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10 giu 2022

«Ojceta», la festa del matrimonio sanciva l’unione tra uomo e donna


BENECIA, RESIA E VALCANALE

Il progetto dell’associazione don Eugenio Blanchini «Tradizioni comuni e particolari degli sloveni in Italia»

La descrizione delle nozze di fine ‘800 in Benecia. L’elemento costitutivo del matrimonio è il libero consenso che, in passato, gli sposi manifestavano anche senza la presenza di testimoni

Giorgio Banchig

Nel giorno delle nozze «gli sposi di famiglie facoltose si recano in chiesa con un grande numero di invitati. Gli uomini camminano in bell’ordine, due a due, uno dietro l’altro, alla fine arriva lo sposo alla destra del suo compare. Dietro di loro le donne sono allineate allo stesso modo, segue la sposa con la comare alla sinistra. Alle volte il corteo è accompagnato dai suonatori che eseguono motivi popolari sia all’andata che al ritorno dalla chiesa. Al termine della celebrazione del matrimonio, durante la quale gli sposi e tutti gli invitati partecipano al bacio della pace o, come si dice comunemente, all’oufar / offerta, deponendo sull’altare il loro obolo, viene cantata la messa perché il Signore benedica quell’unione. Alla fine, in mezzo alla chiesa, recitano il Miserere, il De profundis ed altre preghiere in suffragio dei defunti delle famiglie degli sposi e di nuovo ognuno dà al sacerdote una piccola offerta. Usciti di chiesa, tutti fanno gli auguri alla coppia poi, con lo stesso ordine con cui erano arrivati, si avviano verso casa dove è pronto il pranzo di nozze, cui segue il ballo».

È questa la più antica narrazione scritta di una festa di nozze nella nostra Slavia. Risale alla fine del XIX secolo e la troviamo nel volume di Simon Rutar Beneška Slovenija, pubblicato a Lubiana nel 1899 (p. 80).

Da allora molta acqua è passata sotto i ponti del Natisone e dei suoi affluenti: i modi di celebrare il matrimonio in Benecia sono cambiati affatto ed hanno poco in comune con lo scenario descritto dallo storico sloveno. Ciò è dovuto agli straordinari cambiamenti sociali e culturali, verificatisi dal secondo dopoguerra in poi, che hanno inciso profondamente nella celebrazione del matrimonio e degli altri riti di passaggio nella vita delle persone e in genere nelle tradizioni legate al mondo agricolo e religioso. Inoltre, la frequente introduzione di consuetudini estranee al nostro territorio ha fatto perdere di vista la trama originaria dei riti che accompagnavano l’unione dell’uomo e della donna nel matrimonio. Ma è esistita davvero una trama originaria? E in cosa consisteva?

Proviamo a capire qual era l’elemento costitutivo del matrimonio e qual era l’originale modello della sua celebrazione nel nostro territorio compreso nel vastissimo contesto geografico, storico, culturale e religioso di questa parte d’Europa, caratterizzata da incontri di popoli e lingue. Iniziamo proprio dai termini con i quali viene denominata in sloveno l’unione tra uomo e donna. Comunemente il matrimonio è chiamato zakon, nel linguaggio ecclesiastico sveti zakon, come leggiamo anche nel Katekizem per i fedeli sloveni dell’arcidiocesi di Udine del 1928. Il significato originario di zakon, presente in altre lingue slave, è ‘inizio, principio, origine’ e deriva dal verbo začeti / ‘iniziare, cominciare’.

Zakon significa, inoltre, ‘legge’ emanata dagli organi dello stato (Snoj, Etimološki slovar).

La cerimonia, con cui viene celebrato il matrimonio, è chiamata poroka, termine che deriva dal verbo

poročiti ‘affidare, dare, consegnare qualcosa con la mano’ / roka. Si può quindi pensare che poroka significhi la consegna, l’affidamento da parte del padre della propria figlia allo sposo (Snoj, Etimološki slovar). Ma poroka potrebbe essere interpretato anche come ‘unione delle mani’, gesto ancestrale, metafora dell’intimo legame tra l’uomo e la donna, che gli sposi compiono ancora oggi mentre pronunciano la formula del matrimonio.

Nei dialetti della Slavia la festa che accompagna la celebrazione del matrimonio è chiamata ojceta (plurale), in lingua slovena ohcet (singolare). Il termine deriva dal tedesco Hochzeit, festa di nozze ed è composto dall’aggettivo hoch / alto, importante, e dal sostantivo Zeit / tempo. Hochzeit, ojceta, ohcet, quindi, significano ‘tempo alto / cerimonia festiva importante’, che si adattano bene ad indicare metaforicamente le nozze.

Dopo questa veloce divagazione

etimologica, veniamo al nocciolo della nostra ricerca. Qual è l’elemento costitutivo del matrimonio?

Il giurista latino Ulpiano (180-228 d.C.) scrive: Sufficit nudus consensus ad constituenda sponsalia: è sufficiente il reciproco consenso a fondare il legame tra un uomo e una donna. Il resto è sovrastruttura, tradizione, consuetudine. Il latino sponsalia deriva dal verbo spondere con il significato di promettere, da cui consegue che gli spo(n)si sono i fidanzati, l’uomo e la donna che hanno promesso di sposarsi.

Oggi il fidanzamento non ha l’importanza e il significato, anche giuridico, che ha avuto lungo i secoli. Prima del Concilio di Trento (1545-1563) perché un matrimonio fosse valido bastava il libero consenso degli sposi. Nei secoli XII e XIII «i canonisti introdussero la fondamentale distinzione fra verba de futuro e verba de praesenti, parole per il futuro e parole per il presente. Il contratto per

verba de futuro costituiva una promessa, un impegno per l’avvenire, il vero fidanzamento. Questo rapporto si trasformava automaticamente in matrimonio se i due promessi sposi andavano ad abitare insieme e avevano rapporti sessuali. Ma, se questo non avveniva, il fidanzamento era revocabile e coloro che l’avevano stipulato erano liberi di sposarsi con un’altra persona. Il contratto per verba de praesenti, con il quale i due fidanzati si scambiavano, di fronte a testimoni, formule come ‘io prendo te in moglie’ e ‘io prendo te per marito’, costituiva il matrimonio e non era dunque revocabile. Fino alla metà del XVI secolo era questa cerimonia, e non quella in chiesa, che creava l’obbligo legale vincolante» (www. treccani.it). Gli eventuali rituali, la benedizione da parte del sacerdote e le solennità della celebrazione erano elementi accidentali che non influivano sulla sacramentalità e sulla giuridicità dell’istituto. Pertanto, il vincolo era considerato valido già al momento del primo scambio del consenso. Poi, la difficoltà di provarlo in caso di contestazione da parte di uno degli sposi spinse i contraenti e i loro congiunti a rendere pubblico il legame alla presenza di testimoni.

In Friuli alcuni sposalizi si celebravano davanti al notaio, altri, e questi erano in numero maggiore, davanti a testimoni non rivestiti di alcuna pubblica autorità. Il matrimonio si riteneva concluso dopo che uno dei testimoni aveva interrogato i fidanzati sulla loro volontà di contrarlo e aveva ricevuto risposta affermativa. Gli sposi si davano la mano, si scambiavano l’anello, si abbracciavano davanti ai testimoni, per dimostrare che il matrimonio era stato ratificato e che essi erano uniti ormai per l’eternità. «Fra i testimoni non rivestiti di nessuna autorità dallo Stato o dalla Chiesa erano i chierici. Per quella speciale attrattiva, che esercitano sul volgo le persone più colte che sanno di latino, i preti nelle celebrazioni erano ricercati come testimoni. Un po’ per volta fecero prevalere la loro ingerenza nella celebrazione del matrimonio, il quale, benché restasse un atto puramente civile e privato, poiché la chiesa era luogo naturale di riunione, si celebrava in facie ecclesiae. I matrimoni non celebrati in faccia alla chiesa erano riprovati come clandestini, ma ritenuti validi. La domanda di assenso, che poteva esser fatta dal chierico o da qualunque testimonio, poteva anche esser fatta direttamente dagli sposi. Invece della domanda si faceva qualche volta già l’affermazione: “Io accetto te per mio legittimo marito secondo le lodevoli consuetudini della terra. – Io accetto te per mia legittima moglie secondo le lodevoli consuetudini della terra”» (Sachs 1915: 13).

Nel Patriarcato di Aquileia non ci fu un rituale ufficiale per la celebrazione del matrimonio fino al 1575, quando fu introdotto quello redatto sulla base delle disposizioni del Concilio di Trento e valide per tutta la Chiesa cattolica.

(54– continua) Sachs A., Le nozze in Friuli nei secoli XVI e XVII, Memorie storiche forogiuliesi, XI (1915), pp. 73-138.

Nella foto: dettaglio dello «Sposalizio della Vergine» dipinto da Raffaello.


2 commenti:

  1. È positivo che l'Italia ti permetta di parlare sloveno e di sviluppare la cultura slovena.

    RispondiElimina
  2. Oggi in Italia è permesso,ma durante il fascismo era proibito parlare sloveno.

    RispondiElimina

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Generalmente rispondo ai commenti,ma seguendo parecchi blog non sempre ci riesco.
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