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24 set 2021

«Sclavanie» tra locale e globale-»Sclavanie« lokalno in globalno

 

La situazione della Slavia è al centro delle indagini di un nuovo libro. Si tratta di Sclavanie, il frutto del lavoro di ricerca di Davide Degano, un giovane fotografo e ricercatore di Faedis. «Ormai il volume è in tipografia. È in fase di stampa e sarà pronto a fine mese. In seguito saranno organizzate diverse presentazioni a Udine e in altre sedi».

Nelle sue quasi trecento pagine, il volume riproduce molte fotografie, dello stesso Davide, accanto a testi redatti in quattro lingue. «La parte fotografica è narrata attraverso le citazioni delle persone del luogo nelle tre lingue del territorio – italiano, sloveno e friulano – mentre i saggi, le mappe tematiche e le informazioni storiche sono in italiano. Ogni copia in italiano può essere acquistata con tre diverse traduzioni – in sloveno, a cura del museo Smo di San Pietro al Natisone/Špietar– in friulano, a cura di Marisa Comelli con la supervisione dell’Arlef – e in inglese per quanti lo comprano dall’estero».

Ogni capitolo sviluppa un tema. Si parla di origine e trasformazione del territorio ai confini, di cristianità pagana – con le due tradizioni slava pagana slava e cristiana che tuttora convivono, ad esempio attraverso la Bandimica o nel carnevale – di guerre, terremoto, emigrazione. Un capitolo è dedicato alle persone che ancora vivono sul territorio, come Luca Pantanali, che ha riportato in vita il villaggio di Clap/Podrata.

La ricerca del libro contempla tutta la Sclavanie, come viene chiamata la Slavia in lingua friulana. Intervistando una ventina di persone, sono state prese in esame le Valli del Torre e del Natisone. Molte foto provengono dalla zona da cui Davide proviene, ovvero da quella montana dei comuni di Faedis e Attimis, ma non solo. Così, possiamo trovare immagini provenienti da Canebola, Clap, Robedischis, Farcadizze, Prossenicco, Porzus, Subit, ma anche da Drenchia, Lasiz, Pulfero, Montefosca o Castelmonte.

Davide Degano

Davide, che ha 30 anni, è laureato in arti visive, con specializzazione in fotografia e racconto fotografico. «La mia ricerca è partita con l’intento di riscoprire il territorio in cui sono di casa. Ho trascorso un periodo in Australia; in seguito mi sono trasferito in Olanda, dove però non mi sono sentito a mio agio come in Australia ». Davide si è sempre interessato di fotografia. «Già in Australia avevo frequentato corsi tecnici, per realizzare fotografie commerciali e ai matrimoni. Un amico mi ha spronato a raccontare storie attraverso immagini e, così, in Olanda ho fatto domanda per entrare all’accademia d’arte. Lì ho approfondito la mia conoscenza fotografica, per riuscire a raccontare storie attraverso le fotografie. Un mio interesse, comunque, è anche quello di avvicinare la fotografia ad altre discipline». Non per niente, nel libro figurano saggi dell’antropologa Livia Maria Raccanello e del ricercatore indipendente all’Università di Innsbruck Michael Beismann.

«Il libro – spiega Davide – vuole ragionare sul concetto di locale in relazione alla società globalizzata. Ovvero su quanto sia importante mantenere vive tradizioni e culture, seppur piccole, all’interno di una società globalizzata. Questo non significa isolarsi nel proprio guscio, ma essere consapevoli che ci sono differenze, anche fra piccoli paesi vicini tra loro e che queste differenze non fanno altro che offrirci una capacità d’apertura che altrimenti non avremmo. Anche se dicessimo che siamo tutti uguali, ben presto ci troveremmo a capire che in realtà non lo siamo; da questo deriverebbero incomprensioni. Partendo dal presupposto che ognuno di noi è differente, invece, il nostro dialogo diventa costruttivo. Non si tratta di un dialogo in cui io voglio avere ragione perché penso di essere più uguale. Io mi siedo con la mia cultura, tu con la tua e giungiamo a un dialogo costruttivo. Questa è la volontà del progetto, oltre al desiderio di sostenere le minoranze culturali e linguistiche. Anche per questo è redatto nelle tre lingue, italiano, sloveno e friulano».

Un’altra parte del libro per Davide è più personale. «Quando sono andato a fare foto a Lasiz, mi sono trovato a parlare con un anziano del posto. Mi ha rivolto alcune domande sulle mie origini e, così, sono venuto a sapere da lui che mia nonna paterna era originaria della zona di Pulfero. Nella sua famiglia, quindi, la lingua parlata era il dialetto sloveno. Successivamente mi sono informato a riguardo in famiglia – e mio padre mi ha confermato di avere saputo molto poco delle origini di mia nonna per molto tempo, fino a quando aveva 25 anni. Un giorno la ha inavvertitamente sentita parlare in sloveno con una parente stretta in cucina. Lo aveva sempre fatto di nascosto». Alla scoperta hanno fatto seguito le spiegazioni. «Quando, nel periodo della seconda guerra mondiale, mia nonna era emigrata verso la pianura, aveva imparato il friulano e a parlare in friulano per le paure legate ai partigiani, ai saccheggi e al modo in cui venivano trattati gli sloveni all’epoca». Una storia nemmeno così nelle zone vicine al confine orientale. «Questa scoperta non ha fatto altro che rinfocolare il mio desiderio di proseguire la ricerca», nota Davide. (Luciano Lister)

https://www.dom.it/sclavanie-lokalno-in-globalno_sclavanie-tra-locale-e-globale/

5 commenti:

⚠️Gradisco commenti e critiche per la crescita del blog.
Generalmente rispondo ai commenti,ma seguendo parecchi blog non sempre ci riesco.
OLga 😻

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