❤️UNA GERL@ DI IDEE❤️ Blog che parla del Friuli: in particolare delle minoranze linguistiche slovena,friulana e tedesca e non solo. ❤️ Sono figlia di madre slovena (Ljubljana) e di padre appartenente alla minoranza slovena della provincia di Udine (Benecia).Conosco abbastanza bene la lingua slovena.Sono orgogliosa delle mie origini.OLga❤️
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30 set 2021
Corso di sloveno per adulti a Udine
Corso di sloveno per adulti a Udine
V ponedeljek, 11. oktobra, ob 18.30. bo stekel brezpalčni tečaj slovenskega jezika za odrasle v Vidnu. Odvijal se bo sred mesta v prostorih župnije svetega Kvirina (ulica Cicogna 5). Združenje Blankin, ki je organizator tečaja, vabi vse, ki jih pobuda zanima, da se prijavijo na elektronski naslov blankin@dom.it ali pokličejo na telefonsko številko 0432732500 (od ponedeljka do petka med 8.30 in 12.30). Tečaj bo potekal do konca maja ob ponedeljkih med 20. in 22. uro. Za dodatne informacije je na razpolago Rino Laurencig, mobilni +39 3387409132, elektronska pošta laurencig@alice.it.
Conoscere la cultura, la storia, le tradizioni slovene, l’ambiente e la vita quotidiana come elemento di valore interculturale. Scoprire gli innumerevoli punti di contatto con le nostre radici storiche. Il tutto con l’opportuno supporto linguistico dello sloveno, che è anche una delle lingue minoritarie del Friuli Venezia Giulia. Inizierà a Udine lunedì, 11 ottobre, alle 18.30, nella Casa della gioventù della parrocchia di San Quirino (ingresso da via Cicogna 5) il corso di lingua e cultura slovena per adulti organizzato dall’ associazione don Eugenio Blanchini. Per le adesioni gli interessati possono rivolgersi all’indirizzo di posta elettronica blanchini@dom.it o telefonare al 0432732500 (dal lunedì al venerdì tra le 8.30 e le 12.30). La partecipazione è gratuita. Per ulteriori informazioni si può contattare Rino Laurencig (+39 3387409132 – laurencig@ alice.it)
https://www.dom.it/tecaj-slovenscine-za-odrsale-v-vidnu_corso-di-sloveno-per-adulti-a-udine/
29 set 2021
Šelinka, una tradizionale e antica minestra … afrodisiaca di Roberto Zottar
Diffuso in tutto il Mediterraneo, da secoli il sedano è utilizzato sia come pianta medicinale sia in cucina e le varietà più impiegate sono il “sedano da costa”, l’Apium graveolens dulce, di cui si utilizzano i piccioli fogliari lunghi e carnosi, e il “sedano rapa” o sedano di Verona o Apium graveolens rapaceum, di cui si consuma la radice rotonda a polpa bianca. Un tempo si riteneva che il sedano avesse ‘mille’ proprietà ed era apprezzato per il suo intenso aroma che ne ha determinato anche la denominazione scientifica di graveolens, “molto odoroso”. Un antico proverbio recita “Se il contadino sapesse il valore del sedano, allora ne riempirebbe tutto il giardino”. La radice e il succo del sedano, per le proprietà digestive, stimolanti e antireumatiche, figuravano tra i rimedi dell’antica farmacopea. Ippocrate affermava: “Per i nervi sconvolti, il sedano sia il vostro alimento e rimedio”. Achille nell’Odissea lo usa per far guarire il suo cavallo gravemente malato. Selinunte, antica città greca in Sicilia, deve il suo nome di Selinus al sedano selvatico presente nella sua piana e poi anche sull’immagine delle sue monete. Nel Medioevo la badessa e Santa Ildegarda di Bingen lo considerava una panacea contro ogni male, afrodisiaco per eccitare i sensi e allontanare la malinconia. Le sue qualità afrodisiache erano ricordate anche da Michele Savonarola che metteva in guardia le donne caste dal mangiarlo. Nel ‘700 in Francia divenne di gran moda come stimolante erotico, crudo o cotto in un potage cremoso ideato da Madame de Pompadur contro la sua frigidità e per sensibilizzare i sensi. All’inizio dell’Ottocento il famoso gastronomo Grimod de la Reynière scriveva: “Pur perdendo, quando è cotto, una parte delle sue qualità, non si può tuttavia nascondere che il sedano sia una pianta ricca di aromi: corroborante, stimolante, eccitante e di conseguenza fortemente afrodisiaca”. Sarà forse per questo che i conigli ne sono ghiotti?
28 set 2021
Prosecco e Prošek, di cosa stiamo parlando?
© Lenti Hill/Shutterstock |
Prosecco e Prošek sono due vini molto differenti con una storia però in comune. Ed alla luce di questo il trambusto mediatico e politico, seguito all'intenzione dell'Ue di dare protezione di prodotto tradizionale al vino croato, rischia d'essere pretestuoso
A giudicare dai fiumi di inchiostro sui giornali e dalle dichiarazioni martellanti alla televisione, il tema della settimana, per quanto riguarda i Balcani, non è stata l’ultima visita di Angela Merkel nella regione e il relativo bilancio quasi ventennale, né la legge sul cirillico approvata mercoledì a Belgrado e a Banja Luka, e tantomeno l’aggravarsi della situazione epidemiologica, ma lo scontro – tanto roboante quanto poco credibile – tra il Prosecco e il Prošek. Sul tema sono intervenuti tutti, ministri e sindaci, editorialisti ed eurodeputati, produttori ed associazioni di categoria. La stampa ha parlato della «levata di scudi» e delle «barricate» promesse dai politici e soprattutto della decisione «vergognosa» e «folle» della Commissione europea, anche se alla fine è emerso che quella decisione non è ancora stata presa.
Di cosa stiamo parlando? Cos’è il Prošek e cosa sta succedendo in Croazia? Un elemento che è mancato, in questa settimana di subbuglio mediatico, è infatti la spiegazione di cosa sia quel vino croato che «minaccia» il Prosecco. Si è detto che ha un nome simile a quello dello spumante e che è un chiaro esempio di «Italian sounding» – quel fenomeno che consiste nel dare ad un prodotto alimentare straniero tutte le apparenze (visive e terminologiche) di un prodotto italiano per venderlo con più facilità – ma si è spesso taciuto sul fatto che il Prošek non è in realtà uno spumante che vuole rivaleggiare col Prosecco e che la storia dei due vini è molto intrecciata.
Una storia intrecciata
Siamo a fine Cinquecento, la Repubblica di Venezia vive il suo momento di massimo splendore. Tra i vini che vanno più di moda c’è anche il Prosecco, un vino liquoroso, che si beve sia in accompagnamento a piatti salati che dolci. Quel vino deve il suo nome ad una località, Prosecco (la traduzione italiana del toponimo sloveno Prosek, che significa «zona disboscata»), che si trova vicino a Trieste e che oggi fa parte del comune. La Serenissima controlla allora la Dalmazia e il Prosecco viaggia raggiungendo anche quelle terre. Vi è menzionato per la prima volta, in forma scritta, nel 1774, quando l’abate padovano Alberto Fortis lo menziona nel suo celebre «Viaggio in Dalmazia», dopo averlo provato nei dintorni di Almissa (oggi Omiš, a sud di Spalato). Bisogna aspettare ancora qualche decennio perché appaia anche la traduzione croata del nome, ovvero Prošek, menzionato per la prima volta nel 1867.
Fino a qui, il Prosecco di cui parliamo è quasi un liquore, una sorta di vin santo. La moda dell’epoca è d’altra parte questa: i vini devono poter viaggiare per molte settimane per mare e l’alta gradazione permette loro di sopravvivere al viaggio. Basti pensare alla Malvasia, che deve il suo nome alla località greca di Monemvasia (allora un hub commerciale di primo piano, soprattutto per i vini detti «viaggiati»): anch’essa era nel Rinascimento un vino liquoroso e non il bianco fermo o frizzante che conosciamo oggi. Quando avviene allora la trasformazione del Prosecco in spumante?
"Nel 1821 un viticultore francese fa a Trieste l’esperimento della spumantizzazione del Prosecco", racconta lo storico Fulvio Colombo, autore di numerosi libri sul tema. "In città c’è una nutrita comunità francese che conosce la tradizione dello Champagne e la moda è cambiata: il mercato chiede altri vini, meno dolci e più effervescenti". Ad inizio Ottocento, dunque, nasce il Prosecco moderno, che si diffonde in tutto il Triveneto. Cosa succede al Prosecco dalmata, col tempo detto Prošek? «"Rimane un vino dolce, non “evolve”, diciamo, in spumante»", risponde Colombo, secondo cui "il Prošek è una sorta di fossile enologico".
Il punto di vista croato
Oltre Adriatico, il Prošek è un vino di nicchia, che compare in alcune ricette (ad esempio in quella della pašticada, altro ponte tra il Veneto e la Dalmazia) e che si beve raramente. "È una di quelle che cose che si tengono sempre in casa – Spiega Leo Gracin, il presidente del Consorzio del vino della Dalmazia – Lo si produce e lo si mette da parte quando nasce un figlio, per berlo al suo diciottesimo compleanno, lo si sorseggia quando si è ammalati, lo si usa per cucinare…". Ambrato e dolce, il Prošek è prodotto lasciando appassire i grappoli sui rami oltre il periodo di maturazione. Ha dunque delle rese molto basse e tempi lunghi ed è infatti prodotto in poche migliaia di bottiglie ogni anno. A titolo di paragone, il Prosecco ha venduto nel 2020 più di 500 milioni di bottiglie in tutto il mondo. Inutile dire che le esportazione del Prošek sono pari a zero.
Leo Gracin è accomodante e assicura che "con i produttori di Prosecco troveremo un accordo", dato che "gli italiani sono i nostri vicini di casa", ma gli esponenti politici croati sono più fermi. Per Tonino Picula, eurodeputato del Partito socialdemocratico, "la protezione dei prodotti tradizionali è una procedura comune e standardizzata avviata prima a livello nazionale e poi a livello dell'Unione […] non si tratta di un processo insolito". E la Croazia ha avviato quel processo (già nel 2013) anche per il Prošek, perché «"consente ai produttori di tutelare la proprietà intellettuale, la qualità e la reputazione [del prodotto], difendendosi dalle imitazioni. Inoltre, consente di ottenere prezzi migliori".
E se i consumatori dovessero confondersi in futuro tra Prosecco e Prošek? "Sono convinto che non ci sia spazio per la confusione. Il Prošek è un vino da dessert tradizionale che viene prodotto nella Dalmazia centrale e meridionale dalle uve appassite delle nostre varietà tradizionali bogdanuša, maraština e vugava. Non ha alcun legame nel gusto, nei tipi di uva o nella tecnologia di produzione con il Prosecco italiano", risponde Picula. Dello stesso avviso anche l’eurodeputato istriano Valter Flego, che spiega "come abbiamo protetto il nostro olio d’oliva, il Teran istriano e il prosciutto, così vogliamo fare per il Prošek". E aggiunge, battagliero: "Abbiamo vinto sul Teran e credo che il risultato sarà lo stesso anche questa volta".
Tutto da rifare
Mentre già si scaldano le cartelle degli avvocati, la polemica sul Prosecco si è però sgonfiata a pochi giorni dal suo inizio, entrando, almeno per il momento, in stand-by. Giovedì, la Commissione europea è infatti intervenuta per calmare un po’ gli animi e raddrizzare il tiro. "Non abbiamo ancora autorizzato il Prošek. Aspetteremo le vostre osservazioni. Per noi è fondamentale proteggere le indicazioni geografiche", ha detto il Commissario europeo all’Agricoltura Janusz Wojciechowski in trasferta a Firenze.
"Non c'è ancora la parola fine", anche se dalle analisi dell’esecutivo europeo "è emerso che non ci sono motivi per rifiutare la richiesta croata". Una cosa però è ammettere la domanda, l’altra è rispondere nel merito della menzione tradizionale che andrebbe introdotta. "Ho ascoltato molte considerazioni da parte dell'Italia, del ministro [dell’Agricoltura, ndr.] Patuanelli e delle Regioni. La questione del Prosecco è molto specifica e seria. Considererò in modo molto serio le obiezioni dell'Italia", ha concluso Wojciechowski.
Lo scontro, insomma, è per il momento rimandato.
https://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Prosecco-e-Prosek-di-cosa-stiamo-parlando-212961
27 set 2021
Così si è spostato il confine
Il museo contemporaneo SMO (Slovensko multimedialno okno) di San Pietro al Natisone presenta al pubblico una nuova installazione scultorea che si aggiunge alla collezione di opere interattive permanenti. E' stata inaugurata il 17 luglio,. Meja, confine, è una video installazione tridimensionale di grandi dimensioni (circa 4 mq ) che mostra la trasformazione nel tempo, dal VI sec ad oggi, del confine orientale d’Italia. L’installazione è stata realizzata dallo studio italo-spagnolo Out Of Format. L’ideazione e il coordinamento del progetto è di Donatella Ruttar, la ricerca storica di Giorgio Banchig, mentre il tecnico elettronico multimediale è Valerio Bergnach.
https://www.dom.it/tako-so-pri-nas-premikali-mejo_cosi-si-e-spostato-il-confine/
OMBRE DI PIERLUIGI CAPPELLO
Ombre
Sono nato al di qua di questi fogli
lungo un fiume, porto nelle narici
il cuore di resina degli abeti, negli occhi il silenzio
di quando nevica, la memoria lunga
di chi ha poco da raccontare.
Il nord e l’est, le pietre rotte dall’inverno
l’ombra delle nuvole sul fondo della valle
sono i miei punti cardinali;
non conosco la prospettiva senza dimensione del mare
e non era l’Italia del settanta Chiusaforte
ma una bolla, minuti raddensati in secoli
nei gesti di uno stare fermi nel mondo
cose che avevano confini piccoli, gli orti poveri, le cataste
di ceppi che erano state un’eco di tempo in tempo rincorsa
di falda in falda, dentro il buio. E il gatto che si stende
in questi posti, sulle lamiere di zinco, alle prime luci
di novembre, raccoglie l’aria di tutte le albe del mondo;
come i semi dei fiori, portati, come una nevicata leggera
ho sognato di raggiungere i miei morti
dove sono le cose che non vedo quando si vedono
Amerigo devoto a Gina che cantava a voce alta
alla messa di Natale, il tabacco comprato da Alfredo
e Rino che sapeva di stallatico, uomini, donne
scampati al tiro della storia
quando i nostri aliti di bambini scaldavano l’inverno
e di là dalle montagne azzurrine, di là dai muri
oltre gli sguardi delle guardie confinarie
un odore di cipolle e di industria pesante premeva,
la parte di un’Europa tenuta insieme
da chiodi ritorti e bulloni, martelli e chiavi inglesi.
Il futuro non è più quello di una volta, è stato scritto
da una mano anonima, geniale
su di un muro graffito alla periferia di Udine,
il futuro è quello che rimane, ciò che resta delle cose convocate
nello scorrere dei volti chiamati, aggiungo io.
E qui, mentre intere città si muovono
sulle piste ramate degli hardware
e il presente irrompe con la violenza di un tavolo rovesciato,
mio padre torna per sempre nella sua cerata verde
bagnata dalla pioggia e schiude ai figli il suo sorridere
come fosse eternamente schiuso.
Se siamo ancora cosa siamo stati,
io sono lo stare di quell’uomo bagnato dalla pioggia,
che portava in casa un odore di traversine e ghisa
e, qualche volta, la gola di Chiusaforte allagata dall’ombra
si raduna nei miei occhi da occidente a oriente, piano piano
a misura del passo del tramonto, bianco;
e anche se le voci del mondo si appuntiscono
e qualcosa divide l’ombra dall’ombra
meno solo mi pare di andare, premendo un piede
dopo l’altro, secondo la formula del luogo,
dal basso all’alto, seguendo una salita.
Azzurro elementare. Poesie 1992-2010 (BUR Rizzoli, 2013)
https://internopoesia.com/tag/poeti-friulani/
25 set 2021
24 set 2021
«Sclavanie» tra locale e globale-»Sclavanie« lokalno in globalno
La situazione della Slavia è al centro delle indagini di un nuovo libro. Si tratta di Sclavanie, il frutto del lavoro di ricerca di Davide Degano, un giovane fotografo e ricercatore di Faedis. «Ormai il volume è in tipografia. È in fase di stampa e sarà pronto a fine mese. In seguito saranno organizzate diverse presentazioni a Udine e in altre sedi».
Nelle sue quasi trecento pagine, il volume riproduce molte fotografie, dello stesso Davide, accanto a testi redatti in quattro lingue. «La parte fotografica è narrata attraverso le citazioni delle persone del luogo nelle tre lingue del territorio – italiano, sloveno e friulano – mentre i saggi, le mappe tematiche e le informazioni storiche sono in italiano. Ogni copia in italiano può essere acquistata con tre diverse traduzioni – in sloveno, a cura del museo Smo di San Pietro al Natisone/Špietar– in friulano, a cura di Marisa Comelli con la supervisione dell’Arlef – e in inglese per quanti lo comprano dall’estero».
Ogni capitolo sviluppa un tema. Si parla di origine e trasformazione del territorio ai confini, di cristianità pagana – con le due tradizioni slava pagana slava e cristiana che tuttora convivono, ad esempio attraverso la Bandimica o nel carnevale – di guerre, terremoto, emigrazione. Un capitolo è dedicato alle persone che ancora vivono sul territorio, come Luca Pantanali, che ha riportato in vita il villaggio di Clap/Podrata.
La ricerca del libro contempla tutta la Sclavanie, come viene chiamata la Slavia in lingua friulana. Intervistando una ventina di persone, sono state prese in esame le Valli del Torre e del Natisone. Molte foto provengono dalla zona da cui Davide proviene, ovvero da quella montana dei comuni di Faedis e Attimis, ma non solo. Così, possiamo trovare immagini provenienti da Canebola, Clap, Robedischis, Farcadizze, Prossenicco, Porzus, Subit, ma anche da Drenchia, Lasiz, Pulfero, Montefosca o Castelmonte.
Davide, che ha 30 anni, è laureato in arti visive, con specializzazione in fotografia e racconto fotografico. «La mia ricerca è partita con l’intento di riscoprire il territorio in cui sono di casa. Ho trascorso un periodo in Australia; in seguito mi sono trasferito in Olanda, dove però non mi sono sentito a mio agio come in Australia ». Davide si è sempre interessato di fotografia. «Già in Australia avevo frequentato corsi tecnici, per realizzare fotografie commerciali e ai matrimoni. Un amico mi ha spronato a raccontare storie attraverso immagini e, così, in Olanda ho fatto domanda per entrare all’accademia d’arte. Lì ho approfondito la mia conoscenza fotografica, per riuscire a raccontare storie attraverso le fotografie. Un mio interesse, comunque, è anche quello di avvicinare la fotografia ad altre discipline». Non per niente, nel libro figurano saggi dell’antropologa Livia Maria Raccanello e del ricercatore indipendente all’Università di Innsbruck Michael Beismann.
«Il libro – spiega Davide – vuole ragionare sul concetto di locale in relazione alla società globalizzata. Ovvero su quanto sia importante mantenere vive tradizioni e culture, seppur piccole, all’interno di una società globalizzata. Questo non significa isolarsi nel proprio guscio, ma essere consapevoli che ci sono differenze, anche fra piccoli paesi vicini tra loro e che queste differenze non fanno altro che offrirci una capacità d’apertura che altrimenti non avremmo. Anche se dicessimo che siamo tutti uguali, ben presto ci troveremmo a capire che in realtà non lo siamo; da questo deriverebbero incomprensioni. Partendo dal presupposto che ognuno di noi è differente, invece, il nostro dialogo diventa costruttivo. Non si tratta di un dialogo in cui io voglio avere ragione perché penso di essere più uguale. Io mi siedo con la mia cultura, tu con la tua e giungiamo a un dialogo costruttivo. Questa è la volontà del progetto, oltre al desiderio di sostenere le minoranze culturali e linguistiche. Anche per questo è redatto nelle tre lingue, italiano, sloveno e friulano».
Un’altra parte del libro per Davide è più personale. «Quando sono andato a fare foto a Lasiz, mi sono trovato a parlare con un anziano del posto. Mi ha rivolto alcune domande sulle mie origini e, così, sono venuto a sapere da lui che mia nonna paterna era originaria della zona di Pulfero. Nella sua famiglia, quindi, la lingua parlata era il dialetto sloveno. Successivamente mi sono informato a riguardo in famiglia – e mio padre mi ha confermato di avere saputo molto poco delle origini di mia nonna per molto tempo, fino a quando aveva 25 anni. Un giorno la ha inavvertitamente sentita parlare in sloveno con una parente stretta in cucina. Lo aveva sempre fatto di nascosto». Alla scoperta hanno fatto seguito le spiegazioni. «Quando, nel periodo della seconda guerra mondiale, mia nonna era emigrata verso la pianura, aveva imparato il friulano e a parlare in friulano per le paure legate ai partigiani, ai saccheggi e al modo in cui venivano trattati gli sloveni all’epoca». Una storia nemmeno così nelle zone vicine al confine orientale. «Questa scoperta non ha fatto altro che rinfocolare il mio desiderio di proseguire la ricerca», nota Davide. (Luciano Lister)
https://www.dom.it/sclavanie-lokalno-in-globalno_sclavanie-tra-locale-e-globale/
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