«Povera umana gloria/ quali parole abbiamo ancora per noi?» |
(da Umana gloria, p. 112) |
Mario Benedetti (Udine, 9 novembre 1955 – Piadena, 27 marzo 2020) è stato un poeta e insegnante italiano. Fu tra i fondatori delle riviste di poesia contemporanea “Scarto minimo”, Padova, 1986-1989, ed “Arsenal littératures”, edita a Brest dal 1999 al 2001.
Le sue opere vennero tradotte in Francia da Jean-Charles Vegliante (da ultimo in "Siècle 21" n.25, 2014, Poésie italienne d'aujourd'hui - Antologia).Dopo i primi venti anni trascorsi a Nimis (Udine), paese dei suoi genitori, si trasferì nel 1976 a Padova dove si laureò in Lettere con una tesi sull'opera complessiva di Carlo Michelstaedter, diplomandosi poi in Estetica presso la Scuola di Perfezionamento della stessa Facoltà universitaria. Si dedicò all'insegnamento nelle scuole superiori, dapprima a Padova poi a Milano, città in cui si trasferì. La sua vita, la sua poesia ed il suo modo di essere furono fortemente connotati dalla presenza di una malattia cronica: una particolare forma di sclerosi multipla che lo accompagnò dall'infanzia. Gravi episodi dovuti a questa patologia si verificarono nel 1999 e nel 2000. La notte del 14 settembre 2014 a seguito di un infarto con ipossia cerebrale venne ricoverato all'Ospedale San Luca di Milano dove fu tenuto in coma farmacologico per diverso tempo. Al suo graduale risveglio cominciò una terapia riabilitativa, per poi essere trasferito in una struttura sanitaria milanese per continuare le cure.
Benedetti è morto il 27 marzo 2020, a causa del COVID-19, nella struttura in cui viveva dal 2018, a Piadena (Cremona). È stato tumulato nella cappella di famiglia di Donata Feroldi, l'amica di una vita, la mattina del 30 marzo 2020.
da wikipedia
Da Umana Gloria
È stato un grande sogno vivere
e vero sempre, doloroso e di gioia.
Sono venuti per il nostro riso,
per il pianto contro il tavolo e contro il lavoro nel campo.
Sono venuti per guardarci, ecco la meraviglia:
quello è un uomo, quelli sono tutti degli uomini.
Era l’ago per le sporte di paglia l’occhio limpido,
il ginocchio che premeva sull’erba
nella stampa con il bambino disegnato chiaro in un bel giorno,
il babbo morto, liscio e chiaro
come una piastrella pulita, come la mela nella guantiera.
Era arrivato un povero dalle sponde dei boschi e dietro del cielo
con le storie dei poveri che venivano sulle panche,
e io lo guardavo come potrebbero essere questi palazzi
con addosso i muri strappati delle case che non ci sono.
*
Che cos’è la solitudine.
Ho portato con me delle vecchie cose per guardare gli alberi:
un inverno, le poche foglie sui rami, una panchina vuota.
Ho freddo, ma come se non fossi io.
Ho portato un libro, mi dico di essermi pensato in un libro
come un uomo con un libro, ingenuamente.
Pareva un giorno lontano oggi, pensoso.
Mi pareva che tutti avessero visto il parco nei quadri,
il Natale nei racconti,
le stampe su questo parco come un suo spessore.
Che cos’è la solitudine.
La donna ha disteso la coperta sul pavimento per non sporcare,
si è distesa prendendo le forbici per colpirsi nel petto,
un martello perché non ne aveva la forza, un’oscenità grande.
da http://poesia.blog.rainews.it/2020/03/addio-a-mario-benedetti-1955-2020/
Grazie, Olga, per la storia di Mario Benedetti. Io rimpiango lui è morto.
RispondiEliminaCaro Olga, mi sembrava di avere già commentato questa storia che ti commuove!!!
RispondiEliminaCiao e buona giornata con un forte abbraccio e un sorriso:-)
Tomaso