#distanziati, un progetto di un videoclip collettivo dalla montagna friulana
di Stefano Morandini, antropologo visuale
di Stefano Morandini, antropologo visuale
#distanziati, è una delle parole che sono entrate nelle nostre vite, sconvolgendole, senza che neanche ce ne rendessimo conto: il giorno prima potevamo essere al massimo ‘distanti’ per scelta o per necessità, il giorno dopo dovevamo rimanere dentro le nostre case o in fila, ma a debita distanza per difenderci dal droplet. Se interroghi la Treccani on line, subito dopo il lemma #distanziati, riporta: distaccato, separato, che risuona come una dolorosa frattura.
In questi giorni senza ore, anche io ho sperimentato il distacco: il primo, straziante di cui noi tutti abbiamo fatto esperienza mediata dalla televisione, era quello dei malati chiusi nei reparti, privati delle parole, delle lacrime, degli abbracci dei loro cari, nel momento più difficile della loro vita e forse anche l’ultimo. In tutte le culture, l’elaborazione del lutto ha bisogno di rituali fatti di gente che si stringe, di parole sovraccariche di partecipazione, di pianto collettivo, di cortei funebri, dove ognuno mette i piedi sulle orme dell’altro, creando movimento, immedesimazione, comunità del dolore e nel dolore. Tutti noi abbiamo sostituito tutto questo, accompagnando con lo sguardo attonito, ma distanziato i lunghi serpentoni di camion militari o le fosse comuni scavate nel Bronx.
Il distanziamento sociale è e sarà la regola che ci costringerà a mutare il nostro modo di stare nella società, e non mi riferisco naturalmente agli inutili divisori in plexiglass delle spiagge, ma ad un vero e proprio ripensamento dei comportamenti, della fruizione degli spazi, fino ad arrivare ad un rovesciamento del rapporto tra centro e periferie. C’è qualcuno che ci può insegnare qualcosa e sono gli abitanti della montagna friulana e non, che dagli anni Sessanta hanno difeso un territorio, che è diventato man mano, periferia di periferie, dove l’isolamento, il distanziamento, la resilienza sono pratiche quotidiane. Questa è un’eredità scomoda e non richiesta, determinata da una pianura e dalla città che continua a consumare distrattamente spazi e risorse, con una bulimia turistica, condannando poi queste zone al un destino anagrafico dei piccoli numeri. Io spero che da questa esperienza di costrizione nasca una nuova sensibilità e una nuova voglia di ripartenza, un progetto insomma che credo manchi in Friuli dal post-terremoto.
La Cooperativa Cramars, da qualche anno, attraverso il Festival Innovalp ha portato in Carnia il dibattito nazionale sulle “aree interne”, presentando una rete di esperienze a cui guardare e suggerendo buone pratiche alla politica. Tocca ad ognuno di noi dare un contributo a questo dibattito, ora ne abbiamo il tempo e l’urgenza e lo possiamo fare lasciando una testimonianza, un suggerimento, un’idea sotto forma di video o di audio in questo momento di distanziamento, e guardiamo le montagne attraverso la finestra di casa o scorriamo le loro immagini sullo schermo di un dispositivo.
Ho condiviso l’invito, che mi è stato lanciato da Cramars, di costruire un videoclip collettivo dalla montagna friulana convinto, da antropologo, che mai come in questo momento bisogna ripartire e ricostruire mettendo al centro la nostra individualità raccontata e condivisa affinchè lo stare #distanziati non continui a significare distacco o separazione.
In questi giorni senza ore, anche io ho sperimentato il distacco: il primo, straziante di cui noi tutti abbiamo fatto esperienza mediata dalla televisione, era quello dei malati chiusi nei reparti, privati delle parole, delle lacrime, degli abbracci dei loro cari, nel momento più difficile della loro vita e forse anche l’ultimo. In tutte le culture, l’elaborazione del lutto ha bisogno di rituali fatti di gente che si stringe, di parole sovraccariche di partecipazione, di pianto collettivo, di cortei funebri, dove ognuno mette i piedi sulle orme dell’altro, creando movimento, immedesimazione, comunità del dolore e nel dolore. Tutti noi abbiamo sostituito tutto questo, accompagnando con lo sguardo attonito, ma distanziato i lunghi serpentoni di camion militari o le fosse comuni scavate nel Bronx.
Il distanziamento sociale è e sarà la regola che ci costringerà a mutare il nostro modo di stare nella società, e non mi riferisco naturalmente agli inutili divisori in plexiglass delle spiagge, ma ad un vero e proprio ripensamento dei comportamenti, della fruizione degli spazi, fino ad arrivare ad un rovesciamento del rapporto tra centro e periferie. C’è qualcuno che ci può insegnare qualcosa e sono gli abitanti della montagna friulana e non, che dagli anni Sessanta hanno difeso un territorio, che è diventato man mano, periferia di periferie, dove l’isolamento, il distanziamento, la resilienza sono pratiche quotidiane. Questa è un’eredità scomoda e non richiesta, determinata da una pianura e dalla città che continua a consumare distrattamente spazi e risorse, con una bulimia turistica, condannando poi queste zone al un destino anagrafico dei piccoli numeri. Io spero che da questa esperienza di costrizione nasca una nuova sensibilità e una nuova voglia di ripartenza, un progetto insomma che credo manchi in Friuli dal post-terremoto.
La Cooperativa Cramars, da qualche anno, attraverso il Festival Innovalp ha portato in Carnia il dibattito nazionale sulle “aree interne”, presentando una rete di esperienze a cui guardare e suggerendo buone pratiche alla politica. Tocca ad ognuno di noi dare un contributo a questo dibattito, ora ne abbiamo il tempo e l’urgenza e lo possiamo fare lasciando una testimonianza, un suggerimento, un’idea sotto forma di video o di audio in questo momento di distanziamento, e guardiamo le montagne attraverso la finestra di casa o scorriamo le loro immagini sullo schermo di un dispositivo.
Ho condiviso l’invito, che mi è stato lanciato da Cramars, di costruire un videoclip collettivo dalla montagna friulana convinto, da antropologo, che mai come in questo momento bisogna ripartire e ricostruire mettendo al centro la nostra individualità raccontata e condivisa affinchè lo stare #distanziati non continui a significare distacco o separazione.
Morandini Stefano
#distanziati, un progetto di un videoclip collettivo dalla montagna friulana di Stefano Morandini, antropologo visuale
RispondiEliminaCara Olga, non ho visto questo video collettivo, ma penso sia interessante.
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso
Quello collettivo devono ancora farlo!
EliminaMolto interessante.
RispondiEliminaSereno giorno.
grazie della visita,buon pomeriggio!
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