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I funghi galletti

Mia mamma faceva la zuppa di galletti con le patate.

Preparazione

● Mondate e pulite bene i finferli, usando un pennello umido per togliere la terra rimasta tra le lamelle. Solo se fossero molto sporchi, passateli sotto un filo d'acqua, ma non metteteli mai in ammollo; poi tagliate a metà quelli più grossi.

 Sbollentate i funghi in acqua bollente per pochi minuti e poi scolateli: così perderanno l'acqua che contengono e che potrebbe dare un gusto lievemente amaro al piatto.● Sbucciate le patate e riducetele a fettine sottili. Sbucciate gli scalogni e tritateli.

● In una pentola capiente fate appassire con un filo di olio gli scalogni e l’aglio schiacciato, per 3-4 minuti a fuoco basso. Unite i finferli e le patate e fate insaporire per un paio di minuti a fuoco medio; alzate la fiamma e sfumate con il vino, quindi unite un pizzico di sale e pepe.● A questo punto unite la farina e versate lentamente il brodo bollente, mescolando bene in modo da evitare la formazione di grumi; cuocete per circa 15 minuti a fiamma bassa e verso fine cottura, se necessario, regolate di sale

● Spegnete e prelevate un po’ dei funghi, che serviranno per la decorazione; incorporate nella zuppa il latte freddo e frullate con un mixer a immersione. Aggiungete alla zuppa i funghi lasciati interi e il prezzemolo tritato grossolanamente, condite con un filo di olio e servite.Zuppa con finferli e patate

Margherita Pini

La festa della «Rožinca» è nostra, ma è molto antica e arriva da lontano

 BENECIA, RESIA E VALCANALE

Il progetto dell’associazione don Eugenio Blanchini «Tradizioni comuni e particolari degli sloveni in Italia»

La tradizione più nota della festa dell’Assunta è la benedizione dei fiori e delle erbe medicinali. In questo antico rito sembrano essere confluiti due filoni distinti: la tradizione secondo la quale la tomba di Maria fu trovata ripiena di fiori dopo la sua Assunzione e la sapienza popolare circa il potere curativo delle piante

Giorgio Banchig

«La Rožinca è nostra, nel senso che solo nella chiesa di Maria Vergine nel comune di Drenchia abbiamo una festa così particolare che altrove non puoi trovare. Tra le tante che ci sono in Benecia, per quel che so, solamente la sagra di Drenchia è così partecipata e onorata che in quel giorno, quanti possono, ritornano a casa. Siamo rimasti in pochi, ma per la Rožinca dentro e fuori della chiesa si raccoglie tanta di quella gente che per un istante ti fa pensare che i nostri paesi e le nostre case sono tornati alla vita» (Trusgnach 2007: 3). Con questa istantanea sulla festa più grande di Drenchia, mons. Marino Qualizza introduce la bella pubblicazione dal titolo Rožinca je naša – Festa dell’Assunzione a Drenchia nella quale Lucia Trusgnach – Škejcova di Oznebrida, emigrata in giovane età a Milano, ha svuotato il suo bagaglio di ricordi, emozioni, sentimenti, riflessioni e impressioni sulla Rožinca che ha vissuto da bambina sui fianchi del Kolovrat e poi ritornandovi ogni volta che le era possibile o soffrendo il «mal di Rožinca» anche nei posti più belli e ambiti delle vacanze.

Per l’autrice e per i suoi compaesani la festa dell’Assunta fa parte di un vissuto irripetibile, unico, incomparabile che sa di impaziente attesa, di intensi preparativi, di odore di gubane, di vestiti nuovi, di raccolta dei fiori «maleodoranti» da portare a benedire, di scampanottio di campane, di messa cantata, di una solenne processione, di un pranzo sontuoso e infine di ballo. Da come lo ha descritto Lucia Trusgnach, valeva la pena aspettare un lungo anno per vivere quel giorno ed emozionarsi ancora. E ogni anno è un imperativo parteciparvi. Tornerò sulla pubblicazione Rožinca je naša per trarne alcuni dati e consuetudini legati alla festa di cui parleremo in questa e nella prossima puntata. «Per l’autorità di nostro Signore Gesù Cristo, dei santi apostoli Pietro e Paolo e Nostra, pronunziamo, dichiariamo e definiamo essere dogma da Dio rivelato che: l’immacolata Madre di Dio sempre vergine Maria, terminato il corso della vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo». Con questo solenne enunciato il 1° novembre 1950, nella Basilica di San Pietro, papa Pio XII proclamò il dogma dell’Assunzione della Madonna. Ma quell’atto formale mise semplicemente il sigillo ufficiale dell’autorità della Chiesa a un lungo processo di riflessione teologica sulla salita al Cielo in anima e corpo di Maria, che si tradusse lungo i secoli in una fede vissuta, praticata e manifestata in tutta la Chiesa e concretizzata nell’erezione di basiliche (la chiesa madre di Aquileia è dedicata all’Assunta, così pure il duomo di Cividale, entrambi sedi del Patriarcato aquileiese), chiese e santuari, nella realizzazione di innumerevoli opere d’arte. E si tradusse in una profonda pietà popolare, in tradizioni e usi che sono arrivati fino a noi, magari a brandelli e chissà da dove, che costituiscono parte del nostro patrimonio religioso e culturale e sono capaci ancora di emozionare e coinvolgere la nostra gente.

La tradizione della festa dell’Assunta più nota e praticata, purtroppo sempre meno, nella nostra Benecia è la benedizione dei fiori e delle erbe medicinali. Cerchiamo di capire quali sono la sua origine, l’area di diffusione e il suo significato. Dalle ricerche che ho fatto, emerge l’ipotesi che in questo antico rito, di cui si hanno testimonianze a partire dal secolo X, siano confluiti due filoni distinti di tradizioni e di usanze: da una parte alcune narrazioni che riguardano la dormizione e l’assunzione della Madonna, dall’altra la sapienza e le credenze popolari

dal Dom del 31 luglio 2020

circa il potere curativo e scaramantico delle piante.

«Intanto, nel cielo apparvero delle nubi, che avevano trasportato da ogni dove tutti gli Apostoli, tranne Tommaso, che arrivò solo tre giorni dopo, e li posarono davanti alla casa di Giovanni nel Getsemani, ove abitava anche Maria. La Chiesa tutta, da tutte le parti del Mondo, si riunì nella città di Davide attorno alla sua Santa Madre. Lei li consolò, li benedisse, pregò per la pace nel mondo, e morì. Gli apostoli la seppellirono nel Getsemani. Dopo tre giorni, all’arrivo di Tommaso, questi volle vedere la tomba di Maria, per venerarne il corpo, ma una volta aperto il sepolcro vi trovarono soltanto dei fiori» (//www. reginamundi; cfr. Turnšek 1946: 52; Chiarapini 2007: 168).

In questa narrazione riecheggiano tratti di scritti apocrifi, in particolare il testo greco Dormizione di Maria, classificato come Transito R, sorto a partire dal secolo V e attribuito a «san Giovanni teologo ed evangelista ». Il racconto rientra nel genere dei Transiti (se ne conoscono circa una ventina in varie lingue), che si sono sviluppati in corrispondenza con lo sviluppo del culto mariano dopo il Concilio di Efeso (413). In esso, tra l’altro, si legge: «Il corpo della beata Maria era simile ai fiori del giglio e da esso emanava un profumo così soave che era impossibile trovarne un altro uguale» (www.giovannigiorgi. it/dwn/apocrifi, 30.6.2020).

Quel racconto evoca le parole dei Padri della Chiesa, in particolare l’ode ottava nella quale San Giovanni Damasceno (dopo 650 – 750), fervido sostenitore dell’Assunzione della Madonna, scrive: «Quasi come il giardino della tomba vuota di Cristo, anche la tomba di Maria diventa un nuovo paradiso: “Oh, le meraviglie della sempre vergine e Madre di Dio! Ha reso paradiso la tomba che ha abitata, e noi oggi attorniandola cantiamo gioiosi”» (Nin 2013).

«Più e più volte nei suoi Sermones in dormitionem Mariae Giovanni di Damasco († 750) presenta la sacralità della tomba della Madonna, le profumate fiorite grazie che le sacre spoglie vi hanno lasciato nel momento in cui l’hanno abbandonata, e che saranno dispensate a chiunque vi si accosterà con fede. […] Uno dei motivi che acquista popolarità sempre maggiore in pittura a partire dalla fine del Quattrocento è proprio la raffigurazione del sarcofago vuoto o pieno di fiori, su cui alcuni apostoli si chinano interdetti a cercare il corpo della Madonna, mentre gli altri ancor più attoniti la guardano librarsi in cielo trasportata dagli angeli » (Pasti 2011: 40). Tra i tanti pittori che hanno raffigurato l’Assunzione e la tomba fiorita cito la Pala degli Oddi di Raffaello, la Madonna di Monteluce di Giulio Romano e Pierfrancesco Penni, entrambe nei Musei Vaticani, e poi Luca Signorelli (Museo di Cortona), Andrea della Robbia (La Verna)… Particolarmente espressiva appare la cosiddetta Assunzione Bonassoni di Annibale Caracci nella Pinacoteca di Bologna: un apostolo con aria stupita solleva la mano ricolma di petali di fiori dalla tomba della Madonna, mentre un altro alza il suo bianco sudario.

(15 – continua)

Trusgnach L.-Š (2007): Rožinca je naša – Festa dell’Assunzione a Drenchia, Cividale, Coop. Most.

Chiarapini M. (2007): Suggestioni di parole, Milano, ed. Paoline.

Icona della Dormizione: www.reginamundi.info/icone/ dormizione.asp, 13.06.2020 Nin E. (2013): Giovanni Damasceno per la Dormizione della Madre di Dio. Tomba e morte non l’hanno trattenuta,

collegiogreco.blogspot.com/2013/08/giovanni-damasceno, 14.06.2020. Pasti S. (2011): Giovanni Damasceno e l’iconografia del sepolcro vuoto nell’Assunzione, in Dal Razionalismo al Rinascimento, a cura di Aurigemma M.G., Roma, Campisano editore, 40-46. .

Nella foto: la «Pala degli Oddi» dipinta da Raffaello.


Don Pietro Podreka

 Ecco qui una biografia di don Pietro Podreka, grande e luminosa figura di sacerdote e di studioso.

Don Pietro Podreka, appartenente a una famiglia che ha dato uomini insigni e illustri alla Slavia Friulana, terra che amarono al massimo del sentimento e che onorarono con le loro opere, è stato il primo caldo e vigoroso poeta degli sloveni del Friuli. Nato a S. Leonardo il 16 febbraio 1822 da modesta famiglia, frequentò il seminario a Udine, distinguendosi, nel corso dei suoi studi, per spiccate doti di intelligenza. Nel 1848 fu ordinato sacerdote e poi nominato cappellano a Tercimonte ove rimase otto anni. Aveva un temperamento mite ed un animo modesto per cui non aspirò a nessuna carica, ma volle rimanere sempre semplice cappellano. Era amato dalla sua gente che vedeva in lui più che un padre il quale non pensava soltanto alla cura morale dei suoi figli ma anche alle loro condizioni materiali ed economiche. In questo periodo disgraziatamente si diffuse il colera in quelle regioni. E bisognava vedere questo sacerdote con quanta passione e zelo si prodigava per lenire il male a quella povera gente. Nel 1857 fu trasferito come cappellano a S. Pietro al Natisone. Il dolore degli abitanti di Tercimonte fu grande. Ma nulla si potè fare contro l'ordine dell'Arcivescovo. Quivi rimase per diciassette anni continuando a circondarsi di affetto e di stima. Ma il suo tempo non lo spendeva soltanto nella cura delle anime, e, da buon sloveno, che non rimane mai fermo nella sua posizione spirituale, cercò con una intensa attività pratica di sollevare e a dare incremento a quel campo ove si poteva ottenere qualche frutto, ben sapendo che non bisognava riporre la speranza e l'aiuto in altri. Egli già da tempo si era posto questo problema sociale e, per una naturale inclinazione, si era dedicato alla frutticoltura. A questo scopo chiese ed ottenne di essere trasferito a Rodda (Ronac). Quivi egli si dedicò con tutta l’anima ed il corpo a questo ramo dell'agricoltura. Lavorò per sè e per altri; diede consigli sul modo più adatto di coltivare gli alberi da frutto, dato che la Slavia Friulana si presta assai a questo genere di coltivazione. Ben presto la sua fama uscì dalla stretta cerchia del luogo, e le sue frutta andarono abbondanti per i mercati. Il Podreka ebbe a dire un giorno: « Questo prodotto diverrà un po’ alla volta la ricchezza del paese e forse dissuaderà molti slavi dall’ emigrazione». Continuando nella sua opera, fece venire in vari paesi della Slavia Friulana vari conferenzieri che tennero lezioni e conversazioni di natura agraria. Per i suoi meriti l’associazione agraria friulana, gli conferì un diploma di benemerenza. Ma, a dimostrare l'attività pratica di questo prete, non basta quanto già fu detto; bisogna aggiungere che egli eseguì anche molti lavori artistici a traforo. L'esposizione che tenne a S. Pietro nell’ottobre del 1886 dimostrò quante virtù animassero il nostro Podreka. Egli espose una quarantina di lavori fra cui il bellissimo duomo di Milano con tutte le sue guglie e finestre. Questa, la sua attività nel campo pratico. C'è ancora da dire riguardo la sua attività intellettuale che è la più importante. Come in genere, tutti i Podreka, anche questo sentiva forte il sentimento nazionale, della sua terra slovena: anzi fu il primo che abbia sentito in sè risvegliata la coscienza della sua nazionalità e spetta a lui il merito d’averla per primo fatta ridestare nella popolazione della Slavia Friulana. Questo processo incominciò nel 1848 che fu l’anno del grande risveglio dei popoli slavi soggetti all' impero austro-ungarico. Pietro Podreka, s’accorse, come dice Ivan Trinko, che al di là della Slavia Friulana c’era un’altra nazione che parlava la sua lingua, e, figuratevi la gioia e la consolazione, per uno studioso, nel ritrovarsi in una famiglia amica. Ecco dunque che l’allora giovane cappellano sentì forte in sè il desiderio di rinnovarsi, di iniziare una vita nuova. Cominciò ad avere frequenti contatti con gli sloveni della valle dell’lsonzo; cominciò a fornirsi di libri sloveni, di riviste; cominciò a studiare la lingua letteraria e, sebbene in un primo tempo gli sembrasse un po’ dura, in seguito ne divenne così esperto da mettersi anche a comporre. Alcune delle sue poesie furono pubblicate in «Zgodnja Danica» e in «Zora». La più nota è « Slavjanka », musicata poi dal Carli, e pubblicata nel 1874. Quando una volta giunse a Caporetto, fu accolto da un coro di fanciulle che gli cantarono questa sua canzone. Ma la migliore e la più bella è «Slovenija in njena hyerka na Benesèkem» pubblicata sul «Soča» nel 1871 e che noi riproduciamo nel testo originale in altra parte del giornale. E’ questo un bellissimo canto «popolarizzato idealizzante la terra slovena in una madre che rimpiange la figlia sua del Veneto ». Come dice il prof. Bruno Guyon in «Le colonie Slave d'Italia». E’ questa poesia forse anche un prodotto di reazione che va dal 1872 al 1880 in cui sbollirono gli entusiasmi generosi degli Sloveni della Slavia per l’Italia, per cui, in un giusto risentimento per l' eccessiva oppressione del governo di Roma, questa gente si volse verso l'ideale di una comune patria slovena. Perciò si può dire che Pietro Podreka fu l’espressione di questo periodo, se è vero che egli esortò in tutti i modi i suoi conterranei a rivolgersi allo studio nella propria madre lingua. Infatti Ivan Trinko ed altri sacerdoti e studenti furono convogliati verso quella via. A questo scopo tradusse pure il catechismo in sloveno di Michele Casati, vescovo di Mondovì, e ne diffuse le copie per tutta la Slavia Friulana. Amante del folklore, raccolse varie leggende locali in dialetto, di cui ne pubblicò parecchie come ad esempio « Baba ima zluodovo hlavò »; « sù, sù, comari che us judi», «il merlot scandalos» apparse in «Pagine Friulane». Ci teneva acchè tutti conoscessero che la Slavia Friulana al tempo della repubblica di Venezia, era autonoma e godeva di privilegi speciali; e per questo scrisse in friulano uno studio pubblicato pure in «Pagine friulane» in cui, citando vari documenti, dimostrava quanto si era proposto. In questo studio difende gli Sloveni della Slavia, i quali allora erano giudicati male da molti perchè miseri e rozzi. Egli allora contrappose i figli illustri che diede la sua terra e che si fecero onore, sia nei seminari, sia nelle varie università d Italia. Egli stesso si riteneva onorato, e a testa alta dichiarava di essere sloveno. Tanto è vero che ogni suo scritto su riviste o giornali friulani appare firmato con la parola «un slav». Ma, dopo una tale attività, la sua fibra venne meno, e nel novembre del 1889 morì, lasciando non solo gli abitanti di Rodda in grande lutto, ma tutta la Slavia Friulana.


Slovenija in njena hčerka na Beneškem

Kaj jočeš se li ti krasotica?
Kaj v klavernih mislih živiš?
Si tudi ti moja hčerkica,
Mi vedno pri sercu tojiš.
Glej! tvoje sestrice na Dravi,
 Na Soči, na Savi si že
Pripravljajo lovor,
da v slavi Veselo vse ovenčajo me.
Ah! mamica draga i mila!
 Okove i žulje poglej
 Ki nosim, i bom jih nosila
Jaz v svojem domovji vselej.
Jaz nisem ne v vradu,ne v šoli
Da ravno tu od vekov živim,
 Ko tujka beračim okoli,
Le v cerkvi zavetje dobim.
Ne poznam veselja, radosti,
Le solza mi solzo podi
Po bledem obličju, do kosti
Me tuja pijalka mori.
 In mamka, na mojo gomilo,
Te prosin, položi na njo
Cipresovo tužno vezilo,
In kani iz očesa solzol
Ne misli tak ’ hčerka slovenska,
Ne obupaj na lastni prihod,
Naj pride  še sila peklenska,
ne vniči slovenski zarod!

Peter Podreka


dal giornale Matajur 1966

Nonostante tutto sono ancora sloveni

 Trent’anni fa uscì su iniziativa della Unione Emigranti Sloveni del Friuli Venezia Giulia il libro dal titolo emblematico: «La comunità senza nome – La Slavia alle soglie del 2000» (R. Ruttar – F. Clavora).

Vi si può leggere un excursus storico della Slavia, ma soprattutto una esplicita denuncia documentata della sua programmata marginalizzazione, della sua condanna al sottosviluppo ed all’emigrazione massiva. Una puntigliosa analisi demografica a partire dai tempi dell’annessione della Slavia al nascente Regno d’Italia (1866) fino al 1990, dimostra coi numeri quanto questa particolare comunità minoritaria fosse negletta per la sua lingua, per la sua cultura, per le sue tradizioni slovene. Tuttavia in oltre 130 anni dall’annessione al Regno la comunità slovena mostrava ancora segni evidenti che non era stata del tutto debellata la sua resistenza all’omologazione ed alla italianizzazione forzata, sebbene avesse lasciato un segno profondo quel perfido meccanismo che oggi potremmo definire come «mobbing di Stato», coscientemente, pervicacemente organizzato e condotto dalle sue istituzioni.

Non c’è bisogno di grandi competenze sociologiche per interpretare i dati, i numeri che raccoglie e pubblica l’Istituto di stato-Istat. Estrapolando i dati più omogenei relativi ai sette comuni delle Valli del Natisone, – ma dati facilmente estensibili per analogia a tutta la fascia confinaria slovena della provincia di Udine – scopriamo che già 250 anni fa (1766) le famose Banche di Antro e Merso amministravano 9.645 abitanti delle convalli. Circa 100 anni dopo, al primo censimento del Regno d’Italia (1871) la Slavia d’allora ne contava 14.051 e nell’immediato primo dopoguerra (1921) si raggiunse l’apice di 17.640 residenti. Nonostante tutti i misfatti politici, complice l’autarchia fascista, dopo la seconda guerra, nel 1951 i residenti si contavano in 16.195 unità. Oggi quella stessa Slavia registra la propria débacle mostrando l’ecatombe subita assommando nelle anagrafi a malapena 5.000 residenti. Chi dovrebbe vergognarsi e battersi il petto, riparare al sacrificio di una tale portata sociale? Siamo colpa da soli? Colpiti da infertilità epidemica?

La risposta è molto semplice, lapalissiana: i giovani in grado di continuare la stirpe han fatto fagotto e sono andati, come si dice da noi «s trebuhan za kruhan – con la pancia dietro al pane». Perché? Il benpensante afferma ancora: “No, l’Italia non è xenofoba. Ce l’ha scritto anche nella costituzione che «Tutela con apposite norme le minoranze linguistiche»”. Gli sloveni sono una minoranza? Parrebbe di no; almeno fino al 1999 quando finalmente la nostra comunità valligiana venne riconosciuta per la prima volta come tale da una legge dello Stato. Intendiamoci, la Slavia non ha smesso di fare figli, non è stata decimata da pesti ed epidemie falcidianti… ha dovuto cercare sbocchi che la terra natia negava loro. La «terra natia» si fa per dire. Quella terra che un tempo ne nutriva 17 mila avrebbe potuto farlo con mezzi adeguati ben oltre i pochi rimasti. Le cause sono anche troppo palesi, ma… non bisogna dirlo. In politica il peccato più taciuto e meno riconosciuto è quello di omissione. Si diceva già da un paio di secoli, paludandosi di patriottismo: «Prima gli italiani». Dove sono i figli degli sloveni fuggiti dalla Slavia? Sempre l’Istat ci indica i perché e i come di fondo: nella seconda metà del 1900 si è verificata unanetta proporzionalità tra la crescita demografica ed economica della fascia pedemontana udinese e la decrescita della zona montana, dicasi Valli del Natisone. E se oggi c’è una comunità quasi del tutto priva di prospettive a lungo termine, la più depressa e abbandonata a sé stessa, è quella riconosciuta come slovena. Ci sarà un perché! È di tutta evidenza che la maggior parte della popolazione «già» slovena della provincia di Udine, non risiede più sul territorio d’origine, ma è dispersa a migliaia nelle città e nei paesi della pianura oltre che in ogni parte del globo. Secondo alcune ricerche, diecimila persone hanno origini (culturali) slovene nella sola città di Udine, dove la storia dell’influente «Confraternita di San Girolamo » testimonia la presenza di una folta e fiorente comunità slovena fin dal Medioevo. Del resto tanti vogliono conservare o recuperare, far crescere e tramandare alle giovani generazioni l’identità slovena, a partire dalla lingua. Da qui il successo dei corsi di sloveno per bambini e adulti promossi in città dal «Gruppo di San Girolamo-Sloveni a Udine» dell’associazione «don Eugenio Blanchini».

Quante volte l’ho affermato in dibattiti e convegni, già dai tempi in cui si dibatteva sui termini sostanziali della legge di tutela in discussione alla fine del secolo scorso che una tutela della minoranza slovena oggigiorno non dovesse limitarsi al solo territorio di insediamento storico. Se la maggioranza degli sloveni ex valligiani non vive più sul territorio tradizionale non vuol dire che sloveni non lo sono più. L’identità è personale e dovunque dovrebbe essere riconosciuto il diritto di preservarla permettendo di ricostituire organismi per poterla mantenere e ricrescere dove è conculcata. Non si può più giocare politicamente al ribasso dopo aver portato deliberatamente allo sfacelo demografico, economico e sociale una comunità minoritaria come la nostra; dopo averla dispersa e svilita, condotta a vergognarsi del proprio stato e delle proprie origini, speculando sull’identità individuale e di gruppo.

Mi verrebbe da dire, visto che oggi la situazione italiana, per lo sfacelo globale da Covid-19, potrà contare su un consistente aiuto economico europeo, dovrebbe poter permettere una svolta in questo settore, magari permettendo a chi può ascriversi a minoranze linguistiche riconosciute come quella nostra slovena, specifici sgravi fiscali, o contributi per il ritorno ai propri paesi natii, permettendo di recuperare il valore intrinseco anche economico della fascia montana confinaria. (Riccardo Ruttar)

https://www.dom.it/kljub-vsemu-so-se-naprej-slovenci_nonostante-tutto-sono-ancora-sloveni/

NELLA FANTASTICA NATURA DEL FRIULI VENEZIA GIULIA

https://youtu.be/lo0aNG5JN_o

Riserva Naturale della Val Alba con Kaspar David Nickles e Marina Tolazzi.

L'iniziativa della Regione Friuli Venezia Giulia "Ritorno alla Natura" è un invito a visitare i parchi e le riserve naturali di questa meravigliosa terra, ricca di biodiversità, definita da Ippolito Nievo "Piccolo compendio dell'Universo". Ivo Pecile e Marco Virgilio sono stati incaricati di tradurre questo invito in brevi e suggestivi filmati che hanno visto la partecipazione di numerosi greeters.


Quel giorno a Hiroshima



ALFONSO GATTO

SEI AGOSTO

Era un giorno del tempo, un mattino d’estate
e ventilava il mare aperto il suo rigoglio.
Diranno ancora “amate” i poeti di corte
e la fede che prospera più cieca dell’orgoglio?
Quel giorno a Hiroshima fu decisa la morte.
Ora, se parla l’uomo, quale voce credente
sarà la sua nel chiedere la fede che spergiura?
Quel giorno a Hiroshima il tutto s’ebbe il niente
del suo potere, l’empio fu mai così pietoso.

Perché nascondi il volto in un volto ch’è ròso
dalla sua lebbra ardente? Ogni attimo minaccia
la grazia ch’ebbe il soffio del suo fango mortale.
Quel giorno a Hiroshima si rovesciò la faccia
dell’uomo nell'atroce risguardo del suo male,
fu l’essiccata effigie dell’occhio che rintraccia
la tenebra perenne, addentro nel fulgore
d’un punto che vacilla ed è la sua pupilla.

Un ordine la mano che fissa il suo potere,
ma la voce era d’uomo che annienta le parole
per non udirle, e aspetta: rigurgita il cratere
di povere festùche umane che ogni fuoco
bastava a incenerire, il fuoco che riscalda
il gelo e la miseria degli ànditi di carta,
il tizzo del bambino che soffia sul suo gioco.
Forse i morti non seppero s’era caduto il sole.

Quell’attimo d’un solo grido taciuto anch’esso,
quell’attimo, la mira del fulmine che scarta
nel sibilo la luce e ne dirompe l’iride.
L’abbaglio ammonitore è fermo nella salda
tenacia del ricordo: s’illumini il regresso
dell’uomo al suo patire, con le sue mani livide
la fredda guerra ci offra un òbolo di pace
.

*

Passo su passo apprende che è sua 
la morte, l’uomo
avviato a riceverla. Quello che vede e ascolta
gli è proprio, l’insolenza d’avere in sé rivolta
per luce la sua faccia, ed il cammino, il verde
dei prati avrà memoria nel tempo, in ogni luogo.
Lascia cadendo un segno. Leggenda o storia, il rogo
dell’aria esalta innalza la vittima che perde.

Ma Hiroshima è l’arido sepolcro d’una culla,
la cenere d’un mondo che non dice più nulla.
La vittima non trova il volto da passare
al tempo che gli porti memoria dei suoi giorni
e la speranza, il credere per essere creduto.
L’abbaglio ammonitore è fisso in quel che appare,
è la notizia, il nuovo colpito dal suo segno,
il buco che s’allarga bruciando dai contorni
come un’orbita vuota: la storia è l’accaduto
che non dà voce e favola, che non tramanda un pegno
silente di memoria...

                       Ma dov’è la fanciulla
discesa al suo giardino movendo dai tranquilli
passi lo sguardo intorno? Trafitta dagli spilli
dell’iride sublime rifulse nell’evento
della sua luce, fusa. Non ebbe il suo momento,
all’attimo fu tolta, tentò l’assurdo plagio
di somigliarsi, piaga devota al suo contagio.

Non sarà più fanciulla, nemmeno il nostro amore
può ricordarla umana, distinguerle nel volto
mucoso gli occhi ciechi che videro in quel nulla.
Ma dov’è la vittoria che annunci al vincitore
quest’ibrido raccolto di lèmuri e di gechi?

E non sarà la morte chi non è più l’amore,
ma il suo fantasma, l’empio ludibrio che s’addita.
Per essere d’esempio all’ultimo terrore
che la sua mano suscita, per piangere più forte
del pianto, del suo pianto, la vittima è la sola
speranza che non mente. Non è pietà, parola
dell’anima tradita. È la sua carne sola
quest'ululo fuggente...


*

Attendere nel baco il seme da seccare,
la genesi demente che inverte il suo potere:
è questo da chiamare speranza per la fede
riposta nel terrore?
L'ipocrita paciere contratta lo sgomento
dell'uomo con l'offesa di chiedergli a misura
del peggio il suo contento, la scelta del volere
giustizia per sventura.

Questo chiede la terra: giustizia per sventura,
pane per fame, sete, ragione d'una guerra
che in sé non ha ragione per chiudere le mura
dell'assedio perenne, ragione d'una pace
che in sé non ha perdono d'arrendersi all'abiura.
L'uomo non è l'indenne saggezza del dolore.
Il fuoco non è brace.

Quest'uomo atteso a cedere il suo dolore antico,
a dirsi vinto e inerme, ha il volto del nemico
che logora il suo solco paziente e che non cede.
Ha l’arma della soma che porta e che misura
il suo passo dolente, il padre da chiamare
e se stesso nel figlio, la traccia del suo piede.
È l’uomo che vi esaspera tacendo con la pura
tristezza dello sguardo e che vi aspetta al fare.

Fatelo dunque il male, credetegli, spendete
la moneta sonante del rogo d’Hiroshima.
Ogni assetato resta a chiedere la sete,
sull’ultima parola ritornerà la prima
che avvenne nel chiamarci. Fatelo tutto il male,
credetegli, spendete la sua scienza beffarda.
La morte più non basta, demente irrisa guarda
la genesi una bianca eternità di sale.


(da La storia delle vittime, Mondadori, 1966)

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“Era un giorno del tempo, un mattino d’estate” dice Alfonso Gatto, quel 6 agosto 1945 a Hiroshima. Un giorno come tanti, che però segnò un passo nella storia dell’umanità: gli americani alle 8.15 del mattino sganciarono “Little Boy”, la prima bomba atomica, sulla città giapponese. Così ne descrive gli effetti padre Pedro Arrupe, futuro generale dei Gesuiti, in missione proprio a Hiroshima: “Improvvisamente vedemmo una luce accecante, come un bagliore al magnesio. Non appena aprii la porta che si affacciava sulla città, sentimmo un'esplosione formidabile simile al colpo di vento di un uragano. Allo stesso tempo porte, finestre e muri precipitarono su di noi in pezzi. Salimmo su una collina per avere una migliore vista. Da lì potemmo vedere una città in rovina: di fronte a noi c'era una Hiroshima decimata. Poiché ciò accadde mentre in tutte le cucine si stava preparando il primo pasto, le fiamme, a contatto con la corrente elettrica, entro due ore e mezza trasformarono la città intera in un'enorme vampa”. Alfonso Gatto si interroga invece sulla morale, su “questo nostro continuare a volere giustizia, indipendenza, libertà, anche a costo della sventura, pur di dare ai «mezzi» del potere (…) un fine nella scelta dell’uomo per una nuova storia, anch’essa aperta da decine e decine di migliaia di vittime”. E quelle bombe sganciate su Hiroshima il 6 agosto e su Nagasaki il 9, portarono il Giappone alla resa il 15 con un costo umano di 90.000-166.000 vittime a Hiroshima e di 60.000-80.000 a Nagasaki.

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LA FRASE DEL GIORNO
Folle, spergiuro // l’uomo che muta i suoi rapporti e crede / d’esser sempre centripeto fuggendo / la notizia raggiunta. Per qual fede / làcera il mondo e indulge al suo rammendo?
ALFONSO GATTO, La storia delle vittime




Alfonso Gatto (Salerno, 17 luglio 1909 – Orbetello, 8 marzo 1976), poeta e scrittore italiano. Ermetico, ma di confine, giornalista e pittore, insegnante di Letteratura all'Accademia di Belle Arti, collaboratore di “Campo di Marte”, la sua poesia è caratterizzata da un senso di morte che si intreccia al vivere.

https://cantosirene.blogspot.com/

Buona giornata

 

Mantenere una coscienza etnica con la lingua, nei fatti e con l’anima


La ministra della Repubblica di Slovenia per le Minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo, Helena Jaklitsch, in visita alla comunità slovena della provincia di Udine .Nell’ambito di una visita di due giorni alla comunità slovena della provincia di Udine, lunedì, 27 luglio, una delegazione dell’Ufficio della Repubblica di Slovenia per le Minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo si è recata in visita in Valcanale. A guidarla è intervenuta la stessa ministra per le Minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo, Helena Jaklitsch, accompagnata dal segretario di stato, Dejan Valentinčič. Al mattino la ministra si è recata a Valbruna-Ovčja vas, dove ha dapprima fatto visita alla lapide che ricorda il defunto parroco paesano Jurij Prešeren, fratello del celebre poeta sloveno France. Subito dopo, nella vicina sede, ha incontrato i rappresentanti dell’Associazione-Združenje «Don Mario Cernet». Oltre a diversi membri del sodalizio e alla presidente Anna Wedam, che è anche presidente della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso per la provincia di Udine, hanno partecipato all’incontro le presidenti regionale e provinciale dell’Unione culturale economica slovena-Skgz, Ksenija Dobrila e Luigia Negro, e il presidente regionale della Sso, Walter Bandelj. La presidente Wedam ha illustrato gli sforzi messi da diversi anni in campo dall’Associazione Cernet in favore dell’insegnamento dello sloveno entro un modello scolastico plurilingue attivo in seno alle scuole statali, nonché il contributo dei soci al mantenimento delle tradizioni locali. I membri dell’Associazione Cernet sono aperti alla collaborazione con tutti; particolare soddisfazione è stata espressa per le buone relazioni intrattenute con le altre comunità linguistiche della valle. La presidente Anna Wedam ha dato particolare risalto, inoltre, al forte bisogno di vedere stabilmente presenti in Valcanale anche sacerdoti che parlino sia italiano sia sloveno. In seguito la delegazione si è recata al Centro culturale sloveno «Planika» di Ugovizza/Ukve, che ha organizzato un laboratorio linguistico estivo per bambini. A incontrare la delegazione dell’Ufficio per le Minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo sono stati la presidente del Planika, Nataša Gliha Komac, e il vicepresidente, Rodolfo Bartaloth. L’incontro si è svolto a porte chiuse e non è dato sapere quali tematiche siano state portate all’attenzione degli ospiti di Lubiana. Successivamente i rappresentanti dei circoli sloveni della Valcanale e dell’Ufficio hanno partecipato ad un incontro coi sindaci dei Comuni di Malborghetto-Valbruna e Tarvisio, Boris Preschern e Renzo Zanette. Oggetto del dibattito, che si è svolto al municipio di Malborghetto/Naborjet, è stato l’insegnamento dello sloveno in Valcanale. Nel pomeriggio la delegazione dell’Ufficio per le minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo e i rappresentanti della comunità slovena in Italia hanno proseguito la visita a Resia. A Prato-Ravanca hanno incontrato la sindaca, Anna Micelli, e il vicesindaco, Giuliano Fiorini. Con loro si è parlato di collaborazione, anche a livello europeo, del bisogno di migliori collegamenti stradali e del ruolo dei circoli sloveni nella conservazione del dialetto resiano. Nella vicina chiesa sono stati accolti anche dal parroco, Alberto Zanier. Nel tardo pomeriggio i partecipanti alla visita si sono recati anche a Stolvizza/Solbica, per visitare il Museo della gente della Val Resia e il Museo dell’arrotino. Luigia Negro, Sandro Quaglia e Dino Valente hanno rilevato come il flusso turistico proveniente dalla Slovenia sia in crescita costante. Sempre guidata dalla ministra Helena Jaklitsch, martedì, 28 luglio, la delegazione dell’Ufficio per le Minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo ha concluso la visita nelle Valli del Torre e del Natisone, dove ha proseguito gli incontri coi rappresentanti dei circoli sloveni locali e delle amministrazioni comunali. In mattinata si è recata a Lusevera-Bardo, dove ha visitato il Centro ricerche culturali e il Museo etnografico, nonché incontrato gli operatori culturali Luisa Cher e Igor Cerno. Le attività sostenute dagli enti della locale comunità slovena trovano appoggio nella chiesa locale e nel parroco, don Renzo Calligaro. Al cimitero la ministra Jaklitsch ha deposto dei fiori sulla tomba del prof. Guglielmo Cerno, attivo per i diritti della locale comunità slovena. In seguito si è spostata in località Zore, in comune di Taipana-Tipana, per visitare l’azienda agricola di Alessia Berra e incontrare il sindaco Alan Cecutti e gli amministratori locali. Prima di entrare nelle Valli del Natisone la delegazione dell’Ufficio per le Minoranze slovene d’oltreconfine e nel mondo si è fermata a Cividale. Qui, al Circolo culturale «Ivan Trinko», la ministra Jaklitsch ha incontrato i rappresentanti del settimanale «Novi Matajur», dell’Unione dei circoli culturali sloveni-Zskd, dell’Unione emigranti sloveni-Slovenci po svetu, dell’Associazione agricoltori-Kmečka zveza e dell’Unione culturale economica slovena-Skgz. In municipio a Cividale, quindi, la ministra Jaklitsch è stata ricevuta anche dal sindaco, Stefano Balloch. Successivamente si è recata in visita alla sede della redazione del quindicinale «Dom», dell’Associazione «Don Eugenio Blanchini» e della Confederazione delle organizzazioni slovene-Sso, dove le sono state presentate le diverse attività svolte. Nel tardo pomeriggio la delegazione si è spostata a San Pietro al Natisone-Špietar, dove, all’Istituto comprensivo statale con insegnamento bilingue sloveno-italiano «Paolo Petricig», ha incontrato il dirigente scolastico Davide Clodig e il presidente dell’Istituto per l’istruzione slovena, Igor Tull. Nel vicino museo Smo la ministra e la delegazione sono stati accolti dai rappresentanti dell’Istituto per la cultura slovena-Isk, della Glasbena matica e della Planinska družina Benečije. La visita si è conclusa nel municipio di San Pietro, con un incontro con sindaci e rappresentanti delle amministrazioni locali delle Valli del Natisone. 

(Dal Dom del 31. 7. 2020 e dal Novi Matajur del 29. 7. 2020)

Quelle risorse sono nostre!


Doccia fredda sulle attese di Benecia, Resia e Valcanale per i fondi che la legge statale di tutela per la minoranza slovena destina ogni anno per lo sviluppo dei comuni della provincia di Udine, nei quali è storicamente insediata la minoranza slovena. Lo stanziamento, infatti, non è stato inserito nell’assestamento di bilancio al varo del Consiglio regionale.

Delusi i sindaci del territorio interessato, dato che i 2,4 milioni di euro accumulatisi dal 2017 a quest’anno avrebbero rappresentato una boccata di ossigeno in questo periodo di crisi e invece resteranno nelle casse regionali, nelle quali sono stati regolarmente trasferiti dallo Stato per altri lunghi mesi.

Che quei soldi non arrivino al territorio, al quale sono destinati in via esclusiva dall’art. 21 della legge 38/2001, è una «vergogna» per il sindaco di Savogna, Germano Cendou. «L’importo è consistente – prosegue – e c’è anche lo schema per lo stanziamento. Non riesco proprio a capire perché quei fondi non vengano assegnati. Ci viene detto che il problema è dovuto al passaggio dalle Uti alle Comunità di montagna, ma è possibile che non si riesca a trovare una soluzione?».

Del resto non si capisce perché quel mezzo milione di euro non venga trasferito annualmente ai suoi destinatari, come il resto dei fondi per la minoranza slovena. «I fondi sono fermi dal 2017, quando le Uti erano saldamente in sella e c’era un governo regionale di diverso colore politico. Non è, dunque, una questione di centrodestra o di centrosinistra», sottolinea Cendou.

Gli fa eco il sindaco di San Leonardo, Antonio Comugnaro, che sulla questione si è confrontato con i colleghi di Pulfero, Camillo Melissa, e di San Pietro al Natisone, Mariano Zufferli. «Non sappiamo quali problemi tecnici ci siano a monte della mancata erogazione. Ci teniamo a sottolineare che quelle risorse finanziarie sono stabilite dalla legge per il nostro territorio e in questo momento, come non mai, ne abbiamo bisogno», dichiara.

L’assessore regionale alle Autonomie locali con delega alle identità linguistiche, Pierpaolo Roberti, nella riunione della Commissione regionale consultiva per la minoranza slovena, che lo scorso 20 maggio aveva dato il via libera al riparto, aveva evidenziato che sicuramente alla Regione non fa piacere vedere i soldi fermi, «anche perché stiamo parlando di aree particolarmente depresse. E pensare di avere soldi a disposizione fermi nel cassetto, non fa piacere a nessuno. Sicuramente di queste risorse su quel territorio c’è bisogno immediatamente. Anche dal punto di vista comunicativo, cioè del messaggio che si vuol dare alla popolazione sul fatto che vengono messe in campo delle risorse importanti», aveva affermato.

Ora trapela che il riparto dei fondi potrebbe avvenire con l’ulteriore assestamento del bilancio regionale prefigurato in autunno. Nel qual caso i soldi sarebbero a disposizione del territorio non prima della primavera 2021. «Intanto – leggiamo dall’editoriale dello scorso numero del Dom – i giovani, che grazie ai fondi dell’articolo 21 della legge di tutela potrebbero avere un’occupazione almeno temporanea, restano sulla strada, mentre i progetti per lo sviluppo del turismo culturale, dell’agricoltura e della collaborazione transfrontaliera invecchiano e si impolverano sulle scrivanie dei funzionari regionali». (R. D.)

LA PROPOSTA DI RIPARTO

Nella proposta di distribuzione dei fondi relativa al quadriennio 2017-2020, approvata dalla Commissione consultiva lo scorso 20 maggio, sono contemplati cinque interventi.

1. Istituto bilingue. Il primo intervento prevede uno stanziamento di 50.000 euro per un’iniziativa progettuale promossa dal Comune di San Pietro al Natisone, con il sostegno di tutte le amministrazioni comunali del territorio, che riguarda la realizzazione di un sistema di ombreggiamento della sede dell’Istituto comprensivo bilingue al fine di migliorare le condizioni ambientali degli spazi e di migliorare l’efficienza energetica.

2. Sviluppo turistico. Il secondo intervento è destinato alla prosecuzione del progetto per lo sviluppo turistico del territorio tra Tarvisio e Prepotto. All’Uti del Natisone, in convenzione con le Uti del Torre e del Canal del Ferro-Val Canale e con partner l’Istituto per la cultura slovena, saranno destinati 500 mila euro. Gli obiettivi del nuovo progetto sono di riproporre l’esperienza positiva del bus transfrontaliero Benečija gor in dol; promuovere passeggiate ed escursioni su sentieri storici e percorsi tematici al fine di favorire la visita delle chiese votive e dell’architettura rurale dei paesi in quota (i sentieri dovranno essere dotati di cartellonistica bi/plurilingue); dedicare particolare impegno a diffondere la conoscenza del museo SMO, dei siti collegati, delle proprie attività, delle nuove acquisizioni e in genere del territorio interessato tramite un’adeguata campagna promozionale, al fine di richiamare un crescente numero di visitatori.

3. Aziende agricole. Il terzo intervento, da 800 mila euro, andrà a sostegno prioritario delle aziende agricole e forestali professionali ed eventualmente artigianali. Titolare dell’iniziativa saranno le Uti del Natisone, del Torre e del Canal del Ferro-Valcanale e avranno come beneficiari le imprese operanti sul territorio. Si prevede un bando aperto a tutte le imprese con previsioni di graduali punteggi per sostenere prioritariamente le aziende mediante un abbattimento parziale delle spese di gestione delle aziende stesse.

4. Produzioni autoctone. Con il quarto intervento saranno destinati 200 mila euro al progetto per la valorizzazione e l’incremento delle produzioni agricole autoctone e per la loro valorizzazione con particolare attenzione al sistema produttivo ad indirizzo biologico. Titolari dell’iniziativa saranno, anche in questo caso le Uti, che avranno per partner la Kmečka zveza, l’Ersa e l’Università di Udine.

5. Interventi comunali. Il quinto intervento, ancora con titolari le tre Uti, darà ai Comuni 800 mila euro per opere pubbliche e progetti funzionali al miglioramento delle condizioni operative delle aziende produttive locali, nonché per sostenere le attività produttive colpite dalla crisi generata dall’emergenza Covid-19. A titolo indicativo, saranno interventi su viabilità produttiva, elettrificazioni, acquedotti, ripristino e ristrutturazione di fabbricati da destinarsi ad attività produttive, acquisto macchinari per curare il territorio, progetti di mantenimento delle superfici produttive, etc.

Po vsej verjetnosti tudi letos Benečija, Rezija in Kanalska dolina ne bodo deležne finančne pomoči, ki jo državni zaščitni zakon namenja razvoju občin videnske pokrajine, v katerih je zgodovinsko prisotna slovenska manjšina. Vsoto pol milijona evrov država redno nakazuje deželi Furlaniji-Julijski krajini, pa denar po več let čepi v deželni blagajni. Zadnjič so sredstva razdelili leta 2016. Za tem se je nakopičilo 2,4 milijona evrov. Medtem pa mladi, ki bi preko sredstev iz 21. člena zaščitnega zakona dobili vsaj začasno zaposlitev, ostajajo na cesti, projekti za razvoj kulturnega turizma, kmetijstva in čezmejnega sodelovanja pa se starajo in prašijo na pisalnih mizah deželnih funkcionarjev.

https://www.dom.it/tisti-denar-je-nas_quelle-risorse-sono-nostre/

In FVG toccato il punto più basso nella storia del consiglio regionale. Il FVG è irriconoscibile non ci possiamo permettere altri anni di leghismo


L'ossessione dei migranti, unico senso per la vita di tanti politicanti, sta facendo perdere le staffe e soprattutto sta trascinando la nostra regione in una situazione di una bassezza senza precedenti. Quanto accaduto nell'aula del consiglio regionale non necessita di tanti commenti. Il tutto è venuto da sé. Irruzione di un manipolo di fascisti, che pretendono di più dalla Regione contro la fantomatica ed inesistente invasione dei migranti. Regione che sta invocando la chiusura dei valichi minori, centinaia sono i militari ai confini. La Regione non ha, grazie al cielo viene da dire visto chi c'è al potere oggi, molta competenza in materia, oltre non può andare. Ma il clima politico che si è venuto a determinare è sconcertante. Non ci possiamo permettere altri anni di leghismo, stiamo diventando come l'America di Trump. Intollerante. Per dirla alla Biden, cinque anni di destra estrema al potere sono deleteri, ma se si va oltre si rischia di distruggere definitivamente l'identità plurale e multiculturale di questa terra.  Tradendo la storia e l'identità di accoglienza che ha fatto sempre rima con Friuli-Venezia Giulia.  Oggi non più. E le parole squallide pronunciate da un consigliere regionale leghista, che si possono ascoltare in modo chiaro nel sito del Piccolo, "Io sono uno di quelli che gli sparerebbe tranquillamente. Tranquillamente", sono la fotografia, l'istantanea delle conseguenze del clima sociale e politico che si è determinato in regione, Il consiglio regionale ha toccato e vissuto il punto più basso della sua storia. Non c'è molto da commentare sinceramente. Persone così non dovrebbero mettere piede nelle nostre istituzioni. Ma sono state elette, votate, il leghismo è questo, inutile girarci attorno, ora più reazionario, ora più morbido, ma è questo. Un questo che in regione non ci possiamo più permettere. Si dovrà certamente aspettare il prossimo turno elettorale per mettere fine a questa pagina buia della nostra storia regionale oltre che locale a livello politico istituzionale, ma fino a quel momento si dovranno usare tutte le sinergie che la società civile e democratica può mettere in campo per cercare di ridurre i danni, perchè questo oggi si può solo fare, cercare di ridurre i danni.

mb

Italiani in vacanza anche col Covid. Come sarà l'estate 2020

Non rinunciano alle ferie ma il virus ne cambia le abitudini. Più macchina, spostamenti brevi e alloggio in case vacanza. Meglio la montagna che il mare
Gli italiani non rinunciano alle ferie, ma quest’anno cambiano le abitudini rispetto al passato. Più macchina e meno aereo, destinazioni di corto raggio e alloggio in case vacanza. A dirlo è l’inchiesta di HuffPost sulla prima estate nell’era Covid, che incrocia i dati dei flussi autostradali e aeroportuali, e li confronta con le valutazioni delle diverse associazioni di categoria ed enti di settore. “Se è vero che saranno meno le persone che andranno in vacanza rispetto all’anno scorso, non solo per il timore del contagio, ma anche per i problemi economici derivati dal lockdown – ci spiega Ivana Jelinic, presidente di Fiavet, l’associazione di categoria delle agenzie di viaggio – è anche vero che in alcune località siamo addirittura al sold out nella settimana di ferragosto”. Stiamo assistendo, dunque, a un “fenomeno di cambio di costumi, con la scelta di alloggi extra-alberghieri, affitti brevi e destinazioni prettamente entro i confini dello Stivale”. Difficile andare lontano, prima di tutto per ragioni logistiche e di difficoltà organizzative, viste le tante regole imposte dal contenimento dei contagi, meglio ad esempio “mete interne come l’Umbria, e poi la Sardegna, in strutture piccole, non grandi resort come la scorsa estate quando si preferivano alberghi con enormi capacità di accoglienza”...continua

Lignano Sabbiadoro foto dal web

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