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🌞Blog che parla del Friuli: in particolare delle minoranze linguistiche slovena,friulana e tedesca e non solo. ❤️ Sono figlia di madre slovena (Ljubljana) e di padre appartenente alla minoranza slovena della provincia di Udine🌞 (Benecia).Conosco abbastanza bene la lingua slovena.Sono orgogliosa delle mie origini.OLga

INNO SLOVENO

INNO SLOVENO "Vivano tutti i popoli che anelano al giorno in cui la discordia verrà sradicata dal mondo ed in cui ogni nostro connazionale sarà libero, ed in cui il vicino non sarà un diavolo, ma un amico!"❤️ FRANCE PREŠEREN poeta sloveno

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16 set 2021

IL RISVEGLIO


 VILLANOVA DELLE GROTTE - ZAVARH

Ritorno o annessione della Primorska alla madrepatria?

 Probabilmente non sarebbero veri sloveni se almeno una parte del pubblico non si fosse diviso su questo tema. Gli organizzatori della celebrazione di quest'anno a Idrija ci hanno invitato senza esitazione e con aria di sfida a partecipare alla festa nazionale, mentre secondo la legge stiamo celebrando la festa del ritorno della Primorska alla sua patria.

Alla fine, un gruppo di deputati non è riuscito a convincere i colleghi dell'Assemblea nazionale che il popolo della Primorska festeggia l'adesione in modo abbastanza unanime. Si tratta quindi in primo luogo di una decisione politica che può avere basi di esperti discutibili (degli storici). Se anche.

Tuttavia, l'uso generale del termine non è sufficiente per nominare o rinominare una vacanza, probabilmente non è solo un duello di termini di ritorno e connessione o spiegazione che il popolo di Primorje non poteva tornare perché non aveva una patria prima, ma potevano solo tornare in patria. Gli oppositori della connessione sottolineano che puoi connettere solo qualcosa che non è tuo.

Con il presupposto della distinzione tra Stato e Patria, si ripete la polemica del record di rimpatrio nel caso della “patria”. Presumibilmente, la maggior parte degli storici concorda sul fatto che l'attuale imbarazzante denominazione della festa dovrebbe essere più precisamente ribattezzata "La connessione della Primorska alla patria della nazione nativa". Ancora una volta, perché gli sloveni non avevano la loro patria fino ad allora, quindi la Primorska non è mai stata portata via dalla sua patria.

No, il problema non è importante per la vita o la morte (è meglio che vi vaccinate se non l'avete già fatto). Tuttavia, varrebbe la pena (in entrambi i temi), a prescindere dall'opinione personale, ascoltare prima chi ne sa qualcosa in più di chiunque altro e i politici che alla fine decidono. Come si vede, a prescindere dal nome, si può ancora festeggiare con un canto partigiano, e chi ne ha paura non osa comunque assecondarlo.

traduzione

15 set 2021

Aida e i suoi 3 piccoli


 Vi ricordate di Zois e Aida, la coppia di #linci provenienti dalla Romania che sono state liberate nei boschi sloveni la scorsa primavera, nell'ambito del progetto europeo LIFE Lynx?

Ebbene, qualche settimana fa nei boschi della #Gorenjska sono stati avvistati mamma lince Aida con tre cuccioli! 😻
Una buona notizia per il progetto di ripopolamento di questo splendido felino!

NO VIOLENZA SULLE DONNE


 Continuano tuti i giorni i femminicidi,possibile che non si possa fermare queste stragi!

Quest'anno in Italia 47 donne uccise da mariti ,ex compagni.

Le cause?Raptus,gelosia,uscita di senno,problemi familiari,perdita del lavoro,depressione ecc.


Settimo centenario di Dante



La notte del 14 settembre del 1321, dopo aver contratto la malaria di ritorno da un’ambasciata a Venezia per conto di Guido Novello, moriva a 56 anni nell’esilio di Ravenna Dante Alighieri, il massimo poeta della letteratura italiana, padre della lingua italiana, da lui plasmata e indirizzata a partire dal toscano in quel capolavoro che è la Commedia, testo chiave anche per comprendere il pensiero medievale.

Direi che non c’è altro da aggiungere, solo da (ri)leggere qualche suo testo, di quelli che abbiamo studiato a fondo durante gli anni delle nostre scuole superiori: il sonetto dedicato a Guido Cavalcanti, altro esponente del Dolce Stil Novo, e il celeberrimo canto di Ulisse della Divina Commedia

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STATUA DI DANTE DAVANTI A SANTA CROCE, FIRENZE - FOTOGRAFIA © DANIELE RIVA

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GUIDO I’ VORREI CHE TU E LAPO ED IO

Guido, i’ vorrei che tu e Lapo ed io
fossimo presi per incantamento
e messi in un vasel, ch’ad ogni vento
per mare andasse al voler vostro e mio;

sì che fortuna od altro tempo rio
non ci potesse dare impedimento,
anzi, vivendo sempre in un talento,
di stare insieme crescesse ’l disio.

E monna Vanna e monna Lagia poi
con quella ch’è sul numer de le trenta
con noi ponesse il buono incantatore:

e quivi ragionar sempre d’amore,
e ciascuna di lor fosse contenta,
sì come i’ credo che saremmo noi.

(da Le Rime)

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INFERNO, CANTO XXVI

     Godi, Fiorenza, poi che se’ sí grande,
che per mare e per terra batti l’ali,
e per lo ’nferno tuo nome si spande!
     Tra li ladron trovai cinque cotali
tuoi cittadini onde mi ven vergogna,
e tu in grande orranza non ne sali.
     Ma se presso al mattin del ver si sogna,
tu sentirai, di qua da picciol tempo,
di quel che Prato, non ch’altri, t’agogna;
     e se già fosse, non saria per tempo:
cosí foss’ei, da che pur esser dèe!
ché più mi graverà, com più m’attempo.
     Noi ci partimmo, e su per le scalee
che n’avean fatte i borni a scender pria,
rimontò il duca mio e trasse mee;
     e proseguendo la solinga via,
tra le schegge e tra’ rocchi de lo scoglio
lo piè senza la man non si spedia.
     Allor mi dolsi, e ora mi ridoglio
quando drizzo la mente a ciò ch’io vidi;
e più lo 'ngegno affreno ch’i’ non soglio,
     perché non corra che virtù nol guidi;
sì che, se stella bona o miglior cosa
m’ha dato ’l ben, ch’io stesso noi m’invidi.
     Quante il villan ch’al poggio si riposa,
nel tempo che colui che ’l mondo schiara
la faccia sua a noi tien meno ascosa,
     come la mosca cede a la zanzara,
vede lucciole giú per la vallea,
forse colà dov’e’ vendemmia e ara:
     di tante fiamme tutta risplendea
l’ottava bolgia, si com’io m’accorsi
tosto che fui là ’ve ’l fondo parea.
     E qual colui che si vengiò con li orsi
vide ’l carro d’Elia al dipartire,
quando i cavalli al cielo erti levorsi,
     che nol potea sí con li occhi seguire,
ch’el vedesse altro che la fiamma sola,
si come nuvoletta, in su salire;
     tal si move ciascuna per la gola
del fosso, ché nessuna mostra il furto,
e ogni fiamma un peccatore invola.
     Io stava sovra ’l ponte a veder surto,
sì che s’io non avessi un ronchion preso,
caduto sarei giù senz’esser urto.
     E ’l duca, che mi vide tanto atteso,
disse: «Dentro dai fuochi son li spirti;
ciascun si fascia di quel ch’elli è inceso».
     «Maestro mio,» rispos’io «per udirti
son io più certo; ma già m’era avviso
che così fosse, e già voleva dirti:
     chi è in quel foco che vien si diviso
di sopra, che par surger de la pira
dov’Eteòcle col fratei fu miso?»
     Rispose a me: «Là dentro si martira
Ulisse e Diomede, e così insieme
a la vendetta vanno come a l’ira;
     e dentro da la lor fiamma si geme
l’agguato del caval che fe’ la porta
onde uscì de’ Romani il gentil seme.
     Piangevisi entro l’arte per che, morta,
Deidamia ancor si duol d’Achille,
e del Palladio pena vi si porta».
     «S’ei posson dentro da quelle faville
parlar,» diss’io «maestro, assai ten priego
e riprego, che il priego vaglia mille,
     che non mi facci de l’attender niego
fin che la fiamma cornuta qua vegna:
vedi che del disio ver lei mi piego!»
     Ed elli a me: «La tua preghiera è degna
di molta loda, e io però l’accetto;
ma fa che la tua lingua si sostegna.
     Lascia parlare a me, ch’i’ ho concetto
ciò che tu vuoi; ch’ei sarebbero schivi,
perché fur greci, forse del tuo detto».
     Poi che la fiamma fu venuta quivi,
dove parve al mio duca tempo e loco,
in questa forma lui parlare audivi:
     «O voi che siete due dentro ad un foco,
s’io meritai di voi, mentre ch’io vissi,
s’io meritai di voi assai o poco
     quando nel mondo li alti versi scrissi,
non vi movete; ma l’un di voi dica
dove per lui perduto a morir gissi».
     Lo maggior corno de la fiamma antica
cominciò a crollarsi mormorando
pur come quella cui vento affatica;
     indi la cima qua e lá menando,
come fosse la lingua che parlasse,
gittò voce di fuori, e disse: «Quando
     mi diparti’ da Circe, che sottrasse
me più d’un anno lá presso a Gaeta,
prima che si Enea la nomasse,
     né dolcezza di figlio, né la pièta
del vecchio padre, né ’l debito amore
lo qual dovea Penelope far lieta,
     vincer potero dentro a me l’ardore
ch’i’ ebbi a divenir del mondo esperto,
e de li vizi umani e del valore;
     ma misi me per l’alto mare aperto
sol con un legno, e con quella compagna
picciola da la qual non fui diserto.
     L’un lito e l’altro vidi infin la Spagna,
fin nel Morrocco, e l’isola de’ Sardi,
5e l’altre che quel mare intorno bagna.
     Io e’ compagni eravam vecchi e tardi
quando venimmo a quella foce stretta,
dov’Ercule segnò li suoi riguardi
     acciò che l’uom più oltre non si metta:
da la man destra mi lasciai Sibilia,
da l’altra già m’avea lasciata Setta.
    ' O frati, ' dissi ' che per cento milia
perigli siete giunti a l’occidente,
a questa tanto picciola vigilia
     de’nostri sensi ch’è del rimanente,
non vogliate negar l’esperienza,
di retro al sol, del mondo senza gente.
     Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti,
ma per seguir virtute e conoscenza ’.
     Li miei compagni fec’io si aguti,
con questa orazion picciola, al cammino,
che a pena poscia li avrei ritenuti;
     e volta nostra poppa nel mattino,
dei remi facemmo ali al folle volo,
sempre acquistando dal lato mancino.
     Tutte le stelle già de l’altro polo
vedea la notte, e ’l nostro tanto basso,
che non surgea fuor del marin suolo.
     Cinque volte racceso e tante casso
lo lume era di sotto da la luna,
poi che ’ntrati eravam ne l’alto passo,
     quando n’apparve una montagna, bruna
per la distanza; e parvemi alta tanto
quanto veduta non avea alcuna.
     Noi ci allegrammo, e tosto tornò in pianto;
ché de la nova terra un turbo nacque,
e percosse del legno il primo canto:
     tre volte il fe’ girar con tutte l’acque;
a la quarta levar la poppa in suso
e la prora ire in giù, com’ altrui piacque,
     infin che ’l mar fu sopra noi richiuso»

(dalla Divina commedia)

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SREČKO KOSOVEL

 


VIDI DEI PINI CRESCERE


Vidi dei pini crescere
al cielo. Imperturbabili
nel fuoco dei soli.
Vidi già il rogo
che li arderà.


Su bianchi cuscini
i monti-vegliardi posarono
il capo silente. —
Bisbigliano i pini.
(Chi mai li sente?)


Erano lì —
colonne di fuoco
svettanti nel cielo...


Il mio corpo s’incenerì.



VIDEL SEM BORE RASTI

Videl sem bore rasti
v nebo. Stoike mirne
skozi ognje sonc.
Videl sem že požar,
ki jih bo požgal.


Na belo blazino so
naslonili starci-hribi glavé
in obmolknili. —
Bori šumijo.
(S kom govore?)


Videl sem jih,
kako so romali
goreči stebri — v nebo ...


V pepel se mi je sesulo telo.



Srečko Kosovel (Sesana18 marzo 1904 – Tomadio27 maggio 1926) è stato un poeta e critico letterario sloveno.

Ultimo di cinque fratelli, nacque il 18 marzo 1904 a Sesana. Nel 1908 la famiglia si trasferì a Tomadio e si stabilì nella scuola del paese. Nel 1916 andò a studiare a Lubiana, al liceo scientifico tedesco e successivamente, nel 1922 alla facoltà di lettere e filosofia dell'Università di Lubiana. Le sue prime poesie sono in prevalenza impressionistiche. Dal 1925 iniziò a scrivere poesie di tipo costruttivista. Iniziò a pubblicare dal 1921 in diverse riviste letterarie di Lubiana e Trieste[1]. Morì nel 1926, all'età di 22 anni, colpito da una meningite. Inizialmente nelle sue poesie è forte l'influenza dell'impressionismo e di Josip Murn. Temi ricorrenti sono il Carso, la madre, la morte con valenza spesso simbolica. Le sue poesie d'avanguardia vennero pubblicate per la prima volta, postume, molto tardi, nel 1967 e rappresentarono un elemento di prima grandezza nel panorama culturale sloveno[2]

il mais o granoturco


 Il Mais viene detto granoturco nel linguaggio comune: appartiene al genere Zea, che comprende la sola specie Zea mais dalla cui denominazione deriva il nome abituale di Mais. Si tratta di una pianta annuale di tipo erbaceo, che appartiene alla famiglia delle graminacee. Tipica pianta dei climi temperato caldi, è una coltura estiva che necessita di umidità e di calore man mano crescenti a partire dalla fioritura fino alla maturazione delle cariossidi. Il periodo vegetativo è molto breve e per questo si conoscono numerose varietà di mais a seconda del mese di produzione. L'apparato vegetativo del Mais raggiunge nel complesso un notevole sviluppo e un’altezza di 3 o 4 metri. Bisogna innaffiare soltanto a partire dal momento in cui gli esemplari iniziano a fiorire, aumentando la quantità d'acqua apportata quando le pannocchie cominciano a ingrossare. Tuttavia, in caso di siccità, è bene innaffiare anche precedentemente.https://www.giardinaggio.org/orto/ortaggi/mais.as

Ivan Trinko

"O ti zemlja rodna, zemlja bedna, ki te milost božja, meni v last je dala" (I. Trinko) "O terra natia, terra misera, piccola, che la grazia divina, mi ha donato" (traduzione)

evidenzia

MAGGIOLATA DI GIOSUè CARDUCCI

  Maggio risveglia i nidi, maggio risveglia i cuori; porta le ortiche e i fiori, i serpi e l’usignol. Schiamazzano i fanciulli in terra, e i...

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