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27 set 2021

OMBRE DI PIERLUIGI CAPPELLO

 


Ombre

Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno
l’ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l’Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l’aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l’inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva,
la parte di un’Europa tenuta insieme
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi.
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto
da una mano anonima, geniale
su di un muro graffito alla periferia di Udine,
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io.
E qui, mentre intere città si muovono
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato,
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere
come fosse eternamente schiuso.
Se siamo ancora cosa siamo stati,
io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia,
che portava in casa un odore di traversine e ghisa
e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall’ombra
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano
a misura del passo del tramonto, bianco;
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l’ombra dall’ombra
meno solo mi pare di andare, premendo un piede
dopo l’altro, secondo la formula del luogo,
dal basso all’alto, seguendo una salita.

 

Azzurro elementare. Poesie 1992-2010 (BUR Rizzoli, 2013)

https://internopoesia.com/tag/poeti-friulani/


 

20 set 2021

Come uno stormo

 E qualcosa come uno stormo si stacca 

in fuga dall’incendio
una nota, dai vetri, una voce
il breve sussurrare dei poeti.

PIERLUIGI CAPPELLO
Assetto di volo


5 set 2021

proverbio friulano



 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“Avostanis e marciulinis, a’ son lis miôr gialinis” ovvero le migliori galline sono quelle nate in agosto o in marzo”

La distilleria Candolini di Tarcento

 



In Friuli gli alambicchi funzionano da tempi immemorabili.

Non si sa di preciso chi e quando iniziò a distillare le vinacce, ma lo storico Luigi Papo ha ipotizzato che i Burgundi, venuti dalla vicina Austria verso il 511 d.C., furono i primi ad applicare alle vinacce il metodo di distillazione da loro utilizzato per le mele. La leggenda popolare, invece, ci porta ancora più indietro nel tempo, precisamente nel 1° secolo a.C., quando un legionario romano ottenne, come era consuetudine per premiare i reduci, un vigneto in Friuli; il soldato era riuscito a trafugare in Egitto un impianto di distillazione denominato "Crisopea di Cleopatra" e con questo aveva iniziato a produrre la prima Grappa, o meglio, il primo distillato di vinacce. 
Siamo sempre tra leggenda e ipotetiche datazioni storiche, ma resta il fatto sta che il Friuli Venezia Giulia ha sempre prodotto e bevuto grappa tanto che, in una cronaca del 1334, viene menzionata l' acquavite, mentre la prima data certa, 1451, compare sull'inventario dei beni lasciati dal notaio di Cividale "Ser Everardo da Cividale" e tra questi: "Unum ferrum ad faciendam acquavitem", praticamente un alambicco.
Passarono i secoli e, sotto il dominio austriaco, l'imperatrice Maria Teresa d'Asburgo permise la libera distillazione familiare della "Schnaps" (da qui il nome grappa), in esenzione da gabelle, per premiare la fedeltà delle truppe originarie delle province friulane; non meraviglierà, quindi, che nella sola provincia udinese, a fine '800, vi fossero ben 219 distillerie. Moltiplicato questo numero per tutte le province vocate del Nord Italia si arriva a diverse migliaia, con la stragrande maggioranza a dimensione familiare. Un mare di grappa che per anni ha accompagnato montanari, contadini ed operai regalando loro qualche attimo di calore e di piacere.
Bevanda per gente rude, quindi, e questo marchio l' accompagna ancora oggi che gli alambicchi "domestici" sono praticamente scomparsi e gli opifici, che da anni stanno lavorando alla qualità, si sono ridotti, in tutto il Friuli Venezia Giulia, ad una ventina. Un calo drastico che, sicuramente avrebbe portato anche alla scomparsa della "sgnapa", oltrechè alla dismissione degli ultimi alambicchi, se non ci fosse stato questa manciata di aziende che hanno impedito la perdita di un tale patrimonio storico, culturale e gastronomico.
http://www.tigulliovino.it/dettaglio_articolo.php?idArticolo=947

19 lug 2021

Genti di frontiera: storie e identità diverse tra Friuli e Venezia Giulia

 



Viaggiare i Balcani propone dal 18 al 21 agosto un viaggio tra l’Adriatico e le Alpi, in quel Friuli Venezia Giulia terra di genti di frontiera

Informazioni: Viaggiare i Balcani 

Frontiere culturali, linguistiche, militari, politiche … mentali: da Palmanova e Gradisca d’Isonzo, poste sulla linea del duro scontro tra Venezia e Vienna, alla Trieste asburgica delle tante nazioni; dall’ospedale psichiatrico “basagliano” fino alle città “gemelle” di Gorizia e Nova Gorica, unite e divise. Friuli e Venezia Giulia sono da secoli terre di frontiera ricche di elementi diversi, che spesso coesistono in armonia, si mescolano e si combinano per formare qualcosa di nuovo.

Nella prima metà del ‘900, la Storia e gli uomini hanno trasformato queste frontiere sfumate in confini, netti e taglienti: “o questo o quello”, mettendo in crisi identità e modi di vita plurali, che attingevano sia dall’uno che dall’altro. Sono state tracciate linee che hanno separato e cambiato esistenze, destini. Ma anche laddove i confini sembravano mannaie, questo territorio è riuscito ad ammorbidire nel tempo ciò che appariva duro ed immutabile, con un lavoro paziente che oggi vede protagoniste le nuove generazioni. Così, queste terre ritornano ad essere luogo d’incontro e condivisione: dalla frontiera armata tra Serenissima ed Impero alla frontiera mentale che separa i cosiddetti “normali” dagli “ammalati”, luoghi e incontri di questo viaggio ci conducono in un mondo ricchissimo, esempio di come potrà essere la nuova Europa: divisa e conflittuale o capace di accogliere ed elaborare culture, tradizioni, idee, punti di vista, stati d’animo…

Ci attendono incroci inattesi e temi poco o nulla conosciuti. Ancora una volta tra l’Adriatico e le Alpi, tra il sasso del Carso e la natura dolce della costa.

 

PROGRAMMA DI VIAGGIO

MERCOLEDI’ 18 AGOSTO - TRENTO – MESTRE – PALMANOVA – GRADISCA D’ISONZO – GRADO

Partenza da Trento alle 5.30. Sosta a Rovereto e a Mestre Stazione FFSS alle 8.00 per la raccolta dei partecipanti. Dedichiamo il mattino alla frontiera militare, toccando i centri di Palmanova (patrimonio dell’umanità UNESCO) e Gradisca d’Isonzo: piazzeforti d’importanza fondamentale nel ripetuto scontro tra Repubblica di Venezia ed Impero asburgico, ma anche parte del complesso sistema di difesa italiano contro il blocco dei Paesi socialisti durante la Guerra fredda.

Dopo il pranzo libero, visitiamo Grado, città costiera carica di storia, protagonista di fitti rapporti con Aquileia e Venezia, divenuta spiaggia austriaca per eccellenza nell’ultimo scorcio del ‘800, unica di sabbia nei territori asburgici. Qui esploriamo il particolare legame tra l’Adriatico ed il mondo viennese, ma anche quello privilegiato tra l’Istria e la città, tanto da divenire la nuova casa di pescatori e agricoltori istriani con l’Esodo del Secondo dopoguerra. Cena e pernottamento ad Aquileia in hotel 3*.

GIOVEDI’ 19 AGOSTO - GRADO – TRIESTE

Approfittiamo della nostra presenza a Grado e trascorriamo il mattino in città per un po’ di relax: la spiaggia o il passeggio nel vecchio borgo dei pescatori o sul lungomare che guarda l’Istria ci offrono la possibilità di trascorrere ore serene e piacevoli.

Dopo il pranzo libero ci spostiamo a Trieste, dove visitiamo il cuore storico abbracciando un punto di vista particolare: è l’anima slovena quella che scopriamo, venendo a contatto con questa comunità solida e numerosa che ha vissuto un ‘900 complicato. La scoperta del suo sviluppo sociale, economico e culturale passa attraverso la visita di siti emblematici – come il Narodni Dom, nato come riferimento per la comunità e dato alle fiamme dalle squadre fasciste nel 1920 – e tenendo conto della pluralità di genti, lingue, culture e religioni che dal ‘700 fanno di Trieste una città cosmopolita … e di frontiera. Cena e pernottamento alle porte di Trieste in hotel 3*.

VENERDI’ 20 AGOSTO - TRIESTE – MUGGIA – GORIZIA

Dopo la colazione, seguiamo il nostro filo tematico con la visita all’ex Ospedale psichiatrico, inaugurato nel 1908 nel Parco di San Giacomo. Qui tocchiamo il turbamento di identità di frontiera in una regione di frontiera, che in 40 anni conosce ben 6 diverse bandiere: da quella dell’Impero asburgico a quella dell’Italia repubblicana, passando per il Regno sabaudo, il Terzo Reich, la nuova Jugoslavia socialista ed il Governo Militare Alleato. Ma è anche l’occasione per parlare di discipline di frontiera, quali la psicanalisi e la psichiatria, che qui hanno avuto esponenti eminenti nelle figure di Edoardo Weiss e Franco Basaglia.

Dopo il pranzo libero giungiamo a Muggia – lembo d’Istria italiana – e più precisamente sul confine di Stato che un tempo divideva Italia e Jugoslavia, mentre oggi ci separa dalla Slovenia. Esploriamo i dintorni e ragioniamo sulla definizione del confine nel 1954, sul piccolo Esodo dei Muggesani, sui controlli dei graničari (poliziotti di confine) jugoslavi e sulla scomparsa del confine in tempi recenti. Cena e pernottamento in hotel 3* a Gorizia.

SABATO 21 AGOSTO - GORIZIA – MESTRE – TRENTO

Dopo la colazione ci accoglie Gorizia-Nova Gorica, Capitale Europea della Cultura 2025. Centro culturale di rilievo nel periodo asburgico, Gorizia ed il suo territorio sono stati protagonisti di un felice abbraccio di lingue e culture – italiane, friulane, slovene e tedesche – che nel corso del ‘900 è stato messo a dura prova. La cosiddetta Nizza austriaca è così divenuta la città maledetta della Grande Guerra e poi la città contesa tra sloveni e italiani al termine della Seconda Guerra Mondiale.

Da tempo Gorizia attende che il suo notevole patrimonio di storia, cultura, architettura e vita politica e sociale venga scoperto e valorizzato, mentre la linea di confine che la divide dalla Nova Gorica jugoslava sta progressivamente (ma faticosamente) sbiadendo. In bilico lungo la linea di confine – dove un tempo passava la Cortina di Ferro – puntiamo così l’attenzione su Piazza della Transalpina, simbolo (zoppicante) della caduta del confine tra le due città, pronta ad essere ridisegnata per assumere il ruolo che merita. Dopo il pranzo organizzato e l’incontro con un protagonista della vita politica e culturale della città, rientriamo sostando a Mestre FFSS e a Rovereto per la discesa dei partecipanti, con arrivo a Trento in serata.https://www.balcanicaucaso.org/Transeuropa/Genti-di-frontiera-storie-e-identita-diverse-tra-Friuli-e-Venezia-Giulia?fbclid=IwAR14v3QlrkEqt-hCyO_QBiUCj9p3MBeCfsxdzXMuA39R5fETJivl6Nhtkv0

13 lug 2021

PROVERBIO FRIULANO

 Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei campi
“A San Bonaventure si finis di bati in planure” ovvero per il giorno di San Bonaventura (il 15 luglio) termina di raccogliere il grano in pianura.

1 lug 2021

Terre da scoprire, quindici itinerari per vivere le bellezze nascoste del Friuli Venezia Giulia

 Qui abbiamo raccolto quindici itinerari per riscoprire questi piccoli mondi segreti. Ogni settimana, fino alla fine del mese, andremo alla ricerca di angoli della nostra regione, da percorrere a piedi o in bicicletta, percorsi per tutte le età

Il Friuli Venezia Giulia è una terra dai mille volti, uno dei pochi luoghi in Italia e forse in Europa che consentono in tempi e spazi ridotti di passare dalla pianura alle montagne, dai laghi al mare, dalle colline egli orridi scavati dalle acque. E, naturalmente una terra ricchissima di storia, di arte, di cultura, in una natura contraddistinta da una straordinaria biodiversità.

Qui abbiamo raccolto quindici itinerari per riscoprire questi piccoli mondi segreti. Ogni settimana, fino alla fine del mese, andremo alla ricerca di angoli della nostra regione, da percorrere a piedi o in bicicletta, percorsi per tutte le età. (Per visualizzare il contenuto a schermo intero, clicca qui)

Messaggero Veneto


30 giu 2021

Dorina Michelutti




Udine 1952 - Oman 2009
 «Navigando verso il Canada. Mi afferri mentre scivolo tra le braccia dell’Atlantico, troppo giovane per sapere che l’oceano è pagano.»

(Sailing for Canada. You grab me as I slip overboard into the arms of the Atlantic, too young to know the ocean is pagan)

Brother, 1986

Nel variegato panorama della scrittura italo-canadese spiccano voci che raccontano l’esperienza della migrazione oltreoceano in maniera originale e polifonica. È il caso di Dorina Michelutti, poetessa, saggista e insegnante di scrittura conosciuta anche con lo pseudonimo friulano di Dôre Michelut.
Nata a Sella di Rivignano, in Friuli, Michelutti trascorre i primi anni della sua infanzia in un ambiente segnato da una forte identità linguistica e culturale. Per Dorina, in questi anni, il friulano rappresenta la lingua madre, quella che per sempre raffigurerà i legami con la terra natia. Nel 1958, la famiglia Michelutti emigra a North York (Toronto) in Canada, il paese che da quel giorno la scrittrice imparerà  a chiamare casa. Nella vita quotidiana, l’inglese prende il posto del friulano, lingua che rimarrà riservata alle vicende familiari all’interno delle mura domestiche. Michelutti si trasferisce in Italia nel 1973 per frequentare l’Università  di Firenze, spinta dal desiderio di riallacciare i rapporti con l’italiano e l’Italia, una lingua e un paese che sente distanti, ma che al contempo rappresentano una parte del proprio bagaglio identitario. Dorina ritorna nuovamente a Toronto nel 1981 per studiare alla University of Toronto. È durante questo periodo che comincia a dedicarsi alla scrittura e pubblica le prime poesie in riviste letterarie, iniziando a rendersi conto di come, analogamente ad altre voci migranti, la sua identità letteraria è molteplice e frammentaria. Nella scrittura, Michelutti scende a patti con le sue molteplici lingue madri (mi riferisco qui al titolo di un saggio pubblicato dalla stessa scrittrice nel 1989 Coming to terms with the mother tongues dedicato alla difficoltà  del vivere una vita multilingue e al ruolo dello scrittore migrante come traduttore di culture): il friulano, l’inglese e l’italiano. Le lingue si avvicinano, si sfiorano, ma non si sovrappongono. La scrittura diventa il luogo della scoperta, non solo dei confini linguistici e dalla creatività  che può derivarne, ma anche di se stessi: «Then I started to write, in any language and despite all grammars. It would have been unintelligible to most, but as far as I was concerned, I was producing meaning, and on my own terms. And the view I got of myself from the page was that of two different sets of cards shuffled together, each deck playing its own game with its own rules». 1.
Le raccolte di poesie che scaturiscono da questa esperienza, Loyalty to the Hunt (1986) e Ouroboros: The Book that Ate Me (1990), rappresentano per l’appunto la rottura delle frontiere linguistiche: le liriche contenute all’interno di queste antologie alternano inglese, italiano e francese, a volte affiancando le tre sulla stessa pagina. La scrittrice crea una polifonia linguistica multiforme – i lavori spesso abbattono le distinzioni tra generi – originata da un’operazione di autotraduzione viscerale (o cannibalistica, come suggerirebbe il titolo della seconda raccolta) nell’intento di riconciliare le diverse parti della sua vita e i contrasti tra le sue molteplici personalità  linguistiche e culturali. Le poesie sono, infatti, incentrate attorno ai temi dell’identità  frammentata (linguisticamente e culturalmente), della famiglia – la madre soprattutto – e del viaggio. L’eclettismo di Dorina si riconferma nell’antologia Linked Alive (1990): una raccolta di renga, genere poetico collaborativo di origine giapponese in cui diversi autori si avvicendano nella stesura dei versi, composta con la partecipazione, tra gli altri, della scrittrice quebecchese Anne-Marie Alonzo, della poetessa giamaicana Ayanna Black e della scrittrice indigena anglofona Lee Maracle. Nel 1993, Michelutti cura la raccolta e la pubblicazione di A Furlan Harvest interamente dedicata alle scrittrici friulane in Canada nata da una serie di incontri letterari, tenutisi al centro dedicato alla promozione delle origini e della cultura friulane Famee Furlane di Toronto. La tematica del viaggio alla riscoperta della lingua perduta era già stata affrontata da Michelutti nei suoi precedenti lavori, come ad esempio nella poesia bilingue Ne storie/A story, in cui la lingua «dai muri bagnati di amarezza» per essere stata a lungo dimenticata richiama la scrittrice e la invita a tornare a “casa”:
«Cjàmin in chiste lenghe dai mûrs bagnats cun trist
cal filter ta la me bòcje, ca mi bàt sui dinc’
come agge glaze di laip. A’mi ven ingrîsul
quant che chiste storie di displaz1ès a’ mi buse
par strade, a’ mi clame lazarone, a’ mi dîs – Dulà
sêtu stade fin cumò? Fasin i conts a cjase.» 2.
Si chiude all’inizio degli anni ’90 il periodo di produzione letteraria di Michelutti, che dopo anni dedicati all’introspezione linguistica decide di dedicarsi a tempo pieno all’insegnamento e all’esplorazione di altre culture. Passa così gli ultimi dieci anni della sua vita insegnando scrittura creativa e comunicazione dapprima in Cina, tra il 2001 e il 2005, all’Università  di Wenzhou, e infine in Marocco, dove insegna alla Al Akhawayn University a Ifrane e dove si spegnerà  del 2009 a causa di un cancro.

 

  1. «Poi cominciai a scrivere, in qualsiasi lingua e a dispetto di ogni grammatica. Ai più, sarebbe parso incomprensibile, ma per quanto mi riguardava, stavo producendo significato, e secondo i miei termini. L’immagine di me stessa che emergeva dalla pagina era quella di due mazzi di carte distinti che vengono mescolati, ciascun mazzo giocava il suo gioco e seguiva le proprie regole. (1989)»  ^
  2. Nella versione inglese si legge: «I walk in this language of walls/ wet with a bitterness that seeps into/ my mouth, that shocks my teeth like/ icy well water. I shudder as this suffering/ history greets me with kisses/ tells me I’ve been bad, says: “Where/ have you been? We’ll settle this at/ home» 
  3.  http://www.enciclopediadelledonne.it/biografie/dorina-michelutti/

28 giu 2021

IRENE DA SPILIMBERGO

Assistente di TizianoRitratto di Irene di SpilimbergoNational Gallery of ArtWashington

 Irene di Spilimbergo (Spilimbergo17 ottobre 1538 – Venezia17 dicembre 1559) è stata una pittrice e poetessa italiana.

Irene era la secondogenita del Conte Adriano di Spilimbergo e della patrizia veneziana Giulia da Ponte appartenente a una famiglia che aveva dato un doge: Nicolò da Ponte. Di Irene di Spilimbergo forse oggi nulla sapremmo, se nel 1561, due anni dopo la sua morte, Dionigi Atanagi non avesse pubblicato una Vita di Irene da Spilimbergo. Era il melanconico racconto della breve esistenza di una fanciulla di nobili origini, colta e raffinata, morta a ventuno anni per una malattia improvvisa e misteriosa. Il libro conteneva anche una larga silloge poetica, scritta ad memoriamː 279 poesie erano in italiano e 102 in latino. Alcuni autori erano anonimi, altri invece erano note personalità, come Luigi Tansillo, Angelo Di Costanzo, Benedetto Varchi, Lodovico Dolce, Gian Francesco Alois, Bernardo Tasso, Torquato Tasso e Tiziano Vecellio.

Il conte Adriano di Spilimbergo, che conosceva il latino, l'ebraico e il greco, si occupò della educazione intellettuale delle sue figlie Irene e Emilia e intuì che Irene era davvero precoce e assimilava velocemente gli insegnamenti. A Spilimbergo ella apprese i primi rudimenti del disegno da una certa Campaspe, di cui non conosciamo che il nome. Viveva nel castello, affacciato sul Tagliamento, dalle cui finestre l'occhio può esplorare un panorama grandioso, fino alle Alpi Carniche. La regina di Polonia Bona Sforza, in visita nel Friuli, fu ospite dei Conti di Spilimbergo e donò due catene d'oro alla giovanissima Irene.

Morto il padre quando la fanciulla aveva tre anni, la madre presto si risposò ed estromise le figlie dall'eredità paterna. Il nonno materno Giovan Paolo da Ponte, che viveva a Venezia nel cinquecentesco palazzo di famiglia, chiamò Irene a sé. Come era usanza nelle famiglie patrizie veneziane, le furono impartite lezioni di musica, di letteratura, di danza e di arti femminili, come il ricamo e il merletto.

Familiari di Giovan Paolo da Ponte erano Pietro Bembo, Tiziano e il Sansovino che dal 1527 si era trasferito a Venezia. Attratta dalle conversazioni dotte degli intellettuali che frequentavano palazzo da Ponte, ma più ancora dall'arte di Tiziano, Irene di Spilimbergo s'incantava di fronte al dipinto dell'Assunta, nella Chiesa dei Frari e chiese e ottenne di essere ammessa nella bottega del Maestro che le consigliò di prendere come riferimento Giovanni Bellini, per la dolcezza dei volti delle sue Madonne. La giovane allieva dipinse tre quadri, citati dal conte Fabio di Maniago: Noè entra nell'ArcaDiluvio Universale e Fuga in Egitto, tutti ispirati ai modi di Sofonisba Anguissola, ma di cui oggi non si conosce l'ubicazione.

Irene di Spilimbergo ha anche composto poesie e scritto brani in prosa, ma tutto il suo repertorio letterario è andato perduto. Stremata da un attacco di febbre violenta, con dolori atroci alla testa, dopo venti giorni di agonia si spense all'età di ventuno anni. Di lei resta un ritratto - opera probabile di un seguace di Tiziano, se non dello stesso Tiziano - che era in casa del conte Maniago e che fino al 1909 si trovava nella Villa Spilimbergo-Spanio di Domanins, quando fu venduto a Londra ad un collezionista insieme a un altro dipinto, attribuito alla stessa Irene, che raffigurava sua sorella Emilia (entrambi sono esposti nella National Gallery of Art di Washington). La giovane Irene di Spilimbergo, nel suo ricco abito di broccato di seta, fermato alla vita da una catena d'oro e di gemme, tiene in mano la corona d'alloro dei poeti. Sullo sfondo si apre un paesaggio ameno, dove è accovacciato un candido unicorno, animale mitico, simbolo di purezza di rarità e di saggezza, che per l'immaginario cristiano poteva essere domato solo da una vergine.[6] Secondo la testimonianza di Fabio Maniago, la cui Storia delle belle arti friulane è stata ristampata nel 1999, è opera di Irene di Spilimbergo un San Sebastiano, conservato nella chiesa parrocchiale dei SS. Mauro e Donato di Isola, in Istria.

Nella raccolta di Dionigi Atanagi furono compresi questi versi di Torquato Tasso:

«Quai leggiadri pensier, quai sante voglie
dovea viva destar ne l'altrui menti
questa del Gran Motor gradita figlia!
Poi c'hor dipinta (o nobil meraviglia)
e di cure d'honor calde ed ardenti
e d'honesti desir par che ne invoglie.»

Il poeta Luigi Carrer ha inserito Irene da Spilimbergo tra le sette donne che hanno dato gloria e onore a Venezia.

La figura di Irene di Spilimbergo ha incantato artisti ottocenteschi, pittori e poeti. Giovanni Prati, davanti a un dipinto di Giovanni da Udine, conservato nel castello di Spilimbergo, ha scritto questi versi:

«del merlato Spilimbergo intorno
udia sull'aura reverenti i nomi
di Vecellio e di Irene, ambo immortali.»

Nel 1853 Antonio Rotta le ha dedicato il dipinto storico, ambientato a Venezia e dal titolo Tiziano Vecellio istruisce nella pittura Irene di Spilimbergo, con cui ha partecipato all'Esposizione di Belle Arti, a Milano.

Un libretto d'opera

Nel 1907 Pietro Mascagni espresse il desiderio di musicare un libretto d'opera, sulla vita di Irene di Spilimbergo. La scrittrice viennese Tosa Will, nota con lo pseudonimo di Wilda, scrisse in tedesco questo libretto, distinto in un prologo e in due atti. Mascagni lo fece tradurre, ma poi il testo andò perduto.

A nome di Irene di Spilimbergo è stato intitolato l'Istituto Magistrale di San Pietro al Natisone.

22 giu 2021

PIEVE DI SANTA MARIA MAGGIORE PONTEBBA

 

da wikipedia

La Chiesa di Santa Maria Maggiore a #Pontebba ospita al suo interno un prezioso tesoro artistico.

Si tratta del Flügelaltar, l’altare di legno tardo gotico realizzato nel 1517, ospitato nel coro. Dichiarato monumento nazionale, l’altare è stato sottoposto ad un importante restauro che gli ha donato nuovamente l’antico splendore.
Il nome deriva dalla struttura dell’opera, in quanto è composta da un corpo centrale e da due portali laterali mobili che permettono di aprire l’altare a mo' di ali, quindi Flügelaltar, ovvero altare alato.
Questa particolarità ha una valenza liturgica in quanto l’altare resta chiuso nei periodi penitenziali come l’Avvento e la Quaresima.
A completare la struttura un alto coronamento a guglie e una predella figurata, la tavoletta rettangolare che funge da base.
Quello che cattura subito l’attenzione è la superba finezza dell’esecuzione e la raffinatezza dei dettagli: proprio questo suo alto valore tecnico ha portato gli studiosi ad attribuire l’altare, datato 1517, al maestro Enrico da Villaco, esponente di spicco della Bottega di Villaco e a far supporre che sia stato il prototipo di una serie di altari simili diffusi in Austria grazie all’attività della bottega.
Al centro è rappresentata l’Incoronazione della Vergine da parte della Trinità, mentre all’interno degli sportelli si trovano la Natività, l’Adorazione dei Magi, la Resurrezione di Cristo e il trapasso di Maria, conosciuto come Dormitio viriginis. Una volta chiuse le ali si possono invece ammirare le pitture che rappresentano l’Annunciazione, la Visitazione, la Fuga in Egitto e la Pentecoste. Ci sono poi sculture a figura interna di santi ed angeli inserite nei baldacchini gugliati del coronamento e i busti dei padri della Chiesa che arricchiscono la predella.
📸: Alberto Galtarossa

29 mag 2021

KV EDIZIONI


 Quest'anno ricorre l'anniversario del terremoto del Friuli di 45 anni fa, vogliamo ricordare questo dramma che ha segnato così profondamente le nostre vite e la nostra storia con un libro della grande scrittrice friulana Bruna Sibille-Sizia, "Un cane da catena", scritto dieci anni dopo il terremoto e il primo ambientato in questo tragico scenario.

Dalla biografia dell'autrice scritta da Martina Delpiccolo:
"Un cane da catena è il terzo romanzo pubblicato dalla scrittrice Bruna Sibille-Sizia con Doretti Editore nel 1987, /…/ il primo romanzo sul terremoto in Friuli, “romanzo-documento” corredato di fotografie scattate dalla stessa scrittrice-giornalista. Straordinaria ed originale la prospettiva della storia narrata. Pur essendo costruito in terza persona con un narratore esterno, come la maggior parte dei romanzi dell’autrice, la scrittura, l’incedere e l’impianto, sapientemente ideati, inducono il lettore ad assumere il punto di vista del protagonista a quattro zampe. /.../ Proviamo a immaginare un terremoto devastante che provoca macerie, polvere, corpi incastrati sotto cumuli di pietre. Ecco allora che, in quel dramma umano, solo un cane può percepire i segnali inquietanti della natura e può muoversi poi nell’inferno della distruzione senza quasi vedere, ma annusando, raspando tra la polvere e le macerie, odorando la terra che ha tremato, riconoscendo con l’olfatto il sangue o magari il suo padrone. Così la scrittrice sceglie, in un certo senso, di far indossare ad un cane una cinepresa, con cui ad altezza di muso permette a noi lettori di cercare, annusare, sentire. La prospettiva del suo romanzo sul terremoto, sulla terra che trema è dunque volutamente “raso terra” a suggellare una scrittrice che è essenzialmente “tellurica”, che della terra registra e ascolta respiro e anima. Ma il cane diventa “altro”, rivelandosi un “traduttore”, un mediatore tra la natura, così ostile nell’evento sismico, e l’uomo.
(M. Delpiccolo, Una voce carpita e sommersa, pp. 220-221)

23 mag 2021

Cividale del Friuli: un crocevia di culture

 


Il Friuli-Venezia Giulia è una regione quasi sconosciuta ai più, finora rimasta lontana dal turismo di massa che caratterizza molte altre zone della penisola. Dai rilievi sinuosi e ricoperti di vigneti del Friuli alle impervie scogliere della Venezia-Giulia, è una terra rimasta a lungo quasi asserragliata nella sua tranquillità, ma che col tempo ha iniziato ad aprirsi sempre di più al turismo, anche internazionale. Una delle tante perle che meritano una visita è Cividale del Friuli.

Cividale del Friuli è un borgo dell’ex provincia di Udine. Fondata da Giulio Cesare con il nome di Forum Iulii (da cui “Friuli”), nel 2011 è stata dichiarata Patrimonio Mondiale dell’UNESCO e prima tappa di un itinerario sulle tracce dei Longobardi. Punto d’incontro di culture e interessanti tradizioni enogastronomiche, Cividale gode anche di una posizione strategica per visitare i dintorni: se vi spostate in macchina, è possibile organizzare gite in giornata sulle Dolomiti (Laghi di Fusine), al mare (Grado, Trieste) e persino in Slovenia (Caporetto si trova a meno di 30 km) o Austria (Villaco è a circa 130 km).

📷Da vedere a Cividale del Friuli

Il simbolo della città è senza dubbio il Ponte del Diavolo, in pieno centro storico, che collega le due sponde della cittadina e si affaccia sulle acque smeraldo del fiume Natisone. Secondo la leggenda, per costruirlo gli abitanti si sarebbero fatti aiutare proprio dal Diavolo, che in cambio pretese l’anima di chi lo avesse attraversato per primo. I cividalesi però lo ingannarono, facendo in modo che fosse un animale ad attraversarlo per primo. Il progetto del ponte di pietra risale al 1400, quando si decise di sostituire la preesistente struttura in legno, poiché richiedeva continui restauri. Il ponte fu fatto saltare in aria dalle truppe italiane nel 1917, per rallentare l’avanzata del nemico, e ricostruito in seguito dagli austriaci.

Storia e leggenda si mescolano a Cividale, come testimonia anche un insolito ambiente sotterraneo scavato nella roccia, con tre inquietanti mascheroni appesi alle pareti. Si tratta dell’Ipogeo Celtico, la cui funzione non è mai stata del tutto chiarita: luogo di culto, tomba celtica, prigione romana o cisterna per l’acqua? Probabilmente non lo scopriremo mai. Per accedervi bisogna richiedere la chiave alla biglietteria del Monastero di Santa Maria in Valle, a circa 200 m dall’Ipogeo.

Cividale funge da scrigno a diverse testimonianze della storia Longobarda in Italia, visibili sia al Museo Cristiano del Duomo, sia al Museo Archeologico Nazionale. Unico nel suo genere è il Tempietto Longobardo, misterioso edificio risalente alla metà dell’VIII secolo e di cui non si conosce la reale funzione iniziale. Particolarmente degne di nota sono le decorazioni in stucco e le sei statue femminili, probabilmente Sante martiri. La biglietteria è all’ingresso dell’ex Monastero di Santa Maria in Valle, raggiungibile lasciandosi alle spalle il Duomo e addentrandosi in una serie di di viuzze che sembrano rimaste ferme al Medioevo. Per ulteriori informazioni e orari è possibile consultare l’apposito sito.

Una volta terminata la visita al Tempietto, si può proseguire la passeggiata in un’altra epoca in Borgo Brossana, superando l’arco vicino alla Casa Medioevale, la più antica di Cividale (metà XIV secolo). In Piazzetta San Biagio potrete poi ammirare la bellissima facciata variopinta della Chiesa di San Pietro e San Biagio, una vera chicca, e affacciarvi sul fiume per qualche minuto di relax.

💡Dritte BeLocal: Cividale del Friuli

Se volete scattare belle foto, uno dei punti migliori è il Belvedere sul Natisone. Si raggiunge partendo dal Duomo e percorrendo il Ponte del Diavolo, girando poi a sinistra e superando la Chiesa di San Martino. Da questa terrazza si potranno scattare suggestive foto del ponte stesso, oltre che della cittadina e dei monti in lontananza. Se si vuole scendere sul greto del fiume, bisogna tornare all’inizio del ponte (direzione Duomo) e cercare la scaletta a sinistra. Una volta giù, si avrà una suggestiva visuale sulle arcate del ponte. Un altro bel punto di accesso al fiume è in Via Borgo Brossana, poco dopo la Chiesa di San Pietro e San Biagio, scendendo le scale sulla destra.

Se visitate Cividale in auto, un’ulteriore chicca: a 7 km da Cividale c’è il santuario più antico del Friuli e di tutta la cristianità, il santuario della Beata Vergine di Castelmonte. Ma non finisce qui: appena entrati nella Chiesa, si rimane subito colpiti dalla statua della Madonna con bambino. La particolarità? Hanno la pelle scura! Non è chiaro perché l’artista a metà del 1400 abbia scelto un incarnato scuro, le ipotesi sono varie e tutte plausibili. Per informazioni e visite è sufficiente consultare il sito. Certi pellegrini fanno il percorso a piedi, partendo proprio da Cividale e salendo poi fino a 618 m.

Se siete indecisi su quando visitare Cividale, i periodi migliori sono probabilmente la primavera inoltrata per il clima mite e l’autunno per i colori del foliage. Altrimenti consiglio di andarci a luglio in occasione del Mittelfest, festival che riunisce artisti da tutta l’Europa centrale, oppure verso fine agosto per il Palio di San Donato, tre giorni di rievocazione storica con tornei tra borghi, bancarelle e figuranti in costume medioevale.

🍝Da provare a Cividale del Friuli

Affamati? Nessun problema! A Cividale ci sono diversi ristoranti, agriturismi e osterie e non potete farvi sfuggire un pranzo tipico friulano. Iniziate con un aperitivo, magari uno spritz o un tajùt di vino, ad esempio da Street Food Friul & Stuzzifrico. Per il pranzo fermatevi al Bar Trattoria Al Campanile, dove consiglio di provare il frico, un piatto a base di formaggi di diverse stagionature e spesso anche patate e cipolle, oppure una frittata con le erbe o il salame con l’aceto. Come dolce provate gli strucchi, dolcetti tipici delle Valli del Natisone con un ripieno simile alla più grande gubana: noci, nocciole, uvetta e pinoli. Potete acquistarli nella maggior parte delle pasticcerie anche per mangiarli a passeggio, ad esempio al Panificio Pasticceria Cattarossi vicino al Ponte del Diavolo.

Per un caffè o aperitivo con vista sulla più bella piazza di Cividale, Piazza Paolo Diacono (o Piazza delle Donne), fermatevi al Caffè Longobardo, locale storico dove potrete gustare pasticceria secca, dolci al cucchiaio, gelato, stuzzichini salati e molto altro.

🏡Dove alloggiare a Cividale del Friuli

Se per comodità preferite alloggiare in centro, ci sono sia hotel (ad esempio l’Hotel Roma o l’Hotel Locanda al Pomo d’Oro), sia diversi affittacamere e B&B.

Se invece siete in auto o in bicicletta, potete tranquillamente alloggiare fuori dal centro, ad esempio nell’anello di Guspergo e dintorni. A pochi passi dal centro consiglio l’Agriturismo di Luis Gianni, un B&B a conduzione famigliare, con piscina e agriturismo annesso.

Per gli amanti del wellness, è possibile soggiornare anche alla Locanda al Castello Wellness Resort, albergo all’interno di un meraviglioso castello dell’Ottocento e dotato di ristorante, sale per ricevimenti e spa.

🚗Come arrivare a Cividale del Friuli

Se si arriva dall’Autostrada A23 Palmanova-Udine-Tarvisio, è possibile prendere diverse uscite (Udine Nord, Udine Sud o Palmanova) e seguire poi le indicazioni per Cividale del Friuli.

Cividale si trova a circa 16 km da Udine. Potete arrivare tranquillamente in macchina (la cittadina è ben segnalata) e usufruire dei parcheggi gratuiti (il più grande è quello a ridosso della vecchia stazione ferroviaria) oppure con la littorina di Ferrovie Udine Cividale (potete consultare gli orari qui). Da Udine ci sono inoltre diverse corriere della S.A.F. che raggiungono Cividale.

Gli aeroporti più vicini sono quello di Trieste (37 km) e Venezia (134 km)

https://belocalitalia.com/2021/05/22/cividale-del-friuli-un-crocevia-di-culture/

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