppe Ungaretti quasi ottantenne, tornato sul Carso per la prima volta dopo cinquant’anni dalla Grande Guerra. [...]
Chi lo accompagnava non osava interrompere il suo silenzio. Il poeta dalle poche parole si guardava attorno, posava gli occhi sulle stesse cime e trincee in cui mezzo secolo prima aveva visto la pietra farsi rossa di sangue e nelle notti a fargli compagnia era stato il «compagno massacrato con la bocca digrignata volta al plenilunio» (Veglia). Alla fine aveva scosso la testa incredulo: «È incredibile, questo non è più il Carso dove combattevo io... oggi appare ridente, quella volta non c’era una foglia!». Dall’inverno del 1916 al maggio del 1966 non era solo la primavera a trasformare il paesaggio, ma la consapevolezza – quel giorno ancora più forte – della guerra come inutile follia. Una consapevolezza che Ungaretti aveva già scoperto durante la sofferenza dei combattimenti e poi maturato negli anni, ma che a Gorizia, nell’emozione profonda di quel ritorno, prendeva la forza di un testamento spirituale e lasciava nella città un segno indelebile."
Lucia Bellaspiga
Foto di
Ferdinando Furlan
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