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11 giu 2022

STRUCCHI LESSI o CJARSòNS DOLCI




INGREDIENTI


PASTA


200 gr di patate

250 gr di farina 00 (orientativo)

Un pizzico di sale grosso


RIPIENO E CONDIMENTO


200 g di noci sgusciate

La buccia grattugiata di 1 limone

40 g di zucchero semolato

50 ml di vino bianco secco (mezzo bicchierino)

70 g di uvetta

100 g di burro

50 g di pangrattato

1 cucchiaino di cannella in polvere

zucchero a velo q.b.

(in base al gusto personale si possono aggiungere dei pinoli tostati assieme al pangrattato e 2/3 amaretti sbriciolati)


PROCEDIMENTO

Lava le patate con la buccia e falle lessare in acqua salata, ci vorranno 30/40 minuti a seconda della misura delle patate. Fai la classica prova della forchetta, quando i rebbi entrano facilmente nella polpa, scola le patate, pelale ancora calde per facilitare l’operazione e schiacciale con lo schiacciapatate direttamente sulla spianatoia. Aggiungi una manciata di farina ed impasta con le mani, continua ad impastare aggiungendo poca farina per volta fino ad ottenere un panetto liscio e omogeneo, compatto, abbastanza morbido da poter stendere con il mattarello, ma non appiccicoso.

Il quantitativo di farina sarà dipendente dal tipo di patate utilizzate e da quanta acqua mantengono in cottura.


Lascia riposare la pasta coperta da pellicola adesiva e dedichiamoci al ripieno.


Metti l’uvetta ad ammollare in acqua tiepida.

Trita finemente le noci e versale in una ciotola capiente, unisci la buccia di limone grattugiata, lo zucchero e il vino.

In una padellina rosola il pangrattato con metà del burro fino a che il burro comincia a schiumare e il pane diventa dorato (eventualmente con i pinoli).

Aggiungi anche questo al ripieno, assieme all’uvetta sgocciolata.

Mescola il ripieno nella ciotola in modo da ottenere un composto omogeneo.



Stendi la pasta con il mattarello fino a raggiungere lo spessore di 2/3 mm., tagliala a dischetti di 6 o 7 cm, disponi un cucchiaino di ripieno su ogni disco e bagna leggermente il bordo con un pennellino intinto in poca acqua.


Chiudi gli strucchi premendo con le dita e falli lessare, pochi per volta, in acqua bollente salata per una decina di minuti. Per evitare che gli strucchi si aprano durante la cottura, fai in modo che non rimanga aria tra il ripieno e la pasta e mantieni l’acqua ad un bollore dolce.


Condisci con burro caldo e una spolverata di zucchero a velo mescolato con la cannella.


Servili caldi assieme ad un Picolit freddo.


Buon appetito!

 

IL PAESE DELLE VACANZE


 Il Paese delle Vacanze

non sta lontano per niente:
se guardate sul calendario
lo trovate facilmente.
Occupa, tra Giugno e Settembre,
la stagione più bella.
Ci si arriva dopo gli esami.
Passaporto, la pagella.
Ogni giorno, qui, è domenica,
però si lavora assai:
tra giochi, tuffi e passeggiate
non si riposa mai.
Gianni Rodari

10 giu 2022

Allarme zecche in Friuli

 


L'allarme zecche preoccupa anche il Friuli Venezia Giulia. Stando a quanto diffuso dalle Direzioni Prevenzione di alcune regioni italiane, compreso il vicino Veneto, quest’anno il numero di zecche sembra essere notevolmente maggiore rispetto al passato. A dare l'allarme sono gli esponenti regionali dei Cittadini che in una nota lanciano l'appello alla giunta Fedriga affinché si faccia una campagna di sensibilizzazione in tutto il Fvg. 

Bacio delle croci a Monteaperta/Viškorša

dal quindicinale Dom

Domenica, 12 giugno, nella festività della Ss. Trinità, si ripete anche quest’anno a Monteaperta/Viškorša il tradizionale rito del bacio delle croci. A officiare la Messa nella chiesa sopra il paese intitolata alla Trinità, alle 11.15, sarà don Giacinto Miconi. La celebrazione, con parti in italiano, latino, sloveno e friulano, sarà arricchita dai canti del coro di Cavalicco. Da Monteaperta fanno sapere che sono state invitate le croci di Taipana/Tipana, Lusevera/Bardo, Chialminis/Vizont, Prossenicco/Prosnid, Montemaggiore/Brezje e di altre comunità limitrofe. Al termine della Messa sarà offerto un rinfresco, in collaborazione con la popolazione e la Pro loco di Monteaperta.

Anche per Lusevera i bimbi al Centro estivo

Il Servizio Sociale dei Comuni del Torre, in collaborazione con i Comuni di Tarcento, Lusevera, Povoletto, Reana del Rojale e Tricesimo, organizza anche per l’estate 2022 i centri estivi per minori dai 3 ai 14 anni. Le iscrizioni saranno online e il link per accedere alla compilazione della domanda sarà disponibile sul sito www.comune.tarcento. ud.it alla sezione News. Dal 30 maggio le iscrizioni saranno aperte ai soli residenti nei comuni dove vengono organizzati i centri, mentre dal 5 giugno saranno aperte a tutti.

«Ojceta», la festa del matrimonio sanciva l’unione tra uomo e donna


BENECIA, RESIA E VALCANALE

Il progetto dell’associazione don Eugenio Blanchini «Tradizioni comuni e particolari degli sloveni in Italia»

La descrizione delle nozze di fine ‘800 in Benecia. L’elemento costitutivo del matrimonio è il libero consenso che, in passato, gli sposi manifestavano anche senza la presenza di testimoni

Giorgio Banchig

Nel giorno delle nozze «gli sposi di famiglie facoltose si recano in chiesa con un grande numero di invitati. Gli uomini camminano in bell’ordine, due a due, uno dietro l’altro, alla fine arriva lo sposo alla destra del suo compare. Dietro di loro le donne sono allineate allo stesso modo, segue la sposa con la comare alla sinistra. Alle volte il corteo è accompagnato dai suonatori che eseguono motivi popolari sia all’andata che al ritorno dalla chiesa. Al termine della celebrazione del matrimonio, durante la quale gli sposi e tutti gli invitati partecipano al bacio della pace o, come si dice comunemente, all’oufar / offerta, deponendo sull’altare il loro obolo, viene cantata la messa perché il Signore benedica quell’unione. Alla fine, in mezzo alla chiesa, recitano il Miserere, il De profundis ed altre preghiere in suffragio dei defunti delle famiglie degli sposi e di nuovo ognuno dà al sacerdote una piccola offerta. Usciti di chiesa, tutti fanno gli auguri alla coppia poi, con lo stesso ordine con cui erano arrivati, si avviano verso casa dove è pronto il pranzo di nozze, cui segue il ballo».

È questa la più antica narrazione scritta di una festa di nozze nella nostra Slavia. Risale alla fine del XIX secolo e la troviamo nel volume di Simon Rutar Beneška Slovenija, pubblicato a Lubiana nel 1899 (p. 80).

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Natisone e dei suoi affluenti: i modi di celebrare il matrimonio in Benecia sono cambiati affatto ed hanno poco in comune con lo scenario descritto dallo storico sloveno. Ciò è dovuto agli straordinari cambiamenti sociali e culturali, verificatisi dal secondo dopoguerra in poi, che hanno inciso profondamente nella celebrazione del matrimonio e degli altri riti di passaggio nella vita delle persone e in genere nelle tradizioni legate al mondo agricolo e religioso. Inoltre, la frequente introduzione di consuetudini estranee al nostro territorio ha fatto perdere di vista la trama originaria dei riti che accompagnavano l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio. Ma è esistita davvero una trama originaria? E in cosa consisteva?

Proviamo a capire qual era l’elemento costitutivo del matrimonio e qual era l’originale modello della sua celebrazione nel nostro territorio compreso nel vastissimo contesto geografico, storico, culturale e religioso di questa parte d’Europa, caratterizzata da incontri di popoli e lingue. Iniziamo proprio dai termini con i quali viene denominata in sloveno l’unione tra uomo e donna. Comunemente il matrimonio è chiamato zakon, nel linguaggio ecclesiastico sveti zakon, come leggiamo anche nel Katekizem per i fedeli sloveni dell’arcidiocesi di Udine del 1928. Il significato originario di zakon, presente in altre lingue slave, è ‘inizio, principio, origine’ e deriva dal verbo začeti / ‘iniziare, cominciare’.

Zakon significa, inoltre, ‘legge’ emanata dagli organi dello stato (Snoj, Etimološki slovar).

La cerimonia, con cui viene celebrato il matrimonio, è chiamata poroka, termine che deriva dal verbo

poročiti ‘affidare, dare, consegnare qualcosa con la mano’ / roka. Si può quindi pensare che poroka significhi la consegna, l’affidamento da parte del padre della propria figlia allo sposo (Snoj, Etimološki slovar). Ma poroka potrebbe essere interpretato anche come ‘unione delle mani’, gesto ancestrale, metafora dell’intimo legame tra l’uomo e la donna, che gli sposi compiono ancora oggi mentre pronunciano la formula del matrimonio.

Nei dialetti della Slavia la festa che accompagna la celebrazione del matrimonio è chiamata ojceta (plurale), in lingua slovena ohcet (singolare). Il termine deriva dal tedesco Hochzeit, festa di nozze ed è composto dall’aggettivo hoch / alto, importante, e dal sostantivo Zeit / tempo. Hochzeit, ojceta, ohcet, quindi, significano ‘tempo alto / cerimonia festiva importante’, che si adattano bene ad indicare metaforicamente le nozze.

Dopo questa veloce divagazione

etimologica, veniamo al nocciolo della nostra ricerca. Qual è l’elemento costitutivo del matrimonio?

Il giurista latino Ulpiano (180-228 d.C.) scrive: Sufficit nudus consensus ad constituenda sponsalia: è sufficiente il reciproco consenso a fondare il legame tra un uomo e una donna. Il resto è sovrastruttura, tradizione, consuetudine. Il latino sponsalia deriva dal verbo spondere con il significato di promettere, da cui consegue che gli spo(n)si sono i fidanzati, l’uomo e la donna che hanno promesso di sposarsi.

Oggi il fidanzamento non ha l’importanza e il significato, anche giuridico, che ha avuto lungo i secoli. Prima del Concilio di Trento (1545-1563) perché un matrimonio fosse valido bastava il libero consenso degli sposi. Nei secoli XII e XIII «i canonisti introdussero la fondamentale distinzione fra verba de futuro e verba de praesenti, parole per il futuro e parole per il presente. Il contratto per

verba de futuro costituiva una promessa, un impegno per l’avvenire, il vero fidanzamento. Questo rapporto si trasformava automaticamente in matrimonio se i due promessi sposi andavano ad abitare insieme e avevano rapporti sessuali. Ma, se questo non avveniva, il fidanzamento era revocabile e coloro che l’avevano stipulato erano liberi di sposarsi con un’altra persona. Il contratto per verba de praesenti, con il quale i due fidanzati si scambiavano, di fronte a testimoni, formule come ‘io prendo te in moglie’ e ‘io prendo te per marito’, costituiva il matrimonio e non era dunque revocabile. Fino alla metà del XVI secolo era questa cerimonia, e non quella in chiesa, che creava l’obbligo legale vincolante» (www. treccani.it). Gli eventuali rituali, la benedizione da parte del sacerdote e le solennità della celebrazione erano elementi accidentali che non influivano sulla sacramentalità e sulla giuridicità dell’istituto. Pertanto, il vincolo era considerato valido già al momento del primo scambio del consenso. Poi, la difficoltà di provarlo in caso di contestazione da parte di uno degli sposi spinse i contraenti e i loro congiunti a rendere pubblico il legame alla presenza di testimoni.

In Friuli alcuni sposalizi si celebravano davanti al notaio, altri, e questi erano in numero maggiore, davanti a testimoni non rivestiti di alcuna pubblica autorità. Il matrimonio si riteneva concluso dopo che uno dei testimoni aveva interrogato i fidanzati sulla loro volontà di contrarlo e aveva ricevuto risposta affermativa. Gli sposi si davano la mano, si scambiavano l’anello, si abbracciavano davanti ai testimoni, per dimostrare che il matrimonio era stato ratificato e che essi erano uniti ormai per l’eternità. «Fra i testimoni non rivestiti di nessuna autorità dallo Stato o dalla Chiesa erano i chierici. Per quella speciale attrattiva, che esercitano sul volgo le persone più colte che sanno di latino, i preti nelle celebrazioni erano ricercati come testimoni. Un po’ per volta fecero prevalere la loro ingerenza nella celebrazione del matrimonio, il quale, benché restasse un atto puramente civile e privato, poiché la chiesa era luogo naturale di riunione, si celebrava in facie ecclesiae. I matrimoni non celebrati in faccia alla chiesa erano riprovati come clandestini, ma ritenuti validi. La domanda di assenso, che poteva esser fatta dal chierico o da qualunque testimonio, poteva anche esser fatta direttamente dagli sposi. Invece della domanda si faceva qualche volta già l’affermazione: “Io accetto te per mio legittimo marito secondo le lodevoli consuetudini della terra. – Io accetto te per mia legittima moglie secondo le lodevoli consuetudini della terra”» (Sachs 1915: 13).

Nel Patriarcato di Aquileia non ci fu un rituale ufficiale per la celebrazione del matrimonio fino al 1575, quando fu introdotto quello redatto sulla base delle disposizioni del Concilio di Trento e valide per tutta la Chiesa cattolica.

(54– continua) Sachs A., Le nozze in Friuli nei secoli XVI e XVII, Memorie storiche forogiuliesi, XI (1915), pp. 73-138.

Nella foto: dettaglio dello «Sposalizio della Vergine» dipinto da Raffaello.


buongiorno


 

9 giu 2022

Dalla lana al fertilizzante

 


Un impianto autorizzato, unico in Italia, di trasformazione della lana di pecora in fertilizzante organico (pellet) con una capacità di produzione di circa 30-40 chilogrammi all’ora. Un macchinario destinato agli allevatori di ovini del Friuli Venezia Giulia, prevalentemente dell’area montana, nell’ottica dell’economia circolare. È uno dei primi risultati del progetto “Agrilana in pellet”, nato nell’ambito di una più ampia collaborazione tra l’Università di Udine e l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale (Asufc), sostenuta dalla Fondazione Friuli.

Obiettivo della collaborazione è contribuire a sostenere le imprese locali per lo sviluppo e la valorizzazione della multifunzionalità nel settore dell’agricoltura sociale, per attività e ricerche nell’ambito agroecologico e delle filiere zootecniche di piccola scala. In questo senso, l’Ateneo è impegnato con il Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali (Di4a) e l’Azienda agraria universitaria “Antonio Servadei” (Azia).

Attività e sperimentazioni della partnership sono stati presentati oggi nella sede di Pagnacco dell’Azienda agraria dell’Ateneo friulano. All’incontro hanno partecipato, fra gli altri: il rettore, Roberto Pinton; il direttore generale dell’Asufc, Denis Caporale; il presidente della Fondazione, Giuseppe Morandini; e i direttori del Dipartimento, Edi Piasentier, e dell’Azienda agraria, Piergiorgio Comuzzo.

Oltre al progetto “Agrilana”, la collaborazione tra Dipartimento di Scienze agroalimentari, ambientali e animali e Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale, nata nel 2018, prevede altre tre attività mirate.

Azioni di sostegno alle imprese locali: per identificare le potenzialità di sviluppo della multifunzionalità aziendale, soprattutto nel campo dell’agricoltura sociale e del benessere in natura.

Programmazione di attività formative: rivolte a produttori, studenti e persone svantaggiate indicate dai servizi sociosanitari. Nel 2021 all’Azienda agraria “Servadei” è stata riconosciuta la qualifica di “Fattoria Sociale” e, con essa, quella di operatore dell’agricoltura sociale.

Una scuola estiva (field school): indirizzata a progettare e sperimentare nuovi modelli di sviluppo nell’interdipendenza uomo-animale-ambiente, ponendo attenzione alla agroecologia, alla inclusione sociale, al territorio e alla comunità. La scuola si terrà nel mese di settembre, in due tempi: il primo, dal 1° al 4 settembre, nella Val Tramontina; il secondo, dal 15 al 18 settembre, avrà come centro la sede di Pagnacco dell’Azienda agraria dell’Università di Udine.

Nato tre anni fa dalle ricerche dell’Ateneo friulano, il progetto, sostenuto dalla Fondazione Friuli, punta a dar corpo a una realtà aziendale, la startup Agrivello, che ha concorso a realizzare e gestirà l’impianto di trasformazione in collaborazione con l’Università. Il fine è quello di produrre fertilizzante organico su scala regionale, almeno inizialmente. La responsabile di Agrivello è Chiara Spigarelli, dottore di ricerca in Scienze e biotecnologie agrarie dell’Ateno udinese. Attualmente è in fase di brevettazione la filiera produttiva.

Trasforma il 100 per cento della lana con un rapporto uno a uno, cioè un chilogrammo di lana viene convertito in uno di pellet. La produzione oraria può variare per la disomogeneità della lana, proveniente da razze diverse e da contesti diversi. Questa non standardizzazione è un fattore positivo in quanto permette di recuperare qualsiasi tipo di lana.

L’impiego nel settore agricolo costituisce una innovativa alternativa rispetto alle classiche destinazioni della lana, perché è in grado di valorizzare al meglio le sue molteplici proprietà. La lana, trasformata in pellet, può essere utilizzata come fertilizzante organico, perché è una sostanza ammendante, a lento rilascio di elementi nutritivi per le piante, con forti capacità di imbibizione e ritenzione dell’acqua. Il pellet può essere utilizzato su vaso o terreno libero, per qualsiasi tipo di piante: orticole, da frutto o da balcone. Si presenta come un concime organico che rilascia gradualmente azoto (N 9-10%) e migliora la qualità del terreno. Sono inoltre in corso delle attività sperimentali volte alla valorizzazione della lana come fertilizzante in pellet. Vi collaborano le docenti Luisa Dalla Costa, Maria De Nobili e Lucia Piani, con le loro competenze, rispettivamente, in orticoltura, chimica del suolo ed economia agraria.

Le aziende con pecore in Friuli Venezia Giulia continuano a essere numerose: oltre 650 allevamenti con circa 20 mila capi. Questa condizione favorisce la permanenza della popolazione, soprattutto in area montana. Oggi il ruolo chiave della pastorizia non è più solo quello di produrre alimenti di qualità, ma anche quello di generare servizi eco-sistemici a favore delle comunità locali, assicurando la diversità biologica, la conservazione di prati e pascoli e la tutela del paesaggio. Tuttavia, queste funzioni del settore primario, specie nei territori montani, oggi sono scarsamente riconosciute e vanno recuperare e rivalorizzate per sostenere le piccole produzioni, ancora oggi significative per il “paesaggio” e per la sua potenzialità inclusiva. Il mestiere di tosatore come quello di pastore, ad esempio, sono attività sempre meno praticate, con conseguente difficoltà di trasmissione generazionale delle competenze.

"La collaborazione tra il nostro Ateneo e l’Azienda sanitaria universitaria Friuli Centrale – ha affermato il rettore Roberto Pinton – naturalmente incentrata sui temi della sanità è molto proficua anche per quanto riguarda attività di ricerca, formazione interdisciplinare e sperimentazione in ambito agroecologico e sistemico-relazionale. L’obiettivo comune è sviluppare strategie di valorizzazione del settore agro-zootecnico e di risoluzione delle criticità con il coinvolgimento delle comunità locali, con particolare attenzione all’inclusione sociale in un’ottica di welfare generativo".

"Questo è un progetto di punta che unisce le nostre tre istituzioni – ha detto il direttore generale dell’Asufc, Denis Caporale –. Grazie all’Università di Udine, alla quale ci lega un rapporto costante di collaborazione, e alla Fondazione Friuli che vi ha creduto fortemente, abbiamo pensato in maniera univoca a questa iniziativa di One Welfare. Un progetto che racchiude una parte importante di integrazione sociosanitaria alla quale lavorano tutti i dipartimenti dell’Azienda con, fra gli altri, assistenti sociali, psicologi e veterinari".

Il presidente della Fondazione Friuli, Giuseppe Morandini, ha sottolineato come "l’intensa e gratificante collaborazione progettuale con l’Università, si arricchisce, grazie alla startup Agrivello, di un’ulteriore innovativa esperienza che oltre a mettere a sistema le competenze necessarie, realizza un intervento di economia circolare e welfare generativo di grande interesse non solo per il comparto agricolo".

La lana è una fibra nobile. Tuttavia, le pecore non sono tutte uguali e i tipi genetici più diffusi in Italia non sono specializzati nella produzione di lana per uso tessile industriale. Per essi si devono prevedere forme di utilizzo alternative. Perché tutte le pecore devono essere tosate regolarmente, almeno una volta all’anno, per garantire il benessere animale. Questa esigenza può determinare, e nei fatti frequentemente determina, un problema ambientale connesso allo smaltimento della lana che, quando non ha un suo canale di utilizzo, si configura come materiale di scarto, che dovrebbe essere raccolto da ditte specializzate nella gestione dei sottoprodotti di origine animale.

I processi di tosatura e di smaltimento della lana costituiscono in questo caso un costo significativo per gli allevatori, pari a circa 6 euro/capo/anno. La lana oggi si può quindi presentare non come una risorsa, ma come un problema serio, soprattutto per l’allevatore di piccole dimensioni. Questo tipo di allevatore, infatti, anche se vuole sostenere i costi di tosatura e trasporto, non ha, di fatto, né la possibilità di conferire la fibra naturale all’industria tessile, edile o per altri impieghi, né un facile accesso al servizio di smaltimento della lana di scarto. Ne deriva il conseguente rischio di una dispersione incontrollata nell’ambiente per interramento, pratica inquinante, o insacchettamento improprio per l’invio in discarica o, peggio, l’abbandono in discariche abusive.

Il riutilizzo del sottoprodotto lana per produrre fertilizzante organico in forma di pellet è un progetto di economia circolare per la valorizzazione della lana. Allo stesso tempo però costituisce un esempio concreto di organizzazione e riorganizzazione delle poche risorse produttive del territorio delle aree interne. In particolare di quello montano e pedemontano, al quale è prioritariamente rivolto, secondo una visione multi-attoriale e multifunzionale capace di creare nuovo valore economico e sociale, attraverso la costruzione di sistemi a rete nei quali siano inclusi non solo i produttori, ma anche gli stessi residenti. Una rete che prende le mosse dal settore primario ma che ha una visione intersettoriale, che si propone di integrare agricoltura, turismo, innovazione, servizi alla persona, filiere produttive fortemente collegate al territorio. Una rete per gestire il paesaggio, riattivare la simbolica dei luoghi, proporre turismo esperienziale, custodire i saperi locali, porre attenzione alla genuinità del prodotto e al benessere delle persone, condividere e cooperare.

Il rapporto con l'animale e l'ambiente, i ritmi non incalzanti dell’attività agricola, la partecipazione alla produzione di un bene o di un servizio di indubbio valore – quali il cibo o la trasformazione di un prodotto naturale come la lana – possono rappresentare, invece, un’interessante opportunità formativa e inclusiva per giovani, anche con fragilità, se adeguatamente formati e supportati. Molteplici gli esempi che testimoniano il ritorno alla pastorizia, che avviene in forme nuove e che è sostenuta soprattutto dai giovani, spesso laureati.

https://www.ilfriuli.it/articolo/tendenze/dalla-lana-al-fertilizzante-in-friuli-il-primo-impianto-di-trasformazione-in-italia/13/267256

MERSINO (SL. LOC. MARSIN) i luoghi del giovedì

 

Tipo percorso: escursione veloce lineare

Tappe: borghi ed edifici di culto

Taglio album: descrittivo

Finalità principale: presentare la località in autunno verso il tramonto

Area linguistica toponimi: italiano e sloveno

Data: 31/10/2021

Numero foto: 51


MARSEU (MARSIELI)

–CONTINUA  Mersino (sl. loc. Marsin) – ottobre 2021 – Forum Julii Project(si apre in una nuova scheda) forumjuliiblog.wordpress.com/2022/06/07/mersino-sl-loc-marsin-ottobre-2021/

vignetta di Mannelli

 


https://www.ilfattoquotidiano.it/in-edicola/articoli/2022/06/05/la-vignetta-di-mannelli/6615957/

8 giu 2022

8 giugno Giornata di Primož Trubar e festa nazionale

 


Più di dieci anni fa, su suggerimento di Boris Pahor, la Repubblica di Slovenia ha dichiarato l'8 giugno Giornata di Primož Trubar e festa nazionale. Alla vigilia della festa, il Presidente della Repubblica di Slovenia Borut Pahor ha reso omaggio alla memoria di Trubar davanti al suo busto al castello di Rubbia nel comune di Savogna d'Isonzo.

All'evento ha partecipato anche la presidente Ksenija Dobrila




Primož Trubar (Raščica9 giugno 1508 – Derendingen28 giugno 1586) è stato un religiososcrittore e riformatore sloveno.

Nato a Raščica, minuscolo villaggio della Carniola inferiore, nel 1508, fu dapprima sacerdote cattolico e, in seguito, pastore luterano in Germania. Si avvicinò al luteranesimo alla scuola del vescovo di TriestePietro Bonomo, e divenne il più attivo animatore della riforma protestante in terra slovena.

Nel 1550, pubblicò il primo libro stampato in lingua slovenaKatekizem (Catechismo), cui seguì Abecedarium (Abecedario, sempre del 1550).[1]

Considerato il padre della letteratura slovena, Trubar fu autore di più di venticinque libri in lingua slovena, i più importanti dei quali furono le traduzioni in sloveno del Nuovo Testamento (1555-1577) e dei Salmi (1566).

L'opera di Trubar trasse senz'altro notevole ispirazione dall'incontro, in terra tedesca, con Pier Paolo Vergerio il giovane (1498-1565), in precedenza nunzio apostolico a Vienna e in Germania, già vescovo di Capodistria, e passato anch'egli alla Riforma, con il quale collaborò alla traduzione in sloveno del Nuovo Testamento.

In seguito i due, con la protezione e l'aiuto finanziario del barone Johannes Ungnad von Sonneck (1493-1564), ex governatore della Stiria e della Carinzia, aprirono una tipografia e un istituto di studi biblici a Urach (nei pressi di Tubinga), che, dal 1561 al 1564, stampò una serie di opere religiose (37 libri per un totale di 25 000 copie) in lingua slovena, croata ed italiana, quali: il Piccolo Catechismo di Lutero, il Beneficio di Cristo, la Confessio Augustana e la relativa Apologia.da wikipedia

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"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

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