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Questo blog parla delle minoranze linguistiche del Friuli:SLOVENA,FRIULANA eTEDESCA,articoli dei giornali della minoranza slovena,degli usi,costumi,eventi e tanto altro.Buona lettura.OLga

antifascista

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2 dic 2020

Nagorno Karabakh, le ragioni di un conflitto e perché riguarda tutta l’Europa

 

Stepanakert. I sotterranei della cattedrale cittadina trasformati in rifugio antiaereo (Foto: Roberto Travan)


In questi mesi di pandemia è passata quasi inosservata la recrudescenza del conflitto fra Armenia e Azerbaijan che ha al centro la Repubblica dell’Artsakh, più nota come Nagorno Karabakh. Le notizie del conflitto nel Caucaso meridionale sono state relegate in coda ai tg e condensate in poche righe sui giornali, vista anche la scarsa attitudine dei media italiani a trattare gli eventi esteri. Eppure dal 27 settembre al 10 novembre ci sono stati scontri armati, colpi di artiglieria e bombardamenti sui civili. E un conteggio delle vittime ancora da definire.

Gli scontri sono iniziati a seguito dell’attacco delle truppe azere contro la Repubblica dell’Artsakh, entità statale di fatto indipendente ma ancora non riconosciuta a livello internazionale. L’Artsakh si estende per circa 11.500 km quadrati, poco più dell’Abruzzo. Di fatto è una enclave a stragrande maggioranza armena all’interno dei confi ni dell’Azerbaijan. I 148 mila abitanti della repubblica, su un territorio montuoso attorno alla capitale Step’anakert sono in stragrande maggioranza di lingua e cultura armena (si parla un dialetto orientale dell’armeno) e cristiani, a differenza della maggioranza azera che è mussulmana. In quel complesso mosaico di culture, nazionalità, religioni, lingue e rivendicazioni territoriali che è il Caucaso meridionale.

Le ragioni del conflitto contemporaneo sul Nagorno Karabakh affondano le radici negli anni a cavallo della prima guerra mondiale, nel periodo in cui il popolo armeno subì per mano turca il primo genocidio del ’900 con un milione e mezzo di morti. La crisi è esplosa nel periodo paludoso della transizione post sovietica. All’indomani della proclamazione dell’indipendenza dell’Azerbaijan, a sua volta il Nagorno Karabakh si proclamò indipendente, forte della legge dell’Urss che riconosceva questa possibilità alle ‘oblast’ dell’Unione. Una proclamazione mai accettata dall’Azerbaijan. Che infatti aggredì militarmente la piccola repubblica. Una guerra feroce che dal 1992 al 1994, pur in assenza di un conteggio ufficialmente riconosciuto, si stima causò più di 30mila vittime e 80mila feriti. E che si concluse con l’accordo di Biškek che prevedeva, di fatto, il mantenimento dell’indipendenza per il Nagorno Karabakh, congelando il conflitto. Sullo sfondo delle rivendicazioni territoriali e delle aspirazioni nazionalitarie si muovono le potenze militari della zona, la Russia alleata dell’Armenia e la Turchia dell’Azerbaijan. Condizione che, in chiave geopolitica, si spiega con la posizione del Karabakh, strategica per il controllo dei gasdotti e oleodotti che transitano nella regione e approvvigionano idrocarburi per il mercato turco ed europeo. Il cessate il fuoco è stato violato più volte nel corso degli anni. Prima dell’escalation del settembre scorso, nell’aprile del 2016 l’ Azerbaijan, all’indomani dell’intervento russo che ribaltava le sorti della guerra civile siriana, tentò una nuova offensiva militare spalleggiato esplicitamente dalla Turchia di Erdogan.

Nella complessa evoluzione dei rapporti fra due potenze militari estere e nelle continue giravolte cui ci sta abituando ‘il sultano di Ankara’, l’esercito azero ha quindi nuovamente attaccato la Repubblica dell’Artsakh alla fine della scorsa estate. Il ‘cessate il fuoco’ fortemente voluto da Mosca ha però determinato il passaggio sotto controllo azero di alcuni territori della Repubblica dell’Artsakh. Che, ricordiamo, ad oggi, non è riconosciuta dalla comunità internazionale degli stati aderenti all’Onu. Una ‘comunità internazionale’ (lo dimostrano anche recenti conflitti europei) che mostra quindi ancora atteggiamenti ambivalenti di fronte al principio del diritto all’autodeterminazione dei popoli.

Nell’immobilismo dell’Ue sulla vicenda però, sono già 11 i comuni italiani che hanno approvato una mozione in cui si riconosce l’indipendenza dell’Artsakh, cui si aggiunge la Regione Lombardia. Fra i promotori dell’iniziativa c’è Massimiliano (Maksim) Floriani. Originario di Arco in Trentino dove è stato anche assessore alla cultura, Max vive a Gyumri in Armenia, qui è titolare di un’impresa che si occupa di turismo e design, la Konjelazia. A lui abbiamo chiesto il senso dell’iniziativa e una testimonianza sui recenti avvenimenti nell’Artsakh.

Massimiliano Floriani a Stepanakert

Quali sono le ragioni che ti hanno spinto a promuovere la mozione?

Quando il console onorario d’Armenia a Milano, Pietro Kuciukian, il 5 ottobre scorso mi ha mandato una petizione per chiedere il riconoscimento dello stato d’Artsakh (Nagorno-Karabakh), che doveva essere firmata da personalità pubbliche italiane, ho pensato subito alla possibilità di trasformarla in una mozione da sottoporre ai consigli comunali, provinciali e regionali. La richiesta di riconoscimento dello Stato è portata avanti da anni, a onor del vero, dalle comunità armene di diversi Paesi europei sotto diverse forme. Ma fino allo scoppio di questo ennesimo conflitto non aveva ancora avuto un riscontro notevole dalle istituzioni internazionali. L’Italia, come ben sappiamo, ha interessi economici importanti con Turchia e Azerbaijan ed era ovvio un suo tergiversare sulla questione. Ecco perché ho pensato subito agli enti locali: muovere una proposta dal basso, che arrivi a Roma come un fiume di richieste da parte di sindaci e presidenti di Regioni e Province. Interi civici consessi che si esprimono sul riconoscimento dello stato d’Artsakh e che, finalmente, prendono posizione contro l’aggressione turco-azera, non curandosi della ricattabilità economica strisciante tradotta nelle forniture energetiche, la più importante quella del nuovissimo gasdotto che da Baku arriva a Lecce.

Il teatro di Shushi bombardato mentre all’interno si trovavano militari armeni. Decine di vittime (Foto: Roberto Travan)

Qual è ad oggi la condizione di vita degli abitanti nell’Artsakh?

Dopo la firma dell’ennesimo cessate il fuoco possiamo affermare che la guerra è quantomeno sospesa. Dal 10 novembre scorso le truppe di pace russe controllano la regione e sono garanti dell’armistizio. Ma la situazione non è di certo delle migliori, tensioni sono ancora in corso e si protrarranno probabilmente per diversi anni. L’Azerbaijan ha bombardato, spesso con armi vietate dal diritto internazionale, per quasi due mesi la capitale Stepanakert e molti altri insediamenti con bombe a grappolo, missili Smerch, bombardamenti aerei, droni di ultima generazione di produzione israeliana e turca, ha attaccato con il fosforo bianco e avvalendosi di migliaia di terroristi jadisti mercenari trasportati direttamente dalla Siria per conto della Turchia. È stato dimostrato, da prove evidenti, l’ingaggio di questi terroristi, il loro reclutamento e gestione da comandanti turchi e la ricompensa di 100 $ per ogni testa di armeno mozzata. Un vero e proprio sistema di terrore che si è scatenato sulla pacifica popolazione del Nagorno-Karabakh da un giorno all’altro, ma con una evidente lunga pianificazione. Da questa premessa è chiaro che ad oggi ogni infrastruttura civile è danneggiata o completamente distrutta. Scuole, ospedali, maternità, sedi di protezione civile fuori uso. Fin dal 10 novembre, ristabilita la connessione terrestre con l’Armenia, hanno cominciato ad arrivare aiuti umanitari fondamentali per questo momento di crisi, compresi kit medici di primo soccorso. Gli aiuti continuano ad arrivare regolarmente da diversi Paesi e si sta cominciando a pianificare il futuro della popolazione.

Il conflitto ha alternato fasi congelate a rapide escalation. Si è in grado di fare un bilancio in termini di costi di vite umane, migrazioni forzate e danni sociali prodotti dall’ultimo conflitto?

L’accordo di cessate il fuoco, firmato dal presidente russo, dal presidente azero e dal primo ministro armeno, prevede il trasferimento di una grande parte di territorio dalla repubblica d’Artsakh all’Azerbaijan. Tali territori, compresa Shushi che è la seconda città e un simbolo della cristianità armena, sono popolati da armeni costretti ora ad abbandonare le proprie case. Lo scenario è quello di intere comunità che raccolgono, in furgoni approntati in fretta e furia, tutto ciò che possono dalle proprie abitazioni, addirittura smontano le tombe per portarsi via i propri cari sapendo che probabilmente non potranno mai più tornare a renderne omaggio. Poi, per non lasciare il frutto di una vita di fatiche al nemico, danno fuoco alle proprie case. Sono giorni tristi, che tolgono il fiato. Vedere famiglie che appiccano il fuoco alle proprie abitazioni è una delle cose più dolorose a cui si possa assistere e uno dei simboli più tragici del post conflitto: un’emigrazione forzata che, nel caso degli armeni, non è altro che l’ennesima pulizia etnica subita negli ultimi cento anni. Non si hanno ancora i dati delle vittime. Alcuni parlano di oltre 4.000 morti fra civili e soldati, solo dalla parte armena. Ma è presto per dare numeri con certezza. Si deve attendere di aver recuperato tutti i cadaveri dalle trincee, anche se forse non si potrà mai avere un numero preciso di questa immane tragedia.

Qual è stata la percezione degli armeni dell’ultimo accordo sul cessate il fuoco del 10 novembre?

L’opinione pubblica in Armenia in queste settimane è divisa. Molte sono le proteste quotidiane nelle strade e nelle piazze della capitale Yerevan. In molti chiedono le dimissioni del primo ministro Pashinyan. Ma chi chiede tali dimissioni adesso, siano i manifestanti in piazza o la vecchia élite politica che ha governato nella corruzione per decenni, chiede la capitolazione sociale e politica dell’Armenia, fa un piacere a turchi e azeri che non aspettano altro che il caos. Può piacere o meno, ma il primo ministro armeno aveva poche possibilità. Ancora tre giorni di guerra e le forze turco-azere avrebbero spazzato via completamente la fanteria armena e preso sotto il proprio controllo tutto il Nagorno-Karabakh. Non c’era altro da fare che accettare l’armistizio russo e concedere parte del territorio agli azeri. L’Armenia non può sostenere una guerra con una potenza di oltre dieci volte maggiore economicamente e militarmente. Cosa che ha ben compreso l’altra parte del Paese, quella che non scende in piazza e che non è necessariamente supporter del primo ministro, ma che in maniera responsabile si rende conto del momento estremamente delicato che sta attraversando l’Armenia e invoca l’unità nazionale. Che crede sia il tempo per redarre un piano per la gestione del disastro umanitario che sta scaturendo dalla ricollocazione dei profughi. Il tempo per sottoporre la lista completa dei monumenti artistici, storici, naturali e religiosi dei territori che sono passati e passeranno all’Azerbaijan, all’UNESCO e a tutte le strutture internazionali di tutela. Il tempo che una concreta diplomazia si occupi dei territori che rimarranno abitati da armeni e che saranno gestiti dalle forze russe per i prossimi cinque anni.

Shushi. Un missile Smerch inesploso. Gli azeri hanno lanciato centinaia di questi ordigni (fabbricati in Russia) colpendo numerosi obiettivi civili tra cui scuole, ospedali, chiese (Foto: Roberto Travan)

Immagino che la mozione abbia come obiettivo quello di interessare le autorità italiane ed europee. Quale credi debba essere il ruolo dell’Unione europea oggi nel conflitto dell’Artsakh?

L’Unione Europea deve decidere cosa vuole fare. Se vuole essere davvero un protagonista o meno. Non può rimanere in questa condizione di silenzio assordante. Il NagornoKarabakh è il confine più prossimo d’Europa e Armenia e Azerbaijan fanno parte del consiglio europeo. Quando nel 2008 il Kosovo dichiarò la propria indipen-denza dalla Serbia, in breve tempo moltissimi stati europei, fra cui l’Italia, riconobbero tale stato. 96 Paesi dell’ONU (dei 193 membri) e 22 Paesi dell’UE (dei 27 membri) ad oggi hanno riconosciuto l’indipendenza del Kosovo. Fu un precedente importante a livello internazionale, dove la secessione attuata dal principio dell’autodeterminazione di un popolo ha avuto la meglio sull’integrità territoriale di uno Stato, in questo caso della Serbia. Ma il Kosovo non è il Nagorno-Karabakh. Gli interessi geopolitici, l’ampliamento della Nato verso est, la “necessità” di lanciare un segnale alla filorussa Serbia, in qualche maniera sono state le vere motivazioni dei numerosi e repentini riconoscimenti internazionali. Fra cui figura la stessa Turchia che, in questo caso, non si è fatta scrupoli a riconoscere uno stato autoproclamatosi indipendente. L’appello per il riconoscimento dello stato d’Artsakh (Nagorno-Karabakh) deve a parere mio passare attraverso questo precedente kosovaro. E deve smascherare i due pesi e le due misure attuate: se il principio dell’autodeterminazione dei popoli e della secessione per la salvezza di un’etnia, nel caso degli armeni dell’Ato Karabakh, è un valore importante per la democrazia occidentale si inizi a riconoscere lo stato d’Artsakh. Il Kosovo è uno Stato parzialmente riconosciuto e amministrato dall’ONU, ma gode di ampia autonomia, con enti locali, polizia e un governo democraticamente eletto. Anche l’Artsakh, da decenni, ha una struttura statale compiuta, con un governo eletto dai cittadini, enti locali, infrastrutture pubbliche, esercito e polizia. Auspico che l’UE si attivi per riconoscere e difendere, finalmente, lo Stato e la popolazione dell’Artsakh.

Pensi che la reticenza a pronunciarsi per l’indipendenza sia da cercare nel timore di aprire un fronte con la Turchia di Erdogan che minaccia di far arrivare in Europa i tanti profughi siriani?

La reticenza proviene anche dalla questione profughi ma anche da altri diversi fattori: in primis gli interessi economici e dunque la ricattabilità a cui sono sottoposti interi comparti privati ma anche settori pubblici di molti stati europei, l’approvvigionamento energetico, la presenza della Turchia nella Nato e la mancanza di una linea di politica estera e di strategia geopolitica unica a livello europeo. Erdogan, il 16 ottobre scorso, pronunciò queste parole: “Se si continua in questo modo, nessun europeo in qualsiasi parte del mondo potrà camminare tranquillo per le strade”. Siamo ancora sicuri che non dobbiamo preoccuparci in Europa della guerra in Nagorno-Karabak? Oppure tale conflitto rappresenta la linea di scontro reale fra Turchia e Europa, che si sta riflettendo nel caos degli attentati in Francia e Austria di queste ultime settimane? Attentati che ricordano appunto le parole di Erdogan citate sopra e che, ovviamente, oltre ad avere lo scopo di generare terrore hanno anche quello di distogliere l’attenzione dalla guerra del Nagorno-Karab-kh. Ricordiamoci che l’Armenia è ora più che mai il confine d’Europa.

Antonio Banchig

Foto di Roberto Travan

Stepanakert, cimitero monumentale. La disperazione dei genitori di un militare ucciso nell’offensiva turco-azera iniziata il 27 settembre 2020 (Foto: Roberto Travan)

1 dic 2020

Il proverbio friulano della settimana

 


Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“A Sant Andrê, il purcit su la brê” proverbio notissimo che indica il giorno in cui si può iniziare la macellazione suina, ovvero mettere il maiale sul tavolaccio, la brê, in alcune località da qual giorno sulla brê inizia ad andarci anche l’ôc, ovvero l’oca.

Dicembre (poesia di Carlo Michelstaedter)

 

Carlo Raimondo Michelstaedter (Gorizia, 3 giugno 1887 – 17 ottobre 1910), scrittore, poeta filosofo e letterato italiano. Sul versante lirico, ha lasciato poesie di varia ispirazione e di diverso spessore con suggestioni petrarchesche, carducciane, dannunziane e leopardiane che ricalcano la sua riflessione teorica. Si uccise a 23 anni dopo un litigio con la madre.




DICEMBRE


FOTOGRAFIA © ALAIN AUDET/PIXABAY



Scende e sale senza posa
nebbia e pioggia greve e scura,
nella nebbia la natura
si distende accidiosa.

Goccia, goccia lieve chiara
va sicura al suo destin
scende e spera, e vanno a gara
altre gocce senza fin.

Giù l'attende terra molle
dove all'altre unita va
a formar le pozze putride
per i campi e le città.

Nella pozza riflettete
gocce unite in società
grigio in grigio terra e cielo
per i campi e le città.

Ma la noia il disinganno
fa le gocce sollevar
ed il bene che non sanno
van col vento a ricercar.

Dalle pozze dalle valli
sale il velo e in alto va,
non ha forma né colore
l'affannosa umidità.

Nella nebbia la natura
si distende accidiosa,
scende e sale senza posa
pioggia e nebbia fastidiosa.

(da Scritti, 1912)

https://cantosirene.blogspot.com/

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30 nov 2020

Il Covid-19 si diffonde in Benecia-Covid-19 se močno širi tudi v Benečiji


 Crescono anche in Benecia, Resia e Valcanale i contagi da Covid-19 (ormai non ci sono casi solo a Drenchia) e con essi anche l’allarme tra la popolazione, che è costretta a restare nei confini del proprio comune di residenza o domicilio. Proprio l’impossibilità di muoversi ha imposto la sospensione della celebrazione della santa messa in sloveno al sabato sera a San Pietro al Natisone. I fedeli, infatti, vi confluivano da tutte le Valli del Natisone e oltre..

Pandemije, ki jo povzroča novi koronavirus nie videti konca. Okužbe še naprej rastejo. Tudi v Benečiji, Reziji in Kanalski dolini. Na začetku tiedna je bluo v sedmih kamunah Nediških dolin že 46 okuženik. Narvič v kamunu Svet Lienart, nobedan v Dreki. Sevieda so ljudje v velikih skarbeh. Od nedieje 15. novemberja je Furlanija Julijska krajina je na oranžni coni. Zatuo ljudje ne smiejo iz svojega kamuna, če na za dielo, za se zdraviti in druge zlo potriebne opravila. Vse tuole je trieba dokazati. Bari, oštarije, restavracije in agriturizmi so zaparti. Lahko dajejo hrano za s sabo al’ jo lahko parnesejo na duom. Seviede še naprej vajajo prepuovedi, ki so ble za armeno cono. Od 10. zvičer do 5. ure zjutra je prepoviedano iz hiše. More se von samuo za dielo, zdravstvene in druge nujne potriebe. Koriere in vlaki morejo sparjeti samuo 50 par stuo ljudi, kar je sedežu. Zaparti tudi muzej, arzstave, teatri in kina (činema). Zaparte so telovadnice in bazeni. Prepoviedane so kulturne, zabavne in športne prireditve. Parporočeno je tudi, de se v hišo na adan krat sprime narvič 6 ljudi. Trieba je zuna svojega doma nimar imieti nastaknjeno masko.  Četudi je FJK v oranžni coni so še naprej odparti vartaci, primarne in nižje sriednje šuole. Študentje viših sriednjih šuol se uče od duoma na kompjuterju. Odparte so tudi butige, a so komercialni centri zaparti ob sabotah in nediejah. Odparte so cierkva in se darjujejo maše; sevieda je trieba strogo spoštovati določila, regole, ki vajajo že od maja naprej. Sabotne maše po slovensko v Špietru pa na bo, dokar bojo ljudje spet mogli iz svojega kamuna. Videnski nadškof je do konca miesca stuoru ustaviti učenje katekizma, vierme, parve svete obhajila. V Sloveniji je zaradi bolizni Covid 19 stanje še buj slavo ku par nas. Vse je zaprto in na vozijo koriere in vlaki. Čez konfin v Slovenijo se lahko gre samuo za dielo in zlo potriebne opravila, drugač je trieba pokazati negativen bris (tampon), ki na smie biti buj star ku 48 ur, al’ iti v karanteno

https://www.dom.it/covid-19-se-mocno-siri-tudi-v-beneciji_il-covid-19-si-diffonde-in-benecia/

Un pezzo di Slovenia sarà quest'anno protagonista in piazza San Pietro durante le festività natalizie!

 Un pezzo di Slovenia sarà quest'anno protagonista in piazza San Pietro durante le festività natalizie!

🎄🇸🇮
Viene dalle foreste di Kočevje, infatti, l'abete rosso alto 28 metri e con diametro di 70 centimetri che verrà addobbato nel cuore della Città del Vaticano.
🌲⛪️

A distanza non è didattica


Se c’è un problema di difficilissima soluzione originato dalla pandemia da Covid è quello della scuola, nel senso che non è da sottovalutare la questione palliativa della fantomatica «Didattica a distanza», ormai ridotta ad una sigla, la Dad. Per come la vedo io, questa Dad, in quanto «a distanza», contraddice il primo termine, lo svuota dei suoi significati più radicali e lo stesso termine «didattica» è estremamente riduttivo nei confronti del concetto e della funzione educativa della scuola. Perché la scuola, per la sua funzione sociale, di «compagni, di maestri, di confronto, di emulazione, di impegno, collaborazione, rapporti reciproci, è ben altro che la sola didattica ». Purtroppo la «distanza» ne elimina la parte più importante.

Ho fatto il maestro, ho insegnato proprio ai bambini delle scuole elementari nel loro periodo di vita più intenso, più fecondo, più aperto ad ogni esperienza mutuata dall’opera educativa degli adulti, nel raffronto costante con il gruppo dei pari. La scuola non può essere intesa come operazione unidirezionale di insegnamento a saper leggere, scrivere e far di conto, ma è molto, molto di più. Imparano, appunto, ad entrare nella società, interferire con gli altri.

L’esperienza diretta dei fenomeni della crescita di un bambino, a partire dalla culla, è ben altro che studiarla sui libri, ed io, ad esempio, rimango folgorato nell’osservare l’evoluzione del nipotino nel suo primo anno e mezzo di vita. Incredibile quanto ogni giorno si sviluppi in lui ogni capacità, l’interazione con chi si cura di lui, dai genitori ai nonni, dal cuginetto ai compagni d’asilo, dall’ambiente e dalle suggestioni che lo stimolano. Vedo che è tutto questione di interazione. Lo osservo, il piccolo, e mi accorgo quanto egli sia costantemente collegato, come una cinepresa a 360 gradi, alle persone ed all’ambiente che lo circonda. Scopro come sia veloce ad imparare, a collegare la mia parola all’oggetto che gli indico ben prima che abbia imparato a dire «Ciao nonno». Ma lo faguardandomi; mi guarda, segue il mio sguardo e la mano che lo indica e prima ancora che lo sappia pronunciare associa l’oggetto al suo nome.Succederebbe la stessa cosa, imparerebbe il nome di un oggetto se la parola

provenisse da un altoparlante, quindi senza l’interazione con chi cerca di insegnargliela? No, il bambino farebbe fatica a memorizzarla.

La scuola con l’insegnante presente ha questa funzione, di favorire, di stimolare l’attenzione del bambino con la modulazione della voce, con la stessa mimica facciale, con i gesti, con la trasmissione diretta di emozioni. La persona viva… tutt’altro che un’immagine fotografica o filmica, con una voce che proviene da una macchina. Al mio nipotino di 18 mesi piacciono dei brevi filmati, in particolare Coco, un piccolo brano del capolavoro diDisney-Pixar. Nulla di nuovo, in ciò, ma il comportamento che ha avuto alla presenza anche dei nonni, quando una sera dopo cena, in preparazione della visione ha preso per un dito me e mi ha condotto e fatto sedere sul divano accanto al suo papà, ha fatto lo stesso di seguito con la nonna e la mamma ho capito cosa per lui, e per me, vuol dire famiglia. Lui in mezzo a noi ha voluto compartecipare il suo divertimento. Lo so, è una banalità, ma che per il nonno ha un significato di tutt’altra natura. Lo lascio intuire a chi non lo ha provato, ma il fatto fa riflettere.

Crescerà il nipotino, ma troverà accanto a sè persone con cui condividere? Da cui apprendere non solo nozioni, ma emozioni, valori, modi di comportamento direttamente dall’esempio di persone vive, di cui avvertire il calore fisico, ascoltare voci vere, guardare negli occhi ed avvertire quel raggio che scocca tra sguardi non vuoti e assenti dello schermo. Cosa possiamo aspettarci da una qualsiasi Dad? A me fa paura per l’assenza o la sostanziale limitazione del coinvolgimento attivo nell’apprendimento.

Quale dimensione sociale dello studio è possibile, se lo è, con la Dad? Facciamolo questo sforzo solidale, tutti, per il bene dei nostri figli e nipoti, per il nostro e loro futuro! Quello di bloccare ‘sto maledetto Covid 19, rispettando le regole, draconiane o meno che siano! Basta che ne usciamo, a qualsiasi costo materiale.

https://www.dom.it/a-distanza-non-e-didattica/

Covid-19 I luoghi dove si rischia di più il contagio




 Ambienti chiusi, aria aperta, uso della mascherina, distanza, aria condizionata: molte ricerche scientifiche stanno cercando di capire quali sono i contesti più favorevoli alla diffusione del nuovo coronavirus. Uno studio pubblicato nel settembre del 2020 sulla rivista Jama Internal Medicine ha esaminato i casi di contagio durante un seminario buddista a Ningbo, in Cina.

I partecipanti all’evento sono arrivati in pullman, si sono radunati all’aperto e poi hanno pranzato insieme in un luogo chiuso. Chi è stato infettato e come si è trasmesso il virus? Rispondere a questa domanda è essenziale perché l’identificazione e la gestione dei luoghi ad alto rischio è uno dei punti principali per contenere l’epidemia.

Il video di Le Monde.(guardalo cliccando il link  qui sotto)

https://www.internazionale.it/video/2020/11/18/covid-19-luoghi-contagio

29 nov 2020

Udine preparativi di Natale

 Pensando al Natale....

Udine, 29 novembre 2020....
foto di Roberto Bardelli in fb

Anche una crisi svela aspetti preziosi-Krizni čas je lahko dragocen

 Può apparire come qualche cosa di cinico, e drammaticamente irrispettoso, parlare dei potenziali effetti positivi di una crisi, e ancor più durante una crisi come quella attuale, con tante persone che soffrono e che muoiono. Nondimeno è necessario: anche, e proprio, in questi momenti mantenere lucidità, distinguere tra le apparenze, tra il bene e il male, dal quale – l’esperienza insegna – può anche derivare qualche cosa di buono. E in effetti possiamo osservare che il virus produce effetti diversi, diretti e indiretti, voluti o non voluti, in diversi settori, a volte in modo del tutto inatteso.

C’è già una certa letteratura a riguardo, come dicono gli economisti, che sono maestri in fatto di cinismo – do not waste a good crisis, non sprecare una buona crisi … –; è ovvio che con il lockdown sono spariti dalle strade i pusher che rovinano i nostri giovani, ci sono meno incidenti e meno polveri sottili, e che in molti riscopriamo valori di vicinanza che si erano affievoliti. Qualche sociologo ha anche azzardato una riduzione strutturale del lavoro sommerso – piaga secolare dell’economia italiana –, considerando che solo chi ha il posto in regola può chiedere «ristori» e quant’altro.

C’è certamente in giro una certa tristezza, e i rischi di un effetto depressivo «di massa» non sono da non sottovalutare, ma c’è anche molta meno stupidità in televisione e altrove. Le categorie deboli sono sicuramente le più coinvolte, ma è evidente un recupero di tensione solidale; gli adolescenti – forse i più colpiti emozionalmente dal lockdown – avranno modo di recuperare e anche riflettere sulla sofferenza che a volte colpisce indistintamente tutti, quindi potranno capire che non tutto è dovuto, che la vita non è un’ininterrotta Disneyland: sarà una lezione dalla quale trarranno giovamento per tutta la vita (i bambini invece, si spera, potranno continuare a frequentare la scuola, che si rivela essere, al momento, un luogo piuttosto sicuro, ottimamente gestito da una categoria, gli insegnanti del servizio pubblico, troppo spesso oggetto di critiche). Comunque si assiste a scene di studenti che «scioperano» per poter tornare sui banchi di scuola (non per andare a spasso!): secondo qualcuno il virus ci renderà tutti un po’ più seri e consapevoli. Se posso permettermi una nota autobiografica, grazie alla «tranquillità» del lockdown, ho anche potuto concludere il libro di 500 pagine sulla geopolitica in Asia centrale, tutte fonti in russo, tedesco e cinese, che altrimenti sarebbe ancorà lì.

Ci vorrà tempo per verificare l’impatto di tutto questo sugli elementi «strutturali», ma certamente il virus sta cambiando alcune tendenze di fondo, che si pensavano irreversibili, chissà, forse portando a qualche cambiamento importante nelle abitudini, e anche nella stessa geografia, e sullo stesso schema centro- periferia che si è consolidato in modo così distruttivo nel corso dei decenni. Il virus porta a ridurre le occasioni di contiguità, e in genere di socialità, e allora porta a recuperare relazioni di tipo intimo e familiare, il dialogo con se stessi, e con i propri cari; si cerca con insistenza il contatto con la natura, la solitudine dei grandi spazi – di cui le nostre montagne abbondano. E questo, chi vive in periferia, lo può notare: i laghi di Fusine e del Predil – solo per parlare della Valcanale – in ottobre erano affollati come Lignano in agosto, aree camper e campeggi sono pieni anche fuori stagione, seconde case abbandonate vengono recuperate, borghi sperduti e destinazioni inconsuete diventano meta di visite sempre più frequenti (in regione siamo fortunati, abbondiamo di località straordinarie, e raggiungibili in giornata – ce ne siamo accorti anche prima che il Mangart finisse sui barattoli della Nutella). E così per tutta una serie di eventi che fanno pensare a una riscoperta delle località periferiche e a un cambiamento delle consuetudini: come si legge sul Dom, bambini di Udine vanno a scuola a Taipana, o da Tarcento a Vedronza – dove possono studiare anche qualche ora in slovensko, finalmente! – ; e poi imprenditori delle Valli – e delle aree periferiche in genere – che si mettono insieme: tra le varie iniziative «Le donne della Benečija», «Marajna», «Sapori delle Valli», «Invito a pranzo»; così il successo che sta registrando l’albergo diffuso di Tribil Superiore, che ha registrato un boom di presenze, e altre strutture ricettive; così per sentieri di montagna e tematici presi d’assalto dagli escursionisti, e così per le attività agricole e agrituristiche, e questo – a quanto sembra – un po’ dappertutto in Benecia, Resia e Valcanale.

È evidente che, seppure davanti a un computer, i nostri operatori stanno intensificato i rapporti: mettendosi in «rete» poi sarà più facile collegarsi anche materialmente. In genere la società della periferia sta avendo un certo risveglio; devo dire che, in epoca di lockdown, abitualmente mi ritrovo, non so perché, la mattina presto a partecipare a riunioni informali, e spontanee, nei cortili, con i miei vicini, che abitualmente neppure vedo per settimane o mesi (tutti impegnati come sono, in epoca di normalità, nelle loro faccende): ci ritroviamo lì certamente a maledire il virus, ma anche a discutere di iniziative. Può essere una svolta per il futuro delle nostre valli, così come è successo in passato – in bene e in male – per altre catastrofi (pensiamo solo al terremoto).

Certamente non si può parlare di effetti positivi del coronavirus, nondimeno si stratta di aspetti da considerare. Il virus è qui, tra di noi, dobbiamo stare attenti, ma prima o poi scomparirà, se ne andrà come è venuto, improvvisamente, e allora dovremo essere pronti a raccogliere i cocci e a ripartire. (Igor Jelen, professore di Geografia politica ed economica all’Università di Trieste)

V težkih razmerah, v katerih živimo od marca naprej, so naše doline pokazale kar nekaj prednosti in so za marsikaterega postale privlačne kot turististična destinacija, pa tudi kot kraj stalnega bivališča. Številni podjetniki so končno spoznali, da je treba skupaj delati. To bo še kako koristno, ko bo koronakriza mimo. O tem razmišlja Igor Jelen, univerzitetni profesor za politično in ekonomsko geografijo.

.https://www.dom.it/krizni-cas-je-lahko-dragocen_anche-una-crisi-svela-aspetti-preziosi/

poesia di Pierluigi Cappello

 


Pierluigi Cappello


Stroncato da un male incurabile, Il 1° ottobre è morto a Cassacco, in provincia di Udine, il poeta friulano Pierluigi Cappello. Era nato a Gemona nel 1967 e la sua vita era stata gravemente segnata da un incidente stradale occorsogli quando aveva sedici anni: dallo schianto della sua moto contro la roccia uscì con il midollo spinale reciso e una perenne immobilità. Cappello era considerato uno dei principali poeti contemporanei italiani: proprio dall’immobilità del suo letto e della sedia a rotelle partiva per involarsi sul tappeto volante della poesia – anche in lingua friulana -  come aveva rivelato in un’intervista: “Fondamentalmente mi interrogo su che cos’è l’«altro da me» e quali siano i modi di percepire questo «altro», su quale sia il rapporto con il tempo e come cambiano le modalità dell’esistenza”.

POESIA SCRITTA CON LA MATITA

Sono devoto all’anima di grafite della matita:
un solo colpo di gomma e il segno lasciato sparisce,
sentieri imboccati con leggerezza
si riconducono alla docilità della via maestra
i crolli vengono evitati con un’alzata di spalle,
l’imprevisto è un vecchio con il pugnale spuntato.

L’anima di grafite non conosce soste, esitazioni:
nel suo stesso procedere in avanti
ci chiama alla possibilità del ritorno,
nel suo segno scuro riposa la dolcezza del bianco
e Angelina torna a sorridere
tenendo per mano un bambino
abbagliato dal sole.

Tricesimo, 5 gennaio 2010

https://cantosirene.blogspot.com/2017/10/pierluigi-cappello.html

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