NON SI PUO' ANDARE A LAVORARE E MORIRE PER LAVORARE.
In Italia muoiono ogni giorno 3 persone sul lavoro.
BASTA non si puo' continuare così!!
NON SI PUO' ANDARE A LAVORARE E MORIRE PER LAVORARE.
In Italia muoiono ogni giorno 3 persone sul lavoro.
BASTA non si puo' continuare così!!
dal Foglio
Questa storia inizia… Inizia con il fatto che sono laureata in lingua inglese, e la prima persona che mi ha insegnato la mia prima parola in quella lingua è stato nonno Agostino, di cognome faceva Cencig, era nato a Logatec. L’inglese non l’aveva però imparato a scuola, come l’ho imparato io, ma in un contesto molto diverso. Mia madre, sua figlia, racconta che il nonno non amava festeggiare il compleanno perché, durante la Seconda guerra mondiale, l’avevano fatto prigionero. Dalle Valli del Natisone pare che sia arrivato a Napoli e da lì sia partito per il Nord Africa, per andare a combattere con l’esercito italiano, ma lì, nel deserto, è stato catturato dagli inglesi.
È così iniziato il suo viaggio da ventenne, che non è stato un Erasmus ma qualcosa di completamente diverso. Dai pochi racconti del nonno (non raccontava molto, quell’esperienza durata quattro anni se l’è tenuta dentro) sappiamo che, come prigioniero, dal Nord Africa – dalla Libia raggiunse Alessandria d’Egitto e proseguì giù per il Canale di Suez – giunse in Sudafrica, a Durban e da lì a Zonderwater (è il più grande campo di prigionia costruito dagli Alleati durante la Seconda guerra mondiale, tra l’aprile del 1941 e il gennaio del 1947 ospitò oltre 100 mila soldati italiani catturati dagli inglesi sui fronti dell’Africa settentrionale e orientale, ndr).
La sera in quel campo di prigionia, con un capitano che l’aveva preso sotto la sua ala, ha iniziato ad imparare l’inglese, mentre lui insegnava l’italiano al capitano. Il nonno ricordava come questo inglese non riuscisse a pronunciare la parola ‘cucchiaio’. Quando ho iniziato a studiare inglese alle elementari, con il nonno leggevamo dei testi, e mi stupiva il fatto che il nonno conoscesse bene quella lingua. Questa cosa mi incuriosiva, anche per la realtà in cui sono cresciuta, dove da piccola sai che una cosa può avere tre nomi ma è sempre la stessa cosa. Mi ha motivata a studiare l’inglese, fino ad arrivare all’università. Questo mi ha permesso di fare tante cose, di viaggiare ovunque, di conoscere tante storie, di raccontarle… Mio nonno ha insomma lasciato un segno in questa mia voglia di conoscenza.
Poi sono accadute delle coincidenze, che forse non lo sono. Un giorno mia madre conosce assolutamente per caso – a una festa, seduti allo stesso tavolo – un militare in pensione che aveva accesso agli archivi militari a Udine. Mia madre gli racconta che il nonno era stato prigioniero in Sudafrica, questa persona dopo qualche mese le invia una busta con tutti i documenti della sua permanenza nel campo di prigionia. È stata una cosa veramente emozionante. C’era tutta la mappatura del viaggio che aveva fatto da quando era stato catturato. Per la prima volta ho visto una sua foto da giovane. C’erano i suoi dati, e poi la descrizione di una specie di kit che veniva dato a ogni prigioniero, dove c’era persino uno spazzolino da denti. Leggere questi documenti è stato, per me e per mia madre, entrare in qualcosa che non conoscevamo, proprio perché mio nonno non aveva mai voluto raccontarlo. Erano dodici fratelli, superata la guerra bisognava solo lavorare.
Una domenica sono al ‘Baule del diavolo’, il mercatino di Cividale, e tra i libri usati in vendita mi capita di gettare l’occhio su uno, si intitola ‘I diavoli di Zonderwater’, dove uno di questi prigionieri di guerra ha raccontato la realtà in cui vivevano. È stato toccante leggere quel libro, e ci è servito anche a ricostruire la storia del nonno.
Nel 2019 mi sono detta che volevo andare a vedere questo posto. Per avere maggiori informazioni mi hanno aiutato i social, dove c’è un gruppo di parenti dei prigionieri che raccontano le loro storie. Il Covid mi ha costretta ad accantonare l’idea, ma non del tutto. Usciti dalla pandemia, ho chiesto ancora a mia madre se poteva darmi qualche altra informazione, e mi ha detto che avremmo dovuto avere due cugine in Sudafrica, figlie di un fratello del nonno che ci era andato per cercare lavoro. Ho scritto loro su Facebook, dal gruppo di Zonderwater mi è stato dato il contatto di una persona, Emilio, che da oltre 25 anni, laggiù, cura la ‘collezione di emozioni’ di questo luogo, e che avrei potuto incontrare laggiù.
A inizio dicembre del 2023 parto, arrivo in Sudafrica, e all’aeroporto vengono a prendermi le cugine. La prima cosa che mi hanno detto è che sono stata davvero ‘brave’, impavida, perché ero la prima della famiglia Cencig ad andare a trovarle in Sudafrica. Non sapevano però che il nonno Agostino era stato prigioniero lì, è stata per loro una scoperta. Assieme siamo andate a Zonderwater, nei cui pressi c’è ora una prigione. C’era un caldo impressionante, non riesco a immaginare cosa provassero allora i prigionieri, e capisco ancora di più, quando con il nonno nelle Valli andavamo insieme a camminare, la sensazione che provava quando beveva un bicchiere di acqua fresca. D’altra parte Zonderwater, mi hanno spiegato, significa ‘posto senza acqua’. Lì accanto c’è un cimitero per coloro che purtroppo non sono sopravvissuti, e un museo con varie testimonianze della vita dei prigionieri di guerra.
Lì, a 10 mila chilometri da casa, mio nonno è rimasto quasi quattro anni. Nonostante tutte le difficoltà è riuscito non solo a sopravvivere ma anche a crescere. Tornare nelle Valli negli anni Cinquanta sapendo l’inglese era come oggi tornare sapendo il mandarino.
Il Sudafrica è ricco di contraddizioni, ti sembra di essere in Europa ma non lo sei, in alcuni casi ti pare di vivere in una gabbia dorata, vivono in luoghi protetti, la sera non escono di strada. I lavori più umili li fanno ancora le persone di colore, non esiste ancora la parità dei diritti tra bianchi e neri. La figura di Mandela è ovunque, ma nella quotidianità il suo insegnamento non si avverte. È comunque un Paese che ti riempie gli occhi di tanta bellezza, perché ha un mare selvaggio, spazi infiniti, tanta natura. Nelle città, certo, sei vestito con abiti moderni ma ti sembra di essere nel film ‘Il colore viola’. L’impossibilità di spostarsi senza libertà, sempre con il timore di una rapina, mi ha colpito tanto. Come il fatto che molti degli abitanti sono ribattezzati con un nome europeo. Uno di loro aveva il badge (tesserino d’identità) con il nome Cantino. Poi mi hanno spiegato che i loro nomi sono difficili da pronunciare e quindi si ribattezzano, come se avessero una seconda identità per quando hanno contatti con gli europei, con gli occidentali.
Il proverbio friulano della settimana
Il nome si rifà ad una festa cristiana in onore del martire cristiano Valentino di Terni[4][5], a sua volta sovrimposta alla precedente festività romana dei Lupercali, che, attraverso successive tradizioni popolari, è diventata una significativa celebrazione sociale e commerciale dell'amore romantico in molti paesi del mondo, anche estranei alle tradizioni precedenti.[6][7][8]
Popolarmente, in molti Paesi, le coppie si scambiano biglietti, fiori, cioccolatini o altre forme di doni per esprimere il loro amore o affetto reciproco. I simboli di San Valentino (cosiddetti -in inglese- valentines) usati oggi includono il cuore, il cioccolato, le colombe e la figura di Cupido. In Italia, in diversi comuni sono in uso le cosiddette "chiavi di San Valentino", che vengono date agli innamorati come simbolo romantico e invito a sbloccare il cuore del donatore: in origine, esse venivano date ai bambini per scongiurare l'epilessia, chiamata la "malattia di San Valentino".[9][10][11]
Il giorno di San Valentino non è un giorno festivo in nessun paese, sebbene sia un giorno di festa ufficiale nella Comunione anglicana[12] e nella Chiesa luterana.[13]
L'originale festività religiosa prende il nome dal santo e martire cristiano Valentino di Terni[14] e venne istituita nel 496 da papa Gelasio I, andando a sostituirsi alla precedente festa pagana dei Lupercalia, presumibilmente anche con lo scopo di cristianizzare la festività romana.
Alla sua diffusione, soprattutto in Francia e in Inghilterra, contribuirono i Benedettini, attraverso i loro numerosi monasteri, essendo stati affidatari della basilica di San Valentino a Terni dalla fine della seconda metà del VII secolo.[15]
Il tono religioso della festività, ad esclusione del luoghi in prevalenza anglicani, è comunque molto dimesso e secondario rispetto a quello commerciale. Negli ultimi 40 anni ha preso piede la moda, tra gli innamorati, di far recapitare le proprie lettere presso la basilica di San Valentino della città di Terni. Che però si tratti di folklore più che di devozione cristiana è testimoniato dall'analisi delle lettere, provenienti per più di un quarto dal Giappone, ove delle cartoline precompilate sono in un popolare modello di scatola di cioccolatini.[16]
Nei giorni intorno alla metà di febbraio, nell'Antica Roma era usanza celebrare i Lupercalia, feste di purificazione di radice arcaica legate al ciclo di morte e rinascita della natura, dall'interpretazione molto controversa. Queste feste erano accompagnate da vari rituali che potrebbero essere in qualche modo sopravvissuti, trasfigurati, nelle tradizioni di sovvertimento dell'ordine del Carnevale.
In particolar modo, alcune pratiche arcaiche della fertilità prevedevano che due giovani, dopo aver sacrificato capri e un cane, rivestissero il loro corpo nudo della pelle di questi e corressero attorno alla base del Palatino, percotendo con delle strisce della medesima pelle quelle donne che si offrivano al colpo onde propiziare la propria fecondità.[17] Attraverso le frustate di questi uomini, "regrediti" alla condizione ancestrale e divina della sessualità libera, impersonata dal dio agreste Fauno-Luperco[senza fonte] le donne ricevevano una benedizione che ne propiziava la fertilità.[18]
Questi riti, di natura ancestrale e legate alla sfera più antica e primordiale della sessualità umana, furono definite deplorevoli già nel tardo Impero Romano, e furono definitivamente bandite dai papi cristiani. In particolare, sembra che fu il papa Gelasio I a istituire, sul ceppo reciso dei Lupercali, una festività dedicata all'amore, associandola idealmente alla protezione del santo Valentino.[18]
È conosciuta, in ogni caso, la leggenda, secondo cui il santo avrebbe donato a una fanciulla povera una somma di denaro, necessaria come dote per il suo sposalizio, che, senza di questa, non si sarebbe potuto celebrare, esponendo la ragazza, priva di mezzi e di altro sostegno, al rischio della perdizione. Il generoso dono - frutto di amore e finalizzato all'amore - avrebbe dunque creato la tradizione di considerare il santo vescovo Valentino come il protettore degli innamorati...continua https://it.wikipedia.org/wiki/San_Valentino_(festa)
Vento padre dei venti, che era solito girare il mondo in compagnia dei suoi figli. Tra questi vi era Bora, la più bella. Un giorno giunsero ad un altopiano verdeggiante, che ripido scendeva verso il mare. La bella Bora cominciò a giocare con le nuvole, allontanandosi dal padre e dai suoi fratelli. Trovò una caverna e senza alcun timore, proprio come un bimbo che gioca immerso nella natura, vi entrò. Fu così che incontrò un uomo, essere che Bora non aveva mai visto prima: si trattava dell’argonauta Tergesteo. Fu amore a prima vista. I due giovani vissero felici in quella grotta sette giorni di amore e di travolgente passione.
Bora non avvisò il padre Vento, che preoccupato aveva già iniziato a cercare la prediletta figlia. Dopo alcuni giorni di ricerche la trovò e vedendola abbracciata a Tergesteo si arrabbiò a tal punto che si scagliò contro l’uomo, lo gettò con violenza contro le pareti della grotta, uccidendolo. Bora scoppiò in un singhiozzo talmente disperato che ogni sua lacrima iniziò a trasformarsi in pietra. Fu così che il prato verde dell’altopiano venne completamente ricoperto da un manto di pietre: ecco spiegata anche la formazione del Carso, da un punto da un punto di vista leggendario.
l padre Vento ordinò a Bora di ripartire, ma lei distrutta dal dolore non ne volle sapere. Così Odino ordinò a Vento di ripartire da solo e di lasciare la figlia nel luogo che aveva visto nascere e morire il suo grande amore. Madre Natura, dispiaciuta per la morte di Tergesteo fece nascere il sommacco, che da allora colora di rosso l’autunno carsico. È stato il sangue del giovane ad impietosire Madre Natura.
Mare ordinò a Onde di ricoprire il corpo di Tergesteo di conchiglie, stelle marine e alghe, dando vita, nel tempo, ad una collina sulla quale gli uomini costruirono un Castelliere, che, ingrandendosi, divenne città chiamata Tergeste in ricordo di Tergesteo, oggi Trieste. Ancora oggi Bora si trova qui perché Terra le concesse di regnare sul luogo della sua disperazione e Cielo di rivivere ogni anno alcuni giorni del suo amore: sono proprio questi i giorni in cui la bora soffia impetuosa. Oggi, si parla di bora “chiara” quando Bora è fra le braccia del suo amore; “scura” quando attende di incontrarlo.
Il proverbio friulano della settimana di Vita nei campi fb “Mai / salte fûr el cai” ovvero a maggio escono le chiocciole che segue l’altro...