Translate

translate

questo blog

Questo blog parla delle minoranze linguistiche del Friuli:SLOVENA,FRIULANA eTEDESCA,articoli dei giornali della minoranza slovena,degli usi,costumi,eventi e tanto altro.Buona lettura.OLga

antifascista

antifascista

libri

26 nov 2022

'Banco alimentare, una storia di grande successo'

 


Oggi 26 novembre in tutta Italia viene fatta la colletta alimentare per le persone bisognose.Nei punti vendita ci saranno i volontari che distribuiranno i sacchetti dove mettere  gli alimenti.Anch'io stamattina  ho donato,come ò doveroso per chi può.

"La nostra è terra di grande e profonda solidarietà e quella del Banco alimentare è una storia di straordinario successo. Sono qui per testimoniare la riconoscenza della Regione, a nome del presidente Massimiliano Fedriga, per questa esperienza no profit che è in espansione non soltanto perché si basa sulla solidarietà dei nostri cittadini che donano alimenti di prima necessità, ma anche dei tanti volontari che impegnano il loro tempo libero per dare una mano al prossimo".

Lo ha sottolineato l'assessore regionale alle Finanze Barbara Zilli intervenendo nella sede del Banco alimentare Fvg, accompagnata dal presidente Paolo Olivo e dal vicesindaco del Comune di Pasian di Prato - ove ha sede il quartier generale della associazione non profit - Ivan Del Forno e dagli assessori Juli Peressini e Caterina Gravina. "Vedendo la soddisfazione negli occhi di queste persone si capisce - ha aggiunto Zilli, rivolgendosi alla squadra di volontari - come il loro impegno, che sottrae di certo ore della giornata alle loro famiglie e al loro tempo libero, venga ricambiato dal piacere di lavorare per il bene della comunità. Il mio ringraziamento personale va alla loro sensibilità e l'augurio è che questa squadra, già così numerosa, si ampli sempre di nuove forze solidali".

L'Associazione Banco Alimentare del Friuli Venezia Giulia è un'organizzazione non profit che fa parte della Rete Banco Alimentare, costituita da 21 organizzazioni distribuite sul territorio nazionale e coordinate dalla Fondazione Banco Alimentare. Opera in tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia, nella provincia di Belluno, nella provincia di Treviso e nella porzione orientale della provincia di Venezia.

L'operatività si declina attraverso una partnership con le industrie alimentari, i produttori locali, la grande distribuzione e la ristorazione organizzata che donano le proprie eccedenze alimentari. I volontari del magazzino prendono quindi in carico, stoccano e preparano gli alimenti da distribuire. Le circa 350 strutture caritative accreditate ritirano una volta al mese gli alimenti presso il magazzino, e parte del cibo fresco - con maggiore frequenza a seconda della disponibilità - dai supermercati e dalle mense del territorio in accordo col Banco Alimentare del FVG. I volontari delle strutture caritative donano a loro volta il cibo alle persone bisognose da loro assistite. https://www.ilfriuli.it/articolo/tendenze/-banco-alimentare-una-storia-di-grande-successo-/13/274428

Ischia, l’enorme squarcio che si è aperto sulla montagna: la frana vista...

Mi unisco agli ischitani per questa tragedia,

AVVENTO

 

corona dell'Avvento
immagine dal web

Domani è la prima domenica dell 'Avvento.L'avvento, in molti riti cristiani, è il tempo liturgico che precede il Natale ed è preparatorio allo stesso: nei riti cristiani occidentali segna l'inizio del nuovo anno liturgico. La parola avvento deriva dal latino adventus e significa "venuta" anche se, nell'accezione più diffusa, viene indicata come un'attesa del Signore.Il tempo di Avvento era inizialmente – probabilmente dalla metà del IV secolo – un periodo di digiuno, che la Chiesa primitiva stabilì nel periodo tra il giorno di san Martino (11 novembre) e le date in cui originalmente veniva festeggiata la nascita di Cristo e la festa della sua manifestazione il 6 gennaio. Il digiuno fu inizialmente stabilito in tre giorni la settimana, successivamente tutti i giorni tranne sabato e domenica. Nelle otto settimane (56 giorni) dal giorno di san Martino fino al 6 gennaio vi sono, esclusi i fine settimana, 40 giorni di digiuno, corrispondenti ai quaranta giorni di digiuno che precedono la Pasqua.Le prime tracce di una tale preparazione alla nascita di Cristo si trovano nella Chiesa orientale, dove la festa dell'apparizione del Signore era un'importante data per il battesimo. Nell'Occidente la pratica del digiuno dell'Avvento si diffuse dapprima in Spagna e nella Gallia.

La sua espressione nella liturgia vide l'attesa della nascita di Gesù dal V secolo circa, documentata prima a Ravenna e verso la metà del VI secolo a Roma, dove la felice attesa dell'incarnazione di Cristo fu particolarmente accentuata.

L'escatologica seconda venuta di Cristo e il Giudizio universale incentivarono successivamente i missionari irlandesi come san Colombano, che fu missionario nelle Gallie, e contribuirono allo sviluppo dell'Avvento come periodo di penitenza; così nella Santa Messa si rinunciò al Gloria e all'Alleluia, ciò che nel XII secolo fu adottato ufficialmente anche nella liturgia latina dell'Avvento. Questa ambivalenza tematica tra un periodo di penitenza e un comportamento di felice attesa si trova fino a oggi come espressione liturgica nelle domeniche di Avvento...continua https://it.wikipedia.org/wiki/Avvento

Frase di Susanna Tamaro

 


I libri servono a capire e a capirsi, e a creare un universo comune anche in persone lontanissime.

Susanna Tamaro

25 nov 2022

Alla sua donna, Giacomo Leopardi

 


Cara beltà che amore
Lunge m’inspiri o nascondendo il viso,
Fuor se nel sonno il core
Ombra diva mi scuoti,
O ne’ campi ove splenda
Più vago il giorno e di natura il riso;
Forse tu l’innocente
Secol beasti che dall’oro ha nome,
Or leve intra la gente
Onima voli? o te la sorte avara
Ch’a noi, t’asconde, agli avvenir prepara?
[…]

Avvento di canti nelle Valli del Torre/Terske doline

Chiesa di Montemaggiore
(Taipana)

 Da tre anni l’aspettativa era davvero tanta. E ora la rassegna di concerti d’Avvento, organizzata dall’associazione don Eugenio Blanchini in collaborazione con le parrocchie e comunità del territorio, fa ritorno nei paesi nelle Valli del Torre.

Il primo evento è in programma a Montemaggiore di Taipana/Brezje. Sabato, 26 novembre, alle 14.30 la celebrazione nella chiesa del paese sarà arricchita da canti tradizionali sloveni, con un ulteriore piccolo concerto al termine. Così sarà anche il giorno dopo, domenica, 27 novembre, a Canebola di Faedis/Čenijebola. Anche qui la liturgia della Parola delle 11.00 sarà accompagnata da canti della tradizione liturgica slovena, con un’ulteriore piccola esibizione al termine. Entrambi gli eventi tengono conto del forte legame tra tradizione linguistica e religiosa della zona e mirano a creare un momento di festosa aggregazione in zone che di solito non sono raggiunte da grandi eventi.

Nelle successive domeniche d’Avvento la rassegna corale proseguirà a Subit/Subid (domenica, 4 dicembre), Porzus/Porčinj (domenica, 11 dicembre) e Masarolis/Mažeruola (domenica 18 dicembre), sempre in collaborazione con le realtà associative e le Pro loco dei rispettivi paesi.

Dopo le edizioni del 2018 e del 2019, la rassegna è stata sospesa in ragione delle misure per il contenimento della pandemia del nuovo coronavirus. Dalle diverse comunità in cui si erano svolti i concerti – dalle zone di Attimis, Taipana, Faedis e Torreano – negli ultimi tre anni diversi abitanti hanno espresso in varie occasioni l’auspicio che momenti di comunità come questi facessero ritorno nei loro paesi. Nei paesi dove i dialetti sloveni sono la lingua tradizionale, il momento del canto rappresenta un momento di comunità. Fino a non molti decenni fa, infatti, quasi ogni paese della Slavia aveva un gruppo corale parrocchiale e si cantava durante il lavoro o nei momenti di ritrovo o tradizionali. (Luciano Lister)https://www.dom.it/s-petjem-v-adventu-v-terskih-dolinah_avvento-di-canti-nelle-valli-del-torre/

Canebola/Ceniebola


24 nov 2022

Giornata internazionale contro la violenza contro le donne

 



In Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni,basta,basta!

La Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l'opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne

La data della Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne segna anche l'inizio dei "16 giorni di attivismo contro la violenza di genere" che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre di ogni anno, promossi nel 1991 dal Center for Women's Global Leadership (CWGL) e sostenuti dalle Nazioni Unite, per sottolineare che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Questo periodo comprende una serie di altre date significative, tra cui il 29 novembre, il Women Human Rights Defenders Day (WHRD), il 1º dicembre, la Giornata mondiale contro l'AIDS e il 6 dicembre, anniversario del massacro del Politecnico di Montreal, quando 14 studentesse di ingegneria furono uccise da un venticinquenne che affermò di voler "combattere il femminismo". Il colore arancione è utilizzato come colore di identificazione della campagna, ogni anno concentrata su un tema particolare. Dal 2014 ha assunto come slogan "Orange the World".

In molti paesi, come l'Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L'idea è nata da un'installazione dell'artista messicana Elina ChauvetZapatos Rojos, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez, e ispirata all'omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città di frontiera nel nord del Messico, nodo del mercato della droga e degli esseri umani.L'installazione è stata replicata successivamente in moltissimi paesi del mondo, fra cui Argentina, Stati Uniti, Norvegia, Ecuador, Canada, Spagna e Italia. La campagna in Italia viene in particolar modo modo portata avanti dal Centri antiviolenza e dalle Associazioni di donne impegnate nell'ambito della Violenza contro le donne.


L'indagine ISTAT del 2014 ha rilevato che il 31,5% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Un rapporto del 2018 relativo alle molestie sul luogo di lavoro ha messo in luce che nel corso della loro vita, 1.100.000 donne (pari al 7,5% delle lavoratrici) ha subito ricatti sessuali per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per ottenere progressioni nella carriera.

Confrontando gli omicidi volontari di donne nel 2018 (133 omicidi, pari allo 0,43 per 100.000 donne), l'ISTAT ha collocato l'Italia fra i paesi europei con una più bassa percentuale, dietro solo a Grecia e Cipro; ai primi posti Lettonia e Lituania. È stato tuttavia evidenziato come mentre la serie storica rilevi un notevole calo degli omicidi di uomini nel corso di 25 anni (da 4,0 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,8 nel 2016), il numero di donne uccise registrate nello stesso periodo (da 0,6 a 0,4 per 100.000 femmine) rimanga perlopiù stabile.

Nell'opuscolo pubblicato dalla Direzione Centrale Anticrimine del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, a sostegno della campagna "…questo NON È AMORE" per aiutare le vittime di violenza a vincere la paura di denunciare, i dati parlano di un aumento delle vittime di sesso femminile dal 2016 (68%) al 2019 (71%). Sia le vittime che gli autori di questi reati sono in alta percentuale di nazionalità italiana: nel 2018 erano italiani il 73% dei soggetti segnalati all'autorità giudiziaria dalle forze di polizia, nel 2019 il dato è salito al 74%. Nel 2018-2019 tra le donne straniere sono le romene a denunciare più di altre di aver subito maltrattamenti in famiglia, percosse, violenze sessuali e atti persecutori. Nel 2018 l'82% degli autori di omicidi femminili è un familiare.


L'armata dei fiumi perduti di Carlo Sgorlon


 Il testo narra la concessione della Carnia, da parte dei tedeschi, al popolo cosacco, che in cambio di questa terra dove vivere avrà il compito di scovare i partigiani sulle montagne."L’armata dei fiumi perduti" è un testo che narra una vicenda poco conosciuta, quanto incredibile, avvenuta verso la fine della Seconda guerra mondiale. Se non incredibile potrebbe essere surreale, appartenere a un film di Bunuel e invece è Storia. Storia che non viene raccontata nei libri di testo, che i giovani non conoscono. Per fortuna Sgorlon, scrittore friulano, da fatti realmente avvenuti, trae spunto per un romanzo lineare, quanto spietato.

In breve, il testo narra della concessione, da parte dei geni malefici tedeschi, della Carnia al popolo dei cosacchi. Cosacchi o tartari, erano a quel tempo un popolo allo sbando alla ricerca di una terra dove vivere. Sicché eccoli arrivare dalla Polonia con tutte le famiglie e le masserizie al seguito, giungere con decine di treni alla stazione di Carnia in oltre ventimila tra uomini, donne, vecchi, bambini, cavalli e perfino cammelli e dromedari. I cosacchi in cambio di quella terra concessa dai tedeschi dovevano snidare i partigiani dalle montagne. Un gruppo di loro s’insedia nelle case di un paesino come ospiti non graditi.
A questo punto emerge la figura della protagonista, Marta, una donna giovane e forte che aveva perso il marito in Russia. Sarà lei a fare da tramite tra i cosacchi invasori e la popolazione. Ma ben presto, i Cosacchi stessi capiranno l’inganno dei tedeschi, sradicati dalle loro steppe per correre verso un’illusione, quando questa si dissolverà come il vento, diverranno selvaggi e assassini, lasciando dietro di sé una scia di sangue su quella terra che li aveva accolti, mentre fuggono andando incontro al loro tragico e ineluttabile destino. L’Austria potrebbe essere la via di fuga, ma sarà solo il loro cimitero. Per evitare di essere riconsegnati all’Armata Rossa, la gran
parte di essi si getterà nelle fredde acque della Drava, in uno dei più grandi suicidi di massa che la storia umana ricordi.

da https://www.sololibri.net/L-armata-dei-fiumi-perduti-Sgorlon.html


I cosacchi del Kuban, durante il secondo conflitto mondiale, occuparono le montagne della Carnia, in Friuli, insediandosi nella piana di Cavazzo, ribattezzata da essi "Nuova Krasnodar". I legami culturali e storici stabilitisi tra le due regioni sono molteplici. Un convegno intitolato "Caucasica Latinitas" ne ha esplorato le trame, lo scorso fine settimana a Krasnodar.

Avente per tema le "relazioni tra il mondo mediterraneo e le regioni caucasiche", il ciclo di conferenze si è svolto domenica 4 maggio nella città della Russia Meridionale, lungo il fiume Kuban, nelle vicinanze del Mar Nero, in una terra geograficamente straordinaria, caratterizzata da una fiorente agricoltura e dalla bellezza dei paesaggi che spaziano dalle colline dolcemente degradanti verso il mare alle asprezze della catena del Caucaso.

Promosso dalla Fondazione Cassamarca di Treviso in collaborazione con l'Ente Friuli nel Mondo e l'Istituto Tecnico "Giuseppe Marchetti" di Gemona del Friuli, che da anni intrattiene rapporti di scambio con la scuola "Gymnazija 69" di Krasnodar, l'evento è stato la tappa conclusiva di un percorso di lavoro condiviso tra professori e studenti russi e friulani cominciato qualche anno fa.

La presenza dei cosacchi in Carnia è stata infatti oggetto di una ricerca storica iniziata nel 2005, quando gli studenti italiani dell'istituto Marchetti di Gemona sono entrati in contatto con i loro coetanei russi del Ginnasio 69. Ritrovandosi assieme in una sorta di aula virtuale, i ragazzi hanno svolto indagini parallele sui due territori, a più di 2.000 km di distanza, coordinati dai professori Valentina Parachnievich e Angelo Floramo, approfondendo il fenomeno dei cosacchi di Krasnodar che nel 1944 e 1945 occuparono buona parte del Friuli a seguito delle armate germaniche. Per mesi gli studenti hanno raccolto dati, progettato moduli didattici, comparato materiale, arrivando a ripercorrere le suggestive e controverse vicende che avevano visto intrecciati i destini dei rispettivi popoli.

Storicamente, il Kuban entrò a far parte dell'impero zarista solamente agli inizi del XVIII secolo, quando la zarina Caterina sottrasse quei territori ricchissimi all'Impero Ottomano ormai in fase di decadenza. Nel corso del VI secolo, la regione era stata occupata da tribù slave che avevano intrattenuto stretti contatti con il mondo bizantino. L'orda d'oro di Tamerlano il Grande aveva quindi investito l'intera regione, per amministrarla fino alla dissoluzione del suo impero. Dopo il 1453, a seguito della caduta di Costantinopoli, la Sublime Porta inglobò quei territori sotto il suo controllo e li mantenne fino a quando le armate cosacche li conquistarono agli zar, insediandovi i loro villaggi.


Furono proprio i cosacchi di Krasnodar a giungere tra le montagne friulane in pieno periodo bellico, in quanto alleati dei tedeschi, con la prospettiva di viverci con le loro famiglie. Gli abitanti del luogo li chiamarono "invasori": pur avendo subito violenza dai sovietici, essi si comportarono in terra italiana con non meno brutalità dei loro persecutori. In seguito furono traditi dai loro superiori nazisti. La ricerca parallela degli studenti di Gemona e di Krasnodar è dedicata alle vittime del totalitarismo: russi, italiani, tedeschi, assieme a tutti i popoli coinvolti nel turbine sanguinoso della violenza...continua https://www.balcanicaucaso.org/Tutte-le-notizie/Sui-passi-dei-cosacchi-in-Friuli-41556


Cividale/Cedad

foro Giulio Cesare e monumento ad Adelaide Ristori

Il Natisone

Il Natisone

palazzo comunale

https://it.wikipedia.org/wiki/Cividale_del_Friuli






Proverbio

 




Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei Vita Nei Campi

“A Sante Catarine el frêt al busine” ovvero A Santa Caterina, il 25 novembre, il freddo “rumoreggia” fischia, urla.

23 nov 2022

Pandemia, guerra e crisi / Pandemija, vojna in kriza

 


Stiamo ancora combattendo con la pandemia ed ecco che ci troviamo con la guerra in Ucraina, con conseguenze che soffriamo anche noi. Tre calamità che ci sono piombate addosso e da cui non sappiamo come uscire. Intanto la pandemia imperversa anche se non ce ne accorgiamo, perché si sono allentate tutte le precauzioni e così ci sembra di essere liberi, mentre il bollettino dei decessi continua la sua marcia silenziosa, ma inesorabile. Le vaccinazioni ci hanno salvato dalle conseguenze più gravi, ma dobbiamo stare attenti per noi e per gli altri.

C’è poi la terribile guerra in Ucraina. Ero convinto che non scoppiasse mai, perché una semplice valutazione politica la rendeva paradossale, come stiamo vedendo. Se Putin voleva l’Ucraina in quanto legata alla storia della Grande Russia, certamente quello adoperato era l’unico modo sbagliato. Se voleva una federazione, non la poteva ottenere con le bombe e altre atrocità. Così facendo ha danneggiato anche i Russi che vivono in Ucraina e pure la Russia stessa, che ora si vede contro tutto il mondo occidentale.

Non contiamo poi i riflessi negativi sull’economia, che riguardano anche noi. Con questa guerra e con le sanzioni siamo entrati tutti in una economia quasi da guerra. Fabbriche che chiudono, mancanza di lavoro, bollette impossibili. E non si vedono soluzioni perché prevale la volontà dello scontro e della contrapposizione tra due mondi opposti. Anche da noi, semmai più da noi, si sentono gli effetti di questi disastri, con l’aggiunta che ci vengono decurtati, nella distribuzione territoriale, i fondi previsti alla legge per la nostra tutela. Come se nuotassimo nell’abbondanza!

Come uscire da queste situazioni così intricate? Per noi cristiani esistono due modi, la preghiera e la testimonianza pubblica. È importante che ritroviamo la strada della chiesa, perché in troppi l’abbiamo abbandonata. Se già prima della pandemia eravamo in difficoltà, con il contagio le cose si sono aggravate. E bisogna ricuperare, non dimenticando il vantaggio di essere cristiani. E poi c’è la testimonianza, cioè rendere manifesto il nostro pensiero ed agire di conseguenza. Non convincerà i potenti, ma creerà una mentalità ed uno stile che di per sé vale una vita.

Marino Qualizza

https://www.dom.it/pandemia-guerra-e-crisi_pandemija-vojna-in-kriza/

22 nov 2022

Ascoltavo la pioggia

 


Ha piovuto a dirotto tutta la notte e ancora continua,siamo tutti già stanchi.


Ascoltavo la pioggia
(Alda Merini)
Ascoltavo la pioggia
domandare al silenzio
quale fragile ardore
sillabava e moriva.
L’infinito tendeva
ori e stralci di rosso
profumando le pietre
di strade lontane.
Mi abitavano i sogni
odorosi di muschio
quando il fiume impetuoso
scompigliava l’oceano.
Ascoltavo la pioggia
domandare al silenzio
quanti nastri di strade
annodavano il cuore.
E la pioggia piangeva
asciugandosi al vento
sopra tetti spioventi
di desolati paesi.

dal web

Carlo Sgorlon chi era?


 Carlo Sgorlon (Cassacco, 26 luglio 1930  Udine, 25 dicembre 2009) è stato uno scrittore e insegnante italiano.

I suoi romanzi hanno per tema specialmente la vita contadina friulana con i suoi miti, le sue leggende e la sua religiosità, il dramma delle guerre mondiali e delle foibe, le storie degli emigrati, le difficili convivenze delle varie etnie linguistiche; spesso proprio il passato e le radici rappresentano per Sgorlon gli unici elementi risananti del mondo.Secondo di cinque figli, nacque a Cassacco, un piccolo centro a pochi chilometri da Udine, da Antonio (sarto) e Livia (maestra elementare). Trascorse il periodo della giovinezza prevalentemente in campagna, assimilando la cultura del Friuli rurale, che tanta parte rappresenterà nella sua produzione letteraria.

Dopo un inizio di studi incostante, compiuti i diciotto anni si iscrisse all'università di Pisa e venne anche ammesso alla Scuola Normale Superiore: si laureò in Lettere con una tesi su Franz Kafka. Poi si trasferì in Germania per la specializzazione, che conseguì a Monaco di Baviera.
Subito dopo ebbe inizio la sua attività di insegnante di Lettere alla scuola secondaria e parallelamente quella di scrittore.
Sposato con Edda Agarinis, Sgorlon si trasferì ad Udine dove avrebbe poi vissuto per tutto il resto della propria vita.

Si spense il giorno di Natale del 2009. Riposa nel cimitero di Raspano, frazione del suo comune di nascita il quale, nel 2011, gli ha dedicato un concorso fotografico intitolato "Lo sguardo di Carlo". La Agarinis ha promosso eventi e iniziative in memoria del marito sino alla sua morte, avvenuta a Palmanova il 12 gennaio 2021

La figura di Sgorlon è diversa da quella di qualsiasi autore italiano: era un narratore vero di storie reali in un mondo fantastico, un narratore di vicende fantastiche in una struttura reale. Il tutto condito da elementi storici e magici che convivono come diversi livelli di una stessa provincia.

Poeta dell'equilibrio, dell'intreccio con la storia e con l'ambiente in cui si innesta il ciclo delle sue esperienze, su tutta la sua attività hanno lasciato un segno profondo gli studi irregolari e gli stimoli del nonno, maestro elementare in pensione, a porsi traguardi più ambiziosi, così come le storie, i racconti tradizionali, le fiabe narrate dalla gente del suo piccolo paese contadino. I temi di fantasia e saggezza popolare si mescolano all'eredità di autori come DanteAriosto e Petrarca che macerano in quello che lo stesso autore definisce come una fase culturale europea nel periodo di istruzione superiore.

Nasce, per primo, il romanzo Il vento nel vigneto (1960), che verrà riscritto in lingua friulana con il titolo Prime di sere (1971); il tema esistenziale è ispirato al mondo contadino e si racconta il faticoso reinserimento di un ergastolano graziato nel paese natio.

Con i successivi romanzi lo scrittore muta il suo registro narrativo: La poltrona (1968), La notte del ragno mannaro (1970) e La luna color ametista (1972) si impongono all'attenzione della critica per i ritmi nevrotici ed affannosi dei personaggi che stentano a realizzarsi nella vita, cedendo via via a storie sempre più corali. Ne La poltrona si narra di un mondo chiuso, sterile caratterizzato da un continuo disadattamento; ne La notte del ragno mannaro (1970) si apre il paesaggio, in cui si percepisce l'inquietudine di Walter nella spasmodica ricerca del padre e della donna amata in un sogno ossessivo e reale ambientato in una Udine magica che rivela i segreti di antiche storie. Ne La luna color ametista Rabal rivitalizza un paesino misterioso e teso tra sogno e grigiore ma solo per il periodo della sua visita; questo è il romanzo riconosciuto come spartiacque della narrativa di Sgorlon, lo scritto che lascia il cupo solipsismo della precedente produzione per raggiungere un patos fantastico-corale nella sua opera successiva.

Da questo cambiamento nasce il fortunato Il trono di legno, romanzo di successo (Premio Campiello 1973)[2], storia di un narratore di vicende fantastiche che non sa ancora di essere l'erede di una cultura solo assopita e non cancellata. Nel 1975 vede la luce anche La Regina di Saba, ritratto di una misteriosa figura di donna a tutto tondo che si confronta con i cambiamenti del tempo, capace di salvarsi e di salvare grazie alla forza dell'amore eterno. Gli dei torneranno (1977), narrazione epicizzata della civiltà contadina del Friuli che si scontra con le nuove idee per scoprire, infine, che la storia gira in cerchio e gli dei torneranno solo se gli uomini sapranno salvare la loro cultura dall'attacco della civiltà massificata attraverso il dono singolare del ben parlare.

La carrozza di rame (1979), la saga di una famiglia di piccoli proprietari terrieri inserita nel periodo del terremoto del '76, evento foriero di nuovi assetti nella famiglia De Odorico, completa la trilogia iniziata con Il trono di legno.

La sua vita trascorre quieta, tra l'insegnamento di Italiano e Storia negli Istituti tecnici e la scrittura, tra la città e la casa di campagna dove lo scrittore, assai fiero delle proprie svariate abilità, sveste i panni dell'artista e dello studioso e indossa quelli dell'agricoltore e dell'artigiano. Nasce in questo periodo La contrada (1981) in cui si racconta la vita di periferia di un gruppo di amici ed in cui si sviluppa il tema della delusione dell'uomo moderno. Segue La conchiglia di Anataj (Premio Campiello, 1983[2]) in cui si esprime il concetto del recupero delle origini e del legame con le proprie radici solo nel momento dell'allontanamento dalla realtà: Valeriano, infatti, rimane in Siberia a ricordare la sua terra, il Friuli. Quest'opera è da molti critici ritenuto il capolavoro dello scrittore.

L'armata dei fiumi perduti (1983), vincitore del Premio Strega nel 1985)[3] ispirato alle vicende poco note della duplice tragedia del popolo cosacco, i Kazak, a cui: «l'impassibile spietatezza della Storia aveva sottratto per sempre la possibilità di avere una patria» e del popolo friulano, la cui terra venne regalata ai primi come bottino di guerra dall'invasore tedesco. Il libro avrà ben 25 ristampe. Il quarto re mago (1986), insieme di racconti da cui si evincono le principali tesi della poetica Sgorloniana (come nel caso dell'eterno peregrinare di Joska la rossa o del disfacimento del tempo alla ricerca di qualcosa che si possiede già). Seguono I sette veli (1986), versione friulana Il DolfinL'ultima valle (1987) in cui si mescola sapientemente l'elemento favolistico a quello della vita di tutti i giorni narrando della tragedia del Vajont del 1963 e evidenziando le interconnessioni magiche da cui si origina tutta la poetica dell'autore. Il calderas (Premio Napoli, 1988) in cui la vita del piccolo zingaro è nuova metafora della ricerca di radici perdute, questa volta per colpa della guerra.

La fontana di Lorena (Premio Basilicata, 1990) in cui si racconta la storia della famiglia Gortan che vive attorno alla figura magica di Eva, amica di un grande pittore, che con la sua magia creerà l'illusione utile a salvare se stessa e gli altri oltre la magica fonte del bosco. La tribù (1990) è la storia della famiglia di Giovanni, brigadiere di Foràns, Martina ed i loro quattro figli. Il rispetto della legge morale è l'unica strada per dare ordine alle passioni umane; ma l'illusione del benessere sfocia ai confini del lecito e dell'illecito. I valori crollano miseramente e, pur di raggiungere gli illusori paradisi, Diego, uno dei quattro figli, sconterà il suo delitto di sangue nel sangue, come tragico sacrificio agli dei crudeli di città. L'apice del dolore, tuttavia, riannoderà i vincoli morali ridando senso al destino dei suoi componenti. Vi sono, poi, La foiba grande (1992) che custodisce i segreti di coloro che vengono presi per essere portati chissà dove durante il periodo della guerra, cui segue Il regno dell'uomo (1994). Al filone che rievoca vicende non approfondite della storia italiana appartiene anche La malga di Sîr (1997) incentrato sull'eccidio di Porzûs reso famoso perché nel 1945 i partigiani comunisti uccisero un gruppo di partigiani appartenenti alla brigata Osoppo (tra i caduti anche il fratello di Pier Paolo Pasolini, Guido Alberto).

Nasce, quindi, Il processo di Tolosa (1998), storia surreale della vita di un ragazzo legato al mistero di Lazzaro in Francia, seguito da Il filo di seta (1999) in cui si racconta la vicenda incredibile degli itinerari di Odorico da Pordenone, viaggiatore paragonabile solo a Marco Polo, che ha affascinato per il suo modo di confrontarsi con la diversità e del quale Sgorlon ha scritto, in versione romanzata, in una rivisitazione della sua vita. Attraverso un lungo percorso arriviamo al prossimo romanzo, La tredicesima notte (2001) in cui nel favoloso mondo di Monterosso si snoda la vicenda di Veronica, nuova figura di donna in connessione con il mondo misterioso che abbiamo dimenticato, la quale torna ogni tre generazioni per rendere possibile un destino d'amore in un paese dove persino un famoso frate di Pietrelcina - Padre Pio - compare. È del 2003, L'uomo di Praga, in cui il cinema arriva a Naularo per far rivivere i sogni di tutti e le alterne vicende del protagonista Alvar, stupiscono e trasportano in un mondo fatato. Le sorelle boreali, edito nel 2004, illustra la creazione di un mondo felice da parte di cinque sorelle che ritrovano una nuova vita nella villa della bisnonna. Ognuna delle protagoniste per difendere questa esistenza dovrà passare in un buio catartico modificando poco a poco il proprio destino. L'ultimo lavoro, Il velo di Maya del 2006 intreccia elementi filosofici, musicali ed erotici in un viaggio teso come su una lama di rasoio del personaggio Jacopo D'Artega.

L'ultima fatica letteraria del grande scrittore viene pubblicata a dicembre del 2008 dalla Morganti editori, con il titolo La penna d'oro. Si tratta di un'autobiografia. Carlo Sgorlon ha deciso di farsi portavoce in prima persona della sua vita e della sua poetica. Nel raccontarsi con sincerità ma con un pizzico di costruttiva polemica e disincanto, lo scrittore affronta i ricordi della propria vita personale e professionale come se osservasse un altro se stesso dal balcone della sua casa friulana. Il risultato di questo proiettarsi al di fuori lo trasforma nel protagonista di un'avvincente storia privata. Ma di che si tratta? Ancora una volta è la storia di un uomo estraneo ai luoghi e alle mode, che si affranca dal mondo, pur senza mai perderlo di vista, per cercare la propria patria. Il narratore si racconta con la medesima propensione fabulatoria che da sempre lo caratterizza, proponendo al lettore un romanzo esistenziale, quello di un uomo che si sofferma sulla propria vita facendone il bilancio e ribadendo la radicata convinzione che l'uomo possa percorrere la propria vita su due piani di esistenza paralleli: quello della realtà e quello del fantastico. La penna d'oro, non è una semplice autobiografia dello scrittore, è anche un attestato d'amore nei riguardi della sua terra d'origine, delle sue genti e tradizioni. Anche la penna d'oro, dono ricevuto nell'infanzia, diventa un mitico oggetto sparito chissà dove, che da sempre influenza il destino dell'uomo e dello scrittore.

I protagonisti dei suoi romanzi

La modernità del protagonista sgorloniano è evidente nell'incarnazione delle difficoltà, nell'autenticità, nell'affettività, nella socialità; è un soggetto reso ansioso dall'evoluzione della società rurale in quella industriale, appare simile al tipico modello d'uomo nel comune sentire di fronte alla rivoluzione tecnologica. Nel personaggio sgorloniano si evidenzia la mancanza di una precisa identità, nella quale ritorna, sfumata, la figura paterna e, anche, più eccessiva e prolungata, quella materna; si riscontra, inoltre, la mancanza di quell'"io collettivo" che sembrava unire la società contadina contro le asperità della vita nel superamento dell'uniformità della industrializzazione nella eradicazione dalla regione di nascita.

I protagonisti sgorloniani appartengono ad una cultura di tipo decadente, sono irrazionali e spesso vivono in una realtà sognante tenendo sempre presente un sentimento di amore/repulsione per la propria terra. All'assenza di eventi esteriori fa da contrappeso il tramestio dei personaggi, mossi dall'autore come burattini, i quali hanno un ruolo preciso in uno sfondo a metà tra la favola e la cruda realtà storica, attraverso la metafora, in un luogo sospeso tra il fantastico e il mentale dove tematiche religiose scientifiche e filosofiche si confrontano per la ricerca di valori per cui sopravvivere: «In realtà, io amo soprattutto raccontare delle storie, in un tempo e in una civiltà come la nostra in cui sembra che gli scrittori abbiano per lo più perduto la dimensione epica e il gusto del narrare».

L'acqua

A creare una compensazione, quasi fosse essa stessa un personaggio, nella narrativa sgorloniana interviene l'elemento dell'acqua. La funzione purificante e pacificante dell'animo umano è legata all'elemento liquido come se questo unisse in tempi diversi le sensazioni delle donne. Sono donne che si lavano via il terrore della guerra con un lungo bagno, rimanendo in contatto con l'elemento magico come nel caso di Marta ne L'armata dei fiumi perduti, tornano al passato e vi rimangono in contatto tramite una fonte nel bosco come nel caso de La fontana di Lorena o dimenticano l'amore illusorio del loro recente passato come nel caso di Veronica ne La tredicesima notte.

L'acqua è una sorta di specchio purificatorio, la cui prerogativa sembra essere percepita solo dalle donne.

Le donne


Le donne di Sgorlon sono la radice forte che permette all'albero ferito di rifiorire. Sono personaggi in grado di rivitalizzare la vita di un paese sonnacchioso come nel caso di Rabal, ne La luna color ametista. Custodiscono le parti da sanare, sono motore incessante della storia e sono quelle che portano spesso sulle proprie spalle il peso di una civiltà che cambia. L'abbandono della società contadina, ha aumentato la loro fatica, ma ha permesso anche di conservare all'interno dei loro animi la madre a cui ritornare. Le donne di Sgorlon non vogliono affrontare tutto e tutti a muso duro, sanno andare incontro a ciò che la vita richiede, ma concepiscono il completamento della loro esistenza solo nella condivisione della stessa con un'altra persona.

I personaggi femminili di Sgorlon sanno guardare al mondo moderno e viverci, ma a volte, e solo per periodi limitati, nonostante la loro sensibilità, non riescono a vedere chiaramente, confuse dai loro sogni. Fortissimo in queste figure è l'elemento magico che rende surreale persino le storie che sembrano cronaca della realtà, donando loro una comprensione delle connessioni tra essere umano e gaia, la terra, irrinunciabile. Marta, con la sua gioia di vivere inesauribile, sana le ferite di un mondo che sembra impazzito e custodisce la speranza dei sogni persino nei momenti più duri, infondendo la vita quando tutto sembra perduto. Eva, de La fontana di Lorena, è un grande personaggio, costruito con un'intensità vibrante di donna pratica e maga che incarna la sostanza della protettrice della terra: è l'ultima eroina guerriera di una divinità insita nella natura che alla fine sa che nei colori e nel ritorno in sé c'è quanto serve a salvare il proprio futuro.

La provincia

«Comincerò col dire che io sono uno di quegli scrittori fortunati, secondo la celebre frase di Balzac, che hanno una provincia da raccontare. Fortunati perché possiedono delle radici, ed hanno alle spalle una cultura, una storia, una tradizione, un popolo, nei quali si riconoscono, dentro i quali riescono a rintracciare i lineamenti della propria identità. Fortunati perché sanno chi sono, possiedono un habitat, una collocazione precisa nella infinita varietà del mondo reale».

Così Carlo Sgorlon si descrive nella conferenza del 1982 (Il Friuli nella mia narrativa) inquadrando la propria identità, chiave di volta della sua concezione di vivere/scrivere. Tra il livello profondo del soggetto/uomo ed il livello di scrittura con i modelli culturali si colloca in maniera filtrante la cultura locale tale da renderla comprimaria rispetto agli altri elementi in un concezione solistica legata ai topoi accumulati nel corso dell'intera esistenza. Un sentimento che si può leggere anche ne L'armata dei fiumi perduti in cui Urvàn pensa che «...forse bisognava restare lassù, non abbandonare né la steppa né il fiume. Qualunque colpo del destino andava sopportato là, nella loro terra».

La battaglia per la conservazione delle radici e per la restituzione dei luoghi alla loro vocazione millenaria appare come una metafora e insieme una ragione universale e che unisce i popoli legati alle proprie autentiche storie e tradizioni. «Per Veronica, (La tredicesima notte), Monterosso era una parola chiave. Pronunciarla, o sentirla pronunciare, voleva dire tante cose, a volte difficile da cogliere anche per lei». Carlo Sgorlon esalta l'irrealtà della realtà del Friuli perché, se si parla di questa terra, non si sa mai se si tratti di Italia, Austria o di un paese Slavo, culture che hanno lasciato una impronta nell'identità che spesso viene trascurata dai "dominatori di turno", ma fortemente radicata nel suo popolo.

Il paesaggio friulano è l'ancora a cui è possibile aggrapparsi per recuperare la speranza di salvezza e di redenzione nell'apocalisse del presente in cui sembra essere sparito l'amore per le proprie origini. Sgorlon è un aedo della sua terra, a volte la dipinge come un luogo in cui avvengono fatti luttuosi per la popolazione, come nel caso del romanzo La foiba grande o de La tribù e come un mondo incantato sospeso in un dimensione magica tale da creare un filo ideale tra le sue storie e il mondo incantato di Garcia Marquez: lo stesso Sgorlon friulano ha ammesso che, seppur involontariamente, nei suoi romanzi c'è anche un po' di Marquez, quello che li accomuna è il sostrato di movimento.

«Mi affido alla mia capacità di primitivo di rimitizzare il mondo, per quanto i miti e le fiabe siano stati esorcizzati da secoli dalla scienza e dalla tecnologia...» Ecco il filo a cui Carlo Sgorlon rimane fedele anche nelle sue opere, particolarmente in quest'ultimo romanzo, La tredicesima notte, o anche ne La fontana di Lorena, che conferma la natura favolistica dello scrittore friulano senza venir meno a quel credo di "tellurica sacralità", che è presente in lui da sempre, e più visibilmente nel L'Ultima valle (1987).

La Storia

Nei libri in cui i protagonisti hanno a che fare con la Storia, particolarmente se si tratta della guerra e dei suoi effetti, essa assume in Sgorlon un carattere di forza cosmica, flusso impetuoso ed ineluttabile, dotato di propria autonomia, in grado di travolgere chiunque si trovi sul suo corso, e da cui è inutile ogni tentativo di opporsi. L'unica speranza per sottrarsi alle sue conseguenze può essere un rifugio o la fuga, di solito sotto la protezione di una delle donne che nei libri di Sgorlon incarnano la saggezza immutabile della terra, come Marta ne L'armata dei fiumi perduti, o Marianna ne La malga di Sîr.

La parola

«Aveva letto in un libro che la parola è ormai consumata e logora, troppo sfruttata dall'uso, e che non può più essere adoperata come un tempo. Oggi chi l'ha fatto ha suscitato una smorfia d'ilarità all'angolo della bocca degli intenditori, o l'infastidito sbadiglio della noia. Adesso la parola è sofisticata, manipolata, slogata e contorta, per poter essere resa appetibile ai palati, ormai desiderosi dello strano e dell'inusitato. Viene elaborata con ricette artificiali, drogata con spezie esotiche fino a cambiarne l'antico carattere e a renderla incomprensibile», scrive Sgorlon.

«Io mi rivolgo a quei lettori che hanno il gusto di leggere storie ben fatte, e anche fornite di un gruzzolo di ciò che un tempo si chiamava "poesia", di cui oggi si diffida. Io possiedo un forte istinto narrativo, e a quello mi abbandono. È una specie di bussola incorporata nel mio inconscio. Seguo i grandi archetipi del narrare. Non trovo difficoltà a realizzare questo tipo di narrativa, se non di natura psicologica. So infatti di andare contro il gusto corrente e contro la cultura egemone. So di essere il solo, o quasi. Però c'è anche una certa soddisfazione a sapere di non essere uno che salta sul cocchio del vincitore, che in Italia tutti inseguono, ma sul quale non tutti riescono a salire.»

I romanzi postumi e le iniziative commemorative

Nel 2010 ci fu la pubblicazione dei romanzi postumi: Il Circolo Swedenborg e Ombris tal infinît (quest'ultimo in lingua friulana).

Il 23 febbraio 2014 il Comune di Vajont gli ha dedicato la biblioteca civica per aver narrato della omonima tragedia del 1963 nel romanzo L'ultima valle (1987).

Il 28 novembre 2019 è stato pubblicato il romanzo postumo Allarme sul Neckar. L'opera fu scritta nel 2000 ma è rimasta inedita per volontà dello stesso autore dopo un tentativo di pubblicazione sotto falso nome compiuto qualche anno prima della sua morte. L'esperimento venne portato a termine con la collaborazione di uno dei suoi legali, l'avvocato Fabiano Filippin. Quest'ultimo, fingendosi l'agente di uno scrittore in erba, propose il testo a svariate case editrici ma lo stesso venne sistematicamente restituito intonso. Sgorlon voleva capire quante occasioni di effettiva pubblicazione avessero i giovani di talento non ancora conosciuti al grande pubblico. Il legale e la vedova hanno dato alle stampe l'opera nell'imminenza del decimo anniversario della scomparsa. Il romanzo è distribuito dalla casa editrice udinese Gaspari in collaborazione con il quotidiano friulano Messaggero Veneto. La presentazione ufficiale è avvenuta il 3 dicembre 2019 in municipio a Udine alla presenza della vedova dello scrittore.

da wikipedia

follower

Cerca nel blog

Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

Oggetti di un tempo

per tostare il caffè  le scartocciatrici ferro stiro a brace  macina caffè

Etichette

. * abitudini acque acrostico afganistan aforisma aforismi alberi almanacco alta val torre ambienrte ambiente animaii. animali antichi mestieri antifascismo archeologia arte arte. articol articoli articoli. articolo articolo. artigianato astronomia atricolo attività attrezzi agricoli attualiità attualità attualità. attualtà atualità audio auguri autunno avviso avviso . benecia benecia. benecija benečija benvenute bilinguismo blog caldo canzone canzoni carnevale carnia cibi cibi tipici cibi tipici. cibi. cinema citazion. citazione citazioni citazioni; citazioni. citazoni classifica clima collage commenti commento. consigli corso covid covid19 cronaca cronaca. cronata cucina cultua cultura cultura. cultura.storia culura curiosità dedica detti detto documenti dolci dom dom. editoriale esperienze eventi eventi. eventi.resia/rezija evento evnti fauna favola favole fb fede filastrocca film fiori flora flore folclore foto fotografia fotografie fotorafie frase frasi freddo friulano friuli friuli. frutta frutti futuro FVG grandine guerra haiku haiku. IA icorrenze imitando la Meloni. in memoriam informazioni iniziative intervista invocazione istruzione jeggende jesen lavoro leggenda leggende leggende. leteratura italiana letterarura letteratra italiana letteratua letteratura letteratura dialettale slovena letteratura italiana letteratura italiana. letteratura russa. letteratura slovena letteratura straniera letteratura. letteraura letteretura straniera lettertura lettura libri libro libro. lingua lingua friulana lingua friulana. lingua italiana lingua slovena lingue lingue slave lingue.fvg. lioghi luoghi luoghi. luoghi.video lutto mamma memoria mestieri meteo migranti migrazione minoranza slovena minoranze minoranze linguistiche mio video mitologia mondo moreno musei musica musica. narodni dom natale natura neve notizie novi matajur nuovo blog oggi opinioni osservazioni pace paesi pagine parlamento parole parole. pensieri pensieri. personaggi personaggi. personagi personggi pianeta piante piante. pittori poesia poesia slovena poesia. poesie poeta poeti politica precisazione. premio progetto proposta proverb proverbi proverbì proverbi. proverbi.friuli proverbio proverbio. provrbio quadri racconto razzismo reblog reblog. resia ricetta. ricordi ricorenze ricorrenza ricorrenze ricorrenze. riflessione riflessioni romeo trevisan russia. russia/ucraina salute saluti saluti. saluto saluto. sanità scienza scuola scuola. senza categoria settimana simboli slava slavia slovena sloveni slovenia slovenia. slovenia.foto slovenija slovenija. sloveno spettacoli sport sport. storia storia.lingua slovena storie tentativo tradizioni traduzione trieste turismo turismo. turismo.friuli tv ucraina umorismo usanze usanze. usanze.ricorrenze utilità. vajont val canale val torre valli del natisone valli natisone varie viaggi vid eo video video. video.friuli vignetta vignetta. vignette vignette. villanova grotte vinetta

julia

https://ju17-12.blogspot.com/

slide benecia

slide benecia
benecia

slovely

https://www.slovely.eu/

slovely (sito per gli amanti della slovenia)

traffico tempo reale

inno SLO

Brindisi Zdravljica inno sloveno "Vivano tutti i popoli che anelano al giorno in cui la discordia verrà sradicata dal mondo ed in cui ogni nostro connazionale sarà libero, ed in cui il vicino non sarà un diavolo, ma un amico!"

gifmania

olga Uk

https://olga-verse.blogspot.com/

Twitter

ultimi commenti 👁️‍🗨️

grazie

grazie